La mente del distratto non è mai tutta lì con lui. Una parte è altrove. Ma dove? Non si sa. È un atto involontario e segnala il bisogno di uscire dalla propria quotidianità. Un bisogno che, se non risolto, diventa una cronica evasione. Un fatto è però certissimo: se la realtà assomiglia ad una prigione, il cervello cerca vie di fuga. Anche tra le nuvole.
Tipici i rapporti di coppia ormai logori, senza più eros né curiosità, in cui non c’è la forza di uscirne né un amante. Lo stesso vale per studio e lavoro che non piacciono.
Si è innescata la fretta, la mente non si ferma su nulla e non è mai nel presente. Con la distrazione il cervello dice basta e evita di “occuparsi”, anche se di cose importanti.
Molte depressioni sono delle grandi e drammatiche “distrazioni”: manca il “gancio” con l’esistenza, proprio come nelle distrazioni quotidiane.
Alcuni, idealisti e idealizzanti, vivono per una “felicità a venire” e, proiettati in un futuro che non arriva mai, si disinteressano del presente, vissuto con frustrazione.
La distrazione volontaria in psicoterapia si chiama “prescrizione del sintomo”. Se la distrazione cronica è una fuga silenziosa disseminata nei mesi, crea tu spazi personali in cui fuggire. Renderai inutile “l’evasione del cervello”.
I bambini sono meno abili degli adulti nello svolgere operazioni che richiedono attenzione e coordinamento. Questo perché il loro cervello è caratterizzato da una quantità di connessioni neuronali maggiore rispetto a un cervello adulto. Condizione che, insieme ad altre, fa sì che i bambini siano immersi in una sorta di "ipercoscienza", una specie di luce che illumina allo stesso modo le figure centrali e lo sfondo. I bambini piccoli infatti devono osservare tutto per poter capire tutto, hanno bisogno di apprendere più cose simultaneamente; non sono programmati per focalizzarsi su un unico aspetto. Per quanto incredibile, per loro è più facile apprendere due lingue contemporaneamente che allacciarsi le scarpe.
Non bisogna stupirsi se i bambini sono o sembrano perennemente distratti, se non reagiscono agli inviti all'attenzione dei genitori, se in classe gli insegnanti devono continuamente richiamarli.
In un certo senso sono "progettati" per essere distratti, perché per loro il mondo è oggetto di un interesse a 360 gradi. Se lasciati il più possibile liberi in questa loro ricerca i bambini saranno in grado di sviluppare la creatività e di trovare soluzioni alternative ai problemi complessi.
Per comprendere meglio questo concetto, bisogna tener presente che nel giro di pochi anni, a partire dalla nascita, i bambini imparano un'infinità di cose: a parlare e a camminare, a intessere relazioni e a manovrare oggetti e meccanismi sempre più complessi. Come ci riescono? Fino a pochi decenni fa si riteneva che il cervello dei bambini fosse semplicemente meno sviluppato di quello degli adulti, con capacità molto limitate che aumentavano gradualmente con la crescita.
In realtà le recenti ricerche neurobiologiche e psicologiche presentano un quadro ben diverso della faccenda: i bambini, in un certo senso, sono più intelligenti di noi adulti, il loro cervello è una sorta di macchina potentissima, paragonabile a un computer di eccezionale complessità. La neurobiologia, mediante tecniche che permettono di "osservare" l'attività cerebrale, ha stabilito infatti che il loro cervello risulta incredibilmente "indaffarato", molto più attivo e flessibile rispetto al nostro.
I bambini, in effetti, non sono distratti, hanno semplicemente il cervello impegnato: sta creando connessioni cerebrali, sinapsi, a un ritmo frenetico, il che lo porterà ad avere, intorno ai tre anni, un numero di collegamenti neuronali molto più elevato rispetto a quello degli adulti, necessario per comprendere più rapidamente la realtà che lo circonda. L'infante deve infatti "costruire" in fretta una conoscenza del mondo che gli permetta di adattarvisi e sopravvivere. Deve capire al volo le regole di funzionamento del linguaggio a partire dalle parole che sente pronunciare dagli adulti ed elaborare una visione del mondo fisico sulla base dell'osservazione di persone e oggetti e, successivamente, compiendo "esperimenti", cioè toccando, trascinando, spingendo, lanciando quello che ha a portata di mano e studiando le conseguenze delle sue azioni.
Col tempo, a partire dai 9-10 anni, le connessioni neuronali nei bambini cominceranno a diminuire, fino ad assestarsi (intorno ai 18 anni) sul numero di collegamenti cerebrali che caratterizza il cervello degli adulti. Questa potrà sembrare una perdita, alla luce di quanto si è detto fin qui, ma in realtà è un processo necessario che permette al cervello di specializzarsi, di mantenere solo le connessioni cerebrali che l'esperienza ha dimostrato essere utili e di "sintonizzarsi" perfettamente con l'ambiente in cui vive. I genitori possono quindi tranquillizzarsi: i loro figli non saranno perennemente distratti. Nella fase della crescita a bambini e ragazzi deve essere lasciata la possibilità di sviluppare idee e abilità in autonomia. In seguito troveranno da soli la via dell'attenzione, e saranno tanto più capaci di risolvere le difficoltà e di esprimere i loro talenti, quanto più saranno stati lasciati liberi nelle loro esplorazioni del mondo.
Riuscire a focalizzare la propria attenzione significa isolare su un unico aspetto le proprie azioni e pensieri distaccandoli così dal mondo circostante e da eventuali distrazioni. I bambini, impegnati su diversi fronti e con molti stimoli, si trovano quindi nella situazione di non essere sempre in grado di mantenere un elevato livello di concentrazione. Può succedere a scuola, ma anche nello sport, nelle attività educative in genere e nella semplice lettura. Le conseguenze sono la distrazione e l'agitazione e quindi, in ultima analisi, la mancanza di apprendimento.
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