lunedì 16 maggio 2016

IL SOGNO di Giacomo Leopardi



.Era il mattino, e tra le chiuse imposte
Per lo balcone insinuava il sole
Nella mia cieca stanza il primo albore;
Quando in sul tempo che più leve il sonno
E più soave le pupille adombra,
Stettemi allato e riguardommi in viso
Il simulacro di colei che amore
Prima insegnommi, e poi lasciommi in pianto.
Morta non mi parea, ma trista, e quale
Degl'infelici è la sembianza. Al capo
Appressommi la destra, e sospirando,
Vivi, mi disse. e ricordanza alcuna
Serbi di noi? Donde, risposi, e come
Vieni, o cara beltà? Quanto, deh quanto
Di te mi dolse e duol: nè mi credea
Che risaper tu lo dovessi; e questo
Facea più sconsolato il dolor mio.
Ma sei tu per lasciarmi un'altra volta?
Io n'ho gran tema. Or dimmi, e che t'avvenne?
Sei tu quella di prima? E che ti strugge
Internamente? Obblivione ingombra
I tuoi pensieri, e gli avviluppa il sonno,
Disse colei. Son morta, e mi vedesti
L'ultima volta, or son più lune. Immensa
Doglia m oppresse a queste voci il petto.
Ella seguì: nel fior degli anni estinta,
Quand'è il viver più dolce, e pria che il core
Certo si renda com'è tutta indarno
L' umana speme. A desiar colei
Che d ogni affanno il tragge, ha poco andare
L'egro mortal; ma sconsolata arriva
La morte ai giovanetti, e duro è il fato
Di quella speme che sotterra è spenta.
Vano è saper quel che natura asconde
Agl'inesperti della vita, e molto
All'immatura sapienza il cieco
Dolor prevale. Oh sfortunata, oh cara,
Taci, taci, diss'io, che tu mi schianti
Con questi detti il cor. Dunque sei morta,
O mia diletta, ed io son vivo, ed era
Pur fisso in ciel che quei sudori estremi
Cotesta cara e tenerella salma
Provar dovesse, a me restasse intera
Questa misera spoglia? Oh quante volte
In ripensar che più non vivi, e mai
Non avverrà ch'io ti ritrovi al mondo,
Creder nol posso. Ahi ahi, che cosa è questa
Che morte s'addimanda? Oggi per prova
Intenderlo potessi, e il capo inerme
Agli atroci del fato odii sottrarre.
Giovane son, ma si consuma e perde
La giovanezza mia come vecchiezza;
La qual pavento, e pur m'è lunge assai.
Ma poco da vecchiezza si discorda
Il fior dell'età mia. Nascemmo al pianto,
Disse, ambedue; felicità non rise
Al viver nostro; e dilettossi il cielo
De' nostri affanni. Or se di pianto il ciglio,
Soggiunsi, e di pallor velato il viso
Per la tua dipartita, e se d'angoscia
Porto gravido il cor; dimmi: d'amore
Favilla alcuna, o di pietà, giammai
Verso il misero amante il cor t'assalse
Mentre vivesti? Io disperando allora
E sperando traea le notti e i giorni;
Oggi nel vano dubitar si stanca
La mente mia. Che se una volta sola
Dolor ti strinse di mia negra vita,
Non mel celar, ti prego, e mi soccorra
La rimembranza or che il futuro è tolto
Ai nostri giorni. E quella: ti conforta,
O sventurato. Io di pietade avara
Non ti fui mentre vissi, ed or non sono,
Che fui misera anch'io. Non far querela
Di questa infelicissima fanciulla.
Per le sventure nostre, e per l'amore
Che mi strugge, esclamai; per lo diletto
Nome di giovanezza e la perduta
Speme dei nostri dì, concedi, o cara,
Che la tua destra io tocchi. Ed ella, in atto
Soave e tristo, la porgeva. Or mentre
Di baci la ricopro, e d'affannosa
Dolcezza palpitando all'anelante
Seno la stringo, di sudore il volto
Ferveva e il petto, nelle fauci stava
La voce, al guardo traballava il giorno.
Quando colei teneramente affissi
Gli occhi negli occhi miei, già scordi, o caro,
Disse, che di beltà son fatta ignuda?
E tu d'amore, o sfortunato, indarno
Ti scaldi e fremi. Or finalmente addio.
Nostre misere menti e nostre salme
Son disgiunte in eterno. A me non vivi
E mai più non vivrai: già ruppe il fato
La fe che mi giurasti. Allor d'angoscia
Gridar volendo, e spasimando, e pregne
Di sconsolato pianto le pupille,
Dal sonno mi disciolsi. Ella negli occhi
Pur mi restava, e nell'incerto raggio
Del Sol vederla io mi credeva ancora.



Leopardi scrisse il canto "Il sogno" tra la fine del 1820 e la prima metà del 1821. In questo canto Leopardi sintetizza ed armonizza diversi sentimenti e situazioni sue personali con la lettura di due opere di Petrarca. Le due opere di Petrarca sono: il II capitolo del Trionfo della Morte e la canzone CCCLIX delle Rime "Quando il soave mio fido conforto".
Il poeta immagina un dialogo durante un sogno mattutino tra lui e una giovane donna, forse Teresa Fattorini, morta pochi mesi prima, di tubercolosi, il 30 settembre 1818.

La poesia fu pubblicata la prima volta il 13 agosto 1825 nel giornale <<Il caffè di Petronio>> diretto da Pietro Brighenti.

Non ci sono dubbi: si tratta di un sogno e “colei che amore / Prima insegnommi” è inesorabilmente morta. Questa è la certezza da cui parte Leopardi, la certezza della realtà materiale che non lo abbandona mai. Ma subito dopo la “morta” comincia a vivere: gli accarezza la testa, sospira e gli parla. In questa dimensione di vita recuperata anche il poeta parla all’amata. L’illusione è subito spezzata, ma, sentendo la sua voce, Leopardi si rivolge a lei come se fosse viva pur sapendo che è morta (“Dunque sei morta”), e al tempo stesso non potendo credere che ella non viva piú. I due amanti parlano della morte e del dolore cui sono condannati gli uomini, quindi il discorso “scivola” sull’amore. Se mai l’amata avesse provato un sentimento d’amore per il poeta, questi dal ricordo di quel sentimento potrebbe trarre la forza per vivere, visto è che è vana la speranza nel futuro. Il gioco di Leopardi è qui estremamente complesso: il sogno fa vivere in maniera illusoria ciò che non è piú e questa illusione (presente) può creare un passato da usare come ricordo contro il dolore presente. Il risultato immediato è una presenza ancora piú viva dell’amata: ora è possibile accarezzarla, baciarla, abbracciarla, stringerla, sciogliere lo sguardo negli occhi di lei. La verità della morte irrompe di nuovo e l’unica possibilità che resta sembra un dolore sconsolato e un grido di angoscia. Eppure, anche alla luce del sole nascente – svanito il sogno – “Ella negli occhi / pur mi restava / vederla io mi credeva ancor”.

Nel canto “Il sogno” Leopardi sintetizza ed armonizza due esigenze vivide. Da un lato manifesta il suo profondo bisogno di esprimere l'acuto dolore per la morte di Teresa Fattorini che il poeta ascoltava e guardava dal suo balcone prima che lei morisse. Ma, probabilmente, l'ispirazione di scrivere “Il Sogno” venne al poeta dall'intenso desiderio di dare un bacio ad una giovane donna di Recanati, Teresa Brini. Dall'altro lato Leopardi esprime, in forma poetica, sia il suo dolore per la scomparsa della Fattorini sia il suo bisogno reale ed istintivo per la Brini, con le letture di Petrarca il quale aveva descritto, in forma onirica ed elegiaca, il suo incontro con Laura morta. In questo modo, trasferendo tutto nel sogno, il giovane Leopardi immaginava di potere soddisfare il desiderio di dare un bacio reale a Teresa Brini. Il canto sintetizza ed armonizza, in forma poetica ed elegiaca, il mondo interiore e sentimentale del poeta, negli anni tra il 1820 e il 1821, in una forma poetica e culturale simile a quella di Petrarca.
Queste spiegazioni della genesi del canto il poeta le ha lasciate in memoria in uno scritto dal titolo “Ricordi di infanzia e di adolescenza” alla fine del quale il poeta scrive: <<che io allora solo in sogno per la primissima volta provai che cosa sia questa sorta di consolazione con tal verità che svegliatomi subito e riscosso pienamente vidi che il piacere era stato appunto qual sarebbe reale e vive e restai attonito e conobbi come sia vero che tutta l'anima si possa trasfondere in un bacio e perder di vista tutto il mondo come allora proprio mi parve e svegliato errai un pezzo...>> (da Giacomo Leopardi – Canti – a cura di Lucio Felici – Newton & Compton editori – Pag. 308).

Il messaggio della poesia è certamente la presa di coscienza da parte del poeta che nel sogno riceve la terribile verità che non avrà più un amore nella sua vita. Infatti, la morte della fanciulla, che in giovane età aveva mostrato di avere una certa pietà ed amore per il poeta, costituisce l'evento più terrificante e devastante per Leopardi che sperava di potere amare la giovane Teresa e di esserne ricambiato. Invece, la morte prematura della ragazza, costringe il poeta a rinchiudersi in sé stesso e a disperarsi ancora di più contro la natura e contro il destino. Il giovane Leopardi dopo la confessione della giovane donna, che gli dice che non lo rivedrà più perché il fato ha interrotto il loro amore, non può fare altro che disperarsi, piangere e svegliarsi dall'incubo che gli annuncia la triste verità in piena mattina.
Il poeta, presa coscienza della triste realtà, implacabile ed inesorabile, capisce che è destinato a restare da solo, e l'unica cosa che gli rimane dopo il risveglio è quello di attendere e di sperare.

La tesi del canto “Il Sogno” è la riflessione centrale del poeta e cioè che l'evento più terribile che possa colpire gli uomini, è la morte che colpisce e rapisce, inesorabile, i giovani nel fiore della loro età. Infatti, morire “nel fior degli anni”, è veramente il dolore più irrazionale ed ingiustificabile che possa colpire e capitare ad un giovane. Morire per malattia, per disgrazia o per incidente, nel fior degli anni, è veramente la pena più bruciante ed inconsolabile che colpisce i familiari del giovane. La perdita di un giovane nel fiore degli anni è un doloroso evento, intenso e tremendo, che non dovrebbe capitare a nessuno. Leopardi con questo messaggio afferma che è inutile per un giovane, che muore nel pieno della sua giovinezza, sapere cosa la vita gli avrebbe riservato.



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