lunedì 20 novembre 2017

AMOR SACRO E AMOR PROFANO

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“Amor sacro e Amor profano” è il titolo che abitualmente si da ad uno dei capolavori di Tiziano, gemma della Galleria Borghese. Il quadro è un’opera di estrema altezza e affascina con il segreto del suo significato, con l’incertezza della committenza e dell’occasione di realizzazione.
La tela parte di un lotto di dipinti venduto dal cardinal Sfondrato a Scipione nel 1608. Lo stemma sulla fronte del sarcofago ha permesso di legare l'opera alle nozze tra il veneziano Nicolò Aurelio, segretario del Consiglio dei Dieci, e Laura Bagarotto, figlia di un giurista padovano, celebrate nel 1514. La donna seduta indossa in effetti tutti gli ornamenti abituali di una sposa: l'abito candido con una manica rossa e l’altra bianca, i guanti, la cintura e la corona di mirto, simboli di amore coniugale. Il bacile sul bordo della fontana, parte integrante del corredo perché utilizzato dopo il parto, e la coppia di conigli sullo sfondo, sono invece augurio di unione feconda. Ispirato agli ideali della dottrina neoplatonica, il soggetto è tra i più studiati della storia dell'arte e presuppone molteplici livelli di lettura.

Il quadro è abitualmente datato al 1515 in un momento in cui lo stile dell’artista è caratterizzato dalla perfetta fusione del colore e della figura umana con il paesaggio circostante. Il dipinto è stato liberato da vecchie vernici giallastre che ne offuscavano l’equilibrio cromatico e che lo rendevano quasi monocromo. Le zone più colpite erano soprattutto quelle della vegetazione eseguite con verdi a base di rame che si presentavano molto scure. Durante il restauro è stato possibile evidenziare dati interessanti relativi la tecnica pittorica di Tiziano in età giovanile. Essa consisteva essenzialmente nell’abbozzare con un disegno a carboncino le figure o gli elementi essenziali della scena utilizzando poi il colore steso per aree. Sono inoltre emersi i pentimenti dell’artista che si concentrano soprattutto sulla donna di sinistra. Dall’analisi stratigrafica è emerso che la veste era stata originariamente eseguita in rosso e solo in un secondo momento è stata ricoperta di grigio portando così dei sostanziali cambiamenti al significato del dipinto. Altri pentimenti riguardano la probabile presenza di un’altra figura femminile seduta e di una più ricca vegetazione costituita da fiori e foglie di vario genere.

Alcuni hanno ipotizzato che il Tiziano si sia ispirato al paesaggio della Val Lapisina, presso Serravalle, per alcuni anni residenza del pittore: così il castello di sinistra corrisponderebbe alla torre di San Floriano e lo specchio d'acqua al lago Morto. Altri ipotizzano essere un paesaggio delle colline Asolane e il castello di sinistra è la Rocca Asolana.

Il titolo con cui l'opera è nota non è che uno di quelli arbitariamente attribuiti dai curatori degli inventari e cataloghi della Borghese, in particolare nel 1792 e nel 1833. Esso allude a una lettura in chiave moralistica.

Altri titoli susseguitisi nel tempo sono stati Beltà disornata e beltà ornata (1613), Tre Amori (1650), Amor profano e Amor divino (1693), Donna divina e donna profana (1700). Anche in epoca moderna le ipotesi per decifrare il soggetto sono state molteplici. Wickoff (1895) pensò a Venere che persuade Medea come negli Argonauti di Valerio Flacco; Gerstfeld credette di riconoscere nella donna a sinistra Violante, la figlia di Palma il Vecchio sulla scorta di un suo presunto ritratto a Vienna; Amore celeste e amore umano per Wind.

Il titolo tradizionale, per quanto errato, continua però ad esercitare fascino e ad essere usato, poiché mette bene in evidenza l'armonico dualismo che è alla base dell'incanto del dipinto.




Un'interpretazione che a lungo ha attirato gli studiosi è stata quella legata al Sogno di Polifilo di Francesco Colonna, pubblicazione di grande successo nella letteratura colta dell'epoca. Hourtiq, Panofski e Saxl pensarono che le due donne fossero Polia e Venere dal suddetto racconto, mentre concordi, anche se più vaghi nel riconoscere specifici personaggi, furono Clerici (1918), Friedländer (1938), Wischnitzer-Bernstein (1943), Della Pergola (1955) e Mayer (1939), il quale ipotizzò che il tema fosse stato suggerito dal Bembo. La decorazione della fontana mostra infatti simboli di morte e vita, con figure che sono state lette a destra come Venere che si punge un piede nel soccorrere Adone aggredito da Marte (scena derivata dal Sogno di Polifilo), mentre a sinistra come il ratto di Proserpina.

In questo senso la donna vestita potrebbe essere la stessa Polia, eroina del romanzo, o Proserpina.

Un altro fiorente filone interpretativo è legato alle dottrine dell'Accademia neoplatonica di Marsilio Ficino, soprattutto riguardo alla contrapposizione tra la Venere terrena e la Venere celeste.

La figura della donna nuda è di solito spiegata come Venere Celeste, cioè immagine della bellezza universale e spirituale, che solleva un braciere acceso, variamente leggibile come simbolo di carità, di conoscenza o di illuminazione spirituale. Al contrario dell'interpretazione moralistica che ispirò i curatori seicenteschi della galleria, da cui deriva il titolo tradizionale dell'opera, essa non è una donna scollacciata, dedita all'amore carnale, ma è un ideale di bellezza classico, simbolo di semplicità e purezza, infatti ha come sfondo un paesaggio aperto, immerso nella luce (esempio di paesaggio moralizzato).

La donna vestita invece, per contrapposizione, sarebbe la Venere Terrena, simbolo degli impulsi umani e della forza generatrice della Natura, che è posta su uno sfondo ombroso. La posizione di Eros, al centro delle due, sarebbe quindi il punto di mediazione tra aspirazioni spirituali e carnali, tra il cielo e la terra.

Anche lo sfondo contribuisce a esprimere i diversi concetti legati alle allegorie: a sinistra, dietro all'Amor profano, si nota un paesaggio montuoso, con un sentiero in salita percorso da un cavaliere diretto al castello, leggibile come metafora di un percorso da compiere per giungere alla virtù, che si conquista con fatiche e rinunce o, alternativamente, come allusione al carattere "secolare" e "civile" dell'Amor profano; a destra il paesaggio è pianeggiante, disteso, punteggiato da greggi al pascolo che evocano le utopie bucoliche e in lontananza si scorge una chiesa, legandosi alla sfera religiosa e spirituale. Cantelupe si applicò poi a un esauriente esame iconologico elencando la molteplicità di spunti cristiani e pagani.

L'opera sarebbe così l'unica di Tiziano interpretabile in chiave neoplatonica, corrente caratteristica dell'ambiente toscano, cui si contrapponeva l'aristotelismo tipico di Venezia.

In realtà, con l'identificazione del committente e delle circostanze della creazione del dipinto, supportate da inoppugnabili prove documentarie (Rona Goffen, 1993), il campo delle interpretazioni si è oggi ristretto ai temi matrimoniali, superando in un certo senso il fiume di inchiostro versato sulle letture legate alla letteratura amorosa e alla filosofia dell'epoca.

Interrompendo o per lo meno restringendo l'ormai secolare serie delle interpretazioni allegoriche, l'interpretazione che oggi va per la maggiore è legata al tema nuziale e alla celebrazione dell'amore. Le due fanciulle infatti, tanto simili da sembrare gemelle, sarebbero un'allusione alle due facce del matrimonio, una di "sessualità" (voluptas), legata alla sfera privata, e una di "castità" (pudicitia), legata alla sfera pubblica e al decoro della sposa. Queste due facce sono legate indissolubilmente, come le acque che il putto mescola al centro.




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