lunedì 20 novembre 2017

AMOR SACRO E AMOR PROFANO

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“Amor sacro e Amor profano” è il titolo che abitualmente si da ad uno dei capolavori di Tiziano, gemma della Galleria Borghese. Il quadro è un’opera di estrema altezza e affascina con il segreto del suo significato, con l’incertezza della committenza e dell’occasione di realizzazione.
La tela parte di un lotto di dipinti venduto dal cardinal Sfondrato a Scipione nel 1608. Lo stemma sulla fronte del sarcofago ha permesso di legare l'opera alle nozze tra il veneziano Nicolò Aurelio, segretario del Consiglio dei Dieci, e Laura Bagarotto, figlia di un giurista padovano, celebrate nel 1514. La donna seduta indossa in effetti tutti gli ornamenti abituali di una sposa: l'abito candido con una manica rossa e l’altra bianca, i guanti, la cintura e la corona di mirto, simboli di amore coniugale. Il bacile sul bordo della fontana, parte integrante del corredo perché utilizzato dopo il parto, e la coppia di conigli sullo sfondo, sono invece augurio di unione feconda. Ispirato agli ideali della dottrina neoplatonica, il soggetto è tra i più studiati della storia dell'arte e presuppone molteplici livelli di lettura.

Il quadro è abitualmente datato al 1515 in un momento in cui lo stile dell’artista è caratterizzato dalla perfetta fusione del colore e della figura umana con il paesaggio circostante. Il dipinto è stato liberato da vecchie vernici giallastre che ne offuscavano l’equilibrio cromatico e che lo rendevano quasi monocromo. Le zone più colpite erano soprattutto quelle della vegetazione eseguite con verdi a base di rame che si presentavano molto scure. Durante il restauro è stato possibile evidenziare dati interessanti relativi la tecnica pittorica di Tiziano in età giovanile. Essa consisteva essenzialmente nell’abbozzare con un disegno a carboncino le figure o gli elementi essenziali della scena utilizzando poi il colore steso per aree. Sono inoltre emersi i pentimenti dell’artista che si concentrano soprattutto sulla donna di sinistra. Dall’analisi stratigrafica è emerso che la veste era stata originariamente eseguita in rosso e solo in un secondo momento è stata ricoperta di grigio portando così dei sostanziali cambiamenti al significato del dipinto. Altri pentimenti riguardano la probabile presenza di un’altra figura femminile seduta e di una più ricca vegetazione costituita da fiori e foglie di vario genere.

Alcuni hanno ipotizzato che il Tiziano si sia ispirato al paesaggio della Val Lapisina, presso Serravalle, per alcuni anni residenza del pittore: così il castello di sinistra corrisponderebbe alla torre di San Floriano e lo specchio d'acqua al lago Morto. Altri ipotizzano essere un paesaggio delle colline Asolane e il castello di sinistra è la Rocca Asolana.

Il titolo con cui l'opera è nota non è che uno di quelli arbitariamente attribuiti dai curatori degli inventari e cataloghi della Borghese, in particolare nel 1792 e nel 1833. Esso allude a una lettura in chiave moralistica.

Altri titoli susseguitisi nel tempo sono stati Beltà disornata e beltà ornata (1613), Tre Amori (1650), Amor profano e Amor divino (1693), Donna divina e donna profana (1700). Anche in epoca moderna le ipotesi per decifrare il soggetto sono state molteplici. Wickoff (1895) pensò a Venere che persuade Medea come negli Argonauti di Valerio Flacco; Gerstfeld credette di riconoscere nella donna a sinistra Violante, la figlia di Palma il Vecchio sulla scorta di un suo presunto ritratto a Vienna; Amore celeste e amore umano per Wind.

Il titolo tradizionale, per quanto errato, continua però ad esercitare fascino e ad essere usato, poiché mette bene in evidenza l'armonico dualismo che è alla base dell'incanto del dipinto.




Un'interpretazione che a lungo ha attirato gli studiosi è stata quella legata al Sogno di Polifilo di Francesco Colonna, pubblicazione di grande successo nella letteratura colta dell'epoca. Hourtiq, Panofski e Saxl pensarono che le due donne fossero Polia e Venere dal suddetto racconto, mentre concordi, anche se più vaghi nel riconoscere specifici personaggi, furono Clerici (1918), Friedländer (1938), Wischnitzer-Bernstein (1943), Della Pergola (1955) e Mayer (1939), il quale ipotizzò che il tema fosse stato suggerito dal Bembo. La decorazione della fontana mostra infatti simboli di morte e vita, con figure che sono state lette a destra come Venere che si punge un piede nel soccorrere Adone aggredito da Marte (scena derivata dal Sogno di Polifilo), mentre a sinistra come il ratto di Proserpina.

In questo senso la donna vestita potrebbe essere la stessa Polia, eroina del romanzo, o Proserpina.

Un altro fiorente filone interpretativo è legato alle dottrine dell'Accademia neoplatonica di Marsilio Ficino, soprattutto riguardo alla contrapposizione tra la Venere terrena e la Venere celeste.

La figura della donna nuda è di solito spiegata come Venere Celeste, cioè immagine della bellezza universale e spirituale, che solleva un braciere acceso, variamente leggibile come simbolo di carità, di conoscenza o di illuminazione spirituale. Al contrario dell'interpretazione moralistica che ispirò i curatori seicenteschi della galleria, da cui deriva il titolo tradizionale dell'opera, essa non è una donna scollacciata, dedita all'amore carnale, ma è un ideale di bellezza classico, simbolo di semplicità e purezza, infatti ha come sfondo un paesaggio aperto, immerso nella luce (esempio di paesaggio moralizzato).

La donna vestita invece, per contrapposizione, sarebbe la Venere Terrena, simbolo degli impulsi umani e della forza generatrice della Natura, che è posta su uno sfondo ombroso. La posizione di Eros, al centro delle due, sarebbe quindi il punto di mediazione tra aspirazioni spirituali e carnali, tra il cielo e la terra.

Anche lo sfondo contribuisce a esprimere i diversi concetti legati alle allegorie: a sinistra, dietro all'Amor profano, si nota un paesaggio montuoso, con un sentiero in salita percorso da un cavaliere diretto al castello, leggibile come metafora di un percorso da compiere per giungere alla virtù, che si conquista con fatiche e rinunce o, alternativamente, come allusione al carattere "secolare" e "civile" dell'Amor profano; a destra il paesaggio è pianeggiante, disteso, punteggiato da greggi al pascolo che evocano le utopie bucoliche e in lontananza si scorge una chiesa, legandosi alla sfera religiosa e spirituale. Cantelupe si applicò poi a un esauriente esame iconologico elencando la molteplicità di spunti cristiani e pagani.

L'opera sarebbe così l'unica di Tiziano interpretabile in chiave neoplatonica, corrente caratteristica dell'ambiente toscano, cui si contrapponeva l'aristotelismo tipico di Venezia.

In realtà, con l'identificazione del committente e delle circostanze della creazione del dipinto, supportate da inoppugnabili prove documentarie (Rona Goffen, 1993), il campo delle interpretazioni si è oggi ristretto ai temi matrimoniali, superando in un certo senso il fiume di inchiostro versato sulle letture legate alla letteratura amorosa e alla filosofia dell'epoca.

Interrompendo o per lo meno restringendo l'ormai secolare serie delle interpretazioni allegoriche, l'interpretazione che oggi va per la maggiore è legata al tema nuziale e alla celebrazione dell'amore. Le due fanciulle infatti, tanto simili da sembrare gemelle, sarebbero un'allusione alle due facce del matrimonio, una di "sessualità" (voluptas), legata alla sfera privata, e una di "castità" (pudicitia), legata alla sfera pubblica e al decoro della sposa. Queste due facce sono legate indissolubilmente, come le acque che il putto mescola al centro.




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domenica 1 ottobre 2017

ABRACADABRA

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Abracadabra viene considerata la parola universalmente più adottata fra quelle pronunciate senza traduzione nelle singole lingue. Ci sono varie ipotesi circa l'origine del termine:

Una proveniente dall'aramaico Avrah KaDabra che significa Io creerò come parlo.
Altre proveniente dall'ebraico ha-berakah daberah ossia pronunciare la benedizione o da Abreq ad habra con significato di invia la tua folgore fino alla morte.
Essa è ora comunemente utilizzata dai prestigiatori come parola magica durante i loro spettacoli d'illusionismo. Nell'antichità, comunque, la parola fu considerata molto più seriamente come un incantesimo da utilizzare come maledizione contro febbri ed infiammazioni. La prima testimonianza conosciuta si trova nel Liber medicinalis di Quintus Serenus Sammonicus (III secolo d.C.), medico presso l'imperatore romano Caracalla, il quale prescrisse che il paziente malato indossasse un amuleto contenente la parola scritta in forma di un triangolo capovolto:

              A B R A C A D A B R A
               A B R A C A D A B R
                A B R A C A D A B
                 A B R A C A D A
                  A B R A C A D
                   A B R A C A
                    A B R A C
                     A B R A
                      A B R
                       A B
                        A
Questo, egli spiegava, avrebbe diminuito il potere dello spirito della malattia sul paziente. Altri imperatori, fra cui Geta e Alessandro Severo, furono seguaci degli insegnamenti medici di Serenus Sammonicus ed utilizzarono l'incantesimo. Molto in voga ed utilizzata per tutto il Medioevo a scopo magico-rituale.



Carlo Levi, nel suo libro di maggior successo Cristo si è fermato a Eboli, autobiografico, in qualità di medico riferisce di aver notato spesso il triangolo dell'Abracadabra rivolto verso l'alto e portato come ciondolo in metallo o come foglietto scaramantico dai contadini della Lucania.

Altri studiosi pensano che l'idea della diminuzione del potere dei demoni fosse comune nel mondo antico e che Abracadabra fosse semplicemente il nome di uno di questi demoni.

Alcuni pensano alle parole ebraiche ab ("padre"), ben ("figlio"), e ruach hacadosch ("spirito santo").

Alcuni hanno ipotizzato che il termine derivi dall'arabo Abra Kadabra, che significa 'fa che le cose siano distrutte', che in questo caso è riferito alla malattia, oppure dall'aramaico abhadda kedhabhra, col significato di 'sparisci come questa parola'. Piuttosto che essere utilizzata come maledizione, si crede che la frase in lingua aramaica fosse utilizzata come un mezzo per la cura delle malattie.

Si è pensato anche che la parola possa derivare da Abraxas, una parola gnostica per indicare il nome del Dio increato (origine dei 365 cieli, apparentemente le lettere greche per Abraxas ammontano a 365 se decifrate secondo la numerologia).

Insomma, è una parola misteriosa e, una volta, aveva anche una funzione magica. Era adottata da Quinto Sereno Sammonico, medico romano del III secolo, in alcuni passaggi del suo Liber Medicinalis. Forniva ricette per la guarigione, pozioni e farmaci. Per essere efficaci dovevano essere accompagnati da alcune parole, e "Abracadabra" era una di queste. Già allora si era persa contezza del suo significato. Per le febbri malariche il rimedio proposto da Sammonico era uno solo: coprirsi con un papiro con su scritta la parola Abracadabra in forma piramidale. Più o meno così:

È un rimedio che, nei tempi, si è ripresentato più e più volte. Perfino nella Londra del 1600, di fronte alla peste, gli abitanti, disperati, appendevano questo talismano fuori dalle proprie porte, sperando che tenesse lontano i cattivi spiriti (cioè la malattia). Inutile dire che, con ogni probabilità non funzionava. Né ai tempi di Sammonico né in quelli successivi. Anche per questo “Abracadabra”, col tempo, ha perso popolarità ed è rimasta confinata nel repertorio degli illusionisti.



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lunedì 28 agosto 2017

IL SENTIERO DELLA FIDUCIA

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Il Sentiero della Fiducia  (Walk of Faith) è un cammino da brivido, lungo 60 metri e si trova in Cina nel Parco Nazionale attorno al monte Tianmen.

Una passeggiata da record quella nel parco naturale di Wansheng, a Chongqing, in Cina. I visitatori, al massimo trenta persone per volta, incamminandosi attraversano un'opera entrata nel Guinness dei primati: con i suoi 70 metri di lunghezza, la passerella trasparente, che sorge a 123 metri di altezza, è il più lungo skywalk a sbalzo del mondo. A sostenere la struttura ci sono solo dei cavi dall'alto, mentre tutto il pavimento è completamente trasparente



Il panorama è mozzafiato e l’adrenalina (ma anche il divertimento) è destinato a salire quando la montagna viene avvolta dalle nuvole. Unica condizione per poter salire sulla piattaforma: le pattine. Infatti, ai turisti che si mettono in coda per la passeggiata, viene chiesto di indossare dei copriscarpa, per aiutare a tenere pulita (e non graffiare) la superficie.



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domenica 6 agosto 2017

LA MADONNA DEI NODI



« Il nodo della disobbedienza di Eva ha avuto la sua soluzione con l’obbedienza di Maria; ciò che la vergine Eva aveva legato con la sua incredulità, la vergine Maria l’ha sciolto con la sua fede »
(Sant'Ireneo di Lione, Adversus Haereses III, 22, 4)

Maria che scioglie i nodi (Virgen Maria Knotenlöserin) è un dipinto a olio su tela realizzato intorno al 1700 dal pittore tedesco Johann Georg Melchior Schmidtner e conservato ad Augusta; da esso ha avuto origine una grande devozione mariana.

Il dipinto, in stile veneziano con influenza barocca, di cm 182 x 110, fu realizzato dall'artista nella chiesa di St. Peter am Perlach, su commissione di Hieronymus Ambrosius Langenmantel, un nobile prelato e canonico dottore.

In esso viene rappresentata Maria al centro, con al lato destro un angelo che le porge un filo pieno di nodi intrecciati e al lato sinistro un altro angelo che raccoglie il filo libero dai nodi che Maria ha sciolto. La Vergine è rappresentata con la luna ai suoi piedi (secondo la visione riportata al capitolo 12 dell'Apocalisse), mentre calpesta un serpente (rappresentazione del diavolo, secondo la profezia di Genesi 3,15).


In basso al centro è rappresentata la scena biblica di Tobia: il giovane israelita, in viaggio per raggiungere colei che diventerà la propria sposa, è guidato dall'arcangelo Raffaele e accompagnato dal proprio cane, simbolo della fedeltà di Dio. Sul capo, Maria ha una corona di dodici stelle, simbolo di trionfo e di vittoria. Il numero dodici è tradizionalmente ricco di simboli: essendo il prodotto di tre (la Trinità) per quattro (l'umanità), indica la perfetta unione tra umano e divino. Nel mondo ebraico dodici rappresentava la pienezza: dodici sono le tribù d'Israele, dodici gli apostoli scelti da Gesù. La corona richiama anche il capitolo 12 dell'Apocalisse, in cui si presenta la visione della lotta tra la donna il drago. Il manto azzurro di Maria rappresenta la trascendenza, la vita divina, Maria "piena di grazia". Il colore rosso, tratto dalla terra, indica la dimensione umana. La tunica rossa della Madonna vuole indicare, quindi, la sua totale sottomissione alla volontà del Padre che ha reso possibile l'Incarnazione del Figlio. Gli angeli sono servitori di Dio e custodi del cammino dell'uomo (Esodo 23, 20-22). A destra si vede un angelo che porge a Maria un nastro con nodi di tutti i tipi. Con il suo sguardo ci vuole dire di non dubitare anche se i nodi sono molti e difficili. All'altro lato, il sinistro, tra la luce della misericordia e della salvezza divina, un altro angelo riceve un nastro che scivola liscio tra le sue mani: ciò significa che la preghiera del fedele è stata ascoltata e che il nodo è stato sciolto per intercessione di Maria. La tradizione racconta che il nonno del canonico committente avesse attraversato una crisi coniugale e fosse riuscito a superarla pregando la Vergine Maria: questo spiegherebbe la presenza sulla tela del riferimento biblico a Tobia.




Il nobile Wolfgang Langenmantel, si era sposato con Sophie Imhoff nel 1612, e successivamente a seguito di una crisi matrimoniale era in procinto di divorziare.
Lo stesso Wolfgang si recò dal prete gesuita Jakob Rem, nel monastero ed università di Ingolstadt, che si trova a circa settanta chilometri al nord di Augsburgo.

Dopo avere visitato il monastero in quattro diverse occasioni, in un lasso di tempo di 28 giorni, si consultò col venerabile sacerdote Gesuita Jakob Rem SJ, il quale grazie alla sua esperienza, pietà ed, intelligenza, ebbe una Illuminazione Mariana, durante il quale il sacerdote lusingò la Vergine Maria col titolo di "Tre Volte Ammirabile" (Mater Ter Admirabilis).

Nei giorni seguenti il nobile Wolfgang Langenmantel, grazie alla preghiera recitata alla Vergine Maria in compagnia dello stesso prete gesuita ottenne dei cambiamenti. Infatti la sua situazione familiare cambiò.
Come corollario, essendo l’ultimo sabato del mese, il giorno 28 Settembre del 1615, il prete gesuita Jakob Rem stava pregando di fronte all’immagine della Vergine Maria Nostra Signora della Neve che si trovava nella cappella del Monastero, e durante il rituale di azione solenne, sollevando il nastro matrimoniale si sciolsero tutti i nodi facendolo diventare liscio, e il bianco nastro produsse una lucentezza tanto intensa che la tavolozza di nessun pittore poteva mai riprodurre. Con questo gesto, la coppia evitò il divorzio e il matrimonio continuò.

E’ importante sottolineare che il nastro era messo dalle monache come simbolo di un nodo invisibile che avrebbe unito gli sposi per tutta la loro vita, durante il rito di unione delle loro braccia durante la cerimonia del matrimonio.
In commemorazione dell'arrivo dell'anno 1700, Hieronymus, il figlio del nobile Wolfgang Langenmantel, e suo nipote, decisero di donare come ringraziamento, un altare di famiglia come era abitudine in San Pietro in Perlach.
La pala d’altare fu dedicata alla Beata Vergine del Buon Consiglio e vi è contenuta la storia della loro famiglia.

Il pittore, Johann Melchior Georg Schmittdner, la rappresenta come la Vergine Maria, "che scioglie i nodi dalla cintura della vita coniugale" col nobile Wolfgang camminando preoccupato verso il Monastero, accompagnato dall'Arcangelo Raffaele.
Dello studio dell'iconografia risulta chiaramente che non esiste nessun elemento riferito alla tradizione scritta nella Genesi, "il nodo che legò Eva, Maria lo slegò".

A causa dell'incertezza della sua vera origine, a questa opera gli sia stato attribuito un altro significato. In questa opera, Maria è considerata come Santa donna, aiuto e consigliera delle famiglie, come Avvocata, Ausiliatrice, di fronte a Gesù Cristo.

Papa Francesco, quando era giovane prete gesuita durante i suoi studi di teologia in Germania, vide questa raffigurazione della Vergine, rimanendone profondamente colpito. Tornato in patria, si è impegnato a diffonderne il culto a Buenos Aires e per tutta l'Argentina.

Il culto è ora presente in tutta l'America del Sud, in particolare in Brasile.
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sabato 15 luglio 2017

NOSTRA SIGNORA DI GUADALUPE



L’immagine mariana della Madonna di Guadalupe rappresenta un eccezionale testimonianza catechetica, che permette anche agli indigeni più umili di comprendere l’essenza del mistero cristiano dell’incarnazione. La Madonna infatti vi appare con la pelle leggermente scura e sembianze meticce: indossa una tunica color rosa che porta disegnati dei motivi floreali simili l’un l’altro tranne uno, posto al centro del ventre. Quel simbolico fiore diverso dagli altri è un’immagine che richiama, nella tradizione indigena, la divinità. Inoltre indossa una cinta tipicamente utilizzata dalle donne in gravidanza. Gli indigeni che la guardano capiscono immediatamente che si tratta di una donna che sta portando in grembo Dio.

Secondo il racconto tradizionale, espresso in náhuatl nel testo conosciuto come Nican Mopohua, Juan Diego avrebbe visto per la prima volta la Madonna la mattina del 9 dicembre 1531, sulla collina del Tepeyac vicino a Città del Messico. Ella gli avrebbe chiesto di far erigere un tempio in suo onore ai piedi del colle: Juan Diego corse a riferire il fatto al vescovo Juan de Zumarrága, ma questi non gli credette. La sera, ripassando sul colle, Juan Diego avrebbe visto per la seconda volta Maria, che gli avrebbe ordinato di tornare dal vescovo l'indomani. Il vescovo lo ascoltò di nuovo e gli chiese un segno che provasse la veridicità del suo racconto.

Juan Diego tornò quindi sul Tepeyac dove avrebbe visto per la terza volta Maria, la quale gli avrebbe promesso un segno per l'indomani. Il giorno dopo, però, Juan Diego non poté recarsi sul luogo delle apparizioni in quanto dovette assistere un suo zio, gravemente malato. La mattina dopo, 12 dicembre, lo zio appariva moribondo e Juan Diego uscì in cerca di un sacerdote che lo confessasse. Ma Maria gli sarebbe apparsa ugualmente, per la quarta e ultima volta, lungo la strada: gli avrebbe detto che suo zio era già guarito e lo avrebbe invitato a salire di nuovo sul colle a cogliere dei fiori. Qui Juan Diego trovò il segno promesso: dei bellissimi fiori di Castiglia, sbocciati fuori stagione in una desolata pietraia. Egli ne raccolse un mazzo nel proprio mantello e andò a portarli al vescovo.

Di fronte al vescovo e ad altre sette persone presenti, Juan Diego aprì il mantello per mostrare i fiori: ed ecco, all'istante sulla tilma si sarebbe impressa e resa manifesta alla vista di tutti l'immagine della S. Vergine Maria. Di fronte a tale presunto prodigio, il vescovo cadde in ginocchio, e con lui tutti i presenti. La mattina dopo Juan Diego accompagnò il presule al Tepeyac, per indicargli il luogo in cui la Madonna avrebbe chiesto Le fosse innalzato un tempio e l'immagine venne subito collocata nella cattedrale.

A causa della sua origine miracolosa, l'immagine della Madonna di Guadalupe è oggetto di devozione paragonabile a quella rivolta alla Sindone. La sua fama si sparse rapidamente anche al di fuori del Messico: nel 1571 l'ammiraglio genovese Gianandrea Doria ne possedeva una copia, dono del re Filippo II di Spagna, che portò con sé sulla propria nave nella battaglia di Lepanto. Negli anni venti del XX secolo i Cristeros, cattolici messicani che si erano ribellati al governo anticlericale, portavano in battaglia l'immagine della Virgen morenita sulle proprie bandiere.



Il mantello è del tipo chiamato tilma: si tratta di due teli di ayate (fibra d'agave) cuciti insieme. L'immagine di Maria è di grandezza lievemente inferiore al naturale, alta 143 cm. Le sue fattezze sono quelle di una giovane meticcia: la carnagione è scura. Maria è circondata dai raggi del sole e ha la luna sotto i piedi; porta sull'addome un nastro di colore viola annodato sul davanti che, tra gli aztechi, indicava lo stato di gravidanza; sotto la luna vi è un angelo dalle ali colorate di bianco, rosso e verde (i colori dell'attuale bandiera messicana), che sorregge la Vergine.

La figura ha caratteristiche particolari che la ricollegano alle divinità della religione azteca. Il mantello verde e blu che indossa la Madonna era anche un simbolo della divinità chiamata Ometeotl. La Luna è un simbolo ricorrente nelle raffigurazioni mariane e pagane, quasi sempre associato alle divinità femminili. Elemento non trascurabile è il luogo dell'apparizione, ovvero la collina di Tepeyac, sulla quale sorgeva un tempio dedicato ad una dea locale, la cui pianta sacra era proprio l'agave associata all'apparizione mariana.

Alcuni autori, che hanno eseguito degli studi scientifici sul mantello, sostengono che effettivamente l'immagine non sarebbe dipinta, ma acheropita (non realizzata da mano umana); essa presenterebbe inoltre caratteristiche particolari difficili da spiegare naturalmente. Altri autori sostengono il contrario.

Il telo (in fibra di agave) è di immagine grossolana: gli spazi vuoti presenti tra l'ordito e la trama sono così numerosi che ci si può guardare attraverso.
Nonostante in Messico il clima (caratterizzato da un'atmosfera ricca di salnitro) causi il rapido deterioramento dei tessuti (specialmente di quelli in fibra vegetale), la tilma invece si è conservata pressoché intatta per circa cinquecento anni.
L'immagine non ha alcun tipo di fondo, tanto che si può guardare da parte a parte del telo (questo è un elemento a sostegno dell'ipotesi che si tratti di un'immagine acheropita). Già nel 1666 la tilma fu esaminata da un gruppo di pittori e di medici per osservarne la composizione: essi asserirono che era impossibile che l'immagine, così nitida, fosse stata dipinta sulla tela senza alcuna preparazione di fondo, e inoltre che nei 135 anni trascorsi dall'apparizione, nell'ambiente caldo e umido in cui era conservata, essa avrebbe dovuto distruggersi. Nel 1788, per provare sperimentalmente questo fatto, venne eseguita una copia sullo stesso tipo di tessuto: esposta sull'altare del santuario, già dopo soli otto anni era rovinata. Al contrario l'immagine originale, a distanza di quasi 500 anni, è ancora sostanzialmente intatta.
La tecnica usata per realizzare l'immagine è un mistero: alcune parti sono affrescate, altre sembrano a guazzo altre ancora (certe zone del cielo) sembrano fatte a olio (elemento a sostegno dell'ipotesi che si tratti di un'immagine acheropita).
Gli Aztechi dipingevano i volti in modo elementare usando la prospettiva frontale o quella di profilo. La figura presente sulla tilma è, invece, rappresentata con la prospettiva di un volto leggermente piegato in avanti e visto di tre quarti. La realizzazione dell'immagine (se fosse stata realizzata da mano umana) richiede capacità superiori a quelle esistenti all'epoca in Messico; parimenti, nessun artista occidentale era attivo nella regione in quegli anni (elemento a sostegno dell'ipotesi dell'origine acheropita dell'immagine).
I caratteri somatici della donna raffigurata sono quelli tipici di una persona di sangue misto, meticcia. L'immagine risale a pochi anni dopo la conquista del Messico, quando il tipo meticcio era assolutamente minoritario. La Madonna del Guadalupe prefigura un tipo di popolazione che diverrà maggioritario sono dopo alcune generazioni. Rimane un mistero come il presunto autore abbia raffigurato in forma così perfetta un soggetto allora così poco diffuso (elemento a sostegno dell'ipotesi dell'origine acheropita dell'immagine).
La disposizione delle stelle sul manto azzurro che copre la Vergine non sembra casuale ma rispecchierebbe l'area del cielo che era possibile vedere da Città del Messico durante il solstizio d'inverno. Se ne accorsero per primi gli astronomi messicani dell'epoca.
Particolarità singolari presenti e riscontrate sugli occhi dell'immagine sono assolutamente inspiegabili se si ritiene che l'immagine sia stata realizzata da mano umana.

Nel 1791 si rovescia accidentalmente acido muriatico sul lato superiore destro della tela. In un lasso di 30 giorni, senza nessun trattamento, si sarebbe ricostituito miracolosamente il tessuto danneggiato.
Nel 1936 il chimico Richard Kuhn esaminò due fibre di colore diverso prelevate dal mantello: analizzate, non mostrarono la presenza di alcun pigmento.
Nel 1979 Philip Serna Callahan scattò una serie di fotografie all'infrarosso. L'esame di queste foto rivelò che, mentre alcune parti dell'immagine erano dipinte (potrebbero essere state aggiunte in un secondo momento), la figura di Maria era impressa direttamente sulle fibre del tessuto; solo le dita delle mani apparivano ritoccate per ridurne la lunghezza.
Nel 1951 il fotografo José Carlos Salinas Chávez dichiarò che in entrambe le pupille di Maria, fortemente ingrandite, si vedeva riflessa la testa di Juan Diego. Nel 1977 l'ingegnere peruviano José Aste Tonsmann analizzò al computer le fotografie ingrandite 2500 volte e affermò che si vedono ben cinque figure: Juan Diego nell'atto di aprire il proprio mantello, il vescovo Juan de Zumárraga, due altri uomini (uno dei quali sarebbe quello originariamente identificato come Juan Diego) e una donna. Al centro delle pupille si vedrebbe inoltre un'altra scena, più piccola, anche questa con diversi personaggi. Nella puntata di Voyager del 12 ottobre 2009, viene detto che i personaggi fino a quel momento trovati sono 13.

Elaborazioni fotografiche ottenute con tecnica di ripresa ai raggi infrarossi evidenziano alcuni ritocchi successivi e rendono lecita l'ipotesi che l'autore abbia realizzato il contorno della figura a mo' di schizzo, per poi colorarla.
Nel 1556, nel corso di un esame del mantello, fu affermato che l'effigie fosse stata dipinta dal “pittore indiano Marcos” (che alcuni studi riconducono a Marcos Cipac d'Aquino, un artista azteco dell'epoca) l'anno prima.
Nel 1982 José Sol Rosales esaminò il tessuto al microscopio e affermò che la colorazione dell'immagine è dovuta ad alcuni pigmenti già disponibili e utilizzati nel XVI secolo.
Le caratteristiche dell'immagine rispecchiano gli schemi dell'arte figurativa spagnola del XVI secolo, avente come oggetto le rappresentazioni mariane; la tradizione su Juan Diego invece, secondo alcuni studi, risalirebbe al secolo successivo.
L'esistenza stessa di Juan Diego è stata decisamente messa in dubbio, anche da importanti esponenti cattolici, nel periodo del processo di canonizzazione di Juan Diego, come ad esempio da Guillermo Schulemburg Prado, membro della Pontificia Accademia Mariana e primo amministratore (per trent'anni) della basilica di Guadalupe; dall'ex nunzio apostolico messicano, Girolamo Prigione; dall'arcivescovo polacco Edward Nowak, segretario della Congregazione per le Cause dei Santi ("sull'esistenza di questo Santo si sono sempre avuti forti dubbi. Non abbiamo documenti probatori ma solo indizi. Nessuna prova presa singolarmente dimostra che Juan Diego sia esistito", in un'intervista al quotidiano Il Tempo).
L'immagine che si vede nelle pupille ha una risoluzione troppo bassa per poter affermare con certezza che vi si vedano i personaggi che alcuni affermano di riconoscere. Gli scettici liquidano questa affermazione come un caso di pareidolia, la tipica tendenza umana a ricondurre a forme note degli oggetti o dei profili dalla forma casuale.

Alfonso Marcué, fotografo ufficiale dell'antica Basilica di Guadalupe di Città del Messico, ha scoperto nel 1929 quella che sembrava l'immagine di un uomo barbuto riflessa nell'occhio destro della Madonna. Nel 1951 il disegnatore José Carlos Salinas Chávez ha scoperto la stessa immagine mentre osservava con una lente d'ingrandimento una fotografia della Madonna di Guadalupe. L'ha vista riflessa anche nell'occhio sinistro, nello stesso posto in cui si sarebbe proiettato un occhio vivo.

Nel 1956 il medico messicano Javier Torroella Bueno ha redatto il primo rapporto medico sugli occhi della cosiddetta Virgen Morena. Il risultato: come in qualsiasi occhio vivo si compivano le leggi Purkinje-Samson, ovvero c'è un triplice riflesso degli oggetti localizzati davanti agli occhi della Madonna e le immagini si distorcono per la forma curva delle sue cornee.

Nello stesso anno, l'oftalmologo Rafael Torija Lavoignet ha esaminato gli occhi della Santa Immagine e ha confermato l'esistenza nei due occhi della Vergine della figura descritta dal disegnatore Salinas Chávez.

Dal 1979, il dottore in sistemi computazionali e laureato in Ingegneria Civile José Aste Tönsmann ha scoperto il mistero racchiuso dagli occhi della Guadalupana. Mediante il processo di digitalizzazione di immagini per computer, ha descritto il riflesso di 13 personaggi negli occhi della Virgen Morena, in base alle leggi di Purkinje-Samson.

Il piccolissimo diametro delle cornee (di 7 e 8 millimetri) fa escludere la possibilità di disegnare le figure negli occhi, se si tiene conto del materiale grezzo sul quale è immortalata l'immagine.

Il risultato di 20 anni di attento studio degli occhi della Madonna di Guadalupe è stata la scoperta di 13 figure minuscole, afferma il dottor José Aste Tönsmann.
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domenica 9 luglio 2017

LA C TOSCANA



La gorgia è uno dei fenomeni di variazione allofonica più indagati dell’italiano e, nel corso degli anni, non ha mancato di suscitare anche l’interesse di stranieri. Le prime attestazioni tra le fonti documentarie risalgono al periodo rinascimentale. Molti hanno nel tempo cercato di spiegare, con argomentazioni spesso molto distanti, l’origine di questo processo.

Le ricerche mostrano eterogeneità teorica e metodologica; è tuttavia possibile identificare un trattamento classico (sostratista o antisostratista), un trattamento sincronico e sociolinguistico, e infine un trattamento fonetico a orientamento acustico. I vari studi, in cui è ravvisabile una certa sequenzialità cronologica, differiscono non solo per impostazione metodologica ma soprattutto per le conclusioni interpretative cui pervengono. Un primo filone di studi, definito sostratista, a partire dal XIX secolo ha intravisto nella gorgia toscana l’azione determinante, o comunque tendenziale, del sostrato etrusco, lingua prelatina in cui vigeva l’opposizione grafica, e probabilmente fonologica, tra occlusive sorde non aspirate /p/, /t/ e /k/ e, rispettivamente, occlusive sorde aspirate /ph/, /th/ e /kh/ (cfr., tra tutti, Merlo 1927). La presenza in etrusco di suoni aspirati, insieme a una certa coincidenza geografica tra l’odierna Toscana e l’antica Etruria, sono soltanto alcuni degli argomenti considerati dai sostenitori dell’azione etrusca.

La tesi sostratista è stata in seguito fortemente ridimensionata (posizione antisostratista) e dagli anni Settanta del XX secolo definitivamente rigettata come non scientifica. Gli antisostratisti, tra i quali è opportuno citare almeno Rohlfs (1966: § 196) e Izzo (1972), confutano tutte le prove sostratiche, poiché fondate su presupposizioni non dimostrabili e non sostenute da considerazioni linguistiche di portata generale.

Successive sono le ricerche condotte in ambito dialettologico e sociolinguistico, le quali, in prospettiva sincronica, sostengono l’ipotesi, oggi la più accreditata, che la gorgia sia un fenomeno romanzo originatosi all’interno del volgare toscano nel basso medioevo. Secondo questo filone di studi (cfr. Giannelli 1983; Cravens 1983), la ricostruzione del toscano antico può essere avviata solo a partire dalle attuali condizioni fonetiche rilevabili sul territorio. L’interpretazione della gorgia, più che ancorata all’interferenza sostratica, si colloca così nel dominio dei fenomeni di variabilità linguistica e di bilinguismo.

Più precisamente, la gorgia riguarda le consonanti occlusive sorde (scempie) /k/ /t/ e /p/, che passano a fricative (o, più precisamente, approssimanti) in posizione postvocalica (e in assenza di raddoppiamento sintagmatico). Molti usano ancora il termine spirantizzazione.

La gorgia è un fenomeno fonetico diffuso nei dialetti toscani (noto anche come spirantizzazione o aspirazione toscana). È un processo di indebolimento che coinvolge le consonanti occlusive scempie determinando la perdita della fase di occlusione, motivo per cui le consonanti interessate sono pronunciate fricative o spesso approssimanti.



La gorgia è soggetta a varie restrizioni. La prima è di natura sillabica: l’occlusiva che subisce spirantizzazione deve obbligatoriamente occupare la posizione di attacco sillabico. Il processo infatti si attiva solo in posizione postvocalica: è questo il motivo per cui non si ha spirantizzazione in posizione iniziale assoluta, dopo pausa né in posizione post-consonantica. L’occlusiva può essere invece seguita da una vocale, da una consonante liquida  o da un legamento. In tali situazioni contestuali, la gorgia si manifesta tanto in corpo di parola quanto al confine di parola.

L’incidenza del fenomeno è proporzionale al grado di posteriorità dell’occlusiva; in termini percentuali la gorgia è più presente nelle occlusive velari /k/ e /g/ e progressivamente minore in quelle dentali /t/ e /d/ e infine in quelle bilabiali /p/ e /b/. Nei segmenti velari, in primis /k/, l’indebolimento può raggiungere il suo stadio più estremo, causando la cancellazione del suono, ad es., amico = a'mio.

La realizzazione della gorgia è regolare tra le occlusive sorde, mentre è variabile tra le sonore. Anche per /b/, /d/ e /g/ vige, comunque, il condizionamento operato dal luogo di articolazione: in contesto postvocalico, la presenza di una fricativa sonora o di un’approssimante è molto più frequente per /g/, meno per /d/ e /b/, le quali mostrano un comportamento oscillante. In modo parallelo, la spirantizzazione coinvolge anche le affricate /?/ e /?/ che per questo sono realizzate /?/ e /?/: ad es., facile='fa?ile, fragile =fra?ile.

A dispetto della sua denominazione, la gorgia non è presente in pari misura su tutto il territorio toscano, ma ha una distribuzione variabile. Il centro di irradiazione del fenomeno si identifica con il toscano centrale, corrispondente alle province di Firenze, Pistoia e Siena; in quest’area il processo è anche denominato spirantizzazione fiorentina.

Nei territori marginali, rappresentati dal toscano meridionale e orientale, dalla Garfagnana e dall’isola d’Elba, la gorgia ha distribuzione instabile, sebbene in progressiva espansione, come provano le indagini condotte nei centri di Bibbiena e di Cortona. Precisamente, nella Toscana meridionale (provincia di Grosseto) la spirantizzazione coinvolge prevalentemente /k/ e /t/, mentre al confine con il Lazio si ha per lo più la lenizione, un processo che riduce la forza articolatoria dell’occlusiva, determinando segmenti variamente sonorizzati. Nel lucchese e nel pisano-livornese (toscano nord-occidentale), l’occlusiva più coinvolta è /k/. Infine, nella fascia orientale (provincia di Arezzo), zona di transizione, le occlusive risultano caratterizzate da processi di lenizione e di sonorizzazione, sul modello umbro-laziale.

Sebbene il toscano centrale possa legittimamente considerarsi l’area in cui la gorgia trova la sua manifestazione massima, il processo non può essere postulato come regola obbligatoria, poiché è socialmente molto oscillante.

La realizzazione della gorgia varia secondo lo stile e il ritmo di elocuzione; il processo è più marcato negli stili meno controllati e veloci, anche tra parlanti della stessa area geografica. Non a caso la produzione di allofoni deboli, ovvero segmenti aperti e rilassati, come le approssimanti, è favorita da un contesto verbale poco sorvegliato. Il processo è comunque presente anche nei registri formali o tra le classi sociali più elevate. La pronuncia spirantizzata non è associata a giudizi negativi e non dà luogo a forme di stigmatizzazione sociale.

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domenica 2 luglio 2017

BERE DALLE LATTINE



Le lattine possono trasmettere malattie dal momento che dei germi si sviluppano sulla superficie esterna delle lattine, che non è sterile. E questa è un’eventualità che può riguardare qualsiasi contenitore alimentare, dalle bottiglie, al tetrapak, fino alle posate e ai bicchieri. Perché virus e batteri patogeni diventino un pericolo per la salute è però necessario che i “contenitori” siano conservati male. Solo in condizioni igieniche precarie (ad esempio lattine esposte alle intemperie o magazzini sporchi), infatti, si può correre il rischio che si contaminino”.

La contaminazione può fondamentalmente avvenire al momento della vendita delle lattine in negozi, bar e supermercati. Nelle prime fasi di trasporto e conservazione, infatti, le lattine sono avvolte nel cellophane e quindi è molto difficile che vengano a contatto con germi pericolosi. Il rischio cresce invece se prima della vendita le lattine sono conservate in luoghi polverosi o troppo umidi, e se vengono maneggiate con le mani sporche.

In genere virus e batteri non sopravvivono nell’ambiente per più di 24-48 ore.



Per evitare brutte sorprese vale la pena prendere qualche semplice precauzione. Innanzitutto è utile lavare con acqua e detersivo la superficie della lattina (e in particolare la linguetta che va a diretto contatto con il contenuto) prima di consumarne il contenuto, sia che si beva direttamente dalla lattina, sia che si versi la bibita in un bicchiere. Inoltre, sciacquare bene il detersivo prima di bere, e se si è fuori casa non bisogna utilizzare le salviettine detergenti per pulire la lattina, altrimenti si rischia di bere il detersivo: vale piuttosto la pena chiedere aiuto al barista. Attenzione anche a come si conservano le lattine a casa: bisogna riporle al fresco e all’asciutto senza mai lasciarle al caldo o esposte alla polvere e alle intemperie. Se sono state conservate in condizioni non ideali  è meglio buttarle indipendentemente dalla data di scadenza riportata sulla confezione.

Se ci si accorge di aver acquistato una confezione sporca, è legittimo chiedere al gestore del punto vendita la sostituzione della merce. Quanto ai produttori, in diversi casi adottano un coperchietto di plastica sul tappo delle lattine; altre ditte ricoprono il set di 6 lattine con un film plastico per proteggerle da polvere e altri materiali. Questi sistemi, che incidono in misura minima sui costi, sono graditi dai clienti e rappresentano un metodo intelligente per venire incontro alle esigenze del consumatore. In altri Paesi, c’è chi propone un sistema per cui, aprendo la linguetta, sbuca una cannuccia telescopica.
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giovedì 20 aprile 2017

FARMACI come DROGHE

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Il destrometorfano (conosciuto con la sigla DMX) è un principio attivo contenuto in alcuni farmaci per la cura del raffreddore ma se assunto in grandi quantità può condurre il paziente ad uno stato di euforia, diventare una sostanza quasi allucinogena. Assumere una grande quantità del prodotto può condurre a convulsioni, allucinazioni, perdita di controllo.

Sniffare antidolorifici, sonniferi, analgesici, psicofarmaci, neuroelettici ed altri causa effetti simili ed a volte più forti delle droghe di strada.
I farmaci a base di anfetamine tendono a “chiudere” la bocca dello stomaco. Se associati ad alcool e se viene il vomito, la persona può ritrovarsi con una specie di “tappo” sullo stomaco che impedirebbe allo stesso di fuoriuscire. Se finisce nei polmoni la persona muore.

In alcuni dei principali paesi occidentali come USA e Canada, è diventato addirittura un fenomeno “comune”. Farmaci al posto delle droghe illegali, medicine al posto delle classiche droghe di strada. E la cosa riguarda grandi e piccini.

Antidolorifici, analgesici oppioidi, che agendo sul sistema nervoso centrale, danno una sensazione di benessere diffusa ed oltre ad allontanare il dolore fisico finiscono, in qualche modo, per fugare anche eventuali dolori della mente o dell’animo.

Un trip “a basso rischio” di appeal trasversale che ben si attaglia ai giovani delle fasce sociali più agiate che non vedono nella droga una forma di fuga dalla disperazione ma dal disagio esistenziale.

Peccato che in realtà, il rischio non sia affatto basso, anzi, negli USA il numero delle visite al pronto soccorso dovute all’abuso di farmaci supera ormai di gran lunga quello delle visite dovute al consumo delle droghe illegali.

Perché la ricerca dello sballo non sarebbe l’unico motivo per cui sempre più giovani si rivolgerebbero a questi antidolorifici. Tra le varie ragioni vi sarebbero anche quella di sciogliere l’ansia, dormire meglio, aumentare la concentrazione. Una sorta di medicina fai da te aiutata dal fatto che tutto sommato, procurarsi questi farmaci, non è affatto difficile. Nella maggior parte dei casi basta esplorare l’armadietto del bagno dei propri genitori che magari dopo essere andati dal medico di base per un semplice mal di schiena si sono visti prescrivere antidolorifici oppioidi.



"Gli adulti sono i primi utilizzatori di questi farmaci" spiega Joseph Califano, direttore del National Center on Addiction and Substance Abuse (CASA) della Columbia University. "Ma il problema è che li lasciano in giro per la casa diventando una sorta di pusher passivi".
Complice una categoria medica dalla ricetta facile, in solo dieci anni, dal 1991 al 2010, il numero delle ricette di analgesici oppioidi sarebbe passato da 30 a 180 milioni, praticamente una confezione per abitazione. Per ottenerne una scatola, basta anche un semplice mal di denti. E i ragazzi lo sanno tanto è vero che secondo la Substance Abuse and Mental Health Services Administration a procurare il 70% degli antidolorifici utilizzati per motivi non medici, sarebbero proprio familiari e amici. Per non parlare di come sia semplice ottenerli tramite Internet o il mercato nero di strada.

Diverse possibilità per un solo scopo, farsi di farmaci per sopravvivere all’adolescenza e non deludere gli amici. Già perché oggi il consumo di antidolorifici è diventato anche un rito di passaggio, dall’infanzia direttamente nell’età adulta. Un terzo dei ragazzi dichiara che proprio l’uso di questi farmaci certificherebbe l’ingresso nel mondo dei grandi, fatto di adulti molto dolenti che per lenire il male di vivere vanno avanti a ingoiando di caffè, alcolici e psicofarmaci.

Per un adolescente, il rischio di diventare dipendente da farmaci di questo tipo è molto più alto che per un adulto. Non solo, "il cervello di un adolescente è ancora in via di sviluppo" spiega Ralph Lopez pediatra del Weill Medical College della Cornell University. "Droghe come Vicodin o Oxycontin possono facilmente comprometterne giudizi e valutazioni portandolo a sottovalutare pericoli e ad incorrere in comportamenti a rischio e quindi ad essere esposti ad incidenti, sesso non protetto e ad un maggior consumo di droghe".



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lunedì 27 marzo 2017

CASE ABBANDONATE

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Comprare case abbandonate potrebbe essere una nuova iniziativa per entrare in possesso di un’abitazione e comprare casa senza soldi da parte.

Per farlo è necessario mettere insieme molti tasselli, come ad esempio: la struttura, i pendenti su di essa, i proprietari, i recapiti, il recupero, la ristrutturazione e cosi via dicendo. Fatto ciò se l’immobile abbandonato scelto si rivela interessante non si dovrà fare altro che procedere, continuare nelle pratiche e fare di tutto per compralo anche se non in vendita.

La prima cosa da fare è cercare di rintracciare il proprietario della casa chiedere ad esso informazioni sull'immobile residenziale visto, analizzare le condizione e fare cosi una proposta di vendita. Nel caso l’immobile non sia di nessuno o il proprietario privato non fosse più disponibile (se durante la ricerca noterete che il titolare della casa è deceduto, dovrete recarvi all'ufficio anagrafe e controllare se è presente una dichiarazione di successione), la casa sarà molto probabilmente diventata proprietà dello Stato e per questo si dovrà chiedere maggiori info ad un apposito ufficio Statale. Nel caso invece fosse stata ceduta in successione sarà necessario parlare e conoscere l’erede della casa in questione, in quanto sarà lui il legittimo proprietario interessato o meno alla vendita.

Comunque sia per fare tutto questo bisogna recarsi al catasto, consegnare numero civico, indirizzo della casa abbandonata ed attendere le indicazioni dell’impiegato addetto. Una volta svolto il colloquio ed aver consegnato al catasto tutte le informazioni possibili, essi provvederanno a fornirvi i dati di proprietà della casa indicandovi se esiste o meno un proprietario.



Quando le case abbandonate non hanno un erede e neanche dopo le varie ricerche si riesce a trovare un erede di sangue più prossimo; lo stabile in questione diventa proprietà dello Stato. Esso potrà decidere se metterlo all'asta per ricevere subito un compenso, al fine di ampliare le casse dello Stato; oppure tenerlo pronto per un futuro acquirente. Quando una casa abbandonata che ci piace e siamo intenzionati a comprare, diventa proprietà del Comune è obbligatorio rivolgersi al Consiglio Comunale. La valutazione del progetto immobiliare di restaurazione e acquisto verrà dunque presa in considerazione dal Comune del territorio. Esso provvederà dunque a stabilire le condizioni di compravendita, come se fosse un utente privato al 100% (questo avviene perché lo Stato in questo caso risulta registrato come proprietario; quindi agli occhi di tutti risulta un privato che vuole vendere una casa). Questa è un ottima cosa, perché essendo registrato “come privato” si possono iniziare le fasi di trattativa precedentemente descritte anche con il Comune o Stato indicato. L’unica cosa che potrà un pochino frenarvi, saranno i margini di prezzo e riuscita della trattativa, in quanto saranno meno ampi e più difficile da portare a termine.

Durante la visita al Catasto sarà possibile prendere visione della particella riguardante la casa abbandonata; non ignoratela. La suddetta particella catastale (mappale catastale) nel nostro paese serve ad indicare il tipo di porzione immobiliare, il terreno, il fabbricato in questione e la proprietà della casa. Questo permetterà di capire se lo stabile abbandonato è dello Stato, di un privato o di una Società.

Una volta entrati in possesso dell’indirizzo e numero civico, si potrà anche avere il numero mappale e il numero del foglio riguardante la particella. Il tipo mappale alla fine non è altro che un aggiornamento dell’atto del Catasto (terreni, immobili, ecc…) di natura semplicemente tecnica.

Durante il controllo è opportuno fare una ricerca incrociata grazie ai registri immobiliari della conservatoria. Questo passaggio vi aiuterà ad evitare futili discordanze tra il nome del proprietario attualmente proprietario della casa e il nome presente sul catasto non più attivo.

Per la dichiarazione di successione controllate effettivamente se il proprietario non c’è più e assicuratevi veramente che non ci siano eredi; perché altrimenti ci si dovrà rivolgere esclusivamente all'amministrazione pubblica. Infatti nel caso remoto il rustico abbandonato fosse dello Stato, la trattativa potrà essere fatta solo in comune.

Se il rustico abbandonato o le case abbandonate invece facessero parte del demanio comunale o ci fosse anche solo il terreno in una prossimità non adeguata, non sarà in alcun modo possibile comprarlo.

La maggior parte degli edifici residenziali è di proprietà di un privato, infatti ci sono pochi rari casi in cui un immobile in condizioni di abbandono appartenga allo Stato.



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giovedì 23 marzo 2017

VITA IMMAGINARIA

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Immaginare una vita diversa, dove si è protagonisti delle più strabilianti avventure, o anche solo di piccole soddisfazioni personali capita a tutti.
Il sognatore spesso si perde nell’immaginare situazioni talmente coinvolgenti da perdere il senso dello scorrere del tempo, o dell’azione che sta compiendo. All’atto pratico, ciò può comportare distrazione, confusione e soprattutto il perpetrarsi della base intima del fenomeno del wandering, ciò il voler evitare sempre di più lo “scontro” con la realtà.
Il sognatore vive vite parallele perfette e appaganti nella sua mente in maniera esponenziale a quanto teme la sofferenza, l’umiliazione nella realtà. Se nella vita vera prende le cose “alla lontana”, nella sua immaginazione spesso invece è il protagonista assoluto di grandi “scene madri”, che nella quotidianità non ha il coraggio di mettere in atto.

La maggioranza delle persone inventano storie a contenuto romantico, si immaginano come sarebbero le loro vite con un altra persona con la quale non hanno nessun tipo di relazione sentimentale. Queste storie possono essere rappresentate da un semplice contenuto nato dall’immaginazione e senza nessuna trascendenza, caratteristico negli adolescenti, che molto spesso, di fronte alla mancanza d’esperienza in questo ambito ricreano le situazioni e le possibili risposte. In questo caso si tratterebbe di una forma di preparazione mentale di fronte al non conosciuto o semplicemente l’espressione del desiderio di intrattenere una relazione amorosa.

Comunque, esiste anche ciò che viene definito il “delirio erotomaniaco”, nel quale la persona si innamora platonicamente. Colui che soffre di “delirio erotomaniaco” normalmente non cerca il contatto fisico neppure tenta di dichiarare il suo amore ma semplicemente interpreta tutti i segnali provenienti dall’altra persona come se fossero segni di interesse verso di lui quando non è così. Questo disturbo si riscontra negli anziani o in persone con problemi cognitivi o depressione.

Anche le persone che soffrono di “schizofrenia paranoide” suolono inventarsi storie molto ben strutturate anche se il loro contenuto è relazionato con persecuzioni o delirio di grandezza, nelle culture dove ancora esiste il maschilismo i contenuti possono essere relazionati con storie di gelosia ed insicurezza. Per diagnosticare la “schizofrenia paranoide” è essenziale che il paziente non sia critico riguardo alla propria malattia, il fatto di preoccuparsi per le storie o riconoscere che sono il prodotto della nostra immaginazione esclude il disturbo psicotico.

Le storie inesistenti possono essere considerate come un disturbo quando creano problemi alla persona che le immagina e provocano un deterioramento in alcune aree del comportamento come per esempio, il fatto di immaginare storie con un amante immaginario porta al punto in cui progressivamente la persona si svincola dalle relazioni sociali e dalla ricerca del partner reale. Inoltre, quando queste storie occupano buona parte del quotidiano.
Nel caso in cui inventare storie arrivi ad essere patologico ma senza convertirsi in psicosi, le cause sono molteplici anche se le più comuni sono quelle in cui prevale una storia personale piena di paure, rigidezza ed isolamento sociale. Essenzialmente la persona intenta a supplire alle carenze e privazioni alla quale è stata sottoposta durante buona parte della sua vita. Sarebbe un meccanismo per evadere dalla realtà e costruirsi un mondo nel quale sentirsi a proprio agio.



In ogni modo, a volte inventarsi storie è sinonimo di una immaginazione fertile e può rappresentare un fenomeno perfettamente normale in persone equilibrate. Gli esseri umani sono capaci di unire l’immaginazione con la realtà e non sempre il risultato è negativo.

La dissociazione in psicopatologia e in psichiatria è quel meccanismo di difesa con cui alcuni elementi dei processi psichici rimangono "disconnessi" o separati dal restante sistema psicologico dell'individuo: tale condizione si può ritrovare in molte reazioni psicologiche (ad esempio, davanti a situazioni traumatiche).

Nel caso si cristallizzino, i processi dissociativi possono determinare specifiche sindromi psicopatologiche.

Nonostante alcune riserve sull'opportunità di descrivere i disturbi dissociativi attraverso categorie descrittive o se preferire un approccio dimensionale, gli studi epidemiologici sinora svolti confermano una diffusione delle psicopatologie dissociative con percentuali che si attestano in un range compreso tra il 5 ed il 15% (Putnam, 2001).

I criteri diagnostici per il DDI sono: presenza di due o più identità o stati di personalità distinte, ciascuna con i suoi modi relativamente costanti di percepire, relazionarsi, pensare nei confronti di sé stesso e dell'ambiente; almeno 2 o più di queste identità o stati di personalità assumono in modo ricorrente il controllo del comportamento della persona; incapacità di ricordare importanti nozioni personali non spiegabili con una banale tendenza alla dimenticanza; l'alterazione non è dovuta né agli effetti fisiologici diretti di una sostanza né a una condizione medica generale.

Il DDI sembra rappresentare il precipitato di un fallimento nei processi di integrazione tra i vari aspetti della memoria, della coscienza e dell'identità associata a gravi traumi (Kluft, 2003). L'alternarsi dei diversi stati di personalità può essere causa di una confusione diagnostica per l'emergere di formazioni sintomatiche di discontinuità della coscienza comuni ad altre psicopatologie, oltre ad una vasta gamma di “sintomi secondari” (sintomi ansiosi, ossessivo-compulsivi, depressivi, fobici, di abuso di sostanze psicotrope, di disturbi del comportamento alimentare, di comportamenti antisociali etc.) su cui spesso i clinici si concentrano erroneamente (Steinberg, Schanll, 2001), giungendo inevitabilmente a diagnosi errate e improntando trattamenti che risultano inefficaci.

Al fine di evitare tali confusioni diagnostiche, il clinico si può avvalere dell'ausilio di interviste strutturate, come ad esempio la Dissociative Disorders Interview Schedule (DDIS, Ross et al., 1989), la Structured Clinical Interview for DSM-IV Dissociative Disorders-Revised (SCID-D-R, Steinberg, 1994). Altri strumenti standardizzati disponibili per la valutazione del DD comprendono una scala di screening per la dissociazione patologica negli adulti, la Dissociative Experience Scale - DES (Bernstein e Putnam, 1986), cui fa da pendant una scala per i bambini dai 5 ai 12 anni, la Child Dissociative Checklist - CDC (Putnam et al., 1993).

Il disturbo da depersonalizzazione fu concettualizzato per la prima volta nel DSM-II (APA, 1968) come nevrosi da depersonalizzazione, il Disturbo da Depersonalizzazione rappresenta un tipico disturbo dissociativo caratterizzato da sentimenti di estraneità da sé, che si accompagnano alla sensazione di guardarsi dall'esterno e ad un appiattimento emotivo.

Diverse sono le forme attraverso cui si manifesta la sensazione di distacco da sé stessi (Steinberg, Schnall, 2001), tra le quali:

l'esperienza di essere fuori dal corpo;
la perdita di sensibilità di parti del corpo;
una percezione distorta del corpo;
la sensazione di essere invisibili;
l'incapacità di riconoscersi allo specchio;
un senso di distacco dalle proprie emozioni;
la sensazione di guardare un film su sé stessi;
il senso di irrealtà;
la sensazione di essere scisso in una parte partecipante ed una osservante;
la presenza di dialoghi interattivi con una persona immaginaria.
In relazione alla gravità ed intensità con la quale si manifestano i sintomi elencati si può distinguere una depersonalizzazione lieve, particolarmente diffusa presso la popolazione generale, da una depersonalizzazione grave (Steinberg, Schnall, 2001).

La depersonalizzazione lieve rappresenta una risposta transitoria, funzionale a contrastare intensi vissuti d'ansia in un situazione di stress o di pericolo di vita. Nelle condizioni gravi rappresenta invece una sindrome capace di procurare intensi stati di ansia e di angoscia legati proprio al deficit dell'integrazione delle emozioni traumatiche all'interno di un sistema associativo, tipico di un Sé stabile e coeso. È quanto avviene ad esempio in coloro che hanno subìto ripetuti abusi sessuali durante l'infanzia. Si è constatato che tra i pazienti psichiatrici la depersonalizzazione viene diagnosticata il più delle volte come sintomo associato con altri disturbi come la schizofrenia, il disturbo dissociativo d'identità, la depressione, i disturbi d'ansia, piuttosto che come disturbo puro (Gabbard, 1994).



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venerdì 17 marzo 2017

SFIDA ACCETTATA

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 "Sfida accettata" è una catena di Sant'Antonio. Una volta postata l'immagine, bisognerebbe controllare chi mette 'mi piace' e, una volta incassato il like, inviargli il seguente messaggio: "Since you liked my picture, you now have to post a black & white picture of you and write Challenge Accepted. Let’s fill Facebook with black & white pictures to show our support for the battle against cancer. That is the challenge. When your friends like your post, you send them this message". Tradotto: "Siccome hai messo 'mi piace' alla mia foto, ora devi postare un'immagine in bianco e nero e scrivere 'Sfida accettata'. Riempiamo Facebook con foto in bianco e nero per mostrare la nostra lotta contro il cancro. Questa è la sfida. Quando i tuoi amici mettono 'mi piace' al post, inviagli questo messaggio".
Nel messaggio non viene specificato da nessuna parte di mettere immagini personali. E, soprattutto, la conditio sine qua non è quella di postare foto in bianco e nero. Basta scorrere rapidamente Facebook per verificare come raramente la regola venga rispettata. Il narcisismo di molti utenti ha trasformato la catena, che probabilmente voleva sfruttare il contrasto del bianco e nero col coloratissimo mondo social attuale, in un'occasione di mostrare sè stessi. Magari con un pizzico di nostalgia (e voyeurismo). Quel che, invece, ha funzionato è l'attenzione sulla 'Challenge Accepted', con milioni di utenti che in questi giorni hanno cercato di capire l'origine del tormentone.



Molte foto affiorano dal passato per essere pubblicate e in molti casi si tratta di immagini scattate prima che il digitale segnasse per sempre le nostre vite.

Il tam tam è nato diversi mesi fa per sensibilizzare l'opinione pubblica sulla lotta contro il cancro, ma poi è diventato un inno al passato e alla nostalgia.

L’iniziativa aveva subito preso piede in India, allargandosi al Regno Unito. Non tutti però hanno gradito: Rebecca Wilkinson, 36enne madre di due bambini a cui, nel 2013, è stato diagnosticato un cancro al seno, ha protestato: "Tutta questa campagna va contro quelli che hanno un tumore. Non li aiuta, non hanno bisogno di selfie. Qualcuno ha deciso di iniziare una campagna virale su Facebook che non serve a ottenere un bel niente. Stanno usando il cancro solo per il gusto di far diventare virale qualcosa. Fermatevi".

La catena non è nuova per Facebook ed era partita già in agosto in Inghilterra per spronare le persone a fare prevenzione attraverso esami medici e corretta informazione circa la delicata malattia, ma l’iniziativa aveva già riscontrato ingenti critiche da parte delle pazienti oncologiche, prima tra tutte Deborah, donna di 41 anni, che in un lungo post pubblicato sul suo profilo scrisse:”Il Cancro non sono sfumature di grigio. Il grigio è sterile, arido, morto. Il Cancro ha tanti colori. Anche il colore della paura, ma ce l’ha! Perché il Cancro spiazza, fa paura, terrorizza. Sensibilizzare le persone alla lotta contro il Cancro, è farle pensare a cosa sia davvero”.



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martedì 14 marzo 2017

ABB..IONI



qualcuno = qlc
qualcosa = qls
che = ke
per = x
per favore = pls (please) 
tu sei = tu6
mi fai venire sonno = zzz 
buonanotte = hagn (have a good night) 
ti voglio tanto bene = tvtb
ti amo tanto = tat
amore a prima vista = lafs (love at first sight) 
flirtiamo? = fli? 
mi sono innamorato di te = msidt
bacio = ba
coccole = coc
ti penso = tipe
mi dispiace = midi
non ti merito = ntm
togliti dai piedi = tdp 
Amò = amore
Ap = a presto
Cmq = comunque
Cvd = ci vediamo dopo
Tvb = ti voglio bene
Tvtb = ti voglio tanto bene
Tvtbtt = ti voglio bene tanto tanto
Tvtttb = ti voglio tanto tanto tanto bene
X = per
Xò = però
Xchè = perchè
Xkè = perchè
Xso = perso
Axitivo = aperitivo
Nn = non
Ke = che
TaT = ti amo tanto
Risp = rispondimi
“xxx” = tanti baci
Cel = cellulare
Tel = telefono
Dom = domani
Dx = destra
Sx = sinistra
Nm = numero
Se# = settimana
Msg = messaggio
x fv = per favore
xdere = perdere
-male = meno male
disc = discoteca
6 la + = sei la migliore
6 Sxme = sei speciale per me
t tel + trd = ti telefono + tardi
Vng dp = vengo dopo
TO = ti odio
Ttp = torno tra un pò
CVD = come volevasi dimostrare
MMT+ = mi manci tantissimo
Xh = per ora
x = per
+o- = più o meno
x me = per me
-male = meno male

La sostituzione del gruppo consonantico "ch" con la singola consonante "k" per l'occlusiva velare sorda, in sillabe come "che", "chi", o l'uso della consonante "c" in luogo della particella (pronome o avverbio) "ci" (come nel già visto nel caso di "c6").

Un altro espediente brachilogico consiste nella troncatura di vocaboli lunghi mediante caduta di sillabe o foni terminali (apocope ed elisione): così, si avrà raga per ragazzi, prof per professore/professoressa, dmn/doma per domani, risp per risposta/rispondere, ecc., o la sostituzione di nomi e luoghi, conosciuti ai due parlanti, con le semplici iniziali. La comprensibilità del reale significato di simili abbreviazioni si affida in buona parte al contesto linguistico in cui esse sono calate ma, soprattutto, fa leva anche sull'intrinseca ridondanza di contenuti di cui è portatore ogni messaggio verbale, perfino quello estremamente conciso e prosciugato degli SMS.

Nella resa delle voci del verbo avere inizianti per "h", si opta normalmente per la caduta della consonante iniziale: "ho"/"ha"/"hai", ad esempio, diventano "o"/"a"/"ai", con una grafia che, in altri contesti della comunicazione scritta, comporterebbe un'eclatante violazione delle regole dell'ortografia, tanto più grave, in questo caso, perché l'omissione della "h" iniziale stravolge la funzione grammaticale e logica del termine.

Altro fenomeno è la tendenza a compendiare il testo omettendo alcune, o tutte, le vocali: "quanto" diventa "qnt", "grazie" diventa "grz", "prego" "prg". Si tratta di una sorta di "scrittura fonetica", resa più facile in lingue, come l'inglese, in cui vi è una maggiore incoerenza tra la prassi ortografica e la prassi fonetica (a differenza dell'italiano, in cui il rapporto tra segni e fonemi è più univoco).

Le abbreviazioni nascono soprattutto a causa delle limitazioni dovute al costo degli sms.

L’incredibile diffusione dei telefoni cellulari e dei messaggini ad uso degli utenti più giovani ha fatto nascere l’esigenza di creare abbreviazioni anche nella comunicazione cellulare.

L'importanza del fenomeno ha stimolato una ricca serie di studi da parte di linguisti, studiosi della comunicazione, sociolinguisti, psicologici e altri specialisti. L'area linguistica francofona è stata la prima a beneficiare di uno studio organico e approfondito del fenomeno: infatti, al fine di poggiare tali studi su basi più solide, l'Università Cattolica di Lovanio ha lanciato l'iniziativa di volontariato «Faites don de vos SMS à la science ;-)», che ha permesso di mettere insieme 75.000 SMS, e dare il via a uno specifico studio scientifico, basato sulla costruzione di un corpus, il primo nel suo genere, e sulla sua sottoposizione ad analisi sistematica: dal corpus grezzo è stato estratto un corpus standardizzato e anonimizzato di 30.000 testi, pubblicati su CD-Rom insieme alla loro trascrizione in francese normalizzato.

L'adozione di scritture tachigrafiche e brachilogiche degli SMS ripropone, in forma nuova, un fenomeno che esiste da molti secoli: sono note le abbreviazioni epigrafiche, che permettevano di ridurre la lunghezza dei testi incisi, riducendo la dimensione del supporto lapideo e il tempo necessario per la realizzazione dell'epigrafe. Analoghi vantaggi si avevano dall'uso di abbreviazioni nella faticosa scrittura su altri supporti, come le tavolette cerate dell'antichità. Nella scrittura su questi e altri supporti, è noto l'uso delle cosiddette notae tironianae, le scorciatoie tachigrafiche inventate da Marco Tullio Tirone, liberto e scriba di Cicerone.

La scrittura abbreviata era già particolarmente presente nelle scritture medievali, quando simili espedienti di abbreviazione scribale, adottati dagli amanuensi degli scriptoria, erano resi necessari dal costo del supporto scrittorio: queste forme di scrittura compendiata comportano difficoltà nella lettura e nell'interpretazione dei manoscritti medievali, che possono essere superate attraverso la consultazione di appositi manuali redatti allo scopo.

Il conseguimento di forme di economia nella comunicazione rappresenta, peraltro, un'esigenza interna e costante del linguaggio stesso: si manifesta, ad esempio, nell'accorciamento, rispetto al passato, della pronuncia delle parole inglesi.



Studi sociolinguistici hanno messo in evidenza come il canale degli sms assolva a molteplici funzioni, due delle quali assumono particolare rilevanza: a quella primaria, comunicativa e referenziale in senso stretto, si affiancano, nella cultura adolescenziale, funzioni secondarie, quali la funzione ludica (frutto di una tipica inclinazione del temperamento umano) e, in aggiunta, molto più importante, la funzione fatica, ovvero quella dimensione della comunicazione interpersonale le cui implicazioni investono la costruzione e il mantenimento dei rapporti sociali. Quest'ultima ipotesi è stata verificata in ampi contesti culturali e geografici: ad esempio, è stato notato come "nella cultura degli adolescenti europei e nordamericani, l'invio di sms non rappresenta solo un mezzo efficace per far circolare informazione in maniera rapida e comoda. Si tratta, piuttosto, di una performance verbale attraverso la quale i giovani costruiscono e mantengono il loro mondo sociale", facendo, della scrittura degli SMS, un efficacissimo "strumento di socializzazione, di costruzione di relazioni sociali informali". Vi è anche chi sostiene che sia la funzione relazionale ad egemonizzare la comunicazione via sms, dal momento che l'invio di un sms dà l'opportunità di stabilire un contatto, e di infondere il senso di "vicinanza", in maniera molto più disimpegnata e informale, sottraendosi al più intenso coinvolgimento emotivo richiesto da una telefonata.

Questo tratto generale assume un rilievo ancor maggior in specifici contesti culturali, come è il caso del Giappone, in cui lo stile di comunicazione associato agli SMS (ma anche alle e-mail), più informale e superficiale, permette di superare tutti gli ostacoli e le difficoltà che la particolare cultura giapponese frappone alla conversazione orale, a causa della necessità di conformarsi a una serie di regole di etichetta che implicano, tra l'altro, il rispetto delle rigide gerarchie sociali che la tradizione giapponese impone agli individui nelle loro relazioni interpersonali.

Elemento fondamentale del linguaggio dei messaggini è la brachilogia, derivante in gran parte dal mancato rispetto della corretta ortografia, ma anche dall'adozione di alcuni artifici di scrittura. Infatti, altra caratteristica di questo linguaggio è la trasgressione di fondamentali regole della produzione scritta, come la punteggiatura, assente o fuori standard, le convenzioni tipografiche e ortografiche sull'uso della maiuscola (spesso carente o del tutto assente), la sintassi, assente o estremamente semplificata, o come, infine, il travolgimento della stessa grammatica della lingua. Altre regole infrante sono quelle della composizione tipografica, con l'assenza di spazi dopo i segni di punteggiatura, l'assenza di accapo, ecc.

Altre scelte, tendenti a raggiungere obiettivi di concisione, non sono specifiche della comunicazione tramite SMS. Alcuni strumenti, infatti, appartengono già allo stile delle cartoline postali e dei titoli di giornale: si tratta innanzitutto di scelte sintattiche semplificate, con predominio della paratassi (la costruzione attraverso giustapposizione di frasi, senza elementi di collegamento), e l'uso dello stile nominale.

Esistono, peraltro, casi di sms in cui emerge l'ambizione dell'autore nel ricercare una sintassi complessa, con esiti che possono definirsi di tipo "letterario", senza rinunciare all'uso degli altri elementi di tipo "telegrafico", come fonetizzazioni, effetto rebus", ecc.

A questo arsenale di strumenti testuali, si aggiungono elementi extra-verbali, come emoticon o smiley, composizioni grafiche, puntini sospensivi, ecc., che aggiungono al testo un "riflesso emotivo" e tentano di riprodurre e simulare, nella parola scritta, mimeticamente, il tenore e la temperatura emotiva del messaggio, al pari di quanto avviene con gli elementi paralinguistici ordinariamente dispiegati nella comunicazione orale (elementi cinesici come mimica facciale e scelte prossemiche; tratti prosodici (o soprasegmentali), come tono e inflessioni della voce, ecc.) non riproducibili nell'ordinaria scrittura o comunque non traducibili se non a prezzo di una perdita di concisione e tempestività. Si travasano così elementi analoghi nella comunicazione veloce, attraverso l'uso di una sorta di simboli ideografici o di moderni pittogrammi.

L'esigenza di brevità e velocità implica la riduzione o l'espunzione, dalla comunicazione scritta dei messaggi telefonici, di molti di quegli elementi di ridondanza linguistica che fanno normalmente parte della comunicazione parlata, anche telefonica, e della comunicazione scritta: si tratta di elementi formali, referenziali, e pleonastici che arricchiscono il contenuto informativo, anche a costo di qualche ripetizione, e vengono solitamente utilizzati, in molti contesti comunicativi, per superare i possibili elementi di patologia della comunicazione, per migliorare l'affidabilità nella trasmissione e ricezione del messaggio, e per rendere più facilmente comprensibile il messaggio al destinatario. La rarefazione di elementi ridondanti, unita all'alterazione dell'ortografia, può opporre ostacoli alla comprensione del testo: soccorre, in questi casi, la capacità di interpretare le allusioni a elementi di conoscenza condivisi dai due soggetti in comunicazione, e la competenza pragmatica del ricevente, vale a dire la sua capacità di valutare il contesto linguistico a cui appartengono i segni e l'intenzione dello scrivente.

Elemento accessorio è la varietà della lingua utilizzata: nel caso dell'italiano, si tratta normalmente di un linguaggio medio o basso, strutturalmente semplificato, che si avvicina al registro linguistico del parlato, con inflessioni gergali, dialettali, idiolettali e la presenza di notevoli dosi di corruzione e alterazione dovute all'uso esteso di forestierismi: si tratta, in alcuni casi, di una caratteristica giustificata dall'utilizzo di anglicismi che richiedono una scrittura più breve dell'equivalente in lingua locale, o più facilmente abbreviabili secondo modalità largamente riconoscibili: a titolo di esempio, imo (in my opinion) per secondo me, asap (as soon as possible) per prima possibile, 2nite (tonight) per stanotte.

Se da un lato, per raggiungere l'economia e la concisione, il linguaggio degli SMS attinge a usi e convenzioni provenienti da contesti comunicativi preesistenti, esistono invece alcuni fenomeni che sono manifestazioni tipiche degli SMS. Il primo è la consuetudine delle "risposte a raffica", vale a dire un'unica infilata di risposte alla molteplicità di domande presenti nel messaggio a cui si risponde. Un secondo è la tendenza osservata a far seguire, a una domanda posta all'interlocutore, la propria risposta alla stessa domanda, in qualcosa che suona come: «Sei poi stato al concerto? Io sì, con mio fratello» (in quest'ultimo caso, evidentemente, si evita l'invio di un successivo messaggio per comunicare la propria risposta).

Lo studio sul corpo di sms di area francofona ha permesso di affermare che, anche in un'area linguistica omogenea, non esiste una varietà univoca di linguaggio, ma una molteplicità di "linguaggi degli SMS". Altro aspetto, legato a quest'ultimo è la capacità di elaborare codici comunicativi criptici, non comprensibili a tutti, e di inventare nuove parole.

Spesso, i vari strumenti e procedimenti sono combinati in maniera tale da determinare l'"effetto rebus", un miscuglio di lettere, cifre, simboli, anglicismi, abbreviazioni, con l'aggiunta eventuale di emoticon, da interpretare in base al loro valore denominativo: in questo caso, gioca anche l'intento dello scrivente nel voler perseguire un fine ludico, ma con ingredienti solitamente dispensati a "dosi ridotte", senza spingersi a un punto tale da sacrificare la leggibilità del messaggio.

La pratica degli SMS, e il linguaggio correlato, rivestono una notevole importanza dal punto di vista linguistico e comunicativo, soprattutto fra i giovani. Va tenuto presente, infatti, che essi sono diventati il medium di massa quasi esclusivo della comunicazione scritta giovanile. Secondo il sociologo Alberto Abruzzese, la pratica del messaggio breve telefonico ha inaugurato una nuova epoca della comunicazione. Per l'italiano, ad esempio, i canali di scrittura telematica (sms, email, Twitter, ecc.), hanno portato un elemento di novità di portata storica: "per la prima volta, nella storia della lingua italiana, c'è una forma di scrittura, di lingua scritta, condivisa da una larghissima parte della popolazione" che ha sottratto l'italiano a una condizione "paradossale", quella di vivere quasi esclusivamente come lingua scritta, appannaggio, tuttavia, quasi esclusivo, di un'élite culturale, una condizione in cui, per secoli, la maggioranza della popolazione italiana è rimasta esclusa dalla comunicazione scritta, dapprima per l'imperante analfabetismo, poi per l'avvento e la preponderanza di mezzi di comunicazione di massa non-alfabetici, come la comunicazione telefonica o televisiva.

È poi lo stesso aspetto ludico a costituite uno dei pregi del linguaggio degli SMS: la familiarità con il "texting" tra i bambini, ad esempio, è legata al grado di alfabetizzazione raggiunto e alle abilità acquisite nella scrittura; non è possibile "giocare" con il linguaggio, le regole, le trasgressioni, le parole, le abbreviazioni, e raggiungere una competenza settoriale, se non si è conquistato un buon grado di confidenza con l'ordinaria comunicazione, se non si conosce, in particolare, lo "spelling" e il suono delle parole. Anzi, l'utilizzo di tale modalità di comunicazione è ritenuto uno strumento utile proprio ad affrontare i problemi di quei bambini che mostrano difficoltà nel livello di alfabetizzazione e di competenza linguistica.

Altro rischio avvertito è che la stringatezza del messaggio e soprattutto l'assenza di elementi accessori della comunicazione –pleonastici, formali e referenziali– assecondi un impoverimento della comunicazione.

Il linguaggio degli sms non si caratterizza unicamente per le scelte tecniche di abbreviazione, ma anche per una marcata connotazione linguistica, per quanto riguarda il registro impiegato, la varietà linguistica, la gergalità, gli artifici non verbali (in forma di particolari segni grafici) messi in campo nella comunicazione.

Da una serie caratteristiche molto varie, emerge, tuttavia, una connotazione di notevole coerenza e regolarità, suscettibile perfino di essere sottoposta a un'analisi stilistica tesa ad accertare l'autenticità della scrittura: questa strada è stata seguita in una vicenda giudiziaria che ha destato notevole interesse nell'ambito delle scienze forensi.

Il linguaggio degli SMS si è presto diffuso anche in ambiti diversi della comunicazione telematica, perfino laddove il suo uso non è giustificato dalle limitazioni di spazio imposte dal mezzo: ad esempio, è stato importato nelle chat di Internet, nonostante, in questo caso, si disponga normalmente di una tastiera completa, senza sottostare alle limitazioni di lunghezza e senza scontare quelle dovute al costo dei singoli messaggi.

Un uso simile, più o meno esteso, sempre in assenza di limitazioni estrinseche, lo si può occasionalmente incontrare nei blog, nei forum telematici, nelle e-mail. Spesso però, in tali ambienti virtuali, la libertà espressiva, grafica e ortografica dispiegabile dagli scriventi nel dominio comunicativo degli sms sono spesso deprecate, a causa alle limitazioni oggettive suggerite da più restrittive regole di etichetta (si tratta della cosiddetta netiquette, che si basa sulla vigenza informale di una serie regole di comportamento e di scrittura, a cui è normalmente richiesto di aderire e conformarsi quando si utilizzino tali ultimi mezzi di comunicazione).

L'espansione della sfera d'uso, lo ha fatto approdare anche ad altri ambiti della ordinaria produzione scritta, non solo nella comunicazione mediata da computer e gadget telefonici, ma anche nella scrittura su supporti, come la scrittura su muro, la tradizionale scrittura su carta, ecc.

Ne è nato, quindi, un vero e proprio fenomeno di costume, in cui spiccate connotazioni di gergo generazionale si fondono con spinte giovanili all'inventività e all'espressività, al gioco linguistico creativo, all'interno del perimetro costituito da un canone condiviso e in parte criptico e iniziatico, all'uso consapevole di regole comuni, incuranti di come queste regole condivise possano essere difformi e trasgressive rispetto alle ordinarie prescrizioni grammaticali e norme linguistiche.

L'infrazione dei canoni della scrittura (ortografia, punteggiatura, grammatica) ha dato luogo anche a forme negative di reazione, tanto che l'uso diffuso di questo stile di comunicazione incontra spesso remore e resistenze culturali. Esistono, in rete, iniziative che si proclamano come organizzazioni di lotta o di resistenza all'uso del linguaggio degli sms, percepito come dilagante: in area francofona, ad esempio, è stato costituito il Comité de lutte contre le langage sms et les fautes volontaires sur Internet (Comitato di lotta contro il linguaggio degli sms e gli errori volontari su Internet).

Nella letteratura scientifica prevalgono opinioni opposte, come quella espressa dal prof. Michele Cortelazzo, che vede nel fenomeno linguistico degli sms una rivitalizzazione della pratica scrittoria nell'universo giovanile, in una dimensione in cui l'immediatezza del risultato comunicativo fa premio sulla rinuncia apparente a ogni aspirazione poetica. In un altro caso, peraltro, ne sono state messe alla prova proprio le potenzialità come medium di espressione poetica mediante l'indizione di un apposito concorso, avvenuta in un ambito scolastico istituzionale. Lo stesso corpus standardizzato raccolto dall'Università cattolica di Lovanio contempla un «florilegio di messaggi deliziosi», in grado di dimostrare la capacità degli utenti di coniugare invenzione linguistica ed elaborazione poetica, pur nei limiti di brevità imposti dalla tecnologia e dalla prassi degli SMS.

L'uso delle abbreviazioni per velocizzare la digitazione è stato reso meno stringente con l'introduzione di algoritmi predittivi basati sulla frequenza d'uso del lessico, che cercano di indovinare il termine che si vuole digitare e, sostanzialmente, lo suggeriscono prima che si sia finito di comporlo interamente (dizionari T9). Allo stesso modo, esistono algoritmi che offrono un'ulteriore funzione che velocizza la digitazione senza l'uso di abbreviazioni, cercando di prevedere la parola successiva a quella appena digitata, proponendo più alternative.

Questi sistemi software semplificano notevolmente l'inserimento dell'ortografia completa, diminuendo il numero di pressioni sui tasti e, di conseguenza, riducendo il tempo necessario all'introduzione del testo. Ciò rende le abbreviazioni meno utili e anche più laboriose da usare perché, non essendo presenti nel dizionario della lingua locale del software, la loro digitazione entra in conflitto con il sistema T9 (l'incompatibilità può essere aggirata, semplicemente, disattivando la funzionalità T9 sul dispositivo mobile). Un altro sistema è aggiungere le abbreviazioni al dizionario del T9, in modo che quest'ultimo non le riconosca come errori. In caso il terminale subisca una completa re-inizializzazione (Factory restore), ad esempio a causa di una riparazione, le aggiunte andranno perse. Altrettanto succede quando si compra un nuovo terminale, poiché le modifiche al dizionario non sono importabili (tranne rarissime eccezioni).

Per contro, non tutte le parole possibili sono presenti nel dizionario caricato, e talvolta è necessario aggiungerne manualmente di nuove, o comporle all'istante attraverso la combinazione altre parole o spezzoni di esse (ad esempio, un avverbio come "manifestamente" potrebbe essere generato dall'unione di "mani", "festa" e "mente", tre parole certamente più frequenti e sicuramente presenti nei dizionari T9).

La diffusione del T9 è assai differenziata da paese a paese: ad esempio, è tanto presente in Italia quanto di scarso utilizzo nei paesi slavi.

In alcuni smartphone, la normale tastiera può essere temporaneamente commutata in una tastiera numerica con T9. Viste le potenzialità di tali terminali, questa funzione può sembrare inutile. In effetti ha l'unico scopo di rendere l'utilizzo all'utente che proviene da un terminale "classico", più "amichevole". Ad esempio, un utente anziano, abituato da anni al T9, potrà utilizzarlo senza l'ansia di commettere errori, fino a che non si sarà abituato alla tastiera standard.

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