domenica 25 settembre 2016

LA COSTELLAZIONE DI PEGASO



Il nome Pegaso deriva dal greco peghé, che significa sorgente: questo perché il mitico cavallo alato nacque in occidente dalla fonte dell'oceano. La sua nascita accadde subito dopo che Perseo uccise una delle tre sorelle Gorgoni, Medusa; l'eroe salì in sella al cavallo e corse verso l'Oriente. Durante il viaggio del ritorno a casa vide la bellissima Andromeda incatenata e offerta in sacrificio ad un mostro marino identificato con la costellazione della Balena, mandato da Poseidone per punire Cassiopea. Infatti la bellissima madre di Andromeda e moglie di Cefeo si vantava di essere più bella di tutte le Nereidi (figlie proprio del dio Poseidone) scatenando appunto la sua ira. Perseo salvò la fanciulla uccidendo il mostro e la portò con sé. Pegaso poi fu affidato a Bellerofonte che lo domò e lo cavalcò compiendo mille e mille imprese. Infine dopo la morte di Bellerofonte il cavallo salì in cielo a servire gli dei e fu posto come costellazione.

La costellazione del Pegaso è formata da 4 grandi stelle che ne costituiscono il corpo centrale con la caratteristica forma a quadrato e una testa ben definita
E’ una costellazione molto estesa nel cielo, ma nonostante questo riesce a non prendere parte del disco della Via Lattea (la nostra galassia), quindi sullo sfondo risulta abbastanza povera di stelle.
La stella più luminosa della costellazione del Pegaso si chiama Enif..il naso del Pegaso.. (è una supergigante rossa alla fine dei suoi giorni come tutte le stelle di colorazione rossa); poi abbiamo (sempre in ordine di luminosità) Scheat (un’altra gigante rossa); Markab (una gigante azzurra, quindi una stella giovane); Algenib (gigante azzurra anche lei) e per finire Matar (una gigante gialla – stessa età del Sole, ma di dimensioni maggiori).

Dall'Italia, il Quadrato di Pegaso si può ammirare quasi allo zenith verso la mezzanotte in estate avanzata, e in autunno nelle ore che precedono la mezzanotte.

Tra gli oggetti non stellari si segnala un oggetto catalogato da Messier, l'ammasso globulare M15, uno dei più densi conosciuti, che può essere osservato già con un binocolo, dal momento che ha una magnitudine complessiva di 6,4.

Una stella di notevole interesse è 51 Pegasi, dal momento che è la prima stella intorno alla quale si sia scoperto, nel 1995, un pianeta orbitante. Distante da noi 48 anni luce e di magnitudine apparente 5,49, la stella è visibile anche ad occhio nudo in condizioni di cieli tersi e bui. 51Pegasi è simile a Sole (una nana gialla), ma il pianeta sembra essere troppo grande per ospitare la vita, dal momento che ha una massa troppo grande, ed è troppo vicino al suo sole (e dunque verosimilmente troppo caldo).

Tra gli oggetti non stellari si segnala un oggetto catalogato da Messier, l'ammasso globulare M15, uno dei più densi conosciuti, che può essere osservato già con un binocolo, dal momento che ha una magnitudine complessiva di 6,4.

Tra le galassie, la galassia a spirale NGC7331, interessante perché sembra essere molto simile alla nostra Via Lattea. Dovrebbe essere composta all'incirca da 140 miliardi di stelle, ed è così che dovrebbe apparire la nostra galassia se vista da fuori. Dista da noi 50 milioni di anni-luce.



Nel Pegaso si può osservare (ma con strumenti sofisticati) un interessante gruppo di galassie, detto Quintetto di Stephan. Si tratta di un gruppo di galassie remote, quattro delle quali sono legate tra loro dalla forza di gravità, mentre la quinta si trova nella stessa zona soltanto per un gioco di prospettiva.
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venerdì 23 settembre 2016

LA COSTELLAZIONE DELLA GIRAFFA

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La Giraffa è una delle tante costellazioni che furono inventate in anni relativamente recenti, quando nel Medio Evo risorse la cultura astronomica ed insieme la grande impresa della navigazione del globo terrestre. Create però spesso anche per riempire dei vuoti tra le costellazioni più antiche, molte di esse fortunatamente scomparvero col tempo.
Tra i primi disegnatori di mappe celesti, poco noto fu Jacob Bartsch (o Bartschius) genero di Keplero, che nel 1624 compose un planisfero nel quale apparivano otto nuove costellazioni: la Giraffa, la Colomba di Noè, il Liocorno, il Rombo, la Mosca, la Tigre, il Giordano ed il Gallo.
Sono sopravvissute solo le prime quattro: le prime due vennero riprese da Hevelius che le riportò nel suo atlante dei 1690, Halley riprese la Colomba mentre il Lacaille chiamò nel 1752 il Rombo col nome di Reticolo romboidale, oggi Reticolo. Si noti che la piccola Mosca posta dal Bartsch sopra l'Ariete ricompare ancora nell'atlante di Bode e venne soppressa in seguito, nonostante che padre Secchi la riabilitasse un secolo fa. L'altra Mosca sopravvissuta è quella che appare sotto la Croce del Sud nell'Atlante del Bayer del 1603.

È indubbio che la disposizione delle stelle nella Giraffa, collegate opportunamente tra loro, riproduca abbastanza felicemente le fattezze dell'animale ma è altrettanto vero che un osservatore dei cielo può riconoscere tutto ciò che desidera o che gli suggeriscono certe disposizioni di un gruppo di stelle. Tra l'altro, nella Giraffa non v'è alcuna stella di magnitudine superiore alla quarta e l'animale viene definito appunto da una decina di stelle di quarta grandezza. Di esse, tre sole portano lettere greche, certamente non dovute al Bayer.
Appare perciò abbastanza difficile individuare in cielo una costellazione così poco appariscente: si può partire dall'alfa dell'Orsa Maggiore (la ruota posteriore settentrionale del Carro Grande) e collegarla idealmente con la Polare; lo stesso si faccia con Capella (l'alfa dell'Auriga) e l'alfa di Perseo. Tra queste quattro stelle è compresa praticamente tutta la Giraffa, con la testa tra le prime due, il collo che si snoda in direzione di Capella, verso la quale puntano le zampe anteriori, mentre quelle posteriori si dirigono verso la alfa del Perseo.

La costellazione occupa una regione buia e dimenticata (almeno dagli astrofili) del cielo boreale; in questa regione sono presenti solo alcune stelle di quarta e di quinta magnitudine, pertanto dalle aree urbane, dove la magnitudine limite è inferiore, l'area di cielo occupata dalla Giraffa appare come un grande spazio vuoto privo di stelle, uno dei più estesi dell'intera volta celeste. A ciò si aggiunge la presenza di molte nubi oscure che mascherano la scia luminosa della Via Lattea, che avrebbe dovuto lambire la parte meridionale della costellazione. Le stelle più luminose della Giraffa sono solo di quarta magnitudine e si trovano tutte sull'estremità meridionale, a contatto con la Via Lattea; le altre regioni sono occupate solo da stelle di quinta grandezza e più deboli.

A ulteriore testimonianza della scarsa attenzione dimostrata da popoli e studiosi per questa regione di cielo, nessuna delle stelle della costellazione porta un nome proprio e solo tre riportano la nomenclatura di Bayer.

La Giraffa si presenta circumpolare per intero fino alle latitudini medio-basse boreali, mentre la parte più settentrionale arriva fino a pochi gradi dal polo nord celeste; dall'emisfero australe è invece non osservabile per gran parte delle sue latitudini.

ß Camelopardalis è la stella più luminosa: si tratta di una supergigante gialla di magnitudine 4,03, posta alla distanza di quasi mille anni luce.
CS Camelopardalis è una stella supergigante blu debolmente variabile la cui magnitudine media è 4,21; la sua distanza è di oltre 4000 anni luce, trovandosi così all'esterno del nostra braccio di spirale.
a Camelopardalis è una supergigante blu di magnitudine 4,26; dista quasi 7000 anni luce e si trova sul Braccio di Perseo.
Nella vasta estensione della costellazione sono visibili un numero relativamente ristretto di stelle doppie di facile risoluzione.




11 Camelopardalis e 12 Camelopardalis formano una coppia di stelle dai colori contrastanti molto facile da risolvere anche con un binocolo, essendo separate da circa 3'; le componenti sono una azzurra e l'altra arancione.
HD 112014 è una coppia di stelle bianche visibili ad occhio nudo come un'unica stella; per poterle risolvere è necessario un piccolo telescopio.
HD 21769 è una stella al limite estremo della visibilità ad occhio nudo; un telescopio può risolverla in due componenti di sesta e di ottava grandezza, dove la primaria ha un colore bianco e la secondaria azzurro.

Le stelle variabili sono abbondanti, grazie anche alle grandi dimensioni della costellazione; qua sono riportate solo le più luminose.

Fra le tante Mireidi spicca la R Camelopardalis, che quando è al massimo della luminosità è di settima magnitudine, dunque alla portata di un binocolo; quando è al minimo è di quattordicesima. S Camelopardalis è molto simile, ma con escursioni più dirotte, mentre la V Camelopardalis scende al minimo fino alla sedicesima grandezza, diventando invisibile anche ad un telescopio piuttosto potente.

RX Camelopardalis è una variabile Cefeide che pulsa in quasi otto giorni fra la settima e l'ottava magnitudine.

Fra le variabili a eclisse spicca SV Camelopardalis, una binaria spettroscopica che in poche ore oscilla fra l'ottova e la nona grandezza.

La Giraffa poggia in parte sulla Via Lattea, ma il ramo in cui si trova appare come il più oscurato dell'intera volta celeste, al punto che anche in direzione dell'equatore galattico la caratteristica scia chiara è quasi del tutto assente; la causa dell'oscuramento sono i grandi banchi di polvere locali appartenenti al nostro braccio di spirale, il Braccio di Orione. Come conseguenza, anche il numero degli oggetti non stellari interni alla nostra galassia è scarso.

Fra gli ammassi aperti l'unico facilmente osservabile è NGC 1502, di settima magnitudine e formato da una cinquantina di stelle, visibile anche con un binocolo: si tratta di uno degli ammassi aperti più antichi che si conoscano. Un oggetto curioso è la Cascata di Kemble, un asterismo formato da una lunga sequenza di stelle dalla sesta alla nona magnitudine; non si tratta in realtà di un oggetto fisico, poiché le sue stelle si trovano a distanze diverse e appaiono allineate per un semplice effetto prospettico. In aggiunta a questi due oggetti vi è l'enigmatico Stock 23, situato sul confine con Cassiopea e considerato a volte un ammasso aperto e altre volte un semplice asterismo; si tratta di un oggetto piuttosto appariscente e formato da stelle di magnitudine 7 e 8, ben risolvibile anche con un binocolo.

Le polveri oscuranti rendono difficoltosa anche l'osservazione delle galassie, al punto che alcune di esse, anche a causa dello scarso interesse dedicato per quest'area di cielo fino al XX secolo, sono state scoperte sono in epoche relativamente recenti. Fra queste spicca IC 342, appartenente al Gruppo di galassie di Maffei 1, adiacente al nostro Gruppo Locale; la sua magnitudine, pari a 9,1, risente dell'oscuramento ad opera delle polveri galattiche. Un'altra galassia relativamente vicina e luminosa è NGC 2403: essa non risente dell'oscuramento poiché si trova lontana dalla scia della Via Lattea, sul confine con l'Orsa Maggiore; fa parte del gruppo di galassie a cui appartiene anche M81.

Nella costellazione della Giraffa sono note alcune stelle con un sistema planetario aventi un solo pianeta noto. HD 33564 b è un gigante gassoso molto denso con una massa minima di oltre nove volte quella di Giove, che ruota con un'orbita fortemente eccentrica attorno alla stella madre, attraversando pure la zona abitabile; anche HD 104985 b è un gigante gassoso, la cui massa è oltre sei volte quella di Giove.

Deve il suo nome ad un episodio biblico: per le nozze tra Isacco e Rebecca, la sposa raggiunse la cerimonia a Canaan in groppa ad una giraffa.
Altri storici sostengono che si tratti di un cammello ad aver portato Rebecca, fatto sta che a guardare la forma delle deboli stelle tutto si vede tranne una giraffa o un cammello.
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FIGLI E GUAI



.“Figli piccoli guai piccoli, figli grandi guai grandi” .

Per i piccoli la preoccupazione è se viene la febbre, o se cade si sbuccia un ginocchio, o all'asilo ha ricevuto un morso, o ha fame e piange.

Gli adolescenti credono di essere invincibili, inarrestabili, liberi e onnipotenti. La loro vita è come un foglio bianco e sono convinti di doverci scrivere sopra tutto il possibile come se non avessero tempo, e invece hanno tutto il tempo del mondo.

L’adolescenza è uno di quei momenti in cui, come genitori, veniamo inevitabilmente delusi dagli errori dei nostri figli, il momento in cui veniamo messi davanti alla realtà che non saranno mai come avevamo fantasticato che fossero, e quindi anche il momento in cui veniamo messi di fronte ai nostri errori e lo sconforto è sempre dietro l’angolo.



Ma è anche il momento in cui ci si rende conto del legame forte che ci unisce ai nostri figli, è il tempo in cui bisogna sostenere e accettare senza giudicare confidando in quello che si è seminato con le parole e con l’esempio, è il tempo di essere accoglienti e di tenere duro: è un’altra tappa che passerà, e in genere quella che si ricorda con maggiore nostalgia…

I grandi escono di notte, tornano alle 3/4 del mattino.

Sono tante le notti in cui i genitori si svegliano per assicurarsi che siano rientrati e dormano nei loro letti.



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mercoledì 21 settembre 2016

IL SALUTO ROMANO

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Etruschi e Romani si salutavano sollevando un braccio. Nell’arena, il saluto dei gladiatori verso l’imperatore e nelle parate militari il saluto dei legionari verso i generali consisteva nell’alzare il braccio destro teso, con il palmo della mano in avanti; nella vita di tutti i giorni, invece, i cives (cittadini) romani si salutavano alzando il braccio con la palma in avanti e il gomito piegato. Salve! o Ave accompagnato dal nome del conoscente (Ave Claudius! Ave Caesari) equivalevano al nostro “Ciao”!. Tra amici ci si chiedeva invece Quid agis?, equivalente al nostro “Come va?”.

Il saluto romano d'età contemporanea venne usato per la prima volta in Italia dai legionari fiumani di Gabriele D'Annunzio, consistendo nel presentare il pugnale sguainato. Esso si salda con la tradizione classica per la volontà fascista di rappresentare una continuità con Roma antica. Tra curiosità emerse nell'ultimo decennio vi è la riscoperta di Rex Curry, un ricercatore statunitense, che ha ricordato come un saluto codificato nello stesso modo fosse in uso negli Stati Uniti d'America per il saluto alla bandiera (Pledge of Allegiance) creato da Francis Bellamy nel 1892 e adottato nelle scuole degli Stati Uniti fin verso gli anni 1930. A causa della somiglianza tra il saluto di Bellamy e il saluto romano, il Presidente degli Stati Uniti Franklin Delano Roosevelt istituì al suo posto il gesto della mano sul cuore come saluto alla bandiera durante l'esecuzione dell'Inno nazionale (The Star-Spangled Banner). Questo avvenne quando il Congresso americano adottò ufficialmente il Codice per la Bandiera (United States Flag Code) il 22 giugno 1942.

Una variante del saluto romano fu adottata dal Fascismo: Benito Mussolini giudicò la stretta di mano occidentale un gesto troppo borghese e volendo nobilitare il regime, lo presentò in continuità con l’antica Roma. Perciò trasformò in “saluto fascista” quello che erroneamente riteneva essere il saluto quotidiano dei Romani: braccio teso a 135 gradi rispetto alla verticale del corpo, mano con dita tese e unite e palmo rivolto a terra.



Il 27 novembre 1925 una disposizione del governo fascista introdusse il saluto romano in tutte le amministrazioni civili del regno, mentre una successiva circolare ministeriale del 1926 lo rese obbligatorio pressoché ovunque, scuole incluse.

Negli stessi anni, in Germania il partito nazista, guidato da Hitler, adottò l’Hitlergrul (“saluto di Hitler”, in tedesco), una variante del saluto romano in cui si porta il braccio teso un po’ più in basso. Nei grandi raduni di folla, dopo l’ascesa di Hitler al potere (1933), il saluto nazista fu accompagnato dal grido corale Sieg Heil! (“Saluto alla vittoria”).

Secondo la comune opinione, questo saluto è derivato dalla cultura diffusa nell'Antica Roma. Tuttavia, la descrizione di un simile gesto è sconosciuta nella letteratura romana e mai menzionata dagli storici antichi. Nemmeno un esempio di arte Romana, che sia scultura, coniazione, o pittura, mostra un saluto di questo tipo. Il gesto di alzare il braccio destro nella cultura Romana o in altre antiche culture che si riscontrano nella letteratura e nell'arte pervenuteci avevano una funzione e un significato diverso e non sono mai identici alla standardizzazione moderna che conosciamo. La mano destra nell'antichità era comunemente usata simbolicamente per rendere onore, fedeltà, amicizia e lealtà. Ad esempio, Cicerone riporta che Ottaviano fece un giuramento a Giulio Cesare elevando e tendendo il braccio destro.

Il saluto romano fu adottato, negli anni 1930 e 1940, anche in numerosi altri Paesi governati da regimi analoghi a quello fascista e a quello nazista: si pensi, ad esempio, alla Spagna franchista o alla Grecia durante la dittatura di Metaxas. È interessante far notare che il saluto romano era in uso anche ben prima degli anni 1930: gli scout del CNGEI (Corpo Nazionale Giovani Esploratori Italiani) lo usavano come forma di italica distinzione, senza nulla avere a che fare con il fascismo, cartoline e quaderni della prima guerra mondiale, in vendita nelle aste, mostrano gli scout del GEI fare quel saluto senza possibili errori di interpretazione, braccio teso e dita della mano unite protese in avanti.

Nell'iconografia contemporanea, soprattutto cinematografica, queste forme di saluto sono in genere legate alle figure antagoniste.

Il significato originario del saluto romano era molteplice, prevalendo quello augurale, con il quale si voleva trasmettere un influsso benefico dal salutante al salutato (la stessa etimologia di "saluto" discende da salutem iuvare, augurare buona salute), ma può essere inteso anche come un gesto di pace per il fatto che si mostra il palmo della mano maestra vuoto e quindi inoffensivo. A quest'ultimo caso si potrebbe anche obiettare che nell'antica Roma la mano aperta simboleggiasse il gladio sguainato, e quindi un gesto chiaramente offensivo, come nella gestualità tipica degli eventi di gladiatura.

Corneliu Zelea Codreanu, guida del movimento fascista "Guardia di Ferro", attivo in Romania durante gli anni 1930 fino al suo assassinio, avvenuto nel 1938, spiegava in una delle sue opere principali destinata ai militanti del movimento che il saluto romano "è un saluto al cielo, alle altezze, e al sole, simbolo della vittoria della luce e del bene".

Oggi in Italia vige la Legge Scelba, emanata nel 1952 e successivamente modificata con la Legge Mancino del 1993, che vieta il saluto fascista; l’apologia di fascismo inoltre è un reato. In Germania il saluto nazista è un reato punibile con l’arresto.




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domenica 18 settembre 2016

CEFEO

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Cefeo è una delle costellazioni situata alle latitudini più settentrionali, si estende dai confini di Cassiopea fino al Polo Nord celeste. La sua forma è quella di un pentagono irregolare abbastanza allungato. 

Cefeo era il re d'Etiopia, una terra che all'epoca antica indicava il territorio compreso tra la Palestina ed il Mar Rosso; era il marito della vanitosa regina Cassiopea e il padre di Andromeda; i due personaggi figurano in cielo a formare le uniche due costellazioni celesti dedicate a un marito e a una moglie.

Secondo la mitologia, egli non ebbe figli maschi, e dopo la sua morte il titolo di re passò al nipote Perse, figlio di Andromeda e di Perseo, che la salvò dalle grinfie di un mostro marino (ricordato dalla costellazione della Balena) al quale era stata sacrificata come pegno per placare l'ira delle Nereidi, offese dalla vanità di Cassiopea.

E’ possibile che l’origine della costellazione di Cefeo risalga a tradizioni molto più antiche del pur antico mito greco, quando prima Alpha Cephei (21.000 a.C.) cioè Alderamin, e poi Gamma Cephei (19.000 a.C.) cioè Alrai, erano stella polare. In questo tempo indeterminato, Cefeo sarebbe stato re del potente regno d’India o di quello di Etiopia, oppure di entrambi. In Mesopotamia la costellazione venne identificata col re della città-stato di Babilonia, ed a sua volta considerato il figlio in terra di Bel, il dio Baal dell’Antico Testamento, nonché il sumero Enlil. Quest’ultima identificazione ci introduce al cuore del mito astrale di Cefeo. I Babilonesi dividevano infatti i cieli in tre “vie” dedicate alla trinità cosmica Ea, Enlil e Anu. Enlil si muoveva sulla strada interna, formata dalle stelle circumpolari settentrionali, dove appunto si trova la costellazione di Cefeo, che appare talvolta raffigurato in vesti regali e autoritarie a cavallo del polo celeste, cosa che ben si abbina ai tratti del dio dei cieli Enlil. Secondo il suo consueto trattamento dei miti, anche di Cefeo il poeta latino Manilio (I sec d.C.) offre una dettagliata interpretazione astologica, nella quale questo re a cavalcioni del polo è visto come una figura auto nomadi una certa importanza che incarna le sembianze del potere.
Nel mito greco il personaggio, padre amorevole di Andromeda, appare infatti come un uomo debole e passivo, dominato dai desideri della moglie Cassiopeia. Cefeo era figlio di Belo, uno dei due gemelli- l’altro era Agenore- che la ninfa Libia ebbe da Poseidone (Cefeo era quindi nipote del dio del mare), e di Anchinoe, figlia del dio del Nilo.
Forse nella parte finale della sua vicenda Cefeo non agisce con l’autorità che ci si aspetterebbe da un re, dal momento che per placare le ire degli dei, offrì la vita della figlia Andromeda, legandola ad uno scoglio in attesa del mostro (la Balena). Andromeda fu salvata da Perseo. La storia di queste persone è ora raccontata in cielo attraverso le costellazioni ad esse intitolate.; Il poeta Arato (III sec a.C.) ci offe la rappresentazione classica più diffusa definendolo “uomo che leva in alto le mani”: sicuramente in atto di supplica agli dèi affinché mettano fine alle devastazioni che Poseidone impone al paese per punire la superbia di Cassiopea.



Cepheus è facilmente localizzabile, compresa più o meno tra Cassiopea e l'Orsa Minore, con una estensione di 588 gradi quadrati e 60 stelle di magnitudine superiore alla sesta.
Data la sua posizione vicino la Stella del Nord, la costellazione Cepheus è circumpolare boreale e quindi è sempre visibiledal nostro emisfero: in tarda estate splende alta, mentre in inverno si trova bassa sull'orizzonte Nord.
Facile anche riconoscerla, data la sua forma a 'casetta', di quelle che si disegnavano da bambino. Il corpo della casetta è un quadrato un po' storto formato dalle stelle alfa (Alderamin), beta (Alphirk), iota e zeta. La punta del tetto, invece, è rappresentato da gamma. Partendo dalla stella zeta, è possibile disegnare un altro piccolo triangolino formato da, appunto, zeta, epsilon e delta (questa molto importante perché variabile utilizzata come candela standard).
Per il moto di precessione, tra poche migliaia di anni la stella che indica il Nord non sarà più la Polaris dell'Orsa Minore ma sarà la Gamma Cephei.

A parte la sua stella più brillante, Alderamin (Alpha Cep), la costellazione Cepheus si lascia apprezzare per un buon numero di ammassi aperti molto brillanti ed alcune galassie.
La nota più importante dal punto di vista astrofisico, tuttavia, è la presenza in Cepheus di Delta Cep, che rappresenta il prototipo di una classe di stelle variabili dette appunto Cefeidi: è una stella tripla, pulsante regolare, che viene utilizzata come metro per misurare la distanza delle altre variabili dello stesso tipo.


La leggenda che ha dato origine alla costellazione di Cassiopea, la collega strettamente a quelle di Andromeda, Cefeo, Perseo, Pegaso e Balena. 
Cassiopea, moglie di Cefeo re dell'antica Etiopia (il territorio si estendeva dalla riva sud-orientale del Mediterraneo fino al mar Rosso e comprendeva parte degli attuali Egitto, Giordania ed Israele), pensava che lei e sua figlia Andromeda fossero le più belle donne mai vissute. Andava anche dicendo che la figlia era talmente bella che neppure le Ninfe del Mare, le cinque Nereidi, potevano superarla in bellezza. La superbia della regina d'Etiopia giunse alle orecchie di Era e delle stesse Nereidi. La Nereide Amfitrite era moglie del dio del mare, Poseidone, e così, infuriate, si rivolsero a lui chiedendogli una terribile ed immediata punizione per l'oltraggio di Cassiopea. Poseidone scatenò contro il regno di Cefeo, a devastarne le coste, il mostro marino Tiamat (rappresentato tra le costellazioni dalla Balena). Il re d'Etiopia, vedendo il proprio reame in così grave pericolo, si rivolse ad un Oracolo, che gli disse che il solo modo per salvare l'Etiopia consisteva nel sacrificio di Andromeda, che doveva essere abbandonata alla furia del mostro marino. Col cuore in pezzi, e pieno di rancore verso la moglie, il re fu obbligato dal popolo ad accettare. Andromeda venne trascinata fino alle rocciose coste etiopiche e lì abbandonata al suo orribile destino: incatenata nuda su uno scoglio in riva al mare, attendeva ormai priva di ogni speranza di salvezza che il mostro arrivasse a sbranarla. E il mostro non si fece attendere. Ma il Fato volle che passasse di là l'eroe Perseo in groppa a Pegaso, di ritorno dalla missione dopo aver liberato il mondo sconfiggendo la terribile Medusa. Attaccò il mostro che riuscì a sconfiggere solo dopo vari tentativi, mostrando alla belva la testa di Medusa che, guardandola, lo tramutò in pietra. Così la fanciulla fu salva, e al ritorno a casa Cefeo, riconoscente, gliela diede in sposa. Ma il re aveva già promesso Andromeda al proprio fratello Fineo, che si presentò con numerosi seguaci alla festa nuziale di Perseo e Andromeda. Ancora una volta Perseo dimostrò il suo valore battendosi per il diritto di sposare la sua amata. Il banchetto si trasformò in una sanguinosa battaglia, in cui Perseo, con l'aiuto della testa di Medusa, massacrò Fineo e tutti i suoi seguaci. 
Perseo ebbe da Andromeda i figli Perse, Alceo, Elettrione, Stenelo e Gorgofona. Il figlio Perse rimase col nonno Cefeo mentre gli altri fecero ritorno con il padre Perseo in Grecia. Cefeo discendeva da una relazione fra Zeus e Io ma nella mitologia greca viene citato solo in quanto padre di Andromeda. Morì senza eredi maschi e il suo regno andò al nipote Perse. 
Gli dei posero in cielo le costellazioni raffiguranti ognuno dei protagonisti di questa storia. Cefeo e Andromeda sono raffigurati nelle costellazioni adiacenti a Cassiopea, ma la regina, come punizione, venne condannata a girare per sempre col suo trono intorno al Polo Nord, trovandosi a volte anche a testa in giù, posizione disdicevole per chi pecca di vanità. 


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LA COSTELLAZIONE DEL DRAGONE

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Al matrimonio di Zeus e Era ci fu una gara fra tutte le gerarchie divine nell'offrire alla coppia i doni più preziosi. La Terra non aveva voluto essere da meno e regalò degli alberi da frutto molto particolari: infatti ogni primavera sui loro rami nascevano delle mele d'oro. Questi alberi erano custoditi in un meraviglioso giardino affidato a quattro ninfe, le Esperidi, le quali avevano posto a guardia del cancello d'entrata un drago con cento teste. Ogni volta che qualcuno si avvicinava al giardino con l'intenzione di rubare i pomi, le teste del drago iniziavano a gridare con cento tonalità diverse facendo fuggire via anche il più coraggioso degli uomini. Ma una delle dodici fatiche date a Eracle da Euristeo chiedeva proprio di rubare quelle mele, ed Ercole grazie al consiglio di Prometeo di farsi aiutare da Atlante e grazie ad Atlante stesso, riuscì ad uccidere il drago e a rubare le mele. Infine Era pose il drago nel cielo nella costellazione del Dragone in modo che tutti potessero ricordarlo.

Con la coda posta tra i due "carri" e la testa sopra Ercole, questa costellazione è una delle più estese. Il drago è un mostro mitologico presente in molte culture arcaiche. Una particolarità delle stelle del Drago è che le sue stelle non tramontano mai e la costellazione occupa una posizione centrale rispetto alle costellazioni zodiacali. Queste due peculiarità hanno portato a vedere nei draghi il simbolo dell’eternità, della conoscenza e della vigilanza.

Nei miti greci il Drago compare nel ciclo delle imprese compiute da Eracle (Ercole), in particolare nell’undicesima fatica, con la quale Euristeo avevo imposto all’eroe di recuperare i frutti d'un particolare albero del giardino delle Esperidi. Il drago era posto a guardia dell'albero dalle mele d'oro che Era aveva avuto in dono dalla Terra, in occasione delle sue nozze con Zeus. In un primo momento la custodia del singolare albero fu affidata alle Esperidi, che però non esitarono a rubare alcuni dei preziosi frutti; esse, allora furono sostituite dal drago Ladone, dalle cento teste.
Per riuscire nella sua fatica, Ercole uccise il mostro con una delle sue frecce, avvelenata nel sangue dell'Idra. Gli Argonauti, passando da quelle parti poco dopo, trovarono il corpo del dragone ormai inerme, con la coda che, però, ancora si contorceva; le Esperidi piangevano la sua morte. Fu Era, moglie di Zeus, a portare l'immagine del suo guardiano alta nel cielo settentrionale.

Fra gli antichi sumeri la costellazione, assieme a quella dell’Idra e di Ercole era già nota. Nella figura di Ercole essi identificavano il dio Marduk che aveva affrontato il mostro Tiamat, smembrato poi nel Drago a nord e nell’Idra a sud. Questa potrebbe essere una delle tante allegorie della creazione del mondo dal caos primordiale.

Il Drago fu molto importante pure per la tradizione cinese, tanto da diventarne il simbolo nazionale.

La stella principale della costellazione Thuban, nel 2830 a.C. distava appena 10’ dal polo nord e il suo nome in arabo significa semplicemente "drago". La ß Draconis e chiamata Alwaid, da al awaid, la "madre cammella", o Rastaban, da al ras al thu’ban, "la testa del drago". Anche Draconis Eltanin deriva a sua volta il nome dal al ras al tinnin che significa "testa del drago" (come Rastaban).



La costellazione del Drago è una costellazione settentrionale, che parte dai pressi del Polo Nord e si insinua tra le due Orse.
La costellazione è stata di volta in volta vista come un serpente, un ippopotamo e, nell'antica India, un coccodrillo o un alligatore. La forma del Drago è invece originaria della Mesopotamia, dove compare come un dragone alato più grande dell'attuale quindi, avvolta a spirale verso il capo dell' Orsa Maggiore; nel VI secolo a.C. il filosofo, astronomo, matematico greco Talete tolse al drago le ali per formare l'Orsa Maggiore e da allora, non fu più volante.
Secondo un primo mito, il Drago rappresenta il dragone che divorò gli uomini del fondatore di Tebe, Cadmo, inviati al pozzo di Ares (Marte) a cercare acqua. Cadmo avrebbe poi ucciso il drago e seminato i suoi denti, dai quali sarebbero nati degli uomini armati, gli Sparti o "seminati", capostipiti dei Tebani.
Un altro mito narra di come, al matrimonio di Giove con Giunone, la Terra regalò alberi da frutto che ad ogni primavera facevano nascere mele d'oro. A custodia del giardino, vennero poste quattro ninfe, le Esperidi, le quali misero a guardia dei preziosi alberi un drago, Ladone, con cento teste, capace di parlere e di imitare ogni tipo di voce umana o verso animale.
Quando qualche malintenzionato si avvicinava al giardino, il drago iniziava ad urlare in cento tonalità differenti facendolo fuggire. Euristeo, assegnando le dodici fatiche ad Ercole, comprese proprio il furto di una delle mele, ed Ercole riuscì a superare anche questa prova grazie all'ausilio di Atlante, scagliando una freccia che colpì Ladone a morte.
Il drago fu così ucciso, ma per ricordarlo Era, profondamente turbata, lo pose in cielo come costellazione.
Ancora, si narra di come il dragone combattè insieme ai Titani nella guerra contro gli dèi dell' Olimpo. Erano poi trascorsi dieci anni di guerra, quando il dragone ingaggiò una battaglia contro la dea Atena (Minerva), che lo afferrò per la lunga coda e lo scagliò roteandolo in cielo. Mentre precipitava dall'alto il corpo del dragone si annodò, e si impigliò attorno al Polo Nord celeste. L'aria lassù era così gelida che la bestia si congelò in quella posizione contorta attorno al Polo.
Secondo un'interpretazione cinese, nel corso delle eclisse di Sole o di Luna , la luce viene inghiottita dal dragone celeste.
Anticamente la stella polare era Thuban, la stella alpha draconis, e tornerà ad esserlo intorno all'anno 26000 in conseguenza della precessione degli equinozi.
La figura del Drago conteneva il Polo Nord, ma anche il polo dell'eclittica. Già nella Mesopotamia il Drago era raffigurato come simbolo cardine: i termini 'testa del Drago' e 'coda del Drago' stanno proprio ad indicare i nodi ascendenti e discendenti del moto apparente del Sole.
Anche la Luna incrocia il moto apparente del Sole in due punti, e l'intervallo di tempo intercorrente viene detto 'Mese Draconico'.
Una eclissi di Sole o di Luna può avvenire soltanto quando Luna e Sole si trovano in prossimità della Testa o della Coda del Drago.

Individuare la costellazione del Drago non dovrebbe essere molto difficile a causa della sua enorme estensione, tuttavia mancando di punti di riferimento molto luminosi non è così intuitivo.
La parte più rintracciabile è il quadrilatero che forma la testa, tra Ercole ed Orsa Minore.
Il resto si estende tra le due Orse. Sempre visibile, la testa passa in meridiano a mezzanotte a metà del mese di giugno. A dicembre invece sarà quasi sull'orizzonte.

La costellazione non si lascia ammirare per qualcosa di particolare, risultando abbastanza 'spenta' sia per stelle interessanti sia per altri corpi celesti.
A parte le due stelle più luminose, Thuban (il nome deriva dalla parola araba a indicazione di tutta la costellazione) e Rastaban ("testa del serpente"), si segnala una doppia con compagne pressocché identiche, Arrakis.
Tra gli oggetti deep-sky, invece, c'è la Nebulosa del Gatto (NGC 6543) ed una galassia lenticolare (M102 o NGC 5866).



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domenica 11 settembre 2016

ORSA MINORE

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La costellazione dell'Orsa Minore è la più conosciuta nel nostro emisfero perché in questa è presente la "Stella Polare" che è oggi localizzata quasi esattamente sul polo nord, per questo è una stella molto utile alla navigazione. L'Orsa Minore differisce dalla Maggiore per dimensioni e per luminosità degli astri che la compongono, infatti la prima è più piccola, è costituita da stelle meno lucenti, ad eccezione della Stella Polare. Viene chiamata in diversi modi : Il Piccolo Carro, Il Piccolo Mestolo, mentre gli arabi vi identificano la bara di un eroe con una fila di persone piangenti. Si attribuisce la sua scoperta al greco Talete nel 600 a.C. circa.

L'Orsa Minore è anche visibile tutto l'anno grazie alla sua posizione sul Polo Nord, ma il suo momento di maggior splendore sono le ore 22.00 del giorno 13 giugno.

Polaris (la Stella Polare) è la stella più luminosa e più nota della costellazione; si tratta di una stella gialla di magnitudine 1,97. La Polare può essere trovata seguendo una linea che parte dalle due stelle posteriori dell'Orsa Maggiore e prolungandola di circa cinque volte la distanza fra loro. La stella è inoltre una variabile Cefeide, con oscillazioni minime; dista 431 anni luce.
ß Ursae Minoris (Kochab) è una stella di colore arancione, di magnitudine 2,07, che si trova in una posizione della costellazione opposta alla Stella Polare. La sua distanza è stimata sui 126 anni luce.
Pherkad è una stella bianca di magnitudine 3,00, variabile Delta Scuti distante 480 anni luce.
La costellazione contiene alcune stelle doppie:
Polaris è una brillante stella giallastra, che mostra una stellina biancastra a forti ingrandimenti, di nona magnitudine.
HD 139777 è formata da una stella di sesta e da una di ottava magnitudine, separate da circa 18" e dunque risolvibile anche con strumenti non molto potenti; entrambe le stelle sono giallastre.
Interessante la coppia formata dalle stelle Pherkad e 11 Ursae Minoris (nota anche come Pherkad Minor), di facile risoluzione anche con un binocolo o persino ad occhio nudo; le due componenti, una di terza e l'altra di quinta grandezza, mostrano colori contrastanti, essendo biancastra la prima e arancione la seconda.

Le stelle variabili della costellazione sono relativamente poche e molte sono pure poco luminose.

Fra le variabili irregolari spicca Pherkad, una probabile variabile Delta Scuti; molte sono invece le variabili Mireidi, fra le quali spiccano U Ursae Minoris e S Ursae Minoris, entrambe di settima magnitudine al massimo dello splendore e di tredicesima nella fase di minimo.



Non ci sono oggetti appartenenti alla Via Lattea, poiché il piano galattico passa distante dalla costellazione. Si possono dunque osservare solo galassie esterne, ma non ve n'è nessuna alla portata di piccoli strumenti. L'unico oggetto interessante è la Galassia Nana dell'Orsa Minore, una galassia nana ellittica che orbita come satellite attorno alla nostra Via Lattea.

Nell'Orsa Minore è presente la stella HD 150706, attorno alla quale orbita un gigante gassoso dalla massa minima pari a quella di Giove; la sua orbita è situata a circa 1 UA.

L'Orsa Minore non contiene oggetti come nebulose o galassie, ma le sue stelle forniscono un'indicazione per valutare la trasparenza del cielo: la stella Polare è facilmente riconoscibile in qualsiasi notte serena, ma le altre richiedono cieli più luminosi per essere viste. Solo nei cieli più puliti riusciamo a vedere l'intero Piccolo Carro.

Si pensa che questa costellazione sia stata definita per la prima volta nel 600 a.C., dall'astronomo greco Talete, ed è stata sempre usata come guida dai marinai. In tempi antichi, l'Orsa Minore era chiamata l'ala del Dragone, un nome ormai dimenticato. Per alcune culture l'Orsa Minore era il Buco in cui l'asse della terra era infilato.

Una prima interpretazione ci è stata tramandata dal greco Arato, che narrava che l'Orsa Minore ed Adrastea, l'Orsa Maggiore, furono le tutrici a cui Rea affidò il figlio Zeus. Questo, cresciuto e spodestato il padre, trasformò le nutrici in orse come segno di ringraziamento e le lanciò nel cielo. La lunghezza della coda è dovuta allo strattone che essa prese quando il dio le lanciò nel cielo.

Il secondo mito è quello secondo il quale Zeus innamoratosi di Callisto, una ninfa dei boschi, ebbe un figlio di nome Adrasto. Quando la notizia giunse alle orecchie di Era, la fece adirare molto. E così ella decise di vendicarsi della rivale trasformandola in un'orsa, l'Orsa Maggiore, e a questa si aggiunse Adrastro, che un giorno durante una battuta di caccia vide la madre, ma ignorando il suo nuovo aspetto, per difendersi, fece per scoccare una freccia. Zeus lo vide e lo trasformò spinto da un senso di pietà in un orso e decise di porli in cielo.


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ROBOT

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Il robot è una qualsiasi macchina in grado di svolgere più o meno indipendentemente un lavoro al posto dell'uomo e compiono determinate azioni in base ai comandi che gli vengono dati e alle sue funzioni, sia in base ad una supervisione diretta dell'uomo, sia autonomamente basandosi su linee guida generali, magari usando processi di intelligenza artificiale; questi compiti tipicamente dovrebbero essere eseguiti al fine di sostituire o coadiuvare l'uomo, come ad nella fabbricazione, costruzione, manipolazione di materiali pesanti e pericolosi, o in ambienti proibitivi o non compatibili con la condizione umana o semplicemente per liberare l'uomo da impegni.

Un robot così definito dovrebbe essere dotato di connessioni guidate dalla retroazione tra percezione e azione, e non dal controllo umano diretto. L'azione può prendere la forma di motori elettro-magnetici, o attuatori, che muovono un arto, aprono e chiudono una pinza, o fanno deambulare il robot. Il controllo passo-passo e la retroazione sono forniti da un programma che viene eseguito da un computer esterno o interno al robot, o da un microcontroller. In base a questa definizione, il concetto di robot può comprendere quasi tutti gli apparati automatizzati.

In alternativa, il termine robot viene usato per indicare un essere artificiale, un automa o androide, che replichi e somigli ad un animale (reale o immaginario) o ad un uomo. Il termine ha finito per essere applicato a molte macchine che sostituiscono direttamente un umano o un animale, nel lavoro o nel gioco. In questo modo, un robot può essere visto come un tentativo di biomimica. L'antropomorfismo è forse ciò che ci rende così riluttanti a riferirci a una moderna e complessa lavatrice, come a un robot. Comunque, nella comprensione moderna, il termine implica un grado di autonomia che escluderebbe molte macchine automatiche dal venire chiamate robot. Si tratta di una ricerca per robot sempre più autonomi, il che è il maggiore obiettivo della ricerca robotica e il motivo che guida gran parte del lavoro sull'intelligenza artificiale.

L'idea di persone artificiali risale almeno all'antica leggenda di Cadmo, che seppellì dei denti di drago che si trasformarono in soldati; e al mito di Pigmalione, la cui statua di Galatea prese vita. Nella mitologia classica, il deforme dio del metallo (Vulcano o Hephaestus) creò dei servi meccanici, che andavano dalle intelligenti damigelle dorate a più utilitaristici tavoli a tre gambe che potevano spostarsi di loro volontà. La leggenda ebraica ci parla del Golem, una statua di argilla, animata dalla magia cabalistica. Nell'estremo Nord canadese e nella Groenlandia occidentale, le leggende Inuit raccontano di Tupilaq (o Tupilak), che può essere creato da uno stregone per dare la caccia e uccidere un nemico. Usare un Tupilaq per questo scopo può essere un'arma a doppio taglio, in quanto una vittima abbastanza ferrata in stregoneria può fermare un Tupilaq e riprogrammarlo per cercare e distruggere il suo creatore.

Il primo progetto documentato di un robot umanoide venne fatto da Leonardo da Vinci attorno al 1495. Degli appunti di Da Vinci, riscoperti negli anni cinquanta, contengono disegni dettagliati per un cavaliere meccanico, che era apparentemente in grado di alzarsi in piedi, agitare le braccia e muovere testa e mascella. Il progetto era probabilmente basato sulle sue ricerche anatomiche registrate nell'Uomo vitruviano. Non si sa se tentò o meno di costruire il robot.

Il primo robot funzionante conosciuto venne creato nel 1738 da Jacques de Vaucanson, che fabbricò un androide che suonava il flauto, così come un'anatra meccanica che, secondo le testimonianze, mangiava e defecava. Nel racconto breve di E.T.A. Hoffmann L'uomo di sabbia (1817) compariva una donna meccanica a forma di bambola, nel racconto Storia filosofica dei secoli futuri (1860) Ippolito Nievo indicò l'invenzione dei robot (da lui chiamati 'omuncoli', 'uomini di seconda mano' o 'esseri ausiliari') come l'invenzione più notevole della storia dell'umanità, e in Steam Man of the Prairies (1865) Edward S. Ellis espresse l'affascinazione americana per l'industrializzazione. Giunse un'ondata di storie su automi umanoidi, che culminò nell'Uomo elettrico di Luis Senarens, nel 1885.

Una volta che la tecnologia avanzò al punto che la gente intravedeva delle creature meccaniche come qualcosa più che dei giocattoli, la risposta letteraria al concetto di robot rifletté le paure che gli esseri umani avrebbero potuto essere rimpiazzati dalle loro stesse creazioni. Frankenstein (1818), che viene spesso definito il primo romanzo di fantascienza, è divenuto un sinonimo di questa tematica. Quando il dramma di Capek, R.U.R., introdusse il concetto di una catena di montaggio operata da robot che costruivano altri robot, il tema prese delle sfumature politiche e filosofiche, ulteriormente disseminate da film classici come Metropolis (1927), il popolare Guerre stellari (1977), Blade Runner (1982) e Terminator (1984).

Nella introduzione al suo romanzo Abissi d'acciaio, Asimov ha detto di avere fatto in tale serie "Il primo uso della parola robotica nella storia del mondo, per quanto ne so."

I droni sono sistemi robotici che hanno avuto una grande diffusione, anche in ambito amatoriale.
I robot attualmente utilizzati sono di fatto dei sistemi ibridi complessi costituiti da vari sottosistemi quali computer (es. microcontrollori) ovvero da una parte hardware elettronica opportunamente programmata tramite software che regola o controlla una parte meccanica costituita da servomeccanismi per l'esecuzione dei compiti meccanici desiderati; esistono moltissime tipologie di Robot differenti sviluppate per assolvere i compiti più disparati. Ormai è larghissimo l'impiego dei robot nell'industria metalmeccanica (catene di montaggio) e non solo. Si possono catalogare i robot in due macro categorie: "autonomi" e "non autonomi".

I robot "non autonomi" sono i classici robot utilizzati per adempiere a specifici compiti che riescono ad assolvere in maniera più efficace dell'uomo; alcuni casi sono i robot utilizzati nelle fabbriche con l'enorme vantaggio di poter ottenere una produzione più precisa, veloce ed a costi ridotti senza utilizzo o con ridotta manodopera umana; oppure i robot utilizzati per lavorare in ambienti ostili (ad esempio su Marte) o con sostanze tossiche; questi robot sono detti "non autonomi" poiché sono guidati da un software deterministico che fa eseguire loro il lavoro in modo ripetitivo oppure sono direttamente pilotati dall'uomo.

Tra gli esempi di robot "non autonomi" gli ultimi esemplari introdotti nella catena di montaggio del modello Fiesta negli stabilimenti di Colonia in Germania della Casa automobilistica Ford. Già dall'agosto 2016 sono in fase di sperimentazione l'uso dei CO-BOTS robot collaborativi in grado di lavorare insieme agli operai della catena di montaggio.

I robot "autonomi" sono invece caratterizzati dal fatto che operano in totale autonomia ed indipendenza dall'intervento umano e sono in grado di prendere decisioni anche a fronte di eventi inaspettati. Questi Robot sono programmati solitamente con algoritmi che si rifanno a tecniche di intelligenza artificiale: algoritmi genetici, logica fuzzy, machine learning, reti neurali. I robot autonomi sono adatti a svolgere compiti in ambienti non noti a priori; tipicamente si tratta di robot mobili. Alcuni piccoli robot autonomi vengono utilizzati per il taglio dell'erba nei giardini e nelle pulizie domestiche: essi autonomamente decidono quando partire, dove tagliare/pulire e quando tornare alla base per ricaricarsi.

Robot di prima generazione: si definiscono così, i robot in grado semplicemente di eseguire sequenze prestabilite di operazioni indipendentemente dalla presenza o dall'intervento dell'uomo.
Robot di seconda generazione: questi robot hanno la capacità di costruire un'immagine (modello interno) del mondo esterno, di correggerla e perfezionarla continuamente. È in grado di scegliere la migliore strategia di controllo. Il robot di seconda generazione è in grado di finire ciò che gli è stato programmato malgrado la presenza di fenomeni di disturbo non prevedibili a priori.
Robot di terza generazione: hanno un'intelligenza artificiale. Questo robot è in grado di costruire nuovi algoritmi e di verificarne la coerenza da solo.

Uno dei primi automi in senso moderno a essere progettato fu disegnato nel XV secolo da Leonardo Da Vinci, che realizzò una sorta di androide meccanico, una corazza con all'interno un meccanismo che la faceva muovere come se contenesse un cavaliere.
Dal XVIII al XX secolo furono invece costruiti una serie eccezionale di automi, androidi e animali meccanici. Per esempio il francese Jacques de Vaucanson realizzò un musicista che riusciva a suonare con il flauto, oltre a una celebre anatra meccanica. Nel 1770 gli svizzeri Pierre Jaquet-Droz e suo figlio Henri-Louis costruirono tre bambole meccaniche, mentre nel XIX secolo i fratelli Maillardet, Jacques-Rodolphe, Henri e Jean David, realizzarono una serie di 'automi maghi' per i loro spettacoli, come d'altronde fece l'illusionista Jean Eugène Robert-Houdin, servendosi anche di meccanismi nascosti che simulavano un movimento automatico, ma che in realtà era prodotto da complici nascosti.
Nella maggior parte dei casi si trattava di giocattoli sofisticati, pensati più per divertire che per una loro utilità, anche se già nel 1801 Joseph-Marie Jacquard aveva inventato un telaio tessile meccanico controllato da schede perforate.

Invece, dopo la I Guerra mondiale gli automi cominciarono davvero a essere considerati come uno strumento per aiutare l'uomo nell'assolvere i suoi compiti più pesanti.
Proprio in quegli anni, infatti, l'americano Henry Ford costruiva la sua fabbrica in serie. Il modello T della sua automobile diventava una vettura alla portata di (quasi) tutte le tasche grazie alla catena di montaggio. Gli operai erano disposti su postazioni fisse ed eseguivano sempre i medesimi lavori.
Se un lavoratore deve compiere continuamente delle operazioni identiche, è abbastanza naturale pensare a delle macchine che riproducano quella specifica serie di movimenti.
In realtà non è facile progettare automi e bracci meccanici capaci di ripetere i movimenti dell'uomo. Comunque, già nel 1938 gli americani Willard Pollard e Harold Roselund progettarono per la società DeVilbiss un meccanismo programmabile che spruzzava vernice.
È sulla parola programmabile che si gioca la qualità di un automa. Infatti, anche un mulino riproduce alcune azioni meccaniche in modo ripetitivo, ma senza possibilità di modificarle. Al contrario, un automa e un robot deve poter essere messo in condizione di adattare le sue azioni a richieste che possono mutare nel tempo. Per questo motivo una tappa fondamentale fu, nel 1948, il testo di Norbert Wiener, un professore del Massachussetts Institute of Technology, che scrisse il suo Cybernetics, or Control and Communication in the Animal and the Machine. Nel volume si affrontava il problema della programmazione e del controllo dei sistemi elettronici e meccanici e anche biologici. Gli automi, quindi, erano concepiti come sistemi verso i quali occorre fornire delle informazioni, o dei dati, e dai quali si riottengono delle risposte.
La logica degli input-ingressi e degli output-uscite , è alla base anche dei computer; questi ultimi erano oramai una realtà da quando, nel 1946, John Mauchly e J Presper Eckert avevano costruito L'Eniac I, sigla di Electrical Numerical Integrator And Calculator , un 'mostro' da 30 tonnellate.
Nel 1951 in Francia, nell'ambito del programma per l'energia atomica, Raymond Goertz progettò un braccio automatico per manovrare il materiale radioattivo. Da quel momento, le ricerche sull'automazione e la robotica esplodono. Si comprende infatti che è quella la strada per migliorare la produttività industriale. Otto anni dopo Marvin Minsky e John McCarthy aprono il laboratorio di intelligenza artificiale al MIT. Nel 1962 General Motors adotta un automa, prodotto dalla società Unimation , per la sua catena di montaggio.
Nel 1973 viene prodotto dalla società Cincinnati Milacron il minicomputer T3, progettato per controllare i robot industriali.
Le braccia meccaniche si diffondono sempre di più, al punto tale che le sonde Viking 1 e 2, che raggiunsero Marte nel 1976, avevano a bordo uno di queste braccia per le loro operazioni di analisi.
Nasce la fabbrica robotizzata, anche tra le proteste degli operai che vedono molte volte messi in discussione e in pericolo i loro posti di lavoro. In realtà, si scopre che la presenza dell'uomo è sempre necessaria, anche se in misura ridotta, se non altro per sorvegliare il corretto funzionamento di tutte le macchine. I robot e gli automi si diffondono sempre di più: ora tagliano, saldano, pressano, imbullonano e verniciano. Carrelli automatici percorrono i corridoi delle fabbriche così come si muovono tra le corsie degli ospedali, magari portando il cibo ai pazienti o selezionando le medicine da somministrare. Si diffonde anche la telechirurgia: un robot guidato anche da migliaia di chilometri di distanza da un medico esegue su comando le operazioni richieste.


Automi sono usati come strumenti di compagnia, magari simulando il movimento e le fattezze di cani che possono essere educati dai padroni. Gli automi possono anche essere usati per sbrigare le faccende domestiche, muovendosi autonomamente per le stanze e passando magari l'aspirapolvere.
Non è difficile immaginare che tra qualche anno gli automi saranno usati per aiutare i disabili a svolgere alcune funzioni, così come già avviene oggi con l'uso dei computer per comunicare.
Gli automi si stanno rivelando anche utili strumenti per disinnescare bombe, scovare mine nascoste, e possono essere adibiti a compiti di sorveglianza.
Tra i settori nei quali sono stati ottenuti i migliori risultati, ancora una volta, spicca quello delle braccia artificiali. Questi strumenti meccanici hanno ormai raggiunto un'eccezionale precisione, e in questo settore si segnala anche la ricerca italiana.

Il termine robot e, successivamente, il termine robotica nascono nell'ambito della finzione letteraria. In un secondo tempo il Mercato adotta il termine robot per definire vari dispositivi tecnologici e il termine robotica per la disciplina tecnica che sta alla base del loro funzionamento. Così alcuni elettrodomestici che permettono di macinare il caffè, fare le frullate e la maionese sono stati denominati "robot per la cucina" da parte di alcuni accorti costruttori. Nell'immaginario collettivo il termine robot è veicolato da alcuni film e romanzi di fantascienza: sicuramente non si tratta di cloni, nè di esseri alla Frankenstein, o Golem, o replicanti, perchè di solito non contengono parti biologiche. Sono articolati come gli esoscheletri, i teleoperatori o le marionette, ma rispetto a questi esseri non hanno bisogno della presenza di umani per muoversi e agire. Costituiscono la versione moderna di automi e androidi di cui, spesso, sono sinonimi. Arnold Schwarzenegger nel film "Terminator" (1984) che essere artificiale è? Un robot, un cyborg, un replicante o un androide? Yul Brynner nel film "Il mondo dei robot" (1973) che tipo di robot è? Gli attori Schwarzenegger e Brynner interpretano nei film citati due esseri artificiali che riproducono le fattezze umane. Tali esseri, nella finzione filmica, hanno una struttura interna articolata fatta di metallo. Nel primo caso le fattezze umane sono ottenute con materiali biologici (pelle, muscoli e sangue), nel secondo caso con materiali non biologici (plastica, gomma e silicone). Senza rivestimento esterno simil-umano sarebbero degli scheletri fatti di metallo che, nell'immaginario collettivo, sono i classici robot di tipo antropomorfo (che hanno forma umana). Il robot - nel significato che viene veicolato dai romanzi e dai film di fantascienza - non ha ancora acquisito il diritto di comparire nei dizionari. Anzi, nei dizionari, si è volutamente semplificativi e drastici: "la robotica è un settore dell'intelligenza artificiale" oppure "i robot sono manipolatori meccanici". Una definizione ricorrente è la seguente: "un robot è una macchina (spesso costituita da una struttura articolata) autonoma e programmabile per eseguire compiti assegnati - svolti, in genere, da esseri umani". Sembra quasi che i robot nella loro accezione di esseri fantastici, prodotti della immaginazione di romanzieri e sceneggiatori, non siano ritenuti degni di apparire nei dizionari, a differenza di quello che è avvenuto per gnomi, fate ed elfi. Ciò è dovuto al fatto che il significato di robot industriale ha avuto il sopravvento.

D'altra parte il termine robot, per la prima volta nella storia dell'umanità, ha saldato il desiderio di costruire dei simulacri dell'essere umano al concetto di lavoro, di fatica e di rischio insito nel lavoro stesso. E' difficile individuare i motivi che hanno causato questa svolta epocale. E' innegabile che l'Ottocento, con l'avvento delle grandi ideologie, legate al capitalismo e al socialismo, avesse posto le premesse per una sensibilizzazione alle tematiche del lavoro. Inoltre, durante tutto il secolo, il dibattito sulla schiavitù fu al centro dell'attenzione non solo degli ambienti culturali più sofisticati, ma di ampi strati dell'opinione pubblica. Il panorama culturale doveva confrontarsi con il susseguirsi spasmodico delle varie fasi della rivoluzione industriale, delle nuove ideologie sociali-politiche e dell'approccio liberale nei confronti della schiavitù.

Qual è il confine tra macchina e robot, tra schiavo e robot, tra essere artificiale simil-umano e robot? Qual'è il filo sottile che unisce le caratteristiche di schiavitù, di corporeità simil-umana e di attitudine al lavoro per dare luogo a un robot? E' stato il drammaturgo Karel Capek che - per primo, nel 1920, dietro suggerimento del fratello Joseph - ha introdotto il termine robot per definire artefatti simil-umani impiegati per il lavoro: fino ad allora l'uso degli schiavi, lo sfruttamento di esseri umani bisognosi e pronti a vendersi per poter soddisfare i bisogni primari dell'esistenza era una prassi sociale incontrastata. Perchè costruire sofisticati e costosi automi per farli lavorare, quando i bambini erano disposti a lavorare nelle settecentesche miniere inglesi, dove ingegneri sensibili ai costi di costruzione progettavano gallerie troppo piccole per il passaggio degli adulti?

Nel clima socio-economico del primo Novecento è Capek che ha la prima intuizione di costruire esseri artificiali più economici dell'essere umano, ma in grado di eseguire gli stessi lavori. Gli esseri artificiali, secondo Capek, sono di tipo biologico. I loro progettisti (i Rossum dell'omonimo lavoro teatrale "RUR. Rossum's Universal Robots") erano stati in grado di inventare un protoplasma vivente artificiale che avrebbe modificato anche la struttura sociale.

L'idea di robot è molto variegata. Le varie concezioni di robot si muovono parallelamente e si intersecano, spesso condizionate dal paradigma tecnologico prevalente (meccanico, chimico elettrico, elettronico, informatico, biologico, biotecnologico) che contraddistingue un particolare periodo storico.

La fantascienza è stata pronta a recepire i nuovi paradigmi proposti dalla scienza e dalla tecnologia e ha proposto nella seconda metà del secolo XX alcune grandi famiglie di esseri artificiali: i robot di tipo meccanico con "cervello positronico" (termine inventato da Asimov), i cervelli umani con corpo artificiale (Robocop, il poliziotto dal corpo maciullato dalle raffiche di mitra dei banditi) e gli esseri costruiti con manipolazioni genetiche (X-men, Cybersix, Pokemon).

I robot di Asimov hanno un corpo meccanico e una struttura cerebrale (regolata dalle famose tre leggi della robotica a uso e consumo degli esseri umani) che sopiscono i timori indotti dai robot biologici simil-umani creati da Karel Capek (nel 1920). Robocop drammatizza, esasperandola, la tendenza a protesizzare l'essere umano, mentre in molti romanzi di fantascienza uomini di potere riescono a diventare eterni grazie a banche di organi forniti da sudditi volenti o nolenti. Negli ultimi decenni del Novecento alcune categorie di esseri artificiali presentano delle inquietanti sovrapposizioni tra gli esseri umani (modificati da sofisticate protesi tecnologiche e da farmaci) e i robot interfacciati con organismi biologici (per esempio: un piccolo robot commerciale controllato dal cervello di una lampreda).

Infine, occorre ricordare che nell'ultimo decennio del Novecento viene addirittura  creato un paradosso, ossia il robot virtuale, che, non avendo un corpo reale, potrebbe rendere improprio l'uso del termine robot, da sempre legato al concetto di corpo. Ma in una fase storica di tipo post-industriale - in cui il lavoro è anche di tipo immateriale - il robot virtuale è un essere costruito dall'uomo per lavorare in un ambiente puramente informatico. I robot virtuali (denominati originariamente robot spyder) vivono nelle reti informatiche affamati di informazioni e si rivelano lavoratori instancabili alla base dei motori di ricerca di Internet. Il robot virtuale e il virus informatico ripropongono la consueta dicotomia tra esseri artificiali buoni e cattivi.

Mark Vale (l'ingegnere inglese che nel 1946 progettò il primo robot industriale, che verrà poi classificato come un pick and place robot), George C. Devol (che nel 1954 brevettò, negli Usa, un Program Controlled Article Transfer) e Joseph F. Engelberger (fondatore della Unimation Inc., la prima grande compagnia di robot industriali, che già nel 1964 aveva venduto trenta robot) sono considerati i padri fondatori della robotica industriale.

A partire dagli anni Sessanta la storia dei robot subisce i condizionamenti delle politiche di ricerca e sviluppo. Le agenzie preposte alla concessione di fondi pubblici e privati pretendono precisi riscontri e non l'inseguimento di sogni. La bionica, intesa come disciplina che cerca di imitare strutture viventi, gode di un breve momento di gloria, alimentato dai finanziamenti generosamente elargiti dai militari. Poi, l'impiego del termine bionica in fortunate serie televisive ne scoraggia l'impiego in ambienti tecnico-scientifici dove bisogna giustificare al committente l'impiego dei fondi destinati alla ricerca. Per quanto concerne le politiche di finanziamento di ricerca e sviluppo, sono state le intrinseche potenzialità tecnologiche dei robot nel settore dell'industria manifatturiera a determinare i tempi e i ritmi di evoluzione.

L'idea prevalente negli anni Settanta era quella di far evolvere robotica industriale e intelligenza artificiale separatamente. Qualche demiurgo scienziato sarebbe poi riuscito a operare la sintesi. L'intelligenza artificiale non è mai stata l'intelligenza alla base del comportamento di un robot, inteso come un organismo dotato di vita artificiale. L'intelligenza artificiale, all'origine, aveva preferito porsi l'obiettivo di ricreare in macchine informatiche le prestazioni delle capacità intellettive più elevate dell'essere umano.

La robotica industriale sembra rientrare ragionevolmente nell'ambito delle tematiche di high-tech piuttosto che in quelle proprie della scienza. Nondimeno, la robotica industriale, che si può identificare con i manipolatori meccanici più o meno intelligenti, è riuscita nell'arco di due decenni ad assumere un suo proprio statuto disciplinare, sia sul versante industriale sia su quello accademico.

Ancora all'inizio degli anni Ottanta, i robot erano considerati il simbolo della futura "fabbrica senza uomini", dove molti problemi di produttività avrebbero trovato morbide ed efficienti soluzioni. L'acme di questa ideologia si ebbe nel biennio 1984-85, quando venne raggiunto, sul mercato USA, il picco più alto nel numero di ordinazioni di nuovi robot. Nell'inconscio collettivo la robotica industriale divenne sinonimo di robotica, operando una netta cesura rispetto alle connotazioni della fantascienza. Il New York Times Index iniziò a citare insieme i termini robotica, automazione e fabbrica automatica.

Ma i manager delle imprese industriali, a metà degli anni Ottanta, dopo i primi iniziali entusiasmi si resero conto che il processo di robotizzazione di un impianto non poteva esaurirsi nella semplice sostituzione di un robot per ogni operaio, senza modificare l'intera organizzazione del lavoro e la catena di montaggio: non si trattava di far uscire un operaio e far entrare al suo posto un robot, si trattava di progettare ex novo l'intero processo manifatturiero.

Nel 1985 per J. Michael Brady "la robotica avrebbe dovuto essere l'intelligente collegamento della percezione con l'azione", anche se a quell'epoca "la robotica era considerata semplicemente come la connessione di percezione con azione attraverso il calcolatore". L'intelligenza al robot deve venire fornita dalle tecniche e dalle metodologie dell'intelligenza artificiale. La percezione è basata sulla capacità di vedere, di sentire tattilmente e sulla possibilità di conoscere in ogni istante il proprio corpo (propriocezione: complesso delle informazioni relative allo stato interno degli organi di un corpo). L'azione è fornita da organi meccanici in grado di eseguire dei compiti di manipolazione (più in generale, di agire su oggetti) oppure di permettere al robot di spostarsi. Per esempio, il robot può essere costituito da un manipolatore meccanico, da un sistema di locomozione meccanica (veicolo a ruote, a cingoli, a gambe o a zampe) o dall'integrazione tra un sistema di manipolazione e di locomozione.

E' indubbio che i grandi successi della robotica industriale negli anni Settanta e Ottanta abbiano condizionato le ricerche nel settore dei "corpi" da fornire alle macchine intelligenti. Si può ragionevolmente ritenere che il diminuito interesse, in quel periodo, verso la bionica e la cibernetica, non fosse da ascriversi solo al pudore (o vergogna) di ricercatori e agenzie di finanziamento di usare termini ormai dominio dei serial televisivi di fantascienza. L'emergere prepotente della robotica industriale tendeva a incorporare in tale settore tutta la robotica e le discipline a essa collegate. Solo quando, all'inizio degli anni Ottanta, la robotica industriale diventò una disciplina assestata e altamente strutturata, con i suoi propri corsi universitari e i relativi manuali, si aprirono oggettivi orizzonti ai robot, differenti e anomali rispetto al loro ambiente tradizionale, ossia la fabbrica.

Il robot industriale non può avere vita propria, ma deve adattarsi alle regole della fabbrica. Così l'intelligenza artificiale deve limitarsi alla simulazione delle attività intellettuali più sofisticate dell'essere umano, perchè in esse risiede la possibilità di costruire pacchetti applicativi in grado di sostituire gli esperti umani. Il luogo di lavoro del robot industriale è la fabbrica; le applicazioni più redditizie dell'intelligenza artificiale sono le banche e le istituzioni burocratico-amministrative.

L'intelligenza artificiale aveva scelto di svincolarsi dal confronto reale con l'ambiente circostante. Anzi, in analisi critiche sull'intelligenza artificiale, si osserva che il momento di stallo, in cui si è trovata la disciplina, avrebbe potuto essere imputabile alla difficoltà di gestire - secondo le classiche metodologie - alcuni tra i temi centrali dell'interazione di forme viventi con l'ambiente: per esempio, l'apprendimento e la rappresentazione del mondo esterno.

Il ritorno alle origini (ossia ai primi maldestri tentativi della cibernetica), che caratterizza l'attività in molti laboratori di robotica in questo inizio del XXI secolo, assume sempre più la connotazione di un ritorno allo studio del comportamento degli organismi piuttosto che allo studio di attività cognitive superiori.

Negli USA, all'inizio degli anni Novanta si era verificata una contrazione delle vendite che si erano collocate sulle 5.000 unità vendute all'anno: il parco di robot industriali era nel 1997 di 70.000 unità. Poi nel 1998 sono stati venduti circa 11.000 robot, nel 1999 circa 12.000; nel 2000 il parco totale di robot negli USA ammontava a circa 100.000 unità (il 15% del parco mondiale dei robot installati, di cui il 50% giapponesi)..

E' indubbio che la diffusione dei robot sia fortemente condizionata dai tassi di sviluppo dell'economia nelle nazioni più industrializzate, dalla disponibilità di manodopera, dalle politiche di localizzazione e de-localizzazione industriale. Con le correnti migratorie in atto, forse un aiuto domestico proveniente da un paese in via di sviluppo è ancora più economico, flessibile, efficiente e portatore di valori culturali ed emotivi nettamente superiori a quelli di un sofisticatissmo robot.

All'inizio del terzo millennio accanto al mito meccatronico del robot si stanno delineando altre strutture legate al tema della costruzione di esseri artificiali: il robot software che opera nella rete Internet, il microrobot e il nanorobot destinati a lavorare all'interno del corpo umano o di altri organismi (biologici o non) e, infine, il robot costruito anche con componenti di natura biologica.

Lo sviluppo della linea meccatronica è integrata da nuovi finanziamenti per strutture antropomorfiche da impiegarsi nei settori dell'intrattenimento, dei parchi di divertimento, della pubblicità e della produzione cinematografica e televisiva.

Il robot con fattezze umane è maggiormente facilitato ad apprendere, a costruirsi una coscienza paragonabile a quella degli esseri umani. Oltre al campo della intelligenza artificiale, oggetto di molti sforzi nella seconda metà del secolo scorso, si potrebbe delineare un nuovo campo: lo studio della coscienza artificiale attraverso la costruzione di robot coscienti. Alcuni ricercatori, tra cui il premio Nobel Gerald M. Edelman, ritengono che la costruzione di esseri artificiali potrà rivelarsi utile per comprendere il mondo della mente degli umani. Scrivono Gerald Edelman e Giulio Tononi: "Anche se è remoto il giorno in cui sapremo creare artefatti coscienti, dovremo costruirli prima di comprendere a fondo i processi del pensiero stesso".

Nel momento in cui policy makers, futurologi e capitali di rischio auspicano una "età della biologia", è comprensibile che film, romanzi e fumetti vengano animati da simulacri biologici dell'essere umano. Le suggestioni provenienti dai settori della clonazione, dello studio del genoma umano, dei trapianti e della costruzione di materiale biologico (pelle artificiale, tessuto osseo e materiale epatico) alimentano scenari in cui da una parte si affrontano i problemi etici che comportano gli impieghi di tali tecnologie nell'essere umano e dall'altra le implicazioni derivanti dalla costruzione di esseri artificiali a sfondo biologico.

Nel settore della ricerca sugli esseri artificiali non esiste alcun rifiuto aprioristico di utilizzare materiali di natura organica, anche se esiste, per motivi etici, una netta preclusione a esperire la strada biologica, alla Capek, nella costruzione di esseri artificiali. I tentativi come quello di innestare le antenne di una falena maschio su un minirobot - al fine di creare un robot biologizzato indotto a seguire la scia di una falena femmina - sono episodi isolati e marginali nella cultura prevalente della robotica avanzata. L'innesto di segmenti biologici in strutture non biologiche dà luogo a organismi destinati a degradare nel giro di poche ore, o al massimo di pochi giorni; a meno che non si proceda a tenere in vita la parte biologica innestata. D'altra parte il robot biologizzato può venire considerato la controparte dei ciber-insetti, o dei ciber-animali (o ciber-bestie), in cui a organismi biologici (quali pesci o scarafaggi) vengono interfacciati dei dispositivi non biologici in una sorta di "cyborg non umani". Negli anni Sessanta un neuroscienziato, Delgado, aveva avuto l'onore delle prime pagine dei quotidiani internazionali perchè riusciva a far crollare, a comando, un toro impegnato a caricare nell'arena.

Tuttavia, oggi, la la bioingegneria, la neuroingegneria e l'ingegneria proteica si propongono come potenziali candidate a offrire nuove basi tecnologiche agli automi del futuro. Nuove generazioni di visionari costruttori di automi si stanno affacciando alla ribalta con nuovi bagagli culturali ma con il sogno di sempre: essere i creatori di macchine in grado di muoversi, percepire, agire e comportarsi come esseri viventi, al servizio di committenti sempre più sofisticati, esigenti e smaliziati.



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