martedì 30 agosto 2016

LE COSTELLAZIONI

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Nel corso delle 24 ore, tutte le costellazioni visibili da una certa zona (ad esempio dall'Italia) compiono un giro completo intorno ad un punto fisso che è rappresentato dal Polo nord celeste (dove si trova la stella polare). Quindi, se non ci fosse il Sole, tutte le costellazioni visibili si potrebbero osservare, anche se ad orari diversi, in un qualunque giorno dell'anno.
Il problema però è che nel corso dell'anno il Sole si sposta compiendo un percorso apparente lungo l'eclittica, rendendo invisibili via via porzioni del cielo diverse.
Le costellazioni zodiacali, essendo attraversate dal Sole nel suo percorso, sono dunque visibili soltanto in certi periodi dell'anno, cioè nei periodi in cui il Sole non le attraversa e le lascia visibili di notte.
Il momento migliore per osservare una costellazione sarà, all'interno del periodo in cui essa è visibile, il momento in cui essa culmina, cioè raggiunge il suo punto più alto sull'orizzonte. Poiché il Sole culmina verso mezzogiorno (verso l'una quando c'è l'ora legale), una costellazione culminerà verso la mezzanotte circa sei mesi dopo essere stata attraversata dal Sole.

Nel periodo in cui una costellazione culmina verso la mezzanotte, sarà visibile in quell'ora a sud; prima di mezzanotte sarà visibile verso est, e dopo la mezzanotte verso ovest.
L'unica eccezione è rappresentata dalle costellazioni circumpolari (Orsa Maggiore, Orsa Minore e Cassiopea), per osservare le quali è necessario guardare verso nord, anziché verso sud.

Le costellazioni circumpolari sono quelle visibili qualsiasi notte dell'anno (condizioni meteorologiche e inquinamento luminoso permettendo), infatti non tramontano mai perché sono situate attorno al polo nord celeste. Durante la notte esse si limitano a girare attorno alla Stella Polare senza mai scendere sotto l'orizzonte. Queste costellazioni sono l'Orsa Minore e Maggiore, Cassiopea, Cefeo, Dragone e Giraffa.

La costellazione più famosa è sicuramente l'Orsa Maggiore, nota anche come Grande Carro per la forma caratteristica della sua parte principale, che ricorda appunto un carro: notiamo facilmente nel cielo quattro stelle agli angoli di un ipotetico rettangolo che ne formano il corpo centrale, ed altre tre disposte in curva a partire da un vertice che ne costituiscono il timone.

Attualmente le costellazioni ufficiali sono 88 e più della metà di esse ci sono state tramandate dall'astronomo greco Tolomeo (100 d.C. circa – 175 circa d.C.), che raccogliendo le testimonianze e gli studi precedenti, ne elencava 38 nel suo Almagesto.



Le costellazioni visibili dalle latitudini settentrionali sono basate principalmente su quelle della tradizione dell'Antica Grecia, e i loro nomi richiamano figure mitologiche come Pegaso o Ercole; quelle visibili dall'emisfero australe sono state invece battezzate in età illuministica, XVIII secolo, ed i loro nomi sono spesso legati ad invenzioni del tempo, come l'Orologio o il Microscopio.
Le costellazione sono nate come indicatori naturali dello scorrere del tempo, con il sole di giorno e la luna di notte;
come punti di riferimento per orientarsi per terra e per mare, attraverso il posizionarsi periodico dei corpi celesti;
come segnalatori, in campo agricolo, dei momenti più propizi per la semina, la raccolta od altri importanti aspetti della vita quotidiana;
le stelle, quali luci naturali, in un cielo buio, simbolo di tutto ciò che trascende la realtà umana, venivano in maniera illusoria identificate con la divinità, posta per così dire a protezione delle sorti dell’uomo.

I raggruppamenti così formati sono delle entità esclusivamente prospettiche infatti:
nello spazio tridimensionale le stelle che formano una stessa costellazione possono essere separate anche da distanze enormi, così come diverse possono essere le dimensioni e la luminosità;
durante un ipotetico viaggio interstellare non riusciremmo più ad identificare alcuna costellazione, e ogni sosta vicino a qualunque stella ce ne farebbe identificare semmai di nuove, visibili solo da tale nuova prospettiva.
nel corso del tempo sono state definite costellazioni differenti, alcune sono state aggiunte, altre sono state unite tra di loro.



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ORSA MAGGIORE

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L'identificazione delle 7 stelle principali con la figura di un orso è presente in diverse e distanti civiltà e, non avendo questo insieme di stelle alcuna particolare somiglianza con l'animale, una convergenza culturale casuale è altamente improbabile. Gli abitanti del Nord America condividevano questo mito prima dell'arrivo dei colonizzatori europei, probabilmente portato con sé dai primi esseri umani che colonizzarono il continente 14.000 anni fa. Molti studiosi considerano comunque questo mito ancora più antico, retrodatabile all'Europa di trentamila anni fa, quando, come diversi ritrovamenti testimoniano, era diffuso un culto dell'orso.

È sempre stata una delle costellazioni più conosciute, menzionata da poeti come Omero, Edmund Spenser, Shakespeare, Leopardi e Alfred Tennyson. Si trova inoltre nell'epica finnica Kalevala, ed è stata dipinta da Vincent van Gogh.

L'Orsa Maggiore, cara al poeta Gabriele d'Annunzio, è raffigurata nell'emblema della Reggenza Italiana del Carnaro e nello stemma della Provincia di Fiume

Nella mitologia classica, una delle compagne di Artemide, Callisto, perse la sua verginità con Zeus, che si era avvicinato sotto le spoglie della stessa Artemide.

Arrabbiata, Hera la trasformò in un orso. Il figlio di Callisto, Arcas, quasi uccise la madre mentre stava cacciando, ma Zeus e Artemide lo fermarono e posero entrambi in cielo, come l'Orsa Maggiore e l'Orsa Minore.

Hera non era contenta del fatto che fossero stati assunti in cielo, e perciò chiese aiuto a Teti. Questa, una dea marina, rivolse alle costellazioni una maledizione perché esse fossero costrette a girare per sempre in tondo nel cielo, e a non riposarsi mai sotto l'orizzonte, spiegando così il fatto che queste costellazioni sono circumpolari.

Una variante del mito è riportata dal poeta ellenistico Arato di Soli nel proemio dei Fenomeni: le due orse celesti sarebbero le orse che tennero in salvo Zeus bambino in una grotta per nasconderlo al padre Crono che desiderava ingoiarlo come aveva fatto coi suoi fratelli.

Al contrario, i Tuareg, che non conoscono orsi, vedono in essa una cammella, il cui collo si prolunga fino a raggiungere Arturo (che è compreso anch'esso nella costellazione). Questa cammella rappresenterebbe l'esito della trasformazione della mitica cammella Fakrou, uccisa da degli empi. L'Orsa Minore sarebbe invece un piccolo di cammello, tenuto legato ad un picchetto intorno al quale continuerebbe a girare (la stella Polare).

Da questa costellazione deriva inoltre il termine Settentrione, in quanto per i romani l'attuale costellazione dell'Ursa Major era anche nota come "dei Septem Triones" (sette buoi da tiro), da cui il termine per indicare il Nord.

L'Orsa Maggiore viene citata continuamente in diverse versioni del manga e anime (nonché nei numerosi seguiti) Ken il Guerriero (il titolo originale giapponese è Hokuto no Ken, Colpo del Grande Carro/Orsa Maggiore poi riadattato in Colpo della Stella del Nord), in cui è simbolo della misteriosa arte marziale Hokuto Shinken; inoltre il protagonista Kenshiro porta sul corpo sette cicatrici disposte nella forma del Grande Carro; Kaiou dell'Hokuto Ryuken porta una voglia dalla forma identica su una tempia; nel prequel Ken il guerriero: le origini del mito il neonato Kenshiro ha la stessa voglia, come pure Kenshiro Kasumi senior (protagonista dell'opera e fratello maggiore di Ryuken, il maestro di Kenshiro junior).

Regolarmente le sette stelle del Carro vengono mostrate in cielo, a volte assieme ad Alcor a cui viene attribuito il nome "stella del presagio di Morte", o semplicemente "stella della Morte" (chi la vede è destinato a morire entro l'anno in corso; Toki, Rei, Mamiya e Raoul la vedono in momenti diversi della storia). Da notare che il nome Hokuto (nome giapponese del Grande Carro) è adattato nel titolo inglese come "stella del Nord" (si tenga presente che in Giapponese non si può distinguere il singolare dal plurale senza inserire le parole nel contesto della frase) che sembra alludere alla stella Polare, il che ovviamente crea molta confusione.

La costellazione appare anche in un altro manga e anime: I Cavalieri dello Zodiaco dove viene indicata come "Bear" (in inglese "orso") ed è il simbolo di uno dei personaggi minori della storia. Nella versione animata, inoltre, le sette stelle del Carro sono gli astri protettori dei God Warrior di Odino (i Cavalieri di Asgard), oltre ad un guerriero ombra associato alla stella Alcor, guardiano del guerriero della stella Mizar (nell'edizione italiana dell'anime i due personaggi sono chiamati proprio Mizar e Alcor).


L'Orsa Maggiore è la costellazione più facilmente riconoscibile dell'emisfero boreale.

Le sue sette stelle principali formano il Gran Carro, al quale vennero date molte interpretazioni.

I romani le chiamarono i "Septem Triones", i sette buoi dei quali è guardiano Boote. Di qui la parola "settentrione" per indicare il nord.

Gli Egiziani vi videro un ippopotamo, i Galli un cinghiale mentre per gli Arabi esse rappresentavano un feretro e gli inglesi la chiamano "la casseruola".

Tutti i nomi delle sette stelle derivano dall'arabo: l'alfa è Dubhe (il dorso del grande orso), la beta è Mérak (le reni del grande orso), la gamma è Fegda (la coscia), la delta è Megrez (la radice della coda), la epsilon è Alioth (cavallo nero). Mérak era Erice per i greci, dal nome della città della ninfa Callisto d'Arcadia.



Ma la stella più interessante dell'Orsa Maggiore è Mizar, posta al centro del timone (Zeta Ursae Majoris). Intorno al suo nome è nata un'intricata storia. Gli arabi la chiamavano Mérak, come la beta, parola che significa "rene" o "lombo", poiché i lombi dell'orsa sono due.

Mizar fu ribattezzata nel sedicesimo secolo da Giuseppe Scaligero, la scelta di questo nome è tuttavia misteriosa in quanto "mizar" significa "cintura di stoffa" o "grembiule".

Mizar presenta anche un'altra caratteristica, accanto ad essa (12') si può scorgere una stella di quarta magnitudine, chiamata Alcor (piccolo cavaliere).

Stranamente gli antichi non la citano; il primo a ricordarla, nel 950 d.C., è il persiano Al-Sufi, che la indicò come un test di buona acutezza visiva.

La Stella Polare può essere trovata disegnando una linea tra Dubhe e Merak, all'estremo del Gran Carro, e prolungandola di cinque volte. Altre stelle come Arturo (a Boötis) e Spica (a Virginis) possono essere trovate prolungando invece il lato lungo.

Nel 1869, Richard. A. Proctor notò che, eccetto per Dubhe e Alkaid, le stelle del Gran Carro hanno tutte lo stesso moto proprio, che le porta verso un punto comune del Sagittario. Questo gruppo, noto ora come Associazione dell'Orsa Maggiore (Cr 285), del quale sono stati identificati alcuni altri membri, formava in passato un ammasso aperto.

Da allora le stelle dell'ammasso si sono disperse in una regione di circa 30 per 18 anni luce, posta a circa 75 anni luce di distanza, che è quindi il più vicino oggetto simile ad un ammasso. Altre 100 stelle circa, inclusa Sirio, formano una "corrente" che ha lo stesso moto proprio, ma la loro relazione con l'ex-ammasso non è chiara. Il nostro Sistema Solare si trova sul bordo esterno di questa corrente, ma non ne fa parte, avendo un'età 40 volte superiore.

Oltre al Grande Carro, dalla cultura araba viene un altro asterismo: il salto della gazzella, una serie di tre paia di selle che si trovano lungo il bordo sudovest della costellazione, le zampe dell'orso.

L'asterismo del Grande Carro, su cui si addensa un gran numero di oggetti celesti.

Alioth (e Ursae Majoris) è la stella principale della costellazione; di magnitudine 1,76 e dal colore bianco, è una delle stelle del Gruppo stellare dell'Orsa Maggiore.
Dubhe (a Ursae Majoris) è una stella gialla di magnitudine 1,81; si trova a 124 anni luce da noi, ossia circa 50 anni luce oltre il Gruppo stellare dell'Orsa Maggiore. Con Merak forma un asterismo noto come I Puntatori, in quanto utilizzato per trovare la Stella Polare.
Alkaid è una stella azzurra di magnitudine 1,85, posta a 101 anni luce di distanza da noi, dunque circa 25 anni luce oltre il Gruppo; nonostante la sua vicinanza ad esso, si muove in direzione opposta, indicando che si tratta solo di una stella di passaggio.
Mizar è una stella bianca di magnitudine 2,23; fa coppia con Alcor, in realtà solo apparentemente, essendo quest'ultima leggermente più lontana. Mizar è tuttavia essa stessa una stella multipla, con quattro componenti legate gravitazionalmente.
Merak (ß Ursae Majoris) è una stella bianco-azzurra di magnitudine 2,34; è il secondo membro dell'asterismo dei Puntatori.
Phecda è una stella bianco-azzurra di magnitudine 2,41; nei suoi pressi si individua la galassia M109.
Tra le altre stelle, si segnala 47 Ursae Majoris, nota per avere un sistema planetario con tre pianeti confermati, 2,54 e 0,76 volte la massa di Giove.
Lalande 21185 è la quarta stella più vicina alla Terra (escluso il Sole).
Megrez è la stella meno luminosa dell'asterismo del Grande Carro; ha magnitudine 3,32 ed è una stella di colore bianco.
L'Orsa Maggiore contiene alcune stelle doppie, sebbene non tantissime date le dimensioni della costellazione. Alcune di esse sono particolarmente famose e semplici da risolvere.

Mizar fa coppia con Alcor: le due stelle sono talmente ben separate che è possibile risolverle pure ad occhio nudo; Mizar tuttavia è a sua volta una doppia, con componenti di seconda e terza grandezza separate da 14", dunque risolvibili con un telescopio di dimensioni medio-piccole.
Dubhe è una coppia facile da sciogliere, essendo formata da una stella di seconda e una di settima separate da alcuni primi, dunque risolvibile anche con un binocolo; le due componenti sono arancione (la primaria) e biancastra (la secondaria).
La Ursae Majoris ha componenti di terza e decima grandezza, dai colori fortemente contrastanti (bianca e rossa) ma risolvibile solo con ingrandimenti relativamente forti; la difficoltà della risoluzione è data anche dalla grande differenza di magnitudine delle due stelle.

La costellazione dell'Orsa Maggiore giace lontano dalla Via Lattea e dai suoi ricchi campi stellari, dunque entro i suoi confini non sono visibili ammassi stellari.

Nei pressi della stella Merak si trova una nebulosa planetaria, M97, nota come Nebulosa Civetta a causa delle due macchie scure sul suo disco, che somigliano agli occhi sgranati di una civetta.

Innumerevoli sono invece le galassie osservabili entro i suoi confini; tra la più importanti, spicca la coppia formata da M81 (una delle più brillanti del cielo) e M82, appartenenti al gruppo di galassie dell'Orsa Maggiore, uno dei gruppo più vicini al nostro Gruppo Locale. Seguendo un facile asterismo che parte dalla stella Mizar, si raggiunge la galassia M101, anch'essa molto appariscente e vicina. Accanto alla stella Phecda, si individua la galassia spirale barrata M109; a breve distanza dalla stella Merak si osserva invece M108.

Tra le altre galassie, è notevole specialmente NGC 3184, una galassia spirale dai bracci molto luminosi e con due grandi regioni HII al suo interno.

Sono presenti infine anche due galassie nane satelliti della nostra Galassia: Ursa Major I e Ursa Major II, un Ammasso di galassie, il Gruppo di NGC 507, e un gruppo di galassie, il Gruppo di NGC 4051.

L'Orsa Maggiore contiene un gran numero di stelle con un sistema planetario accertato; il più conosciuto di questi, nonché uno dei primi in assoluto ad essere scoperti, è quello di 47 Ursae Majoris: sono noti due pianeti di tipo gioviano con un'orbita che si viene a posizionare, come distanza dalla stella madre, fra quelle di Marte e Giove (rapportandole al nostro sistema solare).

Un secondo sistema con due pianeti conosciuti è quello di HD 68988; essa possiede un pianeta con una massa pari a quasi due masse gioviane estremamente vicino alla sua stella madre, più un secondo pianeta posto a 5 UA con una massa di oltre 5 volte superiore a quella di Giove.

Fra i sistemi con un solo pianeta conosciuto, spicca GSC 03466-00819, una nana arancione con un pianeta che possiede 75 volte la massa terrestre. Di grande interesse scientifico anche il pianeta HD 8606 b, che nel gennaio del 2010 ha registrato uno strano aumento della sua temperatura superficiale di ben 700° in appena sei ore.



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CASSIOPEA

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Cassiopea fu la moglie vanitosa e boriosa del re d'Etiopia Cefeo, che si trova vicino a lei in cielo a formare le uniche due costellazioni celesti dedicate a un marito e a una moglie. Gli autori classici scrivono il suo nome Cassiepea, ma gli astronomi usano la forma Cassiopea.

Un giorno, mentre era intenta a pettinarsi i lunghi capelli ricciuti, Cassiopea osò dichiarare di essere più bella delle Nereidi, le ninfe del mare. Le Nereidi erano le cinquanta figlie di Nereo, il cosiddetto Vecchio del Mare. Una di esse, Anfitrite, era la sposa di Poseidone, il dio del mare. Le Nereidi si rivolsero a Poseidone perché punisse Cassiopea per la sua vanità, e il dio mandò un mostro a razziare le coste del paese di Re Cefeo.

Questo mostro è celebrato nella costellazione della Balena. Per acquietare il mostro, Cefeo e Cassiopea incatenarono la figlia Andromeda a una costa rocciosa per sacrificargliela, ma la fanciulla fu sottratta a quell'atroce destino dall'eroe Perseo, come narra uno dei più famosi racconti di salvataggio della storia.

Come ulteriore punizione a Cassiopea toccò di girare eternamente intorno al polo celeste, a volte in una posizione poco dignitosa, cioè sottosopra. In cielo è rappresentata seduta sul trono che giocherella con i suoi capelli.

La costellazione di Cassiopea ha una netta forma a W formata dalle sue cinque stelle più brillanti, che scrittori quali Arato di Soli paragonarono a una chiave o una porta a fisarmonica. Alfa di Cassiopea si chiama Shedar, dall'arabo «il petto», la cui posizione segna. Beta di Cassiopea è nota come Caph, dall'arabo «mano macchiata», perché agli Arabi sembrava una mano macchiata di henné. Delta di Cassiopea si chiama Ruchbah, che in arabo vuol dire «ginocchio». La stella centrale della W, Gamma di Cassiopea, è una stella errante variabile che saltuariamente aumenta di brillantezza.

La costellazione di Cassiopea, vista da Alfa Centauri, la stella più vicina a noi, apparirebbe con la stessa sagoma a "W", con la differenza che la sua forma a zig-zag sarebbe ulteriormente completata dall'aggiunta del nostro Sole: infatti, da Alfa Centauri, il Sole si presenterebbe in direzione di Cassiopea, vicina al confine con Perseo, e sarebbe una delle stelle più brillanti del cielo, con magnitudine apparente 0,5. La posizione del Sole è facilmente calcolabile, poiché sarebbe agli antipodi della posizione di Alfa Centauri vista dalla Terra: avrebbe ascensione retta 02h39m35s e declinazione +60°50', ossia quasi in direzione di IC 1805. La luminosità delle altre stelle della costellazione sarebbe pressoché invariata, ad eccezione di ß Cassiopeiae, che essendo una delle stelle più vicine sarebbe leggermente meno luminosa.

Cassiopea è una costellazione circumpolare, cioè una di quelle poche costellazioni che alle nostre latitudini è visibile in ogni periodo dell’anno, dato che non tramonta mai. E’ senz'altro la più facile da identificare per via delle le sue 5 stelle principali piuttosto luminose di seconda e terza magnitudine e per la forma a ''W''o a ''M'', a seconda dell'orientazione, situate in piena Via Lattea; la sua posizione nel firmamento, rispetto alla Stella Polare, è opposta a quella dell’Orsa Maggiore. Il mese in cui culmina a mezzanotte è ottobre, la stagione in cui si trova più bassa è la primavera. La costellazione si estende per 600 gradi quadrati ma in questo caso, come spesso avviene, le stelle più brillanti che formano il noto asterismo ne occupano solo all'incirca la 5a parte. Un polverio di deboli stelline ne delimitano i confini a sud con Andromeda e Perseo, a est con la Lucertola (o Lacerta), a nord con Cefeo e infine a ovest con la Giraffa (o Camelopardalis).
Alfa Cassiopeiae o Schedar è una gigante gialla di cui si sospetta una leggera variabilità, dell'ordine di 2 o 3 decimi di magnitudine. Beta è invece una stella bianca distante 42 anni luce 16 volte più brillante del Sole; è anch'essa di seconda grandezza e della stessa luminosità della precedente.
Gamma è invece una variabile irregolare che oscilla tra le magnitudini 1,6 e 3,3 e dunque può superare in luminosità la stessa Schedir; questa stella, di un bel colore azzurro, è distante 750 anni luce e quand'è al massimo arriva a essere oltre 9000 volte più brillante del Sole, ricordo infatti che lo spettro azzurro/blu è presente nelle stelle più calde in assoluto!
Le restanti due stelle dell'asterismo, Delta ed Epsilon, sono due astri di terza grandezza; la prima delle due è bianca, distante 62 anni luce e 24 volte più luminosa del Sole, mentre la seconda è blu, situata a oltre 500 anni luce da noi e di una brillantezza intrinseca di circa 900 volte quella della nostra Stella.



Compongono la costellazione interessanti corpi celesti come Iota Cassiopeiae, una bella stella tripla, due di colore giallo e la terza di colore blu; M103, posto nelle immediate vicinanze della stella Delta, un ammasso aperto a forma di ventaglio contenente parecchie centinaia di stelle ma non è particolarmente luminoso a causa della sua notevole distanza, 8.000  anni luce;questo oggetto è l’ultimo del catalogo di Messier, in quanto le aggiunte successive non sono riconducibili all’astronomo francese. Situato in un’area particolarmente affollata della Via Lattea, è composto da almeno una quarantina di stelle. Tra di esse brillano una supergigante di nona magnitudine e una gigante di decima. Sull’età di questo sistema non è stata ancora raggiunta un’uniformità di idee tra gli studiosi: si va tra i 9 e i 25 milioni di anni. M 103 si avvicina al nostro sistema solare ad una velocità di circa 37 km/sec; M52, posto in linea con le stelle Alfa e Beta, è un ammasso aperto contenente più stelle dell'ammasso M103 e probabilmente è anche più giovane. NGC7789, uno degli ammassi galattici più vecchi che contiene circa un migliaio di stelle, scoperto da Carolina Herschel e che dista 6.000 anni luce. Con un centinaio di stelle troviamo l’ammasso NGC 457. Cassiopea vede nei suoi pressi anche tre galassie NGC 147e 185, entrambe di magnitudine 10m, che fanno parte del Gruppo Locale e la galassia IC 10, probabilmente anch'essa facente parte del Gruppo Locale.

Nello spazio di cielo occupato da Cassiopea si possono trovare stelle ed oggetti assai interessanti, anche se non sempre entusiasmanti per l’osservatore dilettante. Lo storico, invece, sarà curioso di sapere che nei pressi di k Cassiopeiae nel 1572 vi fu l’esplosione di una Supernova, osservata per prima da Tycho Brahe (una delle quattro finora osservate nella nostra galassia), che raggiunse una notevole luminosità, superiore anche a quella di Venere e che durò per sedici mesi. Di questa esplosione restano numerose testimonianze da parte degli astronomi del tempo, fra cui anche di Galileo, che si servirono dell’inatteso fenomeno per riconfermare la totale inattendibilità scientifica della rappresentazione cosmologica aristotelica, fondata sull’assoluta perfezione e incorruttibilità delle nove sfere celesti. Oggi i resti di questa supernova costituiscono una radiosorgente distante circa 20.000 anni luce. In Cassiopea è presente anche un’altra radiosorgente molto forte, anzi la più forte del cielo, denominata Cassiopea A, frutto anch’essa di un’altra supernova esplosa, questa volta inosservata, forse nel 1667.

Un rovesciamento dell'immagine che ha sempre fatto pensare al rischio che prima o poi precipiterà dalle stelle; ragione per cui gli illustratori degli atlanti stellari de XV secolo aggiunsero al trono dei legacci con i quali assicurare Cassiopea ai braccioli.


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venerdì 26 agosto 2016

LA STRETTA DI MANO



La stretta di mano non è un prodotto della società moderna, e nemmeno esclusivo del mondo occidentale. La sua origine risale a più di 5000 anni fa, confermato da geroglifici egiziani che rappresentano patti ed accordi tra uomini e dei che, solamente stringevano la mano in segno di accordo. Uno degli antecedenti storici più importanti proviene da Babilonia quasi 4.000 anni fa, più esattamente nel 1800 a.C. Durante la celebrazione del nuovo anno il monarca babilonese doveva realizzare un cortese atto di sommissione davanti a Marduk -il maggior dio babilonese-. Questo atto consisteva in dirigersi verso la statua di suddetto dio e, in segno di rispetto, stringere la sua mano. Quest'azione, che originariamente significava il trasferimento o acquisizione dei poteri, fu modificata dopo una lunga guerra. Quando gli Assiri invasero la Babilonia, i suoi re si videro obbligati a continuare con suddetto atto come segno di rispetto per evitare che il popolo conquistato si ribellasse, iniziarono a stringere la mano a Marduk. Immediatamente gli Assiri cominciarono a credere che questa fosse una tradizione generale e la adottarono, come se fosse loro, usandola in tutto il Medio Oriente.

In Grecia ed a Roma era comune salutare stringendosi la mano, ma in un modo diverso da quello che facciamo oggi. A quell'epoca si afferrava l'avambraccio o il polso dell'altra persona stringendo fortemente. Questo si convertì in un'abitudine, sia nella Grecia post-omerica sia a Roma, nonostante derivasse da un rito molto antico. Quando nelle prime tappe della Grecia, marcata da vari dialetti, si incontravano due persone residenti di paesi o città diverse in mezzo ad un campo, o viaggiatori in sentieri solitari, la prima cosa che facevano era ritirare le proprie daghe e vedere come reagiva la controparte. Se l'altra persona mostrava segni di non voler combattere si procedeva a rimettere la daga nell'elsa ed afferrare fortemente il polso destro dell'altra persona -in segno che uno non ritirasse la propria daga e lo pugnalasse a tradimento-, allora in quel momento, potevano procedere a dialogare tranquillamente e sapere se l'altra persona avesse qualcosa da barattare o comprare.

A seconda degli usi prevalenti la stretta di mano è legata a obblighi e divieti. Nel mondo occidentale è più frequente tra uomini; in culture che praticano una rigida separazione dei sessi è proibita o vista con sfavore tra persone di sesso diverso. Ad esempio, le tradizioni islamiche riportano che Maometto, che pure esortava in continuazione i fedeli a stringersi la mano ogniqualvolta si incontrassero, si sarebbe rifiutato per tutta la vita di stringere la mano ad una donna.

Stringere la mano é probabilmente il più conosciuto modo al mondo per fare conoscenza di qualcuno.
All’apparenza questo comportamento risulta un gesto caloroso e amichevole, ma questa non é che una lettura superficiale dell’atto.

Per interpretarlo correttamento é importante distinguere i diversi significati che la stretta di mano assume in contesti diversi e in nei differenti rapporti.

L’educazione detta le norme per cui una persona di posizione sociale superiore (come un professore o un anziano) debba essere quella che offre la mano per prima; se invece si ha a che fare con un proprio pari (un collega, un coetaneo, ecc.) dare la mano diventa un modo di trasmettere l’idea di una persona sicura di sé, cordiale e aperta.

Quest’apertura delle “danze” risulta particolarmente incisiva in un colloquio d’assunzione.
Lo dimostra un recente studio degli psicologi Greg Stewart, Susan Dustin, Murray Barrick e Todd Darnold: nella loro ricerca hanno coinvolto 98 studenti che sono stati istruiti a simulare un colloquio di lavoro.

Prima dell’incontro i volontari si sono presentati a dei collaboratori degli scienziati allenati nel valutare il modo di dare la mano: questi ultimi avevano il compito di dare un giudizio sulla stretta dei partecipanti.
Una volta effettuata la selezione, anche gli esaminatori dovevano esprimere un parere, in particolare sul modo di presentarsi dei candidati e sulla probabilità che venissero assunti.

In seguito, le considerazioni delle due categorie di giudizi sono state confrontate: chi era stato valutato positivamente nell’atto di dare la mano era anche indicato come candidato “papabile”. Per altro, i ricercatori hanno appurato che chi dava una stretta salda e sicura, si mostrava anche maggiormente a suo agio nel corso del colloquio, guardava più spesso l’interlocutore ed esibiva altre abilità sociali.

“Ci siamo resi conto“, commenta il coordinatore del team, “che gli intervistatori si erano fatti un’idea del candidato nei primi due o tre minuti del colloquio, “indipendentemente dalla durata complessiva dell’incontro; inoltre, abbiamo constatato che la prima impressione parte con l’effetto della stretta di mano, che da l’impronta a tutto il proseguio dell’intervista“.



“Spesso“, continua il coordinatore, “chi cerca lavoro pensa a cosa dire, come comportarsi, come vestirsi, ma pochi fanno attenzione al modo di stringere la mano, che é qualcosa di più personale e sottile e può comunicare quello che l’abito o l’apparenza non sono in grado di trasmettere“.

Quest’atto mette in luce soprattutto le caratteristiche di personalità; “non ne siamo consapevoli” conclude lo studioso, “ma questa forma di comunicazione non verbale la dice lunga su di noi e determina un’impressione durevole“.

Si tratta di un comportamento che salta all’occhio solo se è eseguito in modo insolito: la stretta è molle o troppo forte, vengono offerte le sole dita, ci viene ruotato il polso nel momento in cui la offriamo e così via, ma in questo gesto di saluto intervengono moltissime altre variazioni, anche minime, che possono dirci molto sul nostro interlocutore e sul tipo di relazione che predilige.

Ad esempio, chi torce il polso dell’altro, così da fargli girare il palmo verso l’alto o chi mette una mano sulla spalla dell’interlocutore nel dargli la mano, esprime il desiderio di porre l’altro in un ruolo di sudditanza. La persona che invece offre la mano molle o solo la punta della dita non gradisce il contatto con gli altri e si tratta di un individuo altezzoso o schivo e comunque quasi sempre falso e opportunista.

La mano ha una peculiarità: quando suda, questo avviene, non a causa di un aumento della temperatura esterna, ma esclusivamente in conseguenza di uno stress emotivo. Così il fatto che il palmo sia più o meno “bagnato” è legato alla capacità di gestione dell’ansia e all’essere più o meno a proprio agio e disinvolti nei rapporti umani.
E’ stato scoperto ad esempio che una mano asciutta è legata alla socievolezza negli uomini, ma non nelle donne. Uno studio su pazienti psichiatrici poi ha messo in luce come una mano fredda e umida sia spesso associata ad un temperamento introverso, a depressione e alla tendenza a sviluppare comportamenti nevrotici; questo lo si osserva soprattutto nelle donne.
Bisogna però precisare che il gentil sesso ha una circolazione periferica meno efficiente degli uomini; quindi, non è infrequente trovare una donna con la gelida manina. Però se la mano di una donna che conosciamo è calda, facilmente ci troviamo di fronte ad una persona equilibrata e sicura. Quando è un uomo ad avere l’estremità superiore fredda non è improbabile che  sia un  individuo inibito e apprensivo. Anche l’intensità della forza impressa alla stretta è legato alla personalità. Una stretta salda e decisa è tipica di una personalità dominante, sicura di sé e razionale; se la pressione è eccessiva però è segno di un carattere aggressivo ed esibizionista.

Per contro, persone che danno la mano in modo molle e fiacco sono di solito schive, timide e diffidenti. Anche chi è depresso tende a stringere in modo blando. Per altro, si è appurato che un progressivo declino nell’intensità della stretta è legato ad un peggioramento dello stato malinconico.

Una recente ricerca di un équipe di psicologi dell’Università dell’Alabama, capitanata dallo psicologo William Chaplin ha studiato in modo sistematico quest’azione; facendo delle interessanti scoperte. Innanzitutto, è stato appurato che il modo di dare la mano è stabile nel tempo ed indipendente dalla persona che incontriamo (perciò è legato alla personalità).

Gli studiosi hanno quindi osservato che una stretta energica e calorosa è tipica degli individui estroversi e di chi è molto espressivo; nelle donne, inoltre,  è associata anche ad apertura mentale e a curiosità per le novità. Al contrario, chi è timido o ha un temperamento ansioso e instabile da la mano in modo esitante, maldestro e la sua stretta, come già emerso nelle indagini citate in precedenza, risulta piuttosto moscia. Infine, si è constato che questa forma di saluto incide molto sulla prima impressione che ci si fa dell’altro; per cui dare una salda stretta di mano può predisporre favorevolmente l’interlocutore verso di noi, specie se a farlo è una donna cui viene attribuito un carattere aperto, socievole e gioviale.

Due studi successivi di Mark Chapell e di altri psicologi della Rowan University di Glasboro, New York,  hanno messo in luce come nella stragrande maggioranza dei casi, è l’uomo a tenere la mano sopra quella della compagna. Se le due mani sono una con il palmo verso il basso e l’altra con il dorso verso l’alto è chiaro come stabilire l’estremità di chi si trovi sopra; non è così intuitivo, se le mani sono tenute entrambe verticali, come quando si cammina mano nella mano. In quel caso, non è tanto la mano, quanto l’avambraccio a stare sopra. Attraverso quest’azione, l’uomo attesta in modo non verbale la sua posizione di conduttore all’interno della relazione.

Siamo così abituati a fare il gesto di dare la mano, quando incontriamo o conosciamo qualcuno che nemmeno ci rendiamo conto che il modo in cui lo facciamo parla di noi.

Ma allora, come è fatta la stretta perfetta? Le regole sono le stesse per uomini e donne: si offre all’altro la mano destra, con una stretta ferma ma non eccessiva, in un punto che si colloca a metà strada tra noi e chi abbiamo di fronte. Il palmo deve essere asciutto e fresco e le mani strette si devono scuotere 3 volte per un tempo non superiore ai due-tre secondi. Ci si deve guardare negli occhi, sorridendo in modo spontaneo e con una forma di saluto o presentazione consona alla situazione.
Banale? Non la pensano così i vertici inglesi della Chevrolet, che hanno inserito il corso sulla corretta stretta di mano nel programma formativo della propria forza vendita e che hanno sovvenzionato lo studio di Beattie (più per farsi pubblicità che per vero amore della scienza).
«La stretta di mano non è solo una forma di saluto rituale, ma anche un modo per concludere gli affari: è importante che il nostro staff sia capace di farlo nel modo migliore per trasmettere fiducia e rassicurazione ai clienti».



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giovedì 25 agosto 2016

LA FAGLIA APPENNINICA

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Cicerone (nel 63 a.C.) ne parla nelle «Catilinarie», Tacito (51 d.C.) ricorda che nelle zona «le case crollano per i frequenti terremoti»: nessuna anomalia, solo il normale «lavoro» del nostro pianeta che qui si era reso manifesto più che altrove. Anzi, questo è il tipico terremoto italiano: magnitudo media in contesti collinari rurali scarsamente popolati, con edifici costruiti spesso male, con materiali di risulta, senza progettazione antisismica moderna, le cui conseguenze sono danni devastanti. A questo seguiranno inevitabilmente la fase delle tendopoli, poi quella dei container e lustri per la ricostruzione.
Le lance di Marte erano infisse nel suolo e addossate alla parete settentrionale della Regia, nel Foro Romano. Quando vibravano qualcosa di terribile era accaduto: nel 44 a.C. l’assassinio di Cesare, tutte le altre volte un terremoto da Nord, dalla regione compresa fra alto Lazio, Umbria e Marche, la stessa che continua sistematicamente a tremare da millenni. Non era un mistero e non è colpa della Terra: le catastrofi naturali non esistono, esistono solo la nostra ignoranza, l’assenza di memoria, il malaffare e la scarsa propensione alla prevenzione.

È una faglia frammentata in tanti segmenti allineati, ma non continui, che percorre il sottosuolo dell’Appennino centro-settentrionale fino a oltre 20 km di profondità. Un sistema di faglie che non accumulano energia in silenzio per poi scaricarla in «botte» tremende, ma rare. Al contrario, si carica di energia elastica come una molla e poi si libera con frequenza impressionante e, a livello geologico, quasi costante. Nel 1328 il terremoto durò tre mesi, nel gennaio del 1703 la grande scossa fu preceduta da numerose altre premonitrici (che qualcuno potrebbe oggi interpretare come coppie sismiche), nel 1831 il terremoto di Foligno durò oltre quattro mesi. La sequenza sismica della Val Nerina (1979) aveva raggiunto il IX grado della scala Mercalli, intensità raggiunta e superata più volte nella regione attorno, ad esempio nel 1997 con la coppia sismica di Colfiorito, paragonabile per energia liberata.
 


Siamo in una regione della crosta terrestre che, dopo aver visto il sollevamento di una catena montuosa (l’Appennino) dalle profondità marine a causa della spinta reciproca dei blocchi africano ed europeo, ora attraversa un periodo di tensioni, piuttosto che di compressioni. Qui la crosta non viene portata a piegarsi e ad accartocciarsi su se stessa, come quando si forma una montagna, anzi: viene «stirata», estesa fino alla formazione di spaccature profonde, le faglie.

L’Appennino si è innalzato fino a oltre 3000 metri, ma ora sta ricominciando lentamente a scendere di quota, assestandosi a livelli più bassi: grandi faglie distensive permettono questo aggiustamento, spostando di volta in volta intere «fette» della catena. Insieme ad aree in abbassamento ce ne sono molte in sollevamento e proprio da queste disomogeneità si creano quegli «strappi» (le faglie) che danno luogo ai terremoti. Non è un fenomeno solo di queste parti, è di tutto l’Appennino, di una nazione che è di montagna e ad alto rischio naturale come il Giappone, che però si illude di essere piatta e tranquilla come la Siberia: l’Irpinia (1980) e L’Aquila (2009), come Avezzano (1915) e Reggio Calabria (1908), fanno parte della stessa storia geologica.
 
Con questo movimento “la Microplacca Adriatica provoca un fenomeno di estensione, ossia una sorta di ‘stiramento’ della crosta terrestre in corrispondenza dell’Appennino con un conseguente allargamento dell’Italia”, ha spiegato il sismologo Alessandro Amato, dell’Ingv. E’ un fenomeno che avviene in modo graduale e incessante, e nemmeno troppo lentamente. Il movimento di espansione è infatti nell’ordine di 2-3 millimetri l’anno, vale a dire circa 1 metro in 200 anni.



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sabato 20 agosto 2016

LANTERNE VOLANTI CINESI

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La lanterna volante è una lanterna di carta, tradizionalmente originaria delle culture dell'Estremo Oriente e Thai. Venne ideata circa duemila anni fa.

Utilizza lo stesso principio della mongolfiera e viene realizzata con un corpo di carta appoggiato su una struttura rigida al cui interno viene posta una fonte di calore in cera combustibile. Quando viene accesa la fiamma, il calore scalda l'aria all'interno diminuendone la densità. Di conseguenza l'oggetto si alza in volo. La lanterna rimane in volo finché la fiamma rimane accesa, dopo di che plana lentamente al suolo.

Per i cinesi, la lanterna Kongming viene considerata, in base alle loro credenze popolari, il primo pallone ad aria calda che si presume sia stato inventato dal pensatore e stratega militare Zhuge Liang il cui nome cerimoniale era Kongming. Furono sviluppate all'inizio del III secolo a.C. come palloni di segnalazione o, si rivendica, come primi esempi di palloni frenati spia per uso bellico. In alternativa, il nome potrebbe derivare dalla somiglianza della lanterna con il cappello con il quale Kongming veniva tradizionalmente raffigurato.

Il materiale non è particolarmente nocivo per l'ambiente, ma la lanterna va usata seguendo gli accorgimenti di sicurezza necessari ad evitare gli incendi e i disturbi al traffico aeroportuale. In espansione nei paesi occidentali dal 2006, essa è apprezzata in occasione di feste e matrimoni, ma per ragioni di sicurezza il suo uso viene sempre più regolamentato (o talvolta proibito) dalle varie autorità statali e locali, come per esempio in Svizzera. In Germania, la maggior parte degli stati federali ha introdotto l'obbligo di permesso, ma attualmente quest'ultimo di solito non viene concesso. In Australia si è deciso un divieto provvisorio. Il rischio incendi è rappresentato dal rischio di caduta della lanterna ancora accesa su prati, alberi, (soprattutto conifere che a causa della resina prendono fuoco facilmente), ma anche su balconi, tetti in legno, barche, ecc. Il vento in quota rende imprevedibile il luogo di ricaduta della lanterna.



Ogni lanterna lasciata delicatamente libera verso l'alto raffigura un desiderio che ciascuno affida al cielo con la speranza che diventi realtà.
Anche il colore della lanterna rappresenta un significato diverso:

ROSSO simboleggia la passione, la gioia e la fortuna;
VERDE rappresenta la crescita e il cambiamento;
ARANCIO raffigura il cambiamento e l'evoluzione;
ROSA delinea la sfera affettiva, la bontà, l'amore e l'amicizia;
VIOLA equivale all'indipendenza, la creatività, il mistero e la magia;
AZZURRO indica la calma, la fiducia e l'immortalità;
BIANCO esprime la purezza, la forza e la giustizia. Una lanterna dei cieli bianca viene liberata nei cieli per augurare un buon passaggio verso qualcosa di nuovo.

La lanterna volante ha il compito di portare i desideri dalla terra al cielo, in modo che poi qualcuno lassù possa farli avverare. Per questo la tradizione vuole che il desiderio venga scritto sulla superficie della lanterna e poi inviato su. Oltre il suo significato, uno spettacolo di lanterne volanti ha il potere di illuminare in modo molto suggestivo il cielo. È uno spettacolo bello quanto un fuoco d’artificio, solo più mistico.



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martedì 9 agosto 2016

LA PROFEZIA DI SAN MALACHIA

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La più famosa profezia che riguarda i Papi è quella attribuita a San Malachia, vescovo di Armagh del XII secolo. La leggenda vuole che, convocato a Roma da Innocenzo II, ebbe una visione sul futuro della Chiesa e sui pontefici che si sarebbero susseguiti fino al suo termine. Stilò dunque l’elenco dei papi a venire, connotandone ognuno con dei motti piuttosto criptici. Il manoscritto, denominato Prophetia de Summis Ponteficibus, fu depositato negli Archivi Vaticani dove rimase dimenticato fino alla sua riscoperta nel 1590. Cinque anni dopo venne pubblicato dal benedettino Arnold de Wyon nel suo libro Lignum Vitae.

Questo, almeno, secondo la tradizione. Invece, secondo gli storici San Malachia non avrebbe nulla a che vedere con quel testo. A scrivere il manoscritto sarebbe stato, alla fine del XVI secolo, un falsario umbro, Alfonso Ceccarelli, allo scopo di influenzare i cardinali riuniti in conclave. I sostenitori di questa teoria adducono come prova il fatto che i motti riferiti ai pontefici fino al 1590 sono calzanti e fin troppo precisi, mentre da questa data in poi si fanno molto più vaghi e non sempre risultano giustificabili.

La profezia contiene 111 frasi in latino ( o 112, secondo altre versioni), tante quanti sono i Papi. La lista include anche Celestino V- “colui che fece il gran rifiuto“, per dirla come Dante, visto che nel 1294 si dimise proprio come ha fatto ora Joseph Ratzinger- e si conclude con un “Petrus Romanus” sotto il cui mandato si compirà il Giudizio Universale. A rendere un po’ preoccupante la profezia, sono i tempi. Perchè il penultimo Papa- in base alle interpretazioni correnti- sarebbe proprio Benedetto XVI. E quindi, il prossimo pontefice dovrebbe anche essere l’ultimo…

Sempre, ovviamente, che si voglia dar credito alla presunta profezia nella quale a volte le sintesi descrittive dei vari pontefici sono impressionanti.

Ma – si può obiettare- sono tutti papi antecedenti quella fatidica data, il 1590, nella quale avrebbe operato il falsario. Vero. Eppure, anche per i pontefici dei secoli successivi non mancano coincidenze suggestive. Pensiamo al motto “Montium Custos”(“Custode di monti”) per Alessandro VII (1655-1667) sul cui stemma campeggiavano sei monti protetti da una stella. Altro caso singolare, Clemente XIV ( 1769-1799): “Ursus velox” (“Orso veloce”), si legge nel manoscritto, e un orso che corre compariva in effetti nel suo stemma.

Venendo ai pontefici più vicino a noi, il motto per Papa Ratti è “Fides Intrepida”  (“Coraggiosa Fede”): fu proprio Pio XI a condannare le ideologie assolutiste del XX secolo, sfidando Stalin ed Hitler e denunciando in un’enciclica l’antisemitismo nazista. Il Fuehrer progettò addirittura di farlo deportare per metterlo a tacere. Per Albino Luciani, che rimase sul soglio pontificio solo 33 giorni , la profezia usa la frase “De media aetate lunae” (“Della media durata di una luna”), corrispondente a circa un mese.

Giovanni Paolo II è invece connotato dal motto “De labore solis” e qui le interpretazioni divergono. C’è chi lo traduce come “Della fatica del sole”, intendendo il grande peregrinare, in ogni angolo del mondo, di Papa Wojtyla, instancabile viaggiatore come il sole perennemente in moto, oppure, molto più intrigante, “Dell’eclissi del sole“. Un’ eclissi solare avvenne davvero il giorno della sua nascita e lo stesso fenomeno si è ripetuto nel giorno del funerale.

La profezia venne pubblicata per la prima volta nel 1595 dallo storico benedettino Arnoldo Wion nel suo libro Lignum Vitæ, una storia dell'ordine religioso a cui apparteneva. Wion attribuì la lista a san Malachia, vescovo benedettino di Armagh, vissuto nel XII secolo, senza però indicare dove si trovasse il manoscritto originale. Egli spiegò, soltanto, che la profezia non era mai stata pubblicata prima, ma che in molti già ne conoscevano l'esistenza ed erano ansiosi di leggerla integralmente. Assieme al testo Wion pubblicò anche un'interpretazione dei motti di tutti i papi sino al 1590, attribuendola allo storico domenicano Alfonso Chacón.

Siccome Malachia si era recato a Roma nel 1139, dove aveva ricevuto dal papa Innocenzo II i pallii per le sedi arcivescovili di Armagh e di Cashel, nel 1873 François Cucherat ipotizzò che il vescovo avesse avuto proprio a Roma una visione sui futuri pontefici, che l'avesse trascritta mediante dei motti criptici in latino e che avesse consegnato il manoscritto al papa, il quale l'avrebbe poi depositato negli archivi vaticani, dove sarebbe rimasto dimenticato fino alla sua riscoperta alla fine del XVI secolo.

L'autenticità della profezia di Malachia, di cui non si conosce il manoscritto originale ma solo il testo a stampa di Wion, fu messa in dubbio quasi subito da un libro del francescano François Carriere, ristampato quattro volte nel corso del XVII secolo, e venne rigettata anche dagli autorevoli padri bollandisti. Particolarmente approfondita fu la confutazione pubblicata nel 1689 dal gesuita Claude-François Ménestrier, dal titolo Refutation des prophéties faussement attribuées a s. Malachie sur les elections des Papes, tradotta in tedesco e stampata a Lipsia nel 1691 da Cristiano Wagnero. Poco dopo, a seguito della pubblicazione della Additione apologetico-istorica alle Predittioni circa i Sommi pontefici Romani del glorioso Padre S. Malachia di Giovanni Germano, Ménestrier tornò sull'argomento pubblicando la Philosophia imaginum aenigmatorum (Parigi, 1694).



Un primo, quasi ovvio, motivo di sospetto è il fatto che, per quattro secoli, nessuno aveva mai saputo nulla del documento. Anche nella dettagliata biografia di Malachia scritta da Bernardo di Chiaravalle, grande amico di Malachia, la profezia non viene minimamente menzionata.

Parimenti incongrua è la scelta dei personaggi descritti dai motti: essendo un elenco di papi non sembra logico includervi anche gli antipapi. Tuttavia, nonostante l'antipapa Innocenzo III non sia presente, degli altri dieci antipapi soltanto due vengono effettivamente dichiarati tali, mentre gli altri otto sono accomunati ai papi. Altri dubbi nascono dall'ordine di elencazione: il papa Alessandro III è posposto agli antipapi Vittore IV, Pasquale III e Calisto III, mentre Urbano VI è posposto agli antipapi Clemente VII, Benedetto XIII e Clemente VIII.

Una prova importante a sostegno della falsità dello scritto è data dal fatto che il motto di alcuni fra i papi più antichi venne elaborato sulla base di indicazioni biografiche o araldiche errate, presenti in maniera ugualmente sbagliata nella storia ecclesiastica scritta da Onofrio Panvinio nel 1557 e in altre sue opere. Malachia, quindi, non solo avrebbe saputo con secoli di anticipo notizie sui futuri pontefici, ma addirittura avrebbe commesso gli stessi errori di uno storico vissuto quattrocento anni dopo di lui.

L'ipotesi di un falso cinquecentesco è inoltre confermata dal fatto che i motti latini sono molto precisi per i pontefici antecedenti la fine del XVI secolo, periodo in cui il falso sarebbe stato ultimato, mentre diventano più vaghi e approssimativi per i papi successivi, obbligando a fare largo uso della fantasia per trovare un collegamento fra motti e pontefici.

Gli storici hanno cercato di mettere in luce le circostanze in cui la profezia potrebbe essere stata redatta, ma ancora senza produrre evidenze conclusive. In primo luogo la profezia di Malachia potrebbe rientrare nella consuetudine di usare testi profetici come armi psicologiche, usanza particolarmente diffusa nei momenti di instabilità politica, come, ad esempio, il periodo dello scisma d'Occidente. L'astrologo o il profeta, che tradizionalmente miravano a compiacere le mire del potente di turno, potevano utilizzare i pronostici come arma per influenzare gli eventi, prospettando come sicuri e inevitabili gli sviluppi più congeniali a loro o ai loro committenti.

Favorito dalla diffusione della stampa, il genere profetico ebbe un nuovo momento di grande popolarità in Italia fra il 1494 e il 1530, restando comunque vivo anche nei decenni successivi. Nel 1515 furono dati alle stampe anche i Vaticinia de Summis Pontificibus, una profezia medievale sui pontefici, risalente forse alla fine del XIII secolo, falsamente attribuita a Gioacchino da Fiore. I Vaticinia vennero poi nuovamente stampati a Venezia nel 1589 con note e interpretazioni di Pasqualino Regiselmo.

In questo quadro non sorprende che il genere della profezia possa esser stato utilizzato anche per influenzare l'esito dei conclavi o più semplicemente per trarre qualche profitto economico dalle attese dei papabili e dei loro congiunti non appena si fosse profilata la prospettiva di un prossimo decesso del pontefice in carica.

Nel caso della profezia di Malachia l'attenzione degli studiosi, fra cui per primo Claude-François Ménestrier, cadde sul 75° motto, Ex antiquitate urbis, un riferimento estremamente vago, soprattutto in Italia, dove moltissime città e centri minori esistono da tempo immemorabile. Una profezia, quindi, facilmente confermabile dall'esito di un conclave. Al tempo stesso, il motto era particolarmente aderente alle caratteristiche di uno specifico candidato, il cardinale Girolamo Simoncelli, nato a Orvieto (Urbs vetus, in latino, cioè "città antica" per antonomasia).

Il motto potrebbe essergli stato dedicato per adulazione, con la speranza di trarre concreti benefici dalla sua ambizione al papato, oppure addirittura potrebbe essere stato commissionato da suoi sostenitori e fatto circolare nella curia vaticana per influire su un imminente conclave. Tutto il testo della profezia di Malachia, dunque, potrebbe essere un falso storico costruito solo per creare un contesto di verosimiglianza al motto.

Alla luce di queste considerazioni molti studiosi, a partire da Menestrier, hanno avanzato l'ipotesi che il documento sia stato utilizzato inutilmente (o preparato senza essere utilizzato) in occasione del conclave del 1590, che vide l'elezione del milanese Nicolò Sfondrati.

Agli inizi del XX secolo Luigi Fumi attribuì le profezie di Malachia all'opera di un noto falsario cinquecentesco, Alfonso Ceccarelli, i cui rapporti con i familiari di Simoncelli erano solidi ed accertati.

Il metodo di lavoro di Ceccarelli, utilizzato ad esempio verso il principe Cybo, era di predisporre falsi documenti antichi o cronache storiche attribuite ad antichi autori (reali o mai esistiti), mediante i quali dimostrare la discendenza di un possibile committente da personaggi o da famiglie illustri del lontano passato. Con questi espedienti, Ceccarelli era in grado di invogliare il possibile committente a finanziare studi storici di approfondimento o ad acquistare copie dei documenti "originali" in suo possesso.

Queste caratteristiche fanno di Ceccarelli il candidato ideale per essere l'autore delle profezie di Malachia. Ceccarelli, tuttavia, fu giustiziato il 9 luglio 1583, sette anni prima del conclave del 1590, e perciò questa attribuzione è dubbia.

Per mantenere l'attribuzione occorre ipotizzare che il manoscritto trascritto da Wion abbia avuto una storia articolata in almeno due momenti diversi. Una prima redazione sarebbe stata predisposta ma non utilizzata da Ceccarelli in data anteriore al 1583 e proprio nel clima di attesa creato dalle profezie sulla malattia e la morte del papa, che circolarono per Gregorio XIII (papa dal 1572 al 1585). Il testo di Ceccarelli, poi, sarebbe stato adattato da parte di altri in previsione o in occasione dei conclavi successivi.

In un articolo del 2015 si riporta un carteggio di un nipote del cardinale Giovanni Gerolamo Albani, grazie al quale si ha prova di come profezie di Malachia esistevano già nel 1587, nella stessa forma pubblicata da Wion. Dato che il motto del 73º papa, Sisto V (1585-1590), è una descrizione del suo stemma, nell'opinione generale degli studiosi è stato scritto ex-post e perciò il testo avrebbe trovato la sua forma finale nel biennio 1585-1587 in previsione del successivo conclave. Nel carteggio Albani alcuni familiari del cardinale si mostrano convinti che il motto "De rore coeli" annunci la futura elezione del loro protettore, collegando il nome Albani, da cui "alba", alla rugiada (ros, roris) in quanto tipico fenomeno mattutino. Il cardinale, infatti, era stato uno dei candidati più votati nel conclave del 1585, mantenendo quindi alcune effettive chance di elezione.

Chiunque sia stato l'autore, o gli autori, del documento, la tesi praticamente unanime, seguita anche dall'ultima edizione dell'Enciclopedia Cattolica, resta che il manoscritto sia un falso storico, redatto nella seconda metà del XVI secolo.

Secondo Giuseppe De Novaes, l'opera di Wion ebbe grande successo: «Varie edizioni ne furono fatte, correndo ognuno a questi libri Sibillini come a fogli caduti dal Cielo». Nel 1601 il domenicano Girolamo Giannini stampò a Venezia i Vaticini dell'abbate Malachia arcivescovo Armacano, tradotti dal latino, ristampati nel 1650 e nel 1689. Negli ultimi decenni del XVII secolo anche il cistercense Giovanni Germano scrisse diversi libri sulla profezia di Malachia. Fu stampata più volte da editori diversi anche la Profezia veridica di tutti i sommi pontefici fino alla fine del mondo fatta da S. Malachia arcivescovo armacano, di cui S. Bernardo scrisse la vita e cavata per opera di un theologo da scrittori autentici. Poco dopo Daniele Guglielmo Mollero pubblicò la Dissertatio historica de Malachia, propheta pontificio (Altdorf, 1706).

Anche alcuni estensori di biografie dei papi o di storia ecclesiastica trattarono l'argomento nelle loro opere. Ad esempio già Louis Coulon, ristampando nel 1673 le sue vite dei papi, segnalò nel frontespizio: Nouvelle edition augmentée de la vie des deux dernier Pontifes et de la Prophetie de S.Malachie. Nell'opera, Coulon commentò tutti i motti fino al 1670, cioè estese di ottant'anni le spiegazioni di Alfonso Chacón. Prudentemente, però, si astenne da ogni valutazione e sottomise ogni cosa «au jugement de la Sainte Eglise». Poco dopo la profezia entrò anche nel famoso dizionario storico-biografico di Louis Moréri, un'opera stampata nel 1674 a Lione, in un solo volume, che venne continuamente corretta ed ampliata fino a raggiungere i dieci volumi nell'edizione del 1759. Anche Pierre le Lorrain, abate di Vallemont, trattò l'argomento delle profezie di Malachia nei suoi Eléments de l'histoire, ou ce qu'il faut savoir de chronologie, de géographie, de blason, etc., avant que de lire l'histoire particulière.

Le numerose critiche ridussero la fama dell'opera, la quale continuò però a trovare sostenitori anche presso scrittori protestanti, come il luterano Teodoro Grugero, che pubblicò la Commentatio historica de successione Pontificum Romanorum, secundum vaticinia Malachiae, a dubiis Menestrerii, Carrieri, aliorumque vindicata (Wittenberge, 1723).


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venerdì 5 agosto 2016

IL CAMPO MAGNETICO SOLARE

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Il Sole esercita un’incessante influenza sulla Terra attraverso il suo magnetismo ed il suo calore. E’ stato osservato che ogni volta che vi è un cambiamento nel campo magnetico solare, tempeste magnetiche vengono in superficie ed il magnetismo terrestre è modificato. Questo cambiamento nel campo magnetico del Sole e nel nel campo magnetico della Terra influenza il campo elettromagnetico degli esseri viventi che vi abitano.

Secondo uno studio pubblicato su New Scientist, vi sarebbe una connessione diretta tra le tempeste solari e gli effetti biologici sull’uomo. Gli animali e gli esseri umani hanno un campo magnetico che li  circonda, nello stesso modo come il campo magnetico terrestre protegge il nostro pianeta. Dal 1948 al 1997,  l’Institute of North Industrial Ecology Problems in Russia, ha rilevato che l’attività geomagnetica evidenzia tre picchi stagionali (da Marzo a Maggio, in Luglio e Ottobre). Ogni picco corrisponde ad una maggiore incidenza di ansia, depressione, disturbo bipolare, e addirittura associato ai suicidi. L’attività elettromagnetica del sole colpisce i nostri dispositivi elettronici e il campo elettromagnetico umano. Siamo fisicamente, mentalmente ed emotivamente alterati dalle cariche elettromagnetiche del sole, e il nostro corpo può risentire di sonnolenza, ma anche diventare al contrario molto eccitato. Gli effetti psicologici delle CME (le espulsioni di massa coronale) sono in genere di breve durata e includono mal di testa, palpitazioni, sbalzi d’umore e senso di malessere generale. Le tempeste solari sarebbero quindi in grado di pilotare le nostre emozioni. La ghiandola pineale nel nostro cervello è influenzata anche dalla attività elettromagnetica, che causa una produzione di melatonina in eccesso, un ormone che può causare a sua volta sonnolenza, ma è anche noto per effetti collaterali opposti in alcune persone, di solito quelli che sono consapevoli degli effetti. Secondo lo studio, quindi, le nostre ghiandole pineali presentano una produzione di melatonina in eccesso proprio durante le tempeste solari. Molti effetti biologici della melatonina sono prodotti attraverso l’attivazione dei recettori, mentre altri sono dovuti al suo ruolo come antiossidante pervasivo e potente, con un ruolo particolare nella protezione del DNA nucleare e mitocondriale.



Il Sole oltre che inviare verso la Terra una corrente di particelle cariche (“il vento solare”, che deforma il campo magnetico terrestre (magnetosfera), conosce dei cicli di forte attività circa ogni 11 anni, che aggiungono al vento solare usuale altre particelle cariche. Si è notato che questa forte attività correlata con la nascita dei centri attivi delle macchie solari, potrebbe avere un rapporto con le “maree planetarie”, vale a dire con le posizioni dei diversi pianeti ivi compresa la Terra, attorno al Sole (spostamento del baricentro del sistema solare).

Quando il Sole entra in uno di questi periodi di surplus d’attività, numerose ricerche hanno rilevato una vasta gamma d’effetti, generalmente piuttosto negativi dal punto di vista umano: aumento del numero d’infarti e di patologie cardio-vascolari, abbassamento della coagulazione sanguigna, aumento del numero d’emorragie polmonari, abbassamento del numero dei leucociti (globuli bianchi) ma aumento del numero dei linfociti (varietà dei globuli bianchi) rialzo dell’indice di flocculazione dell’albumina del siero sanguigno (l’albumina si condensa in fiocchi dopo aver perso tutti gli strati di ioni periferici delle molecole, il che ne altera ogni valore biologico), abbassamento della respirazione e dell’attività nervosa, aumento del numero di suicidi, d’infortuni sul lavoro e di circolazione, aumento delle crisi d’agitazione in psicopatici, di conflitti armati e d’epidemie d’ogni tipo.


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