martedì 9 agosto 2016

LA PROFEZIA DI SAN MALACHIA

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La più famosa profezia che riguarda i Papi è quella attribuita a San Malachia, vescovo di Armagh del XII secolo. La leggenda vuole che, convocato a Roma da Innocenzo II, ebbe una visione sul futuro della Chiesa e sui pontefici che si sarebbero susseguiti fino al suo termine. Stilò dunque l’elenco dei papi a venire, connotandone ognuno con dei motti piuttosto criptici. Il manoscritto, denominato Prophetia de Summis Ponteficibus, fu depositato negli Archivi Vaticani dove rimase dimenticato fino alla sua riscoperta nel 1590. Cinque anni dopo venne pubblicato dal benedettino Arnold de Wyon nel suo libro Lignum Vitae.

Questo, almeno, secondo la tradizione. Invece, secondo gli storici San Malachia non avrebbe nulla a che vedere con quel testo. A scrivere il manoscritto sarebbe stato, alla fine del XVI secolo, un falsario umbro, Alfonso Ceccarelli, allo scopo di influenzare i cardinali riuniti in conclave. I sostenitori di questa teoria adducono come prova il fatto che i motti riferiti ai pontefici fino al 1590 sono calzanti e fin troppo precisi, mentre da questa data in poi si fanno molto più vaghi e non sempre risultano giustificabili.

La profezia contiene 111 frasi in latino ( o 112, secondo altre versioni), tante quanti sono i Papi. La lista include anche Celestino V- “colui che fece il gran rifiuto“, per dirla come Dante, visto che nel 1294 si dimise proprio come ha fatto ora Joseph Ratzinger- e si conclude con un “Petrus Romanus” sotto il cui mandato si compirà il Giudizio Universale. A rendere un po’ preoccupante la profezia, sono i tempi. Perchè il penultimo Papa- in base alle interpretazioni correnti- sarebbe proprio Benedetto XVI. E quindi, il prossimo pontefice dovrebbe anche essere l’ultimo…

Sempre, ovviamente, che si voglia dar credito alla presunta profezia nella quale a volte le sintesi descrittive dei vari pontefici sono impressionanti.

Ma – si può obiettare- sono tutti papi antecedenti quella fatidica data, il 1590, nella quale avrebbe operato il falsario. Vero. Eppure, anche per i pontefici dei secoli successivi non mancano coincidenze suggestive. Pensiamo al motto “Montium Custos”(“Custode di monti”) per Alessandro VII (1655-1667) sul cui stemma campeggiavano sei monti protetti da una stella. Altro caso singolare, Clemente XIV ( 1769-1799): “Ursus velox” (“Orso veloce”), si legge nel manoscritto, e un orso che corre compariva in effetti nel suo stemma.

Venendo ai pontefici più vicino a noi, il motto per Papa Ratti è “Fides Intrepida”  (“Coraggiosa Fede”): fu proprio Pio XI a condannare le ideologie assolutiste del XX secolo, sfidando Stalin ed Hitler e denunciando in un’enciclica l’antisemitismo nazista. Il Fuehrer progettò addirittura di farlo deportare per metterlo a tacere. Per Albino Luciani, che rimase sul soglio pontificio solo 33 giorni , la profezia usa la frase “De media aetate lunae” (“Della media durata di una luna”), corrispondente a circa un mese.

Giovanni Paolo II è invece connotato dal motto “De labore solis” e qui le interpretazioni divergono. C’è chi lo traduce come “Della fatica del sole”, intendendo il grande peregrinare, in ogni angolo del mondo, di Papa Wojtyla, instancabile viaggiatore come il sole perennemente in moto, oppure, molto più intrigante, “Dell’eclissi del sole“. Un’ eclissi solare avvenne davvero il giorno della sua nascita e lo stesso fenomeno si è ripetuto nel giorno del funerale.

La profezia venne pubblicata per la prima volta nel 1595 dallo storico benedettino Arnoldo Wion nel suo libro Lignum Vitæ, una storia dell'ordine religioso a cui apparteneva. Wion attribuì la lista a san Malachia, vescovo benedettino di Armagh, vissuto nel XII secolo, senza però indicare dove si trovasse il manoscritto originale. Egli spiegò, soltanto, che la profezia non era mai stata pubblicata prima, ma che in molti già ne conoscevano l'esistenza ed erano ansiosi di leggerla integralmente. Assieme al testo Wion pubblicò anche un'interpretazione dei motti di tutti i papi sino al 1590, attribuendola allo storico domenicano Alfonso Chacón.

Siccome Malachia si era recato a Roma nel 1139, dove aveva ricevuto dal papa Innocenzo II i pallii per le sedi arcivescovili di Armagh e di Cashel, nel 1873 François Cucherat ipotizzò che il vescovo avesse avuto proprio a Roma una visione sui futuri pontefici, che l'avesse trascritta mediante dei motti criptici in latino e che avesse consegnato il manoscritto al papa, il quale l'avrebbe poi depositato negli archivi vaticani, dove sarebbe rimasto dimenticato fino alla sua riscoperta alla fine del XVI secolo.

L'autenticità della profezia di Malachia, di cui non si conosce il manoscritto originale ma solo il testo a stampa di Wion, fu messa in dubbio quasi subito da un libro del francescano François Carriere, ristampato quattro volte nel corso del XVII secolo, e venne rigettata anche dagli autorevoli padri bollandisti. Particolarmente approfondita fu la confutazione pubblicata nel 1689 dal gesuita Claude-François Ménestrier, dal titolo Refutation des prophéties faussement attribuées a s. Malachie sur les elections des Papes, tradotta in tedesco e stampata a Lipsia nel 1691 da Cristiano Wagnero. Poco dopo, a seguito della pubblicazione della Additione apologetico-istorica alle Predittioni circa i Sommi pontefici Romani del glorioso Padre S. Malachia di Giovanni Germano, Ménestrier tornò sull'argomento pubblicando la Philosophia imaginum aenigmatorum (Parigi, 1694).



Un primo, quasi ovvio, motivo di sospetto è il fatto che, per quattro secoli, nessuno aveva mai saputo nulla del documento. Anche nella dettagliata biografia di Malachia scritta da Bernardo di Chiaravalle, grande amico di Malachia, la profezia non viene minimamente menzionata.

Parimenti incongrua è la scelta dei personaggi descritti dai motti: essendo un elenco di papi non sembra logico includervi anche gli antipapi. Tuttavia, nonostante l'antipapa Innocenzo III non sia presente, degli altri dieci antipapi soltanto due vengono effettivamente dichiarati tali, mentre gli altri otto sono accomunati ai papi. Altri dubbi nascono dall'ordine di elencazione: il papa Alessandro III è posposto agli antipapi Vittore IV, Pasquale III e Calisto III, mentre Urbano VI è posposto agli antipapi Clemente VII, Benedetto XIII e Clemente VIII.

Una prova importante a sostegno della falsità dello scritto è data dal fatto che il motto di alcuni fra i papi più antichi venne elaborato sulla base di indicazioni biografiche o araldiche errate, presenti in maniera ugualmente sbagliata nella storia ecclesiastica scritta da Onofrio Panvinio nel 1557 e in altre sue opere. Malachia, quindi, non solo avrebbe saputo con secoli di anticipo notizie sui futuri pontefici, ma addirittura avrebbe commesso gli stessi errori di uno storico vissuto quattrocento anni dopo di lui.

L'ipotesi di un falso cinquecentesco è inoltre confermata dal fatto che i motti latini sono molto precisi per i pontefici antecedenti la fine del XVI secolo, periodo in cui il falso sarebbe stato ultimato, mentre diventano più vaghi e approssimativi per i papi successivi, obbligando a fare largo uso della fantasia per trovare un collegamento fra motti e pontefici.

Gli storici hanno cercato di mettere in luce le circostanze in cui la profezia potrebbe essere stata redatta, ma ancora senza produrre evidenze conclusive. In primo luogo la profezia di Malachia potrebbe rientrare nella consuetudine di usare testi profetici come armi psicologiche, usanza particolarmente diffusa nei momenti di instabilità politica, come, ad esempio, il periodo dello scisma d'Occidente. L'astrologo o il profeta, che tradizionalmente miravano a compiacere le mire del potente di turno, potevano utilizzare i pronostici come arma per influenzare gli eventi, prospettando come sicuri e inevitabili gli sviluppi più congeniali a loro o ai loro committenti.

Favorito dalla diffusione della stampa, il genere profetico ebbe un nuovo momento di grande popolarità in Italia fra il 1494 e il 1530, restando comunque vivo anche nei decenni successivi. Nel 1515 furono dati alle stampe anche i Vaticinia de Summis Pontificibus, una profezia medievale sui pontefici, risalente forse alla fine del XIII secolo, falsamente attribuita a Gioacchino da Fiore. I Vaticinia vennero poi nuovamente stampati a Venezia nel 1589 con note e interpretazioni di Pasqualino Regiselmo.

In questo quadro non sorprende che il genere della profezia possa esser stato utilizzato anche per influenzare l'esito dei conclavi o più semplicemente per trarre qualche profitto economico dalle attese dei papabili e dei loro congiunti non appena si fosse profilata la prospettiva di un prossimo decesso del pontefice in carica.

Nel caso della profezia di Malachia l'attenzione degli studiosi, fra cui per primo Claude-François Ménestrier, cadde sul 75° motto, Ex antiquitate urbis, un riferimento estremamente vago, soprattutto in Italia, dove moltissime città e centri minori esistono da tempo immemorabile. Una profezia, quindi, facilmente confermabile dall'esito di un conclave. Al tempo stesso, il motto era particolarmente aderente alle caratteristiche di uno specifico candidato, il cardinale Girolamo Simoncelli, nato a Orvieto (Urbs vetus, in latino, cioè "città antica" per antonomasia).

Il motto potrebbe essergli stato dedicato per adulazione, con la speranza di trarre concreti benefici dalla sua ambizione al papato, oppure addirittura potrebbe essere stato commissionato da suoi sostenitori e fatto circolare nella curia vaticana per influire su un imminente conclave. Tutto il testo della profezia di Malachia, dunque, potrebbe essere un falso storico costruito solo per creare un contesto di verosimiglianza al motto.

Alla luce di queste considerazioni molti studiosi, a partire da Menestrier, hanno avanzato l'ipotesi che il documento sia stato utilizzato inutilmente (o preparato senza essere utilizzato) in occasione del conclave del 1590, che vide l'elezione del milanese Nicolò Sfondrati.

Agli inizi del XX secolo Luigi Fumi attribuì le profezie di Malachia all'opera di un noto falsario cinquecentesco, Alfonso Ceccarelli, i cui rapporti con i familiari di Simoncelli erano solidi ed accertati.

Il metodo di lavoro di Ceccarelli, utilizzato ad esempio verso il principe Cybo, era di predisporre falsi documenti antichi o cronache storiche attribuite ad antichi autori (reali o mai esistiti), mediante i quali dimostrare la discendenza di un possibile committente da personaggi o da famiglie illustri del lontano passato. Con questi espedienti, Ceccarelli era in grado di invogliare il possibile committente a finanziare studi storici di approfondimento o ad acquistare copie dei documenti "originali" in suo possesso.

Queste caratteristiche fanno di Ceccarelli il candidato ideale per essere l'autore delle profezie di Malachia. Ceccarelli, tuttavia, fu giustiziato il 9 luglio 1583, sette anni prima del conclave del 1590, e perciò questa attribuzione è dubbia.

Per mantenere l'attribuzione occorre ipotizzare che il manoscritto trascritto da Wion abbia avuto una storia articolata in almeno due momenti diversi. Una prima redazione sarebbe stata predisposta ma non utilizzata da Ceccarelli in data anteriore al 1583 e proprio nel clima di attesa creato dalle profezie sulla malattia e la morte del papa, che circolarono per Gregorio XIII (papa dal 1572 al 1585). Il testo di Ceccarelli, poi, sarebbe stato adattato da parte di altri in previsione o in occasione dei conclavi successivi.

In un articolo del 2015 si riporta un carteggio di un nipote del cardinale Giovanni Gerolamo Albani, grazie al quale si ha prova di come profezie di Malachia esistevano già nel 1587, nella stessa forma pubblicata da Wion. Dato che il motto del 73º papa, Sisto V (1585-1590), è una descrizione del suo stemma, nell'opinione generale degli studiosi è stato scritto ex-post e perciò il testo avrebbe trovato la sua forma finale nel biennio 1585-1587 in previsione del successivo conclave. Nel carteggio Albani alcuni familiari del cardinale si mostrano convinti che il motto "De rore coeli" annunci la futura elezione del loro protettore, collegando il nome Albani, da cui "alba", alla rugiada (ros, roris) in quanto tipico fenomeno mattutino. Il cardinale, infatti, era stato uno dei candidati più votati nel conclave del 1585, mantenendo quindi alcune effettive chance di elezione.

Chiunque sia stato l'autore, o gli autori, del documento, la tesi praticamente unanime, seguita anche dall'ultima edizione dell'Enciclopedia Cattolica, resta che il manoscritto sia un falso storico, redatto nella seconda metà del XVI secolo.

Secondo Giuseppe De Novaes, l'opera di Wion ebbe grande successo: «Varie edizioni ne furono fatte, correndo ognuno a questi libri Sibillini come a fogli caduti dal Cielo». Nel 1601 il domenicano Girolamo Giannini stampò a Venezia i Vaticini dell'abbate Malachia arcivescovo Armacano, tradotti dal latino, ristampati nel 1650 e nel 1689. Negli ultimi decenni del XVII secolo anche il cistercense Giovanni Germano scrisse diversi libri sulla profezia di Malachia. Fu stampata più volte da editori diversi anche la Profezia veridica di tutti i sommi pontefici fino alla fine del mondo fatta da S. Malachia arcivescovo armacano, di cui S. Bernardo scrisse la vita e cavata per opera di un theologo da scrittori autentici. Poco dopo Daniele Guglielmo Mollero pubblicò la Dissertatio historica de Malachia, propheta pontificio (Altdorf, 1706).

Anche alcuni estensori di biografie dei papi o di storia ecclesiastica trattarono l'argomento nelle loro opere. Ad esempio già Louis Coulon, ristampando nel 1673 le sue vite dei papi, segnalò nel frontespizio: Nouvelle edition augmentée de la vie des deux dernier Pontifes et de la Prophetie de S.Malachie. Nell'opera, Coulon commentò tutti i motti fino al 1670, cioè estese di ottant'anni le spiegazioni di Alfonso Chacón. Prudentemente, però, si astenne da ogni valutazione e sottomise ogni cosa «au jugement de la Sainte Eglise». Poco dopo la profezia entrò anche nel famoso dizionario storico-biografico di Louis Moréri, un'opera stampata nel 1674 a Lione, in un solo volume, che venne continuamente corretta ed ampliata fino a raggiungere i dieci volumi nell'edizione del 1759. Anche Pierre le Lorrain, abate di Vallemont, trattò l'argomento delle profezie di Malachia nei suoi Eléments de l'histoire, ou ce qu'il faut savoir de chronologie, de géographie, de blason, etc., avant que de lire l'histoire particulière.

Le numerose critiche ridussero la fama dell'opera, la quale continuò però a trovare sostenitori anche presso scrittori protestanti, come il luterano Teodoro Grugero, che pubblicò la Commentatio historica de successione Pontificum Romanorum, secundum vaticinia Malachiae, a dubiis Menestrerii, Carrieri, aliorumque vindicata (Wittenberge, 1723).


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