giovedì 23 marzo 2017

VITA IMMAGINARIA

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Immaginare una vita diversa, dove si è protagonisti delle più strabilianti avventure, o anche solo di piccole soddisfazioni personali capita a tutti.
Il sognatore spesso si perde nell’immaginare situazioni talmente coinvolgenti da perdere il senso dello scorrere del tempo, o dell’azione che sta compiendo. All’atto pratico, ciò può comportare distrazione, confusione e soprattutto il perpetrarsi della base intima del fenomeno del wandering, ciò il voler evitare sempre di più lo “scontro” con la realtà.
Il sognatore vive vite parallele perfette e appaganti nella sua mente in maniera esponenziale a quanto teme la sofferenza, l’umiliazione nella realtà. Se nella vita vera prende le cose “alla lontana”, nella sua immaginazione spesso invece è il protagonista assoluto di grandi “scene madri”, che nella quotidianità non ha il coraggio di mettere in atto.

La maggioranza delle persone inventano storie a contenuto romantico, si immaginano come sarebbero le loro vite con un altra persona con la quale non hanno nessun tipo di relazione sentimentale. Queste storie possono essere rappresentate da un semplice contenuto nato dall’immaginazione e senza nessuna trascendenza, caratteristico negli adolescenti, che molto spesso, di fronte alla mancanza d’esperienza in questo ambito ricreano le situazioni e le possibili risposte. In questo caso si tratterebbe di una forma di preparazione mentale di fronte al non conosciuto o semplicemente l’espressione del desiderio di intrattenere una relazione amorosa.

Comunque, esiste anche ciò che viene definito il “delirio erotomaniaco”, nel quale la persona si innamora platonicamente. Colui che soffre di “delirio erotomaniaco” normalmente non cerca il contatto fisico neppure tenta di dichiarare il suo amore ma semplicemente interpreta tutti i segnali provenienti dall’altra persona come se fossero segni di interesse verso di lui quando non è così. Questo disturbo si riscontra negli anziani o in persone con problemi cognitivi o depressione.

Anche le persone che soffrono di “schizofrenia paranoide” suolono inventarsi storie molto ben strutturate anche se il loro contenuto è relazionato con persecuzioni o delirio di grandezza, nelle culture dove ancora esiste il maschilismo i contenuti possono essere relazionati con storie di gelosia ed insicurezza. Per diagnosticare la “schizofrenia paranoide” è essenziale che il paziente non sia critico riguardo alla propria malattia, il fatto di preoccuparsi per le storie o riconoscere che sono il prodotto della nostra immaginazione esclude il disturbo psicotico.

Le storie inesistenti possono essere considerate come un disturbo quando creano problemi alla persona che le immagina e provocano un deterioramento in alcune aree del comportamento come per esempio, il fatto di immaginare storie con un amante immaginario porta al punto in cui progressivamente la persona si svincola dalle relazioni sociali e dalla ricerca del partner reale. Inoltre, quando queste storie occupano buona parte del quotidiano.
Nel caso in cui inventare storie arrivi ad essere patologico ma senza convertirsi in psicosi, le cause sono molteplici anche se le più comuni sono quelle in cui prevale una storia personale piena di paure, rigidezza ed isolamento sociale. Essenzialmente la persona intenta a supplire alle carenze e privazioni alla quale è stata sottoposta durante buona parte della sua vita. Sarebbe un meccanismo per evadere dalla realtà e costruirsi un mondo nel quale sentirsi a proprio agio.



In ogni modo, a volte inventarsi storie è sinonimo di una immaginazione fertile e può rappresentare un fenomeno perfettamente normale in persone equilibrate. Gli esseri umani sono capaci di unire l’immaginazione con la realtà e non sempre il risultato è negativo.

La dissociazione in psicopatologia e in psichiatria è quel meccanismo di difesa con cui alcuni elementi dei processi psichici rimangono "disconnessi" o separati dal restante sistema psicologico dell'individuo: tale condizione si può ritrovare in molte reazioni psicologiche (ad esempio, davanti a situazioni traumatiche).

Nel caso si cristallizzino, i processi dissociativi possono determinare specifiche sindromi psicopatologiche.

Nonostante alcune riserve sull'opportunità di descrivere i disturbi dissociativi attraverso categorie descrittive o se preferire un approccio dimensionale, gli studi epidemiologici sinora svolti confermano una diffusione delle psicopatologie dissociative con percentuali che si attestano in un range compreso tra il 5 ed il 15% (Putnam, 2001).

I criteri diagnostici per il DDI sono: presenza di due o più identità o stati di personalità distinte, ciascuna con i suoi modi relativamente costanti di percepire, relazionarsi, pensare nei confronti di sé stesso e dell'ambiente; almeno 2 o più di queste identità o stati di personalità assumono in modo ricorrente il controllo del comportamento della persona; incapacità di ricordare importanti nozioni personali non spiegabili con una banale tendenza alla dimenticanza; l'alterazione non è dovuta né agli effetti fisiologici diretti di una sostanza né a una condizione medica generale.

Il DDI sembra rappresentare il precipitato di un fallimento nei processi di integrazione tra i vari aspetti della memoria, della coscienza e dell'identità associata a gravi traumi (Kluft, 2003). L'alternarsi dei diversi stati di personalità può essere causa di una confusione diagnostica per l'emergere di formazioni sintomatiche di discontinuità della coscienza comuni ad altre psicopatologie, oltre ad una vasta gamma di “sintomi secondari” (sintomi ansiosi, ossessivo-compulsivi, depressivi, fobici, di abuso di sostanze psicotrope, di disturbi del comportamento alimentare, di comportamenti antisociali etc.) su cui spesso i clinici si concentrano erroneamente (Steinberg, Schanll, 2001), giungendo inevitabilmente a diagnosi errate e improntando trattamenti che risultano inefficaci.

Al fine di evitare tali confusioni diagnostiche, il clinico si può avvalere dell'ausilio di interviste strutturate, come ad esempio la Dissociative Disorders Interview Schedule (DDIS, Ross et al., 1989), la Structured Clinical Interview for DSM-IV Dissociative Disorders-Revised (SCID-D-R, Steinberg, 1994). Altri strumenti standardizzati disponibili per la valutazione del DD comprendono una scala di screening per la dissociazione patologica negli adulti, la Dissociative Experience Scale - DES (Bernstein e Putnam, 1986), cui fa da pendant una scala per i bambini dai 5 ai 12 anni, la Child Dissociative Checklist - CDC (Putnam et al., 1993).

Il disturbo da depersonalizzazione fu concettualizzato per la prima volta nel DSM-II (APA, 1968) come nevrosi da depersonalizzazione, il Disturbo da Depersonalizzazione rappresenta un tipico disturbo dissociativo caratterizzato da sentimenti di estraneità da sé, che si accompagnano alla sensazione di guardarsi dall'esterno e ad un appiattimento emotivo.

Diverse sono le forme attraverso cui si manifesta la sensazione di distacco da sé stessi (Steinberg, Schnall, 2001), tra le quali:

l'esperienza di essere fuori dal corpo;
la perdita di sensibilità di parti del corpo;
una percezione distorta del corpo;
la sensazione di essere invisibili;
l'incapacità di riconoscersi allo specchio;
un senso di distacco dalle proprie emozioni;
la sensazione di guardare un film su sé stessi;
il senso di irrealtà;
la sensazione di essere scisso in una parte partecipante ed una osservante;
la presenza di dialoghi interattivi con una persona immaginaria.
In relazione alla gravità ed intensità con la quale si manifestano i sintomi elencati si può distinguere una depersonalizzazione lieve, particolarmente diffusa presso la popolazione generale, da una depersonalizzazione grave (Steinberg, Schnall, 2001).

La depersonalizzazione lieve rappresenta una risposta transitoria, funzionale a contrastare intensi vissuti d'ansia in un situazione di stress o di pericolo di vita. Nelle condizioni gravi rappresenta invece una sindrome capace di procurare intensi stati di ansia e di angoscia legati proprio al deficit dell'integrazione delle emozioni traumatiche all'interno di un sistema associativo, tipico di un Sé stabile e coeso. È quanto avviene ad esempio in coloro che hanno subìto ripetuti abusi sessuali durante l'infanzia. Si è constatato che tra i pazienti psichiatrici la depersonalizzazione viene diagnosticata il più delle volte come sintomo associato con altri disturbi come la schizofrenia, il disturbo dissociativo d'identità, la depressione, i disturbi d'ansia, piuttosto che come disturbo puro (Gabbard, 1994).



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