In molte culture “verginità” e “innocenza” sono sinonimi, il cui contrario è “colpevolezza” (con ampie sfumature che vanno dalla “vergogna” al “peccato”). Da una piccola porzione di pelle – molto probabilmente un residuo dello sviluppo fetale – si è stabilita, per molto tempo, la moralità di una donna. Inutile ricordarvi i delitti e le violenze, le calunnie e le persecuzioni, a cui per secoli sono state sottoposte le donne “colpevoli” soltanto di avere un “imene non integro” in data precedente al matrimonio. Espressioni verbali come “rompere l’imene”, “deflorare”, “sverginare” non solo sono orripilanti, ma sono anche profondamente errate: sono nate dall’ignoranza dell’anatomia femminile e dalla volontà di perpetuare miti essenziali al mantenimento delle strutture patriarcali, e pregiudizi nei confronti della sessualità delle donne.
Secondo recenti dati si stima che la media mondiale dell'età in cui viene persa la verginità sia tra i 16 e i 18 anni. Ad ogni modo una donna si considera pronta a perdere la verginità con l'arrivo del menarca.
Tradizionalmente, le donne non sono più considerate vergini dopo aver subito una violenza sessuale, ma presso in alcune culture ciò non è vero. C'è chi intende la verginità in un senso esclusivamente spirituale, arrivando alla nozione di "vergini rinate", cioè donne che "tornano" alla verginità (intesa come astinenza). In questo caso sarebbe però più corretto usare la parola castità.
In molte culture la verginità femminile è strettamente legata all'onore personale o familiare, e spesso la perdita della verginità prima del matrimonio è motivo di vergogna. Moltissime culture prevedono un esame della verginità, effettuato a volte da un'anziana del villaggio.
In molte culture occidentali, nelle cerimonie matrimoniali la verginità è simboleggiata dal velo e dall'abito bianco, ma spesso la donna indossa l'abito bianco anche se non è più vergine. Va inoltre considerato che in alcune culture occidentali la verginità non è più considerata una virtù, e anzi in certi casi può essere vista come qualità negativa, in quanto suggerisce che la persona non sia attraente o matura o sia eccessivamente legata alle tradizioni.
Il filosofo Bertrand Russell, nel suo libro "Perché non sono cristiano", sosteneva che evitare esperienze sessuali prima del matrimonio fosse ingenuo e sciocco, e che farlo avrebbe alla lunga portato a più infelicità della pratica sessuale. Questo sulla base del fatto che se si è all'oscuro del desiderio sessuale e della sua naturale conclusione, non si è in grado di distinguere tra una profonda infatuazione e un vero sentimento, e perciò si è condotti a scegliere male il proprio partner, mentre tale errore sarebbe evitabile se si conoscesse la differenza.
Al contrario il filosofo Philipp Mainländer, nel suo lavoro centrale, "Die Philosophie der Erlösung" secondo Theodor Lessing, "forse il più radicale sistema pessimistico noto in tutta la letteratura filosofica mondiale", intende la verginità, come strumento d'elezione dell'elusione procreativa, come un assecondamento di quello che egli identifica come il processo dissolutivo universale.
Molti storici e antropologi fanno notare come in realtà anche nelle culture che attribuiscono grande valore alla verginità, come accadeva nelle culture occidentali prima della rivoluzione sessuale, si riscontra comunque una notevole attività sessuale pre-matrimoniale, nelle tipologie che non implicano penetrazione vaginale: si parla dunque di una "verginità tecnica". Pur non essendovi lacerazione dell'imene, ad esempio, si è fatto ricorso a rapporti sessuali di altro tipo: orale, anale, masturbazione, o simulazione del coito tra le gambe. Analogamente, nell'odierna gioventù iraniana la pratica più diffusa è il lapai, che consiste nello stringere il pene dell'uomo tra le gambe della donna in modo da simulare il coito.
In molte parti del mondo e anche in Italia per dare una prova concreta della verginità della donna, era tradizione esporre sul terrazzo, alla finestra o sul balcone le lenzuola che avevano ospitato i coniugi nella loro prima notte di nozze. Mettendo in bella vista le tracce di sangue, infatti, si dimostrava che la sposa era effettivamente illibata. L'usanza aveva risvolti tragicomici quando le tracce di sangue, per varie ragioni, non c'erano: si suppliva allora con sangue animale.
L'atto di "perdere la verginità", ovvero la prima esperienza sessuale, è considerato in moltissime culture come un evento molto importante, e affine a un vero e proprio rito di passaggio. La perdita della verginità può essere vista come una pietra miliare di cui essere orgogliosi, o un fallimento di cui vergognarsi, soprattutto se derivante da sensi di colpa per una perdita di autocontrollo, o semplicemente come un momento naturale della crescita. Storicamente, queste percezioni hanno spesso avuto una grande variazione tra uomo e donna, implicando orgoglio per l'uomo e vergogna per la donna. Tuttavia, nella recente evoluzione della cultura occidentale, l'influenza di questa contrapposizione si è affievolita, ed ora è sempre più comune anche per le donne vivere la prima esperienza sessuale con naturalezza e a volte anche con orgoglio.
Nel corso della storia molti stati hanno spesso protetto legalmente la verginità. La Germania ha abolito solo nel 1998 una legge che autorizzava una donna deflorata a chiedere un risarcimento, se la relazione veniva poi interrotta.
Per il cristianesimo il sesso al di fuori del matrimonio è considerato peccato, mentre nel Nuovo Testamento si trovano incoraggiamenti al celibato (Matteo 19, 12). È da notare che il cristianesimo non distingue tra verginità maschile e verginità femminile, ma attribuisce identico valore alla verginità in entrambi i sessi.
L'Islam prevede regole estremamente severe, secondo cui l'attività sessuale deve restare confinata all'interno del matrimonio. Sebbene la verginità della sposa sia sempre stata molto importante nelle società islamiche, la pratica comune dei divorzi e nuovi matrimoni, anche in società molto tradizionali, implica che una donna possa sposarsi anche avendo avuto precedenti esperienze sessuali, purché sempre nell'ambito di un precedente matrimonio. Khadìja bint Khuwàylid era una vedova quarantenne e non più vergine quando sposò il Profeta Maometto: ciò non fu di ostacolo al loro matrimonio.
Uno degli aspetti più importanti della tradizione ebraica è la grande importanza attribuita alla verginità, che appare evidente già nella Genesi, nella figura di Rebecca:
« La giovinetta era molto bella d'aspetto, era vergine, nessun uomo le si era unito. »
(Genesi 24, 16)
Il tema è ricorrente nella Bibbia, soprattutto nelle regole riguardanti tradimenti, matrimoni e divorzi.
In pratica, l'ebraismo è molto tollerante riguardo alle relazioni sessuali. Il sesso non è visto come sporco o indesiderabile di per sé, ed anzi, all'interno del matrimonio è considerato una mitzvah. Le correnti più liberali sono relativamente aperti anche nei confronti del sesso pre-matrimoniale: sebbene non sia incoraggiato, non è nemmeno proibito - si applicano ad esempio anche ad esso tutte le regole generali sulla sessualità.
In molte tradizioni neopagane, la figura di una Vergine è una delle tre persone della dea triplice.
La verginità è spesso stata considerata una virtù indicante purezza e capacità di fronteggiare le tentazioni, e come tale è un attributo importante di molte figure divine, esclusivamente femminili. Ad esempio, nella mitologia greca è attributo di Atena, Artemide, ed Estia. Le vestali nella Roma antica erano condannate a morte in caso di rapporti sessuali. La costellazione della Vergine rappresenta poi in molte culture una vergine sacra, la cui identità e storia però è abbastanza variabile.
La parola deriva dal latino virginitas, virginitatis, quindi da virgo, virginis (vergine). Secondo alcuni, Virgo significherebbe semplicemente "giovane donna", al contempo puella significa ragazza. Non è certo se il passaggio dalla giovane età all'età matura fosse sancito dalla perdita della verginità o da un altro rito di passaggio similare.
La verginità femminile esercita tuttora un certo fascino sull’uomo. Richiamo della tradizione o semplice desiderio di sentirsi unici e importanti. Dal canto suo la donna che aspetta sa di avere qualche chance in più che l’uomo, al di là della semplice attrazione sessuale, si impegni con lei. Può piacere o meno, ma questo copione si tramanda inconsapevolmente di generazione in generazione, da migliaia di anni.
La rivoluzione sessuale, l’avvento dei metodi contraccettivi, la legge sul divorzio e sull’aborto hanno permesso una rivisitazione dei comportamenti e delle ideologie sessuali femminili.
La contrapposizione netta verso le posizioni repressive e sessuofobiche ha incoraggiato, al contrario, condotte sessuali libere e appaganti, approdando a un permissivismo sessuale. Così, la verginità femminile è stata banalizzata, ha perso per alcune il suo significato di dignità, assumendo quello opposto di ostacolo da rimuovere quanto prima, di un peso di cui vergognarsi.
Nella società attuale, dove imperano l’individualismo, il godimento, il sesso a tutti i costi e il “tutto e subito”, questa recente visione negativa della verginità ha portato molte giovani ad affrettare l’età della loro prima volta, affrontandola senza l’adeguata maturazione emotiva e psicologica, col risultato di una negativa, deludente, e, nei casi più gravi, traumatica esperienza.
Per altre, invece, la verginità è tornata a essere un valore ricercato di attesa, non vissuta, però, con obbligo morale, sofferenza e fatica come avveniva nei secoli passati. È un’attesa convinta, una scelta sentita di conoscere meglio se stesse, il proprio corpo e le proprie emozioni, di entrare in sintonia con il proprio partner, di arrivare al rapporto sessuale informate, di ponderare i rischi, di coltivare un sentimento e una relazione.
Un misto di cautela, consapevolezza ed emozioni che alimenta giorno dopo giorno il desiderio. Fino al momento in cui ci si sente davvero pronte per compiere questo passo così importante. Il primo rapporto, infatti, lascia tracce nella memoria delle donne, influenzando la loro futura sessualità.
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