giovedì 2 marzo 2017

GLI ESOPIANETI



L’annuncio della scoperta degli esopianeti è una delle notizie scientifiche più importanti degli ultimi anni. I sette nuovi esopianeti, con dimensioni paragonabili a quelle della Terra, si trovano in un unico sistema solare a 40 anni luce di distanza da noi. Almeno tre di loro sono in una “zona abitabile”, forse con acqua liquida sulla superficie, una condizione che rende più probabile la formazione della vita. La scoperta degli esopianeti – nome usato per indicare i pianeti che si trovano all’esterno del nostro sistema solare – è stata effettuata da un gruppo di astronomi guidati da Michaël Gillon dello STAR Institute dell’Università di Liegi, Belgio, ed è stata pubblicata sulla rivista scientifica Nature. Il nuovo gruppo planetario ha la quantità più alta di pianeti con dimensioni paragonabili alla Terra mai scoperta finora, e al tempo stesso ha il maggior numero di mondi con un’alta probabilità di avere laghi e oceani sulla loro superficie.
I sette esopianeti orbitano intorno a una “nana rossa”, una stella più piccola e fredda del Sole, che si chiama TRAPPIST-1 e che è visibile (non a occhio nudo) nella costellazione dell’Acquario nel cielo notturno terrestre. Come da prassi, i pianeti sono stati chiamati con il nome della loro stella di riferimento, cui è stata aggiunta una lettera in ordine alfabetico dal più vicino al più lontano; sono quindi: TRAPPIST-1b, TRAPPIST-1c e così via fino a TRAPPIST-1h.
La nana rossa ha una massa pari all’8 per cento di quella del Sole, con dimensioni paragonabili a quelle di Giove, il pianeta più grande del nostro sistema solare con un diametro che è circa 11 volte quello della Terra. La stella deve il suo nome al telescopio belga Transiting Planets and Planetesimals Small Telescope installato nei pressi di La Silla, in Cile, e utilizzato per la sua osservazione. L’acronimo TRAPPIST, derivato dal nome per esteso del telescopio, è stato scelto per ricordare l’ordine monastico dei trappisti, noti per essere produttori di alcuni tipi di birra in Belgio. La stella era inoltre una vecchia conoscenza di Gillon e colleghi, e aveva portato alla scoperta di tre esopianeti nel 2015.

I ricercatori hanno determinato l’esistenza e le caratteristiche dei sette pianeti grazie alle osservazioni e ai dati raccolti da diversi telescopi, come il Very Large Telescope dell’Osservatorio Europeo Australe (ESO) sempre a La Silla e dello Spitzer Space Telescope della NASA, in orbita intorno alla Terra per evitare i disturbi e le distorsioni che si hanno osservando il cielo dal suolo attraverso l’atmosfera.
La scoperta degli esopianeti è stata effettuata con una tecnica molto diffusa e perfezionata negli ultimi anni, che consente di osservare indirettamente nuovi corpi celesti. Semplificando molto: si osserva una stella e si rilevano i suoi periodici cambiamenti di luminosità, che si verificano quando un pianeta le passa davanti coprendola in parte (rispetto al punto di osservazione dalla Terra). Basandosi sui cambiamenti della luce e di altri parametri, gli astronomi riescono a ricostruire molte informazioni sui pianeti, determinando le loro dimensioni, la composizione e la distanza dalla stella di riferimento.
Gillon e colleghi scrivono nel loro studio che almeno 6 pianeti su 7 sono comparabili con la Terra, non solo per quanto riguarda le dimensioni, ma anche per la temperatura sulla loro superficie. I dati dicono anche che i 6 pianeti più vicini alla nana rossa sono rocciosi, come il nostro. Le orbite di questi esopianeti intorno a TRAPPIST-1 sono relativamente strette rispetto a quella della Terra: sono inferiori persino all’orbita di Mercurio, il pianeta più prossimo al nostro Sole. La minore distanza non comporta che il clima sugli esopianeti scoperti sia torrido e insostenibile per la vita, perché TRAPPIST-1 è una stella meno calda rispetto alla nostra.



I ricercatori stimano che TRAPPIST-1c, d ed f ricevano una quantità di energia paragonabile a quella ricevuta rispettivamente da Venere, Terra e Marte grazie al Sole. Potenzialmente tutti e sette gli esopianeti potrebbero avere acqua allo stato liquido sulla loro superficie, anche se TRAPPIST-1b, c e d sono forse troppo caldi per averne grandi quantità diffuse in più aree. Ci sono inoltre ulteriori prudenze su TRAPPIST-1h, il più distante di tutti dalla nana rossa, per il quale si ipotizza un clima troppo freddo per mantenere molta acqua allo stato liquido in superficie. Nel complesso, i tre pianeti con i requisiti più in ordine per essere abitabili sono TRAPPIST-1e, f e g.
La scoperta dei 7 esopianeti pubblicata su Nature, e annunciata ieri dalla NASA nel corso di una conferenza stampa molto attesa, è un’ottima notizia non solo per la parte dell’astronomia che si occupa dei pianeti esterni al nostro sistema solare, ma anche per la ricerca di forme di vita che si sono sviluppate su corpi celesti diversi dalla Terra. È ancora prematuro sostenere che ci sia vita su uno dei 7 pianeti, ma la loro scoperta consentirà ora ai ricercatori di concentrare le attenzioni su un gruppo planetario vicino, in termini astronomici, e che potrà essere indagato meglio in futuro con i nuovi telescopi più potenti cui sono al lavoro sia ESO sia NASA, e che dovrebbero essere pronti entro pochi anni.
Viene da pensare alle parole del celebre cosmologo Stephen Hawking, che auspica per l’umanità la possibilità, anzi la necessità, di trovare una nuova casa tra le stelle. “In un universo infinito, dev’esserci altra vita – sostiene da sempre il padre della teoria dei buchi neri -. È tempo d’impegnarsi per trovare una risposta”.

Gli scienziati della Nasa che considerano il nuovo sistema solare “uno dei migliori laboratori per capire l’evoluzione dei piccoli pianeti” hanno, infatti, descritto la scoperta come un importante passo verso la ricerca di una risposta alla domanda se c’è vita al di fuori del nostro Pianeta. “Sentiremo parlare molto di questo nuovo sistema nei prossimi anni e decenni”, commenta Nature. Il telescopio Hubble, ad esempio, ha già rivolto il proprio sguardo verso i nuovi mondi, a caccia dell’eventuale presenza di atmosfere. E nei prossimi anni nuovi occhi si apriranno sul Cosmo e, in particolare, su questi ultimi arrivati. Come quelli del telescopio spaziale Nasa/Esa James Webb, il cui lancio è in calendario tra poco più di un anno. O quelli dell’osservatorio terrestre Extremely large telescope dell’European southern observatory (Eso) che, una volta in funzione – la prima luce è attesa per il 2024 – sarà “il più grande occhio del mondo sul cielo”.

“È urgente moltiplicare gli sforzi per la caratterizzazione delle proprietà fisiche e delle atmosfere dei gemelli della nostra Terra, nella regione di abitabilità di stelle simili al nostro Sole”. L’esortazione viene da Alessandro Sozzetti, ricercatore dell’Istituto nazionale di astrofisica (Inaf). “Il nuovo sistema planetario è straordinario sotto diversi aspetti – sottolinea lo studioso italiano -. Tre dei suoi sette pianeti sono, ad esempio, soggetti a livelli di irraggiamento da parte della stella centrale simili a quelli che Venere, Terra e Marte ricevono dal nostro Sole”. I nuovi osservatori consentiranno agli scienziati di guardare direttamente l’aspetto di questi nuovi mondi.  ma anche la voglia di capire quante e quali siano le somiglianze con la nostra Terra.

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