Il robot è una qualsiasi macchina in grado di svolgere più o meno indipendentemente un lavoro al posto dell'uomo e compiono determinate azioni in base ai comandi che gli vengono dati e alle sue funzioni, sia in base ad una supervisione diretta dell'uomo, sia autonomamente basandosi su linee guida generali, magari usando processi di intelligenza artificiale; questi compiti tipicamente dovrebbero essere eseguiti al fine di sostituire o coadiuvare l'uomo, come ad nella fabbricazione, costruzione, manipolazione di materiali pesanti e pericolosi, o in ambienti proibitivi o non compatibili con la condizione umana o semplicemente per liberare l'uomo da impegni.
Un robot così definito dovrebbe essere dotato di connessioni guidate dalla retroazione tra percezione e azione, e non dal controllo umano diretto. L'azione può prendere la forma di motori elettro-magnetici, o attuatori, che muovono un arto, aprono e chiudono una pinza, o fanno deambulare il robot. Il controllo passo-passo e la retroazione sono forniti da un programma che viene eseguito da un computer esterno o interno al robot, o da un microcontroller. In base a questa definizione, il concetto di robot può comprendere quasi tutti gli apparati automatizzati.
In alternativa, il termine robot viene usato per indicare un essere artificiale, un automa o androide, che replichi e somigli ad un animale (reale o immaginario) o ad un uomo. Il termine ha finito per essere applicato a molte macchine che sostituiscono direttamente un umano o un animale, nel lavoro o nel gioco. In questo modo, un robot può essere visto come un tentativo di biomimica. L'antropomorfismo è forse ciò che ci rende così riluttanti a riferirci a una moderna e complessa lavatrice, come a un robot. Comunque, nella comprensione moderna, il termine implica un grado di autonomia che escluderebbe molte macchine automatiche dal venire chiamate robot. Si tratta di una ricerca per robot sempre più autonomi, il che è il maggiore obiettivo della ricerca robotica e il motivo che guida gran parte del lavoro sull'intelligenza artificiale.
L'idea di persone artificiali risale almeno all'antica leggenda di Cadmo, che seppellì dei denti di drago che si trasformarono in soldati; e al mito di Pigmalione, la cui statua di Galatea prese vita. Nella mitologia classica, il deforme dio del metallo (Vulcano o Hephaestus) creò dei servi meccanici, che andavano dalle intelligenti damigelle dorate a più utilitaristici tavoli a tre gambe che potevano spostarsi di loro volontà. La leggenda ebraica ci parla del Golem, una statua di argilla, animata dalla magia cabalistica. Nell'estremo Nord canadese e nella Groenlandia occidentale, le leggende Inuit raccontano di Tupilaq (o Tupilak), che può essere creato da uno stregone per dare la caccia e uccidere un nemico. Usare un Tupilaq per questo scopo può essere un'arma a doppio taglio, in quanto una vittima abbastanza ferrata in stregoneria può fermare un Tupilaq e riprogrammarlo per cercare e distruggere il suo creatore.
Il primo progetto documentato di un robot umanoide venne fatto da Leonardo da Vinci attorno al 1495. Degli appunti di Da Vinci, riscoperti negli anni cinquanta, contengono disegni dettagliati per un cavaliere meccanico, che era apparentemente in grado di alzarsi in piedi, agitare le braccia e muovere testa e mascella. Il progetto era probabilmente basato sulle sue ricerche anatomiche registrate nell'Uomo vitruviano. Non si sa se tentò o meno di costruire il robot.
Il primo robot funzionante conosciuto venne creato nel 1738 da Jacques de Vaucanson, che fabbricò un androide che suonava il flauto, così come un'anatra meccanica che, secondo le testimonianze, mangiava e defecava. Nel racconto breve di E.T.A. Hoffmann L'uomo di sabbia (1817) compariva una donna meccanica a forma di bambola, nel racconto Storia filosofica dei secoli futuri (1860) Ippolito Nievo indicò l'invenzione dei robot (da lui chiamati 'omuncoli', 'uomini di seconda mano' o 'esseri ausiliari') come l'invenzione più notevole della storia dell'umanità, e in Steam Man of the Prairies (1865) Edward S. Ellis espresse l'affascinazione americana per l'industrializzazione. Giunse un'ondata di storie su automi umanoidi, che culminò nell'Uomo elettrico di Luis Senarens, nel 1885.
Una volta che la tecnologia avanzò al punto che la gente intravedeva delle creature meccaniche come qualcosa più che dei giocattoli, la risposta letteraria al concetto di robot rifletté le paure che gli esseri umani avrebbero potuto essere rimpiazzati dalle loro stesse creazioni. Frankenstein (1818), che viene spesso definito il primo romanzo di fantascienza, è divenuto un sinonimo di questa tematica. Quando il dramma di Capek, R.U.R., introdusse il concetto di una catena di montaggio operata da robot che costruivano altri robot, il tema prese delle sfumature politiche e filosofiche, ulteriormente disseminate da film classici come Metropolis (1927), il popolare Guerre stellari (1977), Blade Runner (1982) e Terminator (1984).
Nella introduzione al suo romanzo Abissi d'acciaio, Asimov ha detto di avere fatto in tale serie "Il primo uso della parola robotica nella storia del mondo, per quanto ne so."
I droni sono sistemi robotici che hanno avuto una grande diffusione, anche in ambito amatoriale.
I robot attualmente utilizzati sono di fatto dei sistemi ibridi complessi costituiti da vari sottosistemi quali computer (es. microcontrollori) ovvero da una parte hardware elettronica opportunamente programmata tramite software che regola o controlla una parte meccanica costituita da servomeccanismi per l'esecuzione dei compiti meccanici desiderati; esistono moltissime tipologie di Robot differenti sviluppate per assolvere i compiti più disparati. Ormai è larghissimo l'impiego dei robot nell'industria metalmeccanica (catene di montaggio) e non solo. Si possono catalogare i robot in due macro categorie: "autonomi" e "non autonomi".
I robot "non autonomi" sono i classici robot utilizzati per adempiere a specifici compiti che riescono ad assolvere in maniera più efficace dell'uomo; alcuni casi sono i robot utilizzati nelle fabbriche con l'enorme vantaggio di poter ottenere una produzione più precisa, veloce ed a costi ridotti senza utilizzo o con ridotta manodopera umana; oppure i robot utilizzati per lavorare in ambienti ostili (ad esempio su Marte) o con sostanze tossiche; questi robot sono detti "non autonomi" poiché sono guidati da un software deterministico che fa eseguire loro il lavoro in modo ripetitivo oppure sono direttamente pilotati dall'uomo.
Tra gli esempi di robot "non autonomi" gli ultimi esemplari introdotti nella catena di montaggio del modello Fiesta negli stabilimenti di Colonia in Germania della Casa automobilistica Ford. Già dall'agosto 2016 sono in fase di sperimentazione l'uso dei CO-BOTS robot collaborativi in grado di lavorare insieme agli operai della catena di montaggio.
I robot "autonomi" sono invece caratterizzati dal fatto che operano in totale autonomia ed indipendenza dall'intervento umano e sono in grado di prendere decisioni anche a fronte di eventi inaspettati. Questi Robot sono programmati solitamente con algoritmi che si rifanno a tecniche di intelligenza artificiale: algoritmi genetici, logica fuzzy, machine learning, reti neurali. I robot autonomi sono adatti a svolgere compiti in ambienti non noti a priori; tipicamente si tratta di robot mobili. Alcuni piccoli robot autonomi vengono utilizzati per il taglio dell'erba nei giardini e nelle pulizie domestiche: essi autonomamente decidono quando partire, dove tagliare/pulire e quando tornare alla base per ricaricarsi.
Robot di prima generazione: si definiscono così, i robot in grado semplicemente di eseguire sequenze prestabilite di operazioni indipendentemente dalla presenza o dall'intervento dell'uomo.
Robot di seconda generazione: questi robot hanno la capacità di costruire un'immagine (modello interno) del mondo esterno, di correggerla e perfezionarla continuamente. È in grado di scegliere la migliore strategia di controllo. Il robot di seconda generazione è in grado di finire ciò che gli è stato programmato malgrado la presenza di fenomeni di disturbo non prevedibili a priori.
Robot di terza generazione: hanno un'intelligenza artificiale. Questo robot è in grado di costruire nuovi algoritmi e di verificarne la coerenza da solo.
Uno dei primi automi in senso moderno a essere progettato fu disegnato nel XV secolo da Leonardo Da Vinci, che realizzò una sorta di androide meccanico, una corazza con all'interno un meccanismo che la faceva muovere come se contenesse un cavaliere.
Dal XVIII al XX secolo furono invece costruiti una serie eccezionale di automi, androidi e animali meccanici. Per esempio il francese Jacques de Vaucanson realizzò un musicista che riusciva a suonare con il flauto, oltre a una celebre anatra meccanica. Nel 1770 gli svizzeri Pierre Jaquet-Droz e suo figlio Henri-Louis costruirono tre bambole meccaniche, mentre nel XIX secolo i fratelli Maillardet, Jacques-Rodolphe, Henri e Jean David, realizzarono una serie di 'automi maghi' per i loro spettacoli, come d'altronde fece l'illusionista Jean Eugène Robert-Houdin, servendosi anche di meccanismi nascosti che simulavano un movimento automatico, ma che in realtà era prodotto da complici nascosti.
Nella maggior parte dei casi si trattava di giocattoli sofisticati, pensati più per divertire che per una loro utilità, anche se già nel 1801 Joseph-Marie Jacquard aveva inventato un telaio tessile meccanico controllato da schede perforate.
Invece, dopo la I Guerra mondiale gli automi cominciarono davvero a essere considerati come uno strumento per aiutare l'uomo nell'assolvere i suoi compiti più pesanti.
Proprio in quegli anni, infatti, l'americano Henry Ford costruiva la sua fabbrica in serie. Il modello T della sua automobile diventava una vettura alla portata di (quasi) tutte le tasche grazie alla catena di montaggio. Gli operai erano disposti su postazioni fisse ed eseguivano sempre i medesimi lavori.
Se un lavoratore deve compiere continuamente delle operazioni identiche, è abbastanza naturale pensare a delle macchine che riproducano quella specifica serie di movimenti.
In realtà non è facile progettare automi e bracci meccanici capaci di ripetere i movimenti dell'uomo. Comunque, già nel 1938 gli americani Willard Pollard e Harold Roselund progettarono per la società DeVilbiss un meccanismo programmabile che spruzzava vernice.
È sulla parola programmabile che si gioca la qualità di un automa. Infatti, anche un mulino riproduce alcune azioni meccaniche in modo ripetitivo, ma senza possibilità di modificarle. Al contrario, un automa e un robot deve poter essere messo in condizione di adattare le sue azioni a richieste che possono mutare nel tempo. Per questo motivo una tappa fondamentale fu, nel 1948, il testo di Norbert Wiener, un professore del Massachussetts Institute of Technology, che scrisse il suo Cybernetics, or Control and Communication in the Animal and the Machine. Nel volume si affrontava il problema della programmazione e del controllo dei sistemi elettronici e meccanici e anche biologici. Gli automi, quindi, erano concepiti come sistemi verso i quali occorre fornire delle informazioni, o dei dati, e dai quali si riottengono delle risposte.
La logica degli input-ingressi e degli output-uscite , è alla base anche dei computer; questi ultimi erano oramai una realtà da quando, nel 1946, John Mauchly e J Presper Eckert avevano costruito L'Eniac I, sigla di Electrical Numerical Integrator And Calculator , un 'mostro' da 30 tonnellate.
Nel 1951 in Francia, nell'ambito del programma per l'energia atomica, Raymond Goertz progettò un braccio automatico per manovrare il materiale radioattivo. Da quel momento, le ricerche sull'automazione e la robotica esplodono. Si comprende infatti che è quella la strada per migliorare la produttività industriale. Otto anni dopo Marvin Minsky e John McCarthy aprono il laboratorio di intelligenza artificiale al MIT. Nel 1962 General Motors adotta un automa, prodotto dalla società Unimation , per la sua catena di montaggio.
Nel 1973 viene prodotto dalla società Cincinnati Milacron il minicomputer T3, progettato per controllare i robot industriali.
Le braccia meccaniche si diffondono sempre di più, al punto tale che le sonde Viking 1 e 2, che raggiunsero Marte nel 1976, avevano a bordo uno di queste braccia per le loro operazioni di analisi.
Nasce la fabbrica robotizzata, anche tra le proteste degli operai che vedono molte volte messi in discussione e in pericolo i loro posti di lavoro. In realtà, si scopre che la presenza dell'uomo è sempre necessaria, anche se in misura ridotta, se non altro per sorvegliare il corretto funzionamento di tutte le macchine. I robot e gli automi si diffondono sempre di più: ora tagliano, saldano, pressano, imbullonano e verniciano. Carrelli automatici percorrono i corridoi delle fabbriche così come si muovono tra le corsie degli ospedali, magari portando il cibo ai pazienti o selezionando le medicine da somministrare. Si diffonde anche la telechirurgia: un robot guidato anche da migliaia di chilometri di distanza da un medico esegue su comando le operazioni richieste.
Automi sono usati come strumenti di compagnia, magari simulando il movimento e le fattezze di cani che possono essere educati dai padroni. Gli automi possono anche essere usati per sbrigare le faccende domestiche, muovendosi autonomamente per le stanze e passando magari l'aspirapolvere.
Non è difficile immaginare che tra qualche anno gli automi saranno usati per aiutare i disabili a svolgere alcune funzioni, così come già avviene oggi con l'uso dei computer per comunicare.
Gli automi si stanno rivelando anche utili strumenti per disinnescare bombe, scovare mine nascoste, e possono essere adibiti a compiti di sorveglianza.
Tra i settori nei quali sono stati ottenuti i migliori risultati, ancora una volta, spicca quello delle braccia artificiali. Questi strumenti meccanici hanno ormai raggiunto un'eccezionale precisione, e in questo settore si segnala anche la ricerca italiana.
Il termine robot e, successivamente, il termine robotica nascono nell'ambito della finzione letteraria. In un secondo tempo il Mercato adotta il termine robot per definire vari dispositivi tecnologici e il termine robotica per la disciplina tecnica che sta alla base del loro funzionamento. Così alcuni elettrodomestici che permettono di macinare il caffè, fare le frullate e la maionese sono stati denominati "robot per la cucina" da parte di alcuni accorti costruttori. Nell'immaginario collettivo il termine robot è veicolato da alcuni film e romanzi di fantascienza: sicuramente non si tratta di cloni, nè di esseri alla Frankenstein, o Golem, o replicanti, perchè di solito non contengono parti biologiche. Sono articolati come gli esoscheletri, i teleoperatori o le marionette, ma rispetto a questi esseri non hanno bisogno della presenza di umani per muoversi e agire. Costituiscono la versione moderna di automi e androidi di cui, spesso, sono sinonimi. Arnold Schwarzenegger nel film "Terminator" (1984) che essere artificiale è? Un robot, un cyborg, un replicante o un androide? Yul Brynner nel film "Il mondo dei robot" (1973) che tipo di robot è? Gli attori Schwarzenegger e Brynner interpretano nei film citati due esseri artificiali che riproducono le fattezze umane. Tali esseri, nella finzione filmica, hanno una struttura interna articolata fatta di metallo. Nel primo caso le fattezze umane sono ottenute con materiali biologici (pelle, muscoli e sangue), nel secondo caso con materiali non biologici (plastica, gomma e silicone). Senza rivestimento esterno simil-umano sarebbero degli scheletri fatti di metallo che, nell'immaginario collettivo, sono i classici robot di tipo antropomorfo (che hanno forma umana). Il robot - nel significato che viene veicolato dai romanzi e dai film di fantascienza - non ha ancora acquisito il diritto di comparire nei dizionari. Anzi, nei dizionari, si è volutamente semplificativi e drastici: "la robotica è un settore dell'intelligenza artificiale" oppure "i robot sono manipolatori meccanici". Una definizione ricorrente è la seguente: "un robot è una macchina (spesso costituita da una struttura articolata) autonoma e programmabile per eseguire compiti assegnati - svolti, in genere, da esseri umani". Sembra quasi che i robot nella loro accezione di esseri fantastici, prodotti della immaginazione di romanzieri e sceneggiatori, non siano ritenuti degni di apparire nei dizionari, a differenza di quello che è avvenuto per gnomi, fate ed elfi. Ciò è dovuto al fatto che il significato di robot industriale ha avuto il sopravvento.
D'altra parte il termine robot, per la prima volta nella storia dell'umanità, ha saldato il desiderio di costruire dei simulacri dell'essere umano al concetto di lavoro, di fatica e di rischio insito nel lavoro stesso. E' difficile individuare i motivi che hanno causato questa svolta epocale. E' innegabile che l'Ottocento, con l'avvento delle grandi ideologie, legate al capitalismo e al socialismo, avesse posto le premesse per una sensibilizzazione alle tematiche del lavoro. Inoltre, durante tutto il secolo, il dibattito sulla schiavitù fu al centro dell'attenzione non solo degli ambienti culturali più sofisticati, ma di ampi strati dell'opinione pubblica. Il panorama culturale doveva confrontarsi con il susseguirsi spasmodico delle varie fasi della rivoluzione industriale, delle nuove ideologie sociali-politiche e dell'approccio liberale nei confronti della schiavitù.
Qual è il confine tra macchina e robot, tra schiavo e robot, tra essere artificiale simil-umano e robot? Qual'è il filo sottile che unisce le caratteristiche di schiavitù, di corporeità simil-umana e di attitudine al lavoro per dare luogo a un robot? E' stato il drammaturgo Karel Capek che - per primo, nel 1920, dietro suggerimento del fratello Joseph - ha introdotto il termine robot per definire artefatti simil-umani impiegati per il lavoro: fino ad allora l'uso degli schiavi, lo sfruttamento di esseri umani bisognosi e pronti a vendersi per poter soddisfare i bisogni primari dell'esistenza era una prassi sociale incontrastata. Perchè costruire sofisticati e costosi automi per farli lavorare, quando i bambini erano disposti a lavorare nelle settecentesche miniere inglesi, dove ingegneri sensibili ai costi di costruzione progettavano gallerie troppo piccole per il passaggio degli adulti?
Nel clima socio-economico del primo Novecento è Capek che ha la prima intuizione di costruire esseri artificiali più economici dell'essere umano, ma in grado di eseguire gli stessi lavori. Gli esseri artificiali, secondo Capek, sono di tipo biologico. I loro progettisti (i Rossum dell'omonimo lavoro teatrale "RUR. Rossum's Universal Robots") erano stati in grado di inventare un protoplasma vivente artificiale che avrebbe modificato anche la struttura sociale.
L'idea di robot è molto variegata. Le varie concezioni di robot si muovono parallelamente e si intersecano, spesso condizionate dal paradigma tecnologico prevalente (meccanico, chimico elettrico, elettronico, informatico, biologico, biotecnologico) che contraddistingue un particolare periodo storico.
La fantascienza è stata pronta a recepire i nuovi paradigmi proposti dalla scienza e dalla tecnologia e ha proposto nella seconda metà del secolo XX alcune grandi famiglie di esseri artificiali: i robot di tipo meccanico con "cervello positronico" (termine inventato da Asimov), i cervelli umani con corpo artificiale (Robocop, il poliziotto dal corpo maciullato dalle raffiche di mitra dei banditi) e gli esseri costruiti con manipolazioni genetiche (X-men, Cybersix, Pokemon).
I robot di Asimov hanno un corpo meccanico e una struttura cerebrale (regolata dalle famose tre leggi della robotica a uso e consumo degli esseri umani) che sopiscono i timori indotti dai robot biologici simil-umani creati da Karel Capek (nel 1920). Robocop drammatizza, esasperandola, la tendenza a protesizzare l'essere umano, mentre in molti romanzi di fantascienza uomini di potere riescono a diventare eterni grazie a banche di organi forniti da sudditi volenti o nolenti. Negli ultimi decenni del Novecento alcune categorie di esseri artificiali presentano delle inquietanti sovrapposizioni tra gli esseri umani (modificati da sofisticate protesi tecnologiche e da farmaci) e i robot interfacciati con organismi biologici (per esempio: un piccolo robot commerciale controllato dal cervello di una lampreda).
Infine, occorre ricordare che nell'ultimo decennio del Novecento viene addirittura creato un paradosso, ossia il robot virtuale, che, non avendo un corpo reale, potrebbe rendere improprio l'uso del termine robot, da sempre legato al concetto di corpo. Ma in una fase storica di tipo post-industriale - in cui il lavoro è anche di tipo immateriale - il robot virtuale è un essere costruito dall'uomo per lavorare in un ambiente puramente informatico. I robot virtuali (denominati originariamente robot spyder) vivono nelle reti informatiche affamati di informazioni e si rivelano lavoratori instancabili alla base dei motori di ricerca di Internet. Il robot virtuale e il virus informatico ripropongono la consueta dicotomia tra esseri artificiali buoni e cattivi.
Mark Vale (l'ingegnere inglese che nel 1946 progettò il primo robot industriale, che verrà poi classificato come un pick and place robot), George C. Devol (che nel 1954 brevettò, negli Usa, un Program Controlled Article Transfer) e Joseph F. Engelberger (fondatore della Unimation Inc., la prima grande compagnia di robot industriali, che già nel 1964 aveva venduto trenta robot) sono considerati i padri fondatori della robotica industriale.
A partire dagli anni Sessanta la storia dei robot subisce i condizionamenti delle politiche di ricerca e sviluppo. Le agenzie preposte alla concessione di fondi pubblici e privati pretendono precisi riscontri e non l'inseguimento di sogni. La bionica, intesa come disciplina che cerca di imitare strutture viventi, gode di un breve momento di gloria, alimentato dai finanziamenti generosamente elargiti dai militari. Poi, l'impiego del termine bionica in fortunate serie televisive ne scoraggia l'impiego in ambienti tecnico-scientifici dove bisogna giustificare al committente l'impiego dei fondi destinati alla ricerca. Per quanto concerne le politiche di finanziamento di ricerca e sviluppo, sono state le intrinseche potenzialità tecnologiche dei robot nel settore dell'industria manifatturiera a determinare i tempi e i ritmi di evoluzione.
L'idea prevalente negli anni Settanta era quella di far evolvere robotica industriale e intelligenza artificiale separatamente. Qualche demiurgo scienziato sarebbe poi riuscito a operare la sintesi. L'intelligenza artificiale non è mai stata l'intelligenza alla base del comportamento di un robot, inteso come un organismo dotato di vita artificiale. L'intelligenza artificiale, all'origine, aveva preferito porsi l'obiettivo di ricreare in macchine informatiche le prestazioni delle capacità intellettive più elevate dell'essere umano.
La robotica industriale sembra rientrare ragionevolmente nell'ambito delle tematiche di high-tech piuttosto che in quelle proprie della scienza. Nondimeno, la robotica industriale, che si può identificare con i manipolatori meccanici più o meno intelligenti, è riuscita nell'arco di due decenni ad assumere un suo proprio statuto disciplinare, sia sul versante industriale sia su quello accademico.
Ancora all'inizio degli anni Ottanta, i robot erano considerati il simbolo della futura "fabbrica senza uomini", dove molti problemi di produttività avrebbero trovato morbide ed efficienti soluzioni. L'acme di questa ideologia si ebbe nel biennio 1984-85, quando venne raggiunto, sul mercato USA, il picco più alto nel numero di ordinazioni di nuovi robot. Nell'inconscio collettivo la robotica industriale divenne sinonimo di robotica, operando una netta cesura rispetto alle connotazioni della fantascienza. Il New York Times Index iniziò a citare insieme i termini robotica, automazione e fabbrica automatica.
Ma i manager delle imprese industriali, a metà degli anni Ottanta, dopo i primi iniziali entusiasmi si resero conto che il processo di robotizzazione di un impianto non poteva esaurirsi nella semplice sostituzione di un robot per ogni operaio, senza modificare l'intera organizzazione del lavoro e la catena di montaggio: non si trattava di far uscire un operaio e far entrare al suo posto un robot, si trattava di progettare ex novo l'intero processo manifatturiero.
Nel 1985 per J. Michael Brady "la robotica avrebbe dovuto essere l'intelligente collegamento della percezione con l'azione", anche se a quell'epoca "la robotica era considerata semplicemente come la connessione di percezione con azione attraverso il calcolatore". L'intelligenza al robot deve venire fornita dalle tecniche e dalle metodologie dell'intelligenza artificiale. La percezione è basata sulla capacità di vedere, di sentire tattilmente e sulla possibilità di conoscere in ogni istante il proprio corpo (propriocezione: complesso delle informazioni relative allo stato interno degli organi di un corpo). L'azione è fornita da organi meccanici in grado di eseguire dei compiti di manipolazione (più in generale, di agire su oggetti) oppure di permettere al robot di spostarsi. Per esempio, il robot può essere costituito da un manipolatore meccanico, da un sistema di locomozione meccanica (veicolo a ruote, a cingoli, a gambe o a zampe) o dall'integrazione tra un sistema di manipolazione e di locomozione.
E' indubbio che i grandi successi della robotica industriale negli anni Settanta e Ottanta abbiano condizionato le ricerche nel settore dei "corpi" da fornire alle macchine intelligenti. Si può ragionevolmente ritenere che il diminuito interesse, in quel periodo, verso la bionica e la cibernetica, non fosse da ascriversi solo al pudore (o vergogna) di ricercatori e agenzie di finanziamento di usare termini ormai dominio dei serial televisivi di fantascienza. L'emergere prepotente della robotica industriale tendeva a incorporare in tale settore tutta la robotica e le discipline a essa collegate. Solo quando, all'inizio degli anni Ottanta, la robotica industriale diventò una disciplina assestata e altamente strutturata, con i suoi propri corsi universitari e i relativi manuali, si aprirono oggettivi orizzonti ai robot, differenti e anomali rispetto al loro ambiente tradizionale, ossia la fabbrica.
Il robot industriale non può avere vita propria, ma deve adattarsi alle regole della fabbrica. Così l'intelligenza artificiale deve limitarsi alla simulazione delle attività intellettuali più sofisticate dell'essere umano, perchè in esse risiede la possibilità di costruire pacchetti applicativi in grado di sostituire gli esperti umani. Il luogo di lavoro del robot industriale è la fabbrica; le applicazioni più redditizie dell'intelligenza artificiale sono le banche e le istituzioni burocratico-amministrative.
L'intelligenza artificiale aveva scelto di svincolarsi dal confronto reale con l'ambiente circostante. Anzi, in analisi critiche sull'intelligenza artificiale, si osserva che il momento di stallo, in cui si è trovata la disciplina, avrebbe potuto essere imputabile alla difficoltà di gestire - secondo le classiche metodologie - alcuni tra i temi centrali dell'interazione di forme viventi con l'ambiente: per esempio, l'apprendimento e la rappresentazione del mondo esterno.
Il ritorno alle origini (ossia ai primi maldestri tentativi della cibernetica), che caratterizza l'attività in molti laboratori di robotica in questo inizio del XXI secolo, assume sempre più la connotazione di un ritorno allo studio del comportamento degli organismi piuttosto che allo studio di attività cognitive superiori.
Negli USA, all'inizio degli anni Novanta si era verificata una contrazione delle vendite che si erano collocate sulle 5.000 unità vendute all'anno: il parco di robot industriali era nel 1997 di 70.000 unità. Poi nel 1998 sono stati venduti circa 11.000 robot, nel 1999 circa 12.000; nel 2000 il parco totale di robot negli USA ammontava a circa 100.000 unità (il 15% del parco mondiale dei robot installati, di cui il 50% giapponesi)..
E' indubbio che la diffusione dei robot sia fortemente condizionata dai tassi di sviluppo dell'economia nelle nazioni più industrializzate, dalla disponibilità di manodopera, dalle politiche di localizzazione e de-localizzazione industriale. Con le correnti migratorie in atto, forse un aiuto domestico proveniente da un paese in via di sviluppo è ancora più economico, flessibile, efficiente e portatore di valori culturali ed emotivi nettamente superiori a quelli di un sofisticatissmo robot.
All'inizio del terzo millennio accanto al mito meccatronico del robot si stanno delineando altre strutture legate al tema della costruzione di esseri artificiali: il robot software che opera nella rete Internet, il microrobot e il nanorobot destinati a lavorare all'interno del corpo umano o di altri organismi (biologici o non) e, infine, il robot costruito anche con componenti di natura biologica.
Lo sviluppo della linea meccatronica è integrata da nuovi finanziamenti per strutture antropomorfiche da impiegarsi nei settori dell'intrattenimento, dei parchi di divertimento, della pubblicità e della produzione cinematografica e televisiva.
Il robot con fattezze umane è maggiormente facilitato ad apprendere, a costruirsi una coscienza paragonabile a quella degli esseri umani. Oltre al campo della intelligenza artificiale, oggetto di molti sforzi nella seconda metà del secolo scorso, si potrebbe delineare un nuovo campo: lo studio della coscienza artificiale attraverso la costruzione di robot coscienti. Alcuni ricercatori, tra cui il premio Nobel Gerald M. Edelman, ritengono che la costruzione di esseri artificiali potrà rivelarsi utile per comprendere il mondo della mente degli umani. Scrivono Gerald Edelman e Giulio Tononi: "Anche se è remoto il giorno in cui sapremo creare artefatti coscienti, dovremo costruirli prima di comprendere a fondo i processi del pensiero stesso".
Nel momento in cui policy makers, futurologi e capitali di rischio auspicano una "età della biologia", è comprensibile che film, romanzi e fumetti vengano animati da simulacri biologici dell'essere umano. Le suggestioni provenienti dai settori della clonazione, dello studio del genoma umano, dei trapianti e della costruzione di materiale biologico (pelle artificiale, tessuto osseo e materiale epatico) alimentano scenari in cui da una parte si affrontano i problemi etici che comportano gli impieghi di tali tecnologie nell'essere umano e dall'altra le implicazioni derivanti dalla costruzione di esseri artificiali a sfondo biologico.
Nel settore della ricerca sugli esseri artificiali non esiste alcun rifiuto aprioristico di utilizzare materiali di natura organica, anche se esiste, per motivi etici, una netta preclusione a esperire la strada biologica, alla Capek, nella costruzione di esseri artificiali. I tentativi come quello di innestare le antenne di una falena maschio su un minirobot - al fine di creare un robot biologizzato indotto a seguire la scia di una falena femmina - sono episodi isolati e marginali nella cultura prevalente della robotica avanzata. L'innesto di segmenti biologici in strutture non biologiche dà luogo a organismi destinati a degradare nel giro di poche ore, o al massimo di pochi giorni; a meno che non si proceda a tenere in vita la parte biologica innestata. D'altra parte il robot biologizzato può venire considerato la controparte dei ciber-insetti, o dei ciber-animali (o ciber-bestie), in cui a organismi biologici (quali pesci o scarafaggi) vengono interfacciati dei dispositivi non biologici in una sorta di "cyborg non umani". Negli anni Sessanta un neuroscienziato, Delgado, aveva avuto l'onore delle prime pagine dei quotidiani internazionali perchè riusciva a far crollare, a comando, un toro impegnato a caricare nell'arena.
Tuttavia, oggi, la la bioingegneria, la neuroingegneria e l'ingegneria proteica si propongono come potenziali candidate a offrire nuove basi tecnologiche agli automi del futuro. Nuove generazioni di visionari costruttori di automi si stanno affacciando alla ribalta con nuovi bagagli culturali ma con il sogno di sempre: essere i creatori di macchine in grado di muoversi, percepire, agire e comportarsi come esseri viventi, al servizio di committenti sempre più sofisticati, esigenti e smaliziati.
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