Da diversi gruppi di ricercatori e neuroscienziati è emerso che il gene della criminalità sembra essere il responsabile della produzione di sostanze chimiche che influenzano le persone a commettere atti criminali. Questo gene si chiama MAO-A ed è in grado di produrre un enzima che agisce sulle sostanze chimiche dell’encefalo facendole funzionare negativamente e di conseguenza scatenando aggressività.
Bisogna tener presente, però, che non tutte le persone influenzate da questo gene sono dei potenziali serial killer: il gene MAO-A è più o meno attivo a seconda del soggetto. Infatti, analizzando le personalità criminali si deve tener conto maggiormente di quella che è stata un’infanzia caratterizzata da traumi e anomalie; fattori determinanti i comportamenti aggressivi e criminali delle persone.
I ricercatori affermano che la bassa attività del gene in questione aumenterebbe il livello di eccitazione e reattività nei minori, ma non è questa la causa di omicidi poiché, come detto sopra, i fatti avvenuti nel passato sono molto più rilevanti di un livello di attività alto o basso del gene MAO-A.
Teoria ormai abbandonata che ha trovato ben pochi riscontri, spiegava la criminalità come la conseguenza di un particolare gene presente in alcune persone che lo hanno ereditato fin dall'era primitiva di generazione in generazione. Questi uomini sono spesso riconoscibili in quanto hanno anche le sembianze degli uomini primitivi.
Nel modello del somatotipo, Sheldon sostenne che esistono tre tipologie fisiche di persone:
endomorfo (grosso, socievole...);
mesomorfo (robusto, muscoloso, attivo, irrequieto...);
ectomorfo (magro, fragile, delicato, introverso, nervoso...).
Gli individui mesomorfi sarebbero quelli con più probabilità d'essere criminali.
Un'innovazione a questa teoria è la componente cromosomica: gli individui biologicamente predisposti agli atti criminosi, hanno la sindrome XYY. Ovvero un cromosoma in più e che sia ereditato dal padre.
Robert K. Merton ha riformulato un concetto di Durkheim, sostenendo che la devianza è provocata dalle situazioni di anomia, che a loro volta nascono da un contrasto fra la struttura culturale e quella sociale. La prima definisce le mete verso quali tendere e i mezzi con i quali raggiungerle. La seconda consiste nella distribuzione effettiva delle opportunità necessarie per arrivare a tali mete con quei mezzi.
Per raggiungere le proprie mete, gli individui possono adottare cinque forme di comportamento: il primo è la conformità (quindi l'accettazione delle regole); il secondo è l'innovazione (rubando, imbrogliando, truffando); la terza è il ritualismo (l'abbandono della meta e l'attaccamento alle norme); la quarta è la rinuncia (mendicare o vivere di espedienti); infine la ribellione (il rifiuto delle mete e dei mezzi e sostituzione con nuove mete e mezzi). Ad eccezione del primo, gli altri sono tutti comportamenti devianti.
La teoria del controllo sociale si basa su una concezione pessimistica della natura umana, considerata moralmente debole. Essendo l'uomo portato più a violare che a rispettare le norme.
I controlli sociali possono essere:
esterni (le varie forme di sorveglianza esercitata dagli altri per scoraggiare e impedire i comportamenti devianti);
interni diretti (che si manifestano nei sentimenti di imbarazzo. di vergogna... );
interni indiretti (l'attaccamento psicologico ed emotivo sentito per gli altri ed il desiderio di non perdere la loro stima ed il loro affetto).
Secondo Travis Hirschi, un individuo compie un reato quanto più il legame con la società è debole. Invece diventa improbabile che un uomo compia un reato quando manifesta:
attaccamento ai genitori o agli insegnanti (elemento affettivo);
impegno nel perseguimento di obiettivi convenzionali (elemento materiale);
coinvolgimento nelle attività convenzionali (elemento temporale);
credenze religiose molto forti (elemento morale).
La teoria della subcultura è stata sviluppata dalla scuola di Chicago, nel 1929. Su quella città condussero allora un'imponente ricerca. Dividendo la città in 5 zone concentriche, essi calcolarono il "Tasso di delinquenza" e videro che il valore di tale tasso diminuiva man mano che ci si allontanava dal centro della città. Scoprirono inoltre che a distanza di tempo le differenze nel tasso di delinquenza erano rimaste immutate, nonostante la popolazione si fosse rinnovata. Secondo Edwin Sutherland, chi commette un reato lo fa perché si conforma alle aspettative del suo ambiente (periferie ecc...). In questo senso, le motivazioni del suo comportamento non sono diverse da quelle di chi rispetta le leggi. A essere deviante, infatti, non è l'individuo ma il gruppo a cui egli appartiene. Gli uomini quindi non violano le norme del proprio gruppo, ma solo quelle della società generale.
Secondo la teoria dell'etichettamento fra coloro che commettono atti devianti e gli altri, non vi sono differenze profonde, né dal punto di vista dei bisogni, né da quello dei valori. Infatti la stragrande maggioranza degli individui nella propria vita commette atti di devianza, ma solo alcuni suscitano una reazione sociale per cui si viene etichettati.
Qui si può distinguere la devianza primaria (che comprende quelle infrazioni che sono presto dimenticate da chi le compie e da chi le giudica) e la devianza secondaria (quando l'atto di un individuo suscita una reazione da parte della collettività che da quel momento in poi lo giudicherà in base a quel comportamento, per cui l'individuo si adatterà al suo nuovo ruolo).
La teoria della scelta razionale tiene conto della razionalità umana per cui afferma che l'individuo che assume un comportamento deviante altro non è che normale. Esso infatti probabilmente avrà giudicato razionale adoperare quel comportamento per giungere al suo fine.
Secondo uno studio pubblicato sulla rivista Molecular Psychiatry, su quasi 800 finlandesi, in carcere per crimini violenti e reati non violenti, rispetto alla popolazione generale, due geni mutati, chiamati MAOA e CDH13, sarebbero associati al loro comportamento estremamente violento.
I ricercatori provenienti da Europa e Stati Uniti, autori di questa ricerca, riferiscono di aver preso in considerazione alcuni fattori ambientali, storie di abuso di sostanze stupefacenti (droghe, alcool …), disturbi antisociali di personalità e abusi durante l’infanzia, senza che questi cambiassero il risultato. Lo studio non è stato progettato per spiegare l’impatto delle imputazioni genetiche e, secondo gli autori, molti altri geni possono svolgere un ruolo, direttamente o indirettamente. E, fanno notare gli autori, le due versioni dei geni sono “abbastanza comuni” ad una persona su cinque, per mezzo dei quali la stragrande maggioranza non commetterà comunque mai un stupro, un’aggressione o un’omicidio…
Per i ricercatori questi risultati non dovrebbero cambiare la valutazione che si concentra sulla responsabilità penale. La statistica non può essere precisa a causa della mancanza di sensibilità e specificità per consentire uno screening preventivo.
I risultati dello studio finlandese possono essere simili in altri paesi sviluppati, ma non nei paesi poveri, dove i problemi sociali, come ad esempio la povertà, potrebbero essere i fattori più importanti nello scatenare atti criminali o delitti… In parole povere parlare di gene criminale é un’enorme esagerazione.
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