La comunicazione visiva dei sordi è nota sin dall'antichità, anche se le notizie su quello che allora veniva chiamato linguaggio mimico o dei gesti sono molto frammentarie. Il primo a descrivere nei suoi scritti in modo più sistematico la lingua dei segni usata dai suoi studenti sordi è l'educatore e fondatore della Scuola di Parigi per sordi, l'Abbè de L'Epèe, che, nella seconda metà del 1700, decide di utilizzare questa forma di comunicazione per insegnare la lingua scritta e parlata aggiungendo dei segni da lui creati corrispondenti ad elementi grammaticali e sintattici della lingua francese.
Sicard, successore di L'Epèe, è stato un grande studioso della lingua dei segni e in generale tra gli illuministi francesi, nello stesso periodo, si può riscontrare un interesse per i diversi aspetti della comunicazione umana. Lo statunitense Thomas Hopkins Gallaudet, affascinato dall'opera di Sicard, si reca in Francia e dopo un anno di tirocinio presso l'istituto dei sordi di Parigi, decide di ritornare in patria nel 1816. Nel viaggio di ritorno in nave durato un anno impara la lingua dei segni francese (LSF) da un educatore sordo dell'istituto che porta con sé, Laurent Clerc. Gallaudet ha portato negli Stati Uniti la lingua dei segni francese, che si diffonde grazie alla nascita di istituti per sordi, a partire dalla prima scuola a Hartford, nel Connecticut. La LSF, combinandosi con dei segni allora in uso presso la popolazione locale, ha dato origine alla lingua dei segni americana (ASL) e le somiglianze tra le due lingue sono ancora oggi significative. Gallaudet è famoso, inoltre, per aver fondato la prima università al mondo per sordi.
Anche in Italia esiste e viene usata una lingua dei segni tra i sordi: esistono testimonianze al riguardo di educatori sordi della prima metà dell'Ottocento. Ma il Congresso di Milano del 1880 e la svolta rigidamente oralista che ad esso si accompagna impedisce che questa forma di comunicazione abbia un'ampia diffusione soprattutto in ambito educativo: proibita nelle classi si diffonde nei corridoi con un conseguente impoverimento linguistico e una conseguente mancanza di consapevolezza che la lingua dei segni italiana costituisca la lingua madre dei sordi, non inferiore alla lingua degli udenti. In tutti i paesi, comunque, la lingua dei segni inizia ad essere studiata da un punto di vista linguistico solo a partire dagli anni sessanta.
William Stokoe, un ricercatore americano, fu il primo a dimostrare che questa forma di comunicazione non è una semplice mimica, ma una vera lingua, con un suo lessico e una sua grammatica, in grado di esprimere qualsiasi messaggio.
La lingua dei segni è una lingua che veicola i propri significati attraverso un sistema codificato di segni delle mani, espressioni del viso e movimenti del corpo. È utilizzata dalle comunità dei segnanti a cui appartengono in maggioranza persone sorde. È una comunicazione che contiene aspetti verbali (i segni) e aspetti non verbali (le espressioni sovrasegmentali di intonazione per esempio) come tutte le lingue parlate o dei segni.
La comunicazione avviene producendo quelli che a un profano possono sembrare dei banali gesti, ma che sono in realtà precisi segni compiuti con una o entrambe le mani, che, a differenza di quelli percepibili nell'ordinaria gestualità, hanno uno specifico significato, codificato e assodato, come avviene per le parole. A ognuno di essi è assegnato un significato, o più significati. Le lingue dei segni sfruttano il canale visivo-gestuale, perciò il messaggio viene espresso con il corpo e percepito con la vista.
Le lingue dei segni sono afferenti alle comunità dei sordi sparse su tutto il mondo: a diverse nazioni corrispondono diversi sistemi di segni, e quindi una diversa lingua.
È da sottolineare poi che, al pari di quanto avviene con le lingue ordinarie, le lingue dei segni possono presentare, all'interno dello stesso paese, leggere varianti regionali e, in certi casi, perfino all'interno di una stessa città tra circoli di diversi istituti come l'Ente Nazionale Sordi e delle sue varianti dialettali.
La lingua dei segni italiana è una vera lingua dal punto di vista sociologico, in quanto espressione di una comunità: la comunità dei sordi italiani. È anche una vera lingua con una sua struttura e sintassi: questa è spesso differente dall'italiano ma può avere incredibili similitudini con altre lingue orali. I verbi ad esempio non si coniugano in base al tempo, ma devono concordare sia con il soggetto (come in italiano) sia con l'oggetto dell'azione, come avviene in basco. Esistono forme pronominali numeriche per indicare "noi due, voi due" (come il duale del greco antico) e addirittura "noi cinque, voi quattro, loro tre". La concordanza di verbi, aggettivi e nomi non è basata sul genere (maschile e femminile come in italiano) ma sulla posizione nello spazio in cui il segno viene realizzato. Esistono diverse forme per il plurale "normale" e il plurale distributivo, distinzione sconosciute alle lingue europee, ma note in lingue oceaniche. Il tono della voce è sostituito dall'espressione del viso: c'è un'espressione per le domande dirette («Vieni?», «studi matematica?») una per domande complesse («quando vieni?», «cosa studi?», «Perché piangi?») una per gli imperativi («Vieni!», «Studia!») e altre per indicare le frasi relative («il libro che ho comprato, la ragazza con cui parlavi»).
Il segno di ogni lingua dei segni può essere scomposto in 4 componenti essenziali:
movimento,
orientamento,
configurazione,
luogo
(ossia le quattro componenti manuali del segno)
e 3 componenti non manuali:
espressione facciale,
postura e
componenti orali.
Di quest'ultimo elemento, le componenti orali, poiché rappresentate solo talvolta da labializzazione simile al parlato, si ritiene che non appartengano propriamente alla lingua dei segni se non per aspetti secondari laddove il segno sia identificabile e pienamente intelligibile grazie alle altre componenti.
Si tratta dunque di un apporto delle lingue orali la cui influenza sulle lingue dei segni si manifesta a causa di una educazione oppressiva che non permise, e talvolta anche oggi non permette, l'uso naturale della lingua dei segni ai sordi con evidenti finalità di 'integrazione' (forzata e a senso unico): molti sordi ad esempio usano segnare il verbo in ultima posizione (es: bambino mamma lui-le-parla) quando comunicano in Lis, tuttavia nelle traduzioni televisive il verbo viene spesso messo in seconda posizione ad imitazione dell'italiano.
Un altro evidente sintomo della pervicace ricerca di 'integrazione' è la pseudo-lingua detta "Italiano Segnato", ovvero l'uso dei segni con struttura grammaticale della lingua italiana oppure, ancora, il ricorso all'alfabeto manuale (dattilologia) quando il segnante manchi, il cherema corrisponde al fonema delle lingue parlate. Si può in questo caso parlare di coppie minime facendo riferimento a due segni che differiscono soltanto di una delle componenti essenziali. Alcune funzioni grammaticali vengono espletate dalle espressioni facciali come ad esempio la forma interrogativa. È possibile, tuttavia, con un solo segno che incorpora più elementi rappresentare intere frasi o loro parti consistenti e significative; esistono perciò segni particolari – come per esempio i cosiddetti classificatori – che svolgono più funzioni.
È importante non far confusione tra termini apparentemente equivalenti come "la lingua dei segni" e "il linguaggio dei segni". Questo perché il termine "linguaggio", almeno secondo il De Mauro Paravia, indica genericamente la capacità innata degli esseri umani di comunicare tra di loro in una (o più di una) lingua, indipendentemente dal fatto che si usi la voce o il corpo per veicolare tale lingua. Il termine "lingua" designa quindi un sottoinsieme ben specifico dei vari "linguaggi".
Le persone sorde non comunicano semplicemente con i gesti: usano un linguaggio complesso con una grammatica altrettanto complessa, che può esprimere ogni genere di concetto, da quelli concreti a quelli altamente astratti. Per questo il linguaggio dei segni non è universale: ogni comunità di sordi ha la sua lingua, radicata nella cultura in cui si è sviluppata. All'ISTC la Sign Language and Deaf Studies Research Unit (SLDS), all'interno del Language and Communication Across Modalities Laboratory (LaCAM), ha una tradizione molto lunga nello studio del linguaggio dei segni, in particolare della Lingua dei Segni Italiana (LIS).
Oggi un tema di ricerca centrale è infatti lo studio delle peculiarità delle lingue dei segni rispetto alle lingue parlate. In questo contesto, seguendo il modello semiologico sviluppato dal ricercatore francese Christian Cuxac, il gruppo SLDS studia le strutture utilizzate nella Lingua dei Segni Italiana per descrivere eventi, oggetti, concetti. Molto importante è la componente "faccia-a-faccia", che ha conferito una certa iconicità ad alcuni segni della LIS: ad esempio il segno "tavolo" è eseguito a mano aperta, con un movimento che sembra indicarne la superficie. Questo avviene in generale in tutte le lingue dei segni, perché manca un adeguato sistema di scrittura che traduca i segni in simboli. Probabilmente è proprio la mancanza di una lingua scritta completa che spesso impedisce ai sordi di imparare a scrivere correttamente.
Per questo, a partire dal 2005, il gruppo SLDS ha iniziato a sperimentare l'uso di una lingua dei segni scritta, in modo da comporre testi in LIS e trascrivere i dialoghi tra segnanti ripresi in vari video. Questi esperimenti mostrano che i testi scritti in LIS facilitano un confronto con i testi scritti in italiano, favorendone così anche l'apprendimento.
Numerosi sia all’estero sia in Italia sono i festival dedicati al teatro e alla poesia in segni: attraverso queste produzioni artistiche le persone sorde ci forniscono una testimonianza importante riguardo alle esperienze legate alla sordità.
In situazioni molto particolari la lingua dei segni può essere condivisa da un alto numero di persone sorde e udenti. È stato variamente documentato il caso riguardante l’isola di Martha’s Vineyard, negli Stati Uniti, dove nell’Ottocento il gran numero di persone sorde, dovuto al diffondersi della sordità congenita, creò le condizioni per una loro forte integrazione nella società più ampia e per la diffusione della lingua dei segni tra gli udenti. Attualmente è stata studiata una situazione in qualche modo analoga nella regione del Negev in Israele. Si tratta di una piccola comunità di persone discendenti da un nucleo ristretto di famiglie fondatrici e stanziatesi da circa duecento anni in questa regione. In questa comunità la sordità è diffusa in misura nettamente superiore rispetto al tasso medio della maggior parte dei Paesi occidentali a causa della presenza di una predisposizione genetica e di matrimoni tra consanguinei. Al momento attuale il numero dei sordi è intorno alle 150 persone su una popolazione di circa 3500 individui. La presenza di un così vasto numero di persone sorde ha fatto sì che la diffusione della lingua dei segni (Al Sayyid bedouin sign language) coinvolgesse anche un ampio numero di persone udenti (Sandler, Meir, Padden et al. 2005). Situazioni simili a queste, in cui la lingua dei segni sembra venir adottata da tutta la comunità, sono state osservate anche nell’isola di Bali, in Ghana e in Messico. In questi casi le barriere tra sordi e udenti sembrano cadere: essere sordi non costituisce più un ostacolo all’integrazione nel momento in cui la lingua dei segni viene condivisa anche da un vasto numero di persone udenti le quali, evidentemente, contribuiscono alla sua standardizzazione e al suo progressivo consolidamento.
Negli ultimi vent’anni l’interesse nei confronti della Lingua dei segni italiana è andato crescendo in maniera esponenziale, non solo tra i sordi ma anche tra gli udenti, nel mondo della ricerca e in ambito educativo e sociale, diffondendosi in tutta Italia. Sono stati indagati nuovi aspetti della LIS e sperimentati nuovi contesti applicativi, sono stati organizzati numerosissimi convegni, incontri, seminari in ambito sia linguistico sia educativo.
L’interesse per la ricerca sulla lingua dei segni ha innescato una serie di importanti cambiamenti anche nella società. L’Ente nazionale dei sordi (ENS) ha attivato corsi di LIS su quasi tutto il territorio nazionale. In diverse parti d’Italia sono nate numerose associazioni e cooperative per la diffusione della LIS. Alcuni telegiornali vengono tradotti in LIS e interpreti LIS sono spesso attivi nel corso di manifestazioni pubbliche. Ma soprattutto la LIS ha cominciato a entrare in alcune scuole e a essere oggetto di corsi di insegnamento o di tesi di laurea e/o di dottorato all’interno delle università in varie città italiane.
Studi condotti sull’acquisizione di diverse lingue dei segni (Caselli, Maragna, Volterra 2006; Directions in sign language acquisition, 2002; Advances in the sign language development of deaf children, 2005) hanno mostrato che se un bambino sordo o udente viene esposto a una lingua dei segni la imparerà seguendo tempi e ritmi analoghi a quelli con cui i bambini udenti acquisiscono una lingua vocale. Verso un anno produrrà i primi segni, poco prima dei due anni le combinazioni di due segni, e negli anni successivi imparerà a padroneggiare la grammatica e la sintassi. Come avviene nell’acquisizione delle lingue parlate, i bambini esposti a una lingua dei segni attraversano stadi di sviluppo caratterizzati in una prima fase da omissioni di forme morfologiche, in una seconda fase da una loro produzione semplificata o parziale e infine da una graduale acquisizione che può protrarsi anche oltre i 5 anni. Alcuni ricercatori ritengono che l’uso dei segni nei primi due anni di vita possa facilitare e accelerare l’acquisizione della lingua vocale e in alcuni Paesi (soprattutto Gran Bretagna e Stati Uniti) si stanno diffondendo e vengono pubblicizzati sulla rete corsi di baby signs per genitori udenti con neonati udenti.
Ma i bambini sordi che imparano una lingua dei segni fin dalla nascita sono una minoranza, di fatto solo la piccola percentuale che ha genitori sordi (dal 3 al 7%), mentre i bambini sordi con genitori udenti vengono in contatto con altri bambini o adulti segnanti a età e in circostanze diverse.
Veicolo fondamentale di diffusione e di apprendimento sono, a tutt’oggi, le scuole in cui si trovano insieme più bambini sordi, e dove gli insegnanti e gli interpreti adoperano fluentemente una lingua dei segni. Persone sorde che non hanno occasione di imparare la lingua dei segni da bambini possono apprenderla più tardi nell’adolescenza o in età adulta, frequentando associazioni, circoli o club dove le persone sorde si ritrovano e comunicano in segni tra loro. In alcuni casi si iscrivono anche a corsi di lingua dei segni frequentati in maggioranza da persone udenti.
Indipendentemente dall’età alla quale hanno acquisito la lingua dei segni la maggior parte delle persone sorde vive in una condizione di bilinguismo e utilizza infatti, con maggiore o minore competenza, almeno due lingue: la lingua scritta e parlata dell’area geografica in cui abita e la lingua dei segni utilizzata dalla comunità dei sordi in quello stesso Paese. François Gros;jean (2007), uno dei massimi studiosi del bilinguismo, ha sostenuto che bisogna assicurare ai bambini sordi il diritto a crescere bilingui e che soltanto in questo modo essi potranno raggiungere una competenza completa in ambito cognitivo, comunicativo e sociale.
La ricerca sulle lingue dei segni e la scoperta delle loro peculiari caratteristiche linguistiche hanno rafforzato l’idea che queste lingue possano e debbano venir utilizzate a fini educativi. Attualmente in molti Paesi europei (in particolare Danimarca, Francia, Spagna, Svezia) ed extraeuropei (Stati Uniti e Paesi dell’America Latina) si è andato affermando un modello di educazione bilingue. Sotto questa stessa denominazione possono però celarsi realtà molto diverse nella realizzazione pratica per quanto riguarda sia gli alunni, gli insegnanti e gli operatori coinvolti, sia la lingua adottata. Esistono scuole frequentate solo da bambini sordi, scuole aperte ai bambini sordi e udenti che frequentano le stesse classi, situazioni miste in cui si prevedono momenti di insegnamento congiunto e momenti di insegnamento separato. Esistono scuole con docenti segnanti, sordi e udenti, che propongono il curriculum scolastico direttamente in lingua dei segni, scuole che si avvalgono della presenza di un interprete che traduce in lingua dei segni quanto viene proposto in lingua orale, docenti udenti che utilizzano prevalentemente la lingua parlata, assistiti da operatori, sordi o udenti, che utilizzano la lingua dei segni.
Anche in Italia la situazione è molto diversificata e cambia da regione a regione. Come previsto dalla l. 5 febbr. 1992 n. 104, art. 13, 3° co., le famiglie possono richiedere, dal nido alla scuola superiore, un assistente alla comunicazione per il proprio figlio sordo, che conosca e usi la LIS. Nel nido o nella scuola materna e nei primi anni della scuola elementare, l’operatore è spesso un educatore o educatrice sorda che ha seguito corsi appositi di formazione; dal secondo ciclo elementare alla scuola superiore è in genere un assistente alla comunicazione udente che, in caso di necessità, può fungere da interprete.
Nelle università è lo studente stesso che richiede l’interprete LIS se lo ritiene necessario (l. 5 febbr. 1992 n. 104, art. 13, 1° co., lett. d).
In genere un solo alunno sordo è inserito in una classe di udenti e in questi casi l’unico input in LIS viene dall’assistente alla comunicazione, che talvolta organizza corsi di LIS come lingua straniera per gli alunni udenti della classe. Queste esperienze hanno dimostrato che l’apprendimento della lingua dei segni può potenziare le abilità di attenzione e discriminazione visiva anche nei bambini udenti.
Esistono solo pochissime scuole sul territorio nazionale dove viene adottato esplicitamente un modello di educazione bilingue italiano/LIS e che coinvolge non solo alunni sordi ma anche e soprattutto udenti offrendo pari opportunità nell’accesso scolastico.
Il modello di educazione proposto è per molti aspetti analogo così come sono simili alcuni principi guida cui entrambe le esperienze si ispirano, ma la tradizione da cui nascono, le dimensioni e il numero di alunni, hanno determinato un’organizzazione in parte differente e hanno contribuito a caratterizzare in modo diverso le due realtà (Una scuola, due lingue, 2003; Russo Cardona, Volterra 2007).
La lingua dei segni può divenire un mezzo fondamentale di istruzione in una società che la accetti, le riconosca la dignità di lingua e, di conseguenza, la rispetti e la tuteli alla pari di altre lingue minoritarie, eventualmente incoraggiando le persone udenti a impararla così come si apprende una lingua straniera.
Già nel 1988 il Parlamento europeo si è espresso in favore di un riconoscimento delle varie lingue dei segni nazionali incoraggiando la creazione di corsi di insegnamento e di servizi di interpretariato, come la diffusione di programmi televisivi e la stesura di dizionari. Più recentemente, il 13 dicembre 2006, l’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha approvato la Convenzione sui diritti delle persone con disabilità che è stata sottoscritta per l’Italia il 30 marzo 2007 dal ministro della Solidarietà sociale Paolo Ferrero. In alcuni articoli significativi di questa Convenzione (artt. 2, 9, 21, 24 e 30) si parla esplicitamente di riconoscere e facilitare l’uso della lingua dei segni anche attraverso l’assistenza di interpreti professionisti, di agevolare il suo apprendimento e di promuovere e sostenere la specifica identità culturale e linguistica delle persone sorde (Maragna, Marziale 2008). Queste raccomandazioni sono state già attuate nel corso degli anni in diversi Paesi e in tal modo la lingua dei segni è stata riconosciuta come lingua minoritaria.
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