martedì 19 luglio 2016

LA LINEA DELL'ARCANGELO MICHELE



Il culto dell’Arcangelo Michele in luoghi sacri posizionati su un’unica linea retta. Un allineamento perfetto, insipegabile.

Skellig Michael (Repubblica Irlandese), St Michael’s Mount (Cornovaglia – Inghilterra sud-occidentale), Mont Saint Michel (Normandia – Francia), la Sacra di San Michele (Val di Susa – Piemonte), San Michele (Monte Sant’Angelo – Puglia), Monastero di San Michele (Isola di Simi – Grecia, Dodecaneso meridionale). A vederli su di una cartina geografica, questi santuari risultano posizionati su una unica linea retta, la Leyline di San Michele.
Forse ancora più sorprendente è il fatto che tre luoghi importanti ovvero Mont Saint Michel in Francia, la Sacra di San Michele in val di Susa e il santuario di Monte Sant’Angelo nel Gargano si trovano alla medesima distanza. Qualcuno interpreta questo fatto come un ammonimento dell’Arcangelo ai fedeli di Cristo a mantenersi nella rettitudine e a non abbandonare mai il rispetto rigoroso delle leggi imposte da Dio. Potrebbe anche essere che quei luoghi di culto siano stati costruiti in punti della terra a forte concentrazione energetica, disposti sulle famose Lay Lines. Un’altra caratteristica di questa linea è il suo perfetto allineamento con il tramonto del Sole nel giorno del Solstizio d’Estate, giorno che è sempre stato ritenuto importante per riti e connessioni energetiche con la Natura.

L’origine del culto di San Michele è antichissima. Fin nella religione dell’antico Iran che riconosceva come Dio supremo Ahura Mazda si credeva nell’esistenza di Yazata o “Venerabili”: Dei – Angeli che fungevano da tramite tra Dio e gli uomini. Nel Paganesimo (termine che in questo contesto indica tutte le religioni diverse dal cristianesimo) la parola “Angelo” assumeva principalmente il significato di “Messaggero”. Nel Vecchio Testamento, “Mal’ak” è l’angelo-messaggero che prende parte nell’esercito di Jahvè. Nelle Sacre Scritture Michele, in ebraico Mika’el che significa “chi come Dio”, è a difesa dei diritti dell’Eterno e uno dei capi della Schiera Celeste. E’ definito per la prima volta “Arcangelo” nell’epistola di Giuda dove viene descritto in lotta contro il Diavolo per difendere il corpo di Mosè. Nel Vangelo di Giovanni guarisce gli infermi per mezzo dell’acqua. Agli inizi della diffusione del culto in Oriente, Michele è identificato come patrono di acque curative, medico e psicopompo.
Il suo culto si impianta in aree devozionali pagane dedicate ad Asclepio, Calcante e Podalirio. Inizialmente il culto si diffonde in Frigia ed è interessante sottolineare come esso soppianti il culto di Attis, antica divinità della vegetazione dalle sembianze di giovane pastore legata al culto della Grande Madre. Le qualità e l’iconografia dell’Arcangelo Michele lo avvicinano a Thot, Hermes, Mercurio, Asclepio. In occidente il suo culto si diffonde tramite la cultura bizantina responsabile del primo grande sito devozionale italiano intitolato a San Michele: Monte Sant Angelo in Puglia, sorto nel V sec. d.C.
Il suo nome significa”Chi come Dio”: davanti alla rivolta dell’angelo ribelle Satana, pugnò senza paura per sconfiggere lui e tutti quelli che credevano di essere all’altezza del Signore. In perenne lotta con il “fratello decaduto”, secondo la Chiesa la vera battaglia decisiva si avrà alla fine dei tempi, nei giorni dell’Apocalisse.

Nella Bibbia, è ricordato nel Libro di Daniele (12,1) “Or in quel tempo sorgerà Michele, il gran principe, che vigila sui figli del tuo popolo. Vi sarà un tempo di angoscia, come non c’era mai stato dal sorgere delle nazioni fino a quel tempo; in quel tempo sarà salvato il tuo popolo, chiunque si troverà scritto nel libro.” Nel libro dell’Apocalisse, Michele è il principe degli angeli fedeli a Dio, combatte e scaccia il drago (Satana) e gli angeli ribelli.

San Michele, il grande Arcangelo, racchiude in sé quelli che erano nel mondo antico i poteri di varie divinità, ovvero appare come l’insieme di diverse funzioni simboliche che sono evidenziate nelle sue rappresentazioni, diffuse dal medioevo fino al diciannovesimo secolo. Viene chiamato nell’offertorio della messa dei defunti; è individuato come il combattente del Dragone, ovvero del demonio, rappresentando la vittoria contro le tenebrose forze del male; e ancora il Signore della giustizia divina che separa il bene dal male (gli attributi della spada e della bilancia); ed è Asse del Mondo (il simbolo della lancia).

San Michele è venerato dalla tradizione cristiana come difensore del popolo cristiano, e, rappresentato come guerriero, è chiamato in difesa contro i nemici della Chiesa. Dall’oriente il culto dell’Arcangelo si diffuse e si sviluppò nelle regioni mediterranee in particolare in Italia, dove giunse assieme all’espansione del cristianesimo. L’imperatore Costantino I, a partire dal 313, gli tributò una particolare devozione, fino a dedicargli il Micheleion, un imponente santuario fatto costruire a Costantinopoli. La prima basilica dedicata all’Arcangelo in Occidente è quella che sorgeva su di un’altura al VII miglio della via Salaria, ritrovata dalla Soprintendenza Archeologica di Roma nel 1996; il giorno della sua dedica, officiata con ogni probabilità da un Papa prima del 450, ovvero il 29 Settembre, è rimasto fino a oggi quello in cui tutto il mondo cattolico lo festeggia unitamente all’8 di Maggio.

Un luogo misterioso dedicato all’Arcangelo Michele, posto ell’estremo nord di questa linea, si chiama Skellig Michael «Un incredibile, impossibile, folle posto, che ancora induce devoti a fare “stazioni” ad ogni gradino, a strisciare in antri bui ad altitudini impensabili, e a baciare “pietre di panico” che si gettano a 700 piedi d’altezza sull’Atlantico» (George Bernard Shaw, 18 settembre 1910). Skellig Michael è un’isola dell’Irlanda, raggiungibile soltanto con il mare calmo, vi sorge uno straordinario quanto poco accessibile monastero di origine cristiana costruito nel 588 e vi si respira un clima di forte mistero.
Skellig Michael  (dal gaelico irlandese: Sceilig Mhichíl, che significa “roccia di Michele”), è l’isolotto più grande delle due isole Skellig e deve il suo nome all’Arcangelo Michele. La leggenda vuole che l’Arcangelo, sia apparso su quest’isola a San Patrizio patrono del Paese per aiutarlo a liberare l’Irlanda da demoniache presenze. I primi abitanti dell’isola, in cerca di serenità, spiritualità e silenzio, realizzarono il monastero, un grandioso complesso che svetta sulla sommità del luogo.  Senza decorazioni gli elementi che lo costituiscono: una cinta muraria, sei celle per i monaci, gli oratori, la cappella di S. Michael, due pozzi e il cimitero con le grandi croci di pietra.

Proseguendo a sud, per questa straordinaria direttrice, c’è un Monte San Michele, anche a poca distanza da Stonehenge, nel Sud dell’Inghilterra e precisamente in Cornovaglia: St. Michael’s Mount. Nel Cinquecento, dopo la rottura con la Chiesa cattolica, il re Enrico VIII confiscò i monasteri del paese. Ciò accadde anche per l’abbazia benedettina sull’isola di St. Michael’s Mount trasformata in postazione militare. Anche per St. Michael’s Mount, quasi sull’estrema punta della Cornovaglia, si tramanda la leggenda, ripetuta per il celebre isolotto francese di Mont Saint Michel, che l’arcangelo Michele sia apparso (nel 495 pare) a un gruppo di pescatori, chiedendo loro di innalzare una chiesa, a onore del Salvatore e suo. Cosa che venne puntualmente fatta.

Con il tempo diventò una delle mete di pellegrinaggi più importanti del medioevo anche in Gran Bretagna. St. Michael’s Mont era una tappa fondamentale lungo il cammino di pellegrinaggio che dall’Irlanda e dalla Scozia portava in Spagna a Santiago di Compostela, dove nel IX secolo sarebbe stata trovata la tomba dell’apostolo Giacomo. Nel XVI secolo Enrico VIII confiscò tra gli altri anche questo monastero cattolico e, cacciati i monaci benedettini, ne fece una fortezza. Durante il regno di sua figlia Elisabetta I la casa regnante inglese, ridotta in serie difficoltà finanziarie dalle guerre con la Spagna, dovette vendere molti ex conventi incamerati, e anche St. Michael’s Mont subì questa sorte.
La famosa abbazia benedettina entrò così, nel 1659, in possesso di Jonh St. Aubuyn, e da quel momento venne usata come residenza della famiglia, il cui capo porta il titolo di Lord Saint Levan. Gli Aubuyn fecero del monastero, già trasformato in fortificazione, una dimora signorile, sede della famiglia. Gli ultimi lavori di un certo rilievo ebbero luogo verso la fine dell’Ottocento. Nel 1954 Lord Aubuyn trasferì l’isola a un ente statale, il National Trust, a condizione che alla sua famiglia fosse garantito diritto d’alloggio nell’edificio per mille anni.

Il Mont Saint-Michel è uno dei tre maggiori luoghi di culto europei intitolati a San Michele Arcangelo, insieme alla Sacra di San Michele in val di Susa, e al Santuario di San Michele Arcangelo sul Gargano. La cittadina è un luogo storico della Francia che sfida il tempo. E’ un isolotto sul quale venne costruito un santuario in onore di San Michele Arcangelo, il cui nome originario era Mons Sancti Michaeli in periculo mari (in latino) o Mont Saint-Michel au péril de la mer (in francese: in italiano, letteralmente, “Monte San Michele al pericolo del mare”).
Secondo la leggenda l’Arcangelo Michele apparve tre volte nel 709 al vescovo di Avranches, Sant’Auberto, chiedendo che gli fosse costruita una chiesa sulla roccia. Il vescovo ignorò tuttavia per due volte la richiesta finché San Michele non gli bruciò il cranio con un foro rotondo provocato dal tocco del suo dito, lasciandolo tuttavia in vita. Il cranio di Sant’Auberto con il foro è conservato nella cattedrale di Avranches. Aubert, vescovo di Avranches costruì e consacrò una prima chiesa il 16 ottobre 709.
Questa datazione però non è certa. Secondo il catalogo dei vescovi di Avranches, Auberto avrebbe occupato quella sede prima di Rahentrannus, vissuto verso la fine del sec. VII.  Molti hanno pensato durante il regno di un Childeberto e più precisamente, Childeberto III (695-711). Il Duchesne, invece, per accordare la notizia col posto occupato da Auberto nel catalogo, propende per Childeberto II (m. 595). In tal caso, Auberto sarebbe vissuto nel sec. VI e non VII e a questo secolo sarebbe anche da retrocedere la costruzione della prima chiesa in onore dell’arcangelo sul monte Tomba, detto poi Monte San Michele, che fonti più recenti fissano invece al 16 ottobre 709.
Ulteriori incertezze vi sono per quel che concerne le vicende della vita del santo.
Auberto, notissimo per la sua carità, sarebbe stato eletto vescovo di Avranches per acclamazione. Amante della solitudine, egli si recava spesso a pregare sul monte Tomba e qui appunto un giorno, addormentatosi durante la preghiera, si sentì chiamare per tre volte dall’arcangelo Michele che gli chiese l’erezione di una cappella in suo onore lì sulla cima del monte. Venne quindi sistemato un primo oratorio in una grotta e la precedente denominazione di Mont-Tombe fu sostituita con quella di Mont Saint Michel au péril de la Mer.
Auberto inviò messaggeri in Puglia affinché portassero dal Monte Gargano (allora il più celebre santuario dell’arcangelo, sito però in un contesto bizantino per quanto non estraneo ai longobardi italomeridionali) una reliquia micaelica (giunse, in effetti, un frammento del manto dell’arcangelo). È stata notata l’analogia molto stretta fra il testo dell’Apparitio sancti Michaelis e quello della leggenda di fondazione di Mont-Saint-Michel detto «au péril de la mer»: ancora alla fine del Medioevo il luogo veniva denominato «Mont Gargan». Nell’870 abbiamo la prima voce di testimonianza sicura d’un pellegrinaggio a Mont-Saint-Michel e alla tomba di sant’Auberto: ce l’ha procurato il monaco Bernardo, celebre autore d’un Itinerarium. All’epoca, il monte era rifugio delle genti circostanti contro le incursioni dei pirati nordeuropei che avrebbero più tardi insediato la regione e le avrebbero conferito il suo nome moderno. Infatti nel 911 il norvegese Rollone, capo d’una banda d’incursori danesi, decise d’insediarsi in quell’area e divenne – per concessione del re di Francia – dux Normannorum e anche protettore del santuario. Da allora Michele divenne santo nazionale dei normanni.
A Mont-Saint-Michel il duca Guglielmo il Conquistatore volle che fosse affiliato il monastero di Saint Michael in Cornovaglia. Nell’XI secolo gli avventurieri normanni che scendevano in Italia per cercarvi la fortuna non avrebbero dimenticato né la Val di Susa (la ‘Sacra’ o ‘Sagra’ di San Michele fu fondata secondo un’incerta tradizione nel 966 o nel 999-1002, mentre oggi si propende piuttosto per il periodo 983-987 collegandola alla volontà di un nobile pellegrino alverniate, Ugo di Motboissier, e di suo figlio Maurizio) né il Monte Gargano: sarebbe nata così una forte tradizione di «pellegrinaggio micaelico», una Via sancti Michaelis tra Normandia e Puglia attraverso le Alpi occidentali. Sulla linea dei tre grandi santuari del Monte Gargano, di San Michele «della Chiusa» (la Sacra) e di Mont-Saint-Michel si costituì l’asse portante del pellegrinaggio micaelico di età medievale. Incrociato con i pellegrinaggi romano (e gerosolimitano) e compostelano, e quindi con quelli mariani ed altri «minori», quest’asse ha costituito fra VIII e XIII secolo la colonna vertebrale dell’autocoscienza identitaria dell’Europa cristiana.

La costruzione dell’abbazia inizierà nel 966, per opera dei benedettini, su richiesta del Duca di Normandia. I lavori si protrarranno per quasi otto secoli, con continuo perfezionamento (ed ingrandimento) di quella che venne, già nel XIII secolo, considerata una vera e propria Meraviglia, riassumente in se più stili contemporaneamente, dall’arte romana a quella gotica.  La chiesa preromanica di Mont Saint Michel risale all’anno mille, mentre nel XII secolo furono ampliati gli edifici conventuali posti ad ovest e a sud. Infine, sempre nel XII secolo, un’importante donazione del re francese Filippo Augusto diede il via alla costruzione del complesso in stile gotico.
La guerra dei Cent’Anni (XIV e XV secolo) rese poi urgente la protezione dell’abbazia. Ciò avvenne attraverso la costruzione di un complesso di edifici militari.  Durante la Rivoluzione francese e poi ancora sotto Napoleone, l’abbazia venne convertita a prigione, per essere poi, nel 1874, affidata alla Soprintendenza alla Belle Arti. Nell’occasione del suo millenario, una comunità monastica tornò sull’isola a rinsaldare la sua storia di centro spirituale.
Nel 1987 l’ultimo intervento di rilievo: la posa di una gigantesca statua di San Michele sulla guglia del campanile, ennesimo sforzo di costruzione verticale laddove lo spazio è limitato dal mare. La Piramide dell’arcangelo, come viene chiamata dagli autoctoni, resta in ogni caso, ancora oggi, una meravigliosa fusione tra opera umana e opera della natura.



L’Abbazia di San Michele è un imponente complesso architettonico religioso di epoca romanica, sorto come abbazia benedettina, meta di grandi pellegrinaggi medioevali ed in particolare tappa della Via Frangigena. Si erge sulla Cima del monte Pirchiriano all’imbocco della Valle di Susa. Dal 1994 è monumento simbolo della Regione Piemonte.
La Via Michelita o la Via Angelica è un percorso che molti pellegrini percorrevano nel Medioevo. Unisce le Basiliche di Mont Saint Michel in Normandia, la Sacra di S. Michele in Piemonte e Monte Sant’Angelo in Puglia. La leggenda vuole che questa via fu tracciata dalla spada di San Michele durante la lotta contro il demonio. Si creò così una fenditura ancora presente ma invisibile che collega le tre basiliche dedicate a San Michele.
Si dice che la Sacra di San Michele sia esattamente a metà della Via Michelita, a 1000 chilometri da Mont Saint Michel e a 1000 chilometri da Monte Sant’Angelo in Puglia. Alla sua costruzione contribuirono misteri e episodi inspiegabili. La Sacra di San Michele perchè nasce e cresce con la sua storia e le sue strutture attorno al culto di San Michele che approdò in Val di Susa nei secoli V o VI. La sua ubicazione in altura e in uno scenario altamente suggestivo, richiama immediatamente i due insediamenti micaelici del Gargano e della Normandia.
Le origini di questo santuario sono incerte, anche a causa delle numerose leggende che si raccontano riguardo a questo monastero. Tutte concordano sull’apparizione di uno o più angeli.
Si racconta che San Giovanni Vincenzo, nel X secolo, volesse costruire un’abbazia sul Monte Caprasio. Cominciò così a costruire, ma i lavori non andavano mai avanti: ogni giorno posavano le prime pietre della costruzione e ogni notte queste sparivano. Così San Giovanni decise di rimanere sveglio per svelare il mistero. A sorpresa, scoprì che non si trattava di ladri di materiale, ma di angeli. I messaggeri celesti comparivano con il buio e trasportavano le pietre sul monte Pirchiriano.
Fu così che San Giovanni decise di costruire l’abbazia dove sorge ancora adesso. Da quel giorno infatti non ci furono più impedimenti “divini” e il santuario fu ultimato. Secondo un’altra versione, invece, a Giovanni, detto Vincenzo, vescovo di origine ravennate, eremita sul monte detto “Capraio”, situato a fronte del monte “Pirchiriano”, pare sia apparso S. Michele che lo sollecitava a erigere una chiesa in suo onore. Giovanni decise di edificarla in legno data la difficoltà di reperire le pietre ma la legna raccolta con molta fatica gli veniva continuamente rubata dai ladroni che infestavano i boschi. La storia continuò finché non gli apparve il santo che gli indicò il dirupo più alto del monte Pirchiriano, dove avrebbe trovato la legna rubata, per edificare la chiesa. Indipendentemente dalla leggende, è su dirupi o simili che si trovano tutti i santuari in onore dell’Arcangelo.
Alcuni anni dopo il possidente Ugo di Montboissier nobile dell’Alvernia per ottenere perdono dei suoi peccati, trasformò da chiesuccia in un gran tempio in pietra.
In periodi seguenti fu ampliata e rinnovata sino a divenire un imponente bastione dalle mura fortificate, erette su di un’enorme rupe dalle pareti scoscese. La sua posizione dominante, in un alternarsi d’epoche e vicende, indicherebbe che sulla sommità del bastione si fosse originato un osservatorio, da cui scrutare i movimenti sulla frequentatissima via detta per l’appunto dai fedeli: Via Michelita, o Via Angelica o comunque degli Angeli, o chissà forse la via Francigena.
Nei secoli le mura fortificate della Sacra, conobbero momenti di gloria, di grande splendore, ma anche d’instabilità, di precarietà, sino alla decadenza. Ed è proprio in questo periodo che il Re piemontese Carlo Alberto affidò la direzione della Basilica al sacerdote e filosofo Antonio Rosmini, il quale, dopo aver riportato il monumento nel suo antico splendore, lo affidò ai suoi discepoli: i Rosminiani.

La Grotta dell’Arcangelo è una caverna davvero impressionante. La irregolare volta rocciosa riverbera misteriose venature originate nel passato da un costante stillicidio di acque piovane eliminato dai lavori di restauro alle tettoie della grotta. Il visitatore può scoprire da sè gli angoli più caratteristici e avvertire in sè i sentimenti più disparati. certo è che si rimane incantati per l’orrido naturale della grotta e vivamente impressionati per l’arte che vi si può ammirare. Ogni epoca vi ha lasciato la sua impronta. «E’ un succedersi di arte bizantina, romanica, gotica, moresca e ravennate fino alla gaiezza del rinascimento».Le costruzioni Angioine (fine sec. XIII) seppellirono quelle più antiche normanne, longobarde e paleocristiane. La grotta perdette in altezza e profondità. La grotta non fu mai consacrata secondo le leggi della Chiesa perchè lo era già stata per ministero angelico (terza apparizione), ma nei secoli dai Pontefici fu dichiarata “Basilica”, “Celeste Basilica”.

Nel V secolo sul promontorio del Gargano sorse il più antico e più famoso luogo di culto micaelico dell’occidente, il Santuario di San Michele a Monte Sant’Angelo. Molto presto questo Santuario divenne un luogo importante per la diffusione del culto micaelico in Europa e in Italia e rappresentò il modello ideale per tutti i santuari angelici successivi, che furono appunto eretti “ad instar” di quello garganico: le cime dei monti, i colli, i luoghi elevati, le grotte profonde furono dalle origini considerate come la sede più appropriata per il culto degli angeli e di Michele in particolare. La storia del culto di S. Michele sul Gargano è stata a noi tramandata dal Liber de apparitione sancti Michaelis in monte Gargano, chiamato per brevità Apparitio, redatto tra la fine del sec. VIII e gli inizi del IX.

Gli inizi del culto michaelico sul Gargano sono fatti risalire nell’Apparitio, al V-VI con l’arrivo del culto e la consacrazione della basilica fatta personalmente dall’Angelo, con le guarigioni operate da S. Michele per mezzo dell’acqua, la Stilla, che veniva raccolta dallo stillicidio nella grotta. Il culto poi si consolida (dalla seconda metà del sec. VII), allorquando i Longobardi di Benevento, sconfitti nel 650 i Bizantini, occuparono il santuario e unificarono le due diocesi di Benevento e di Siponto.

Nella città di Siponto viveva un ricchissimo signore, padrone di grandi armenti. Era un personaggio importante e conosciuto da tutti. Si chiamava Gargano e il suo nome, in seguito venne a designare la stessa grande montagna. Una sera s’accorse che il più bel toro dei suoi armenti mancava alla conta. Il giorno dopo di buon mattino, con una numerosa squadra di pastori, cominciò ad esplorare la campagna spingendosi fin sui dirupi montani a picco sul mare. Finalmente ritrovò il suo toro sulla soglia di una caverna inaccessibile, alta sulla cima della montagna. Accecato dall’ira e dalla fatica, Gargano, preso il suo arco, scagliò una freccia contro il toro indocile. La freccia, però, percorsi pochi metri, come deviata da vento impetuoso, invertì la sua traettoia e colpì lo stesso Gargano che l’aveva scagliata. Il fatto scosse il torpore della tranquilla cittadina di pescatori e di pastori. Molti traevano funesti presagi. Il vescovo indisse tre giorni di digiuno e di penitenza al termine dei quali gli apparve l’arcangelo Michele. “Hai fatto bene, gli disse l’arcangelo, ad ordinare il digiuno; gli uomini infatti ormai erano diventati troppo pigri nel cercare le vie del Signore… Io sono Michele Arcangelo e sto sempre al cospetto del Signore. Questo fatto è avvenuto perché sappiate che questa terra e i suoi abitanti mi sono stati affidati perché io sia loro “ispettore e custode”.
Gli studiosi si soffermano molto su questo episodio rilevando in sostanza come esso, al di là degli elementi leggendari e di colore, sottolinei il passaggio della regione garganica dal paganesimo, rappresentato dall’irascibile e potente signore chiamato Gargano, al cristianesimo in cui la montagna diventa il luogo privilegiato della presenza di Dio e dei suoi angeli.

Scoppiò una guerra: da una parte i napoletani, presentati dall’Apparitio come ancora pagani, dall’altra i beneventani e sipontini. Prima dello scontro il vescovo indisse un digiuno di tre giorni per chiedere la protezione di S. Michele che gli apparve assicurando vittoria certa. Il giorno dopo i sipontini, lieti della protezione angelica si accinsero a tagliare il passo ai napoletani. All’improvviso, secondo la leggenda, la grande montagna del Gargano cominciò a tremare e poi a fumare come un vulcano, mentre nella tenebra piovevano sui pagani saette di fuoco. I napoletani fuggirono atterriti inseguiti da beneventani e sipontini. Gli scampati dal ferro dei sipontini e dalle saette infuocate del monte Gargano, si convertirono al cristianesimo. Quando i vincitori, tornati al loro paese, vollero salire alla grotta dell’Arcangelo per ringraziarlo, notarono stupefatti un’orma umana, piccola, come di giovinetto, impressa sulla pietra presso la porta settentrionale della grotta.
L’episodio della Vittoria, narrato dall’Apparitio, diventa più chiaro se raffrontato con altre fonti storiche. Siamo alla metà del sec. VII, intorno al 650. A quell’epoca la Puglia e buona parte dell’Italia Meridionale erano ancora amministrate dai Bizantini. I Longobardi, attestati saldamente nel ducato di Benevento, compivano frequenti scorrerie nei territori bizantini e miravano decisamente alla conquista della Puglia settentrionale. Questa situazione non poteva essere chiaramente tollerata dai Bizantini, allarmati dalla crescente attività espansionistica longobarda. Con una punta di malignità lo storico longobardo Paolo Diacono, nella sua Historia Langobardorum, afferma che i Bizantini assalirono il Santuario dell’arcangelo Michele a Monte Sant’Angelo attirati dai tesori che custodiva.
In effetti i Bizantini volevano riaffermare con forza la loro autorità sulle fertili pianure della Puglia settentrionale a cui i Longobardi, stretti fra la alture del Sannio, guardavano con grande interesse. Non ci riuscirono e da questo momento la storia del santuario di S. Michele sul Gargano s’intrecciò strettamente con quella dei Longobardi delle regioni meridionali, ma anche con la storia delle popolazioni longobarde dell’Italia settentrionale e centrale.
A cominciare dalla vittoria dei Longobardi sui Bizantini, si affievolì il particolare orientamento della devozione popolare a S. Michele, venerato come l’angelo della sanità. La figura di S. Michele venne caratterizzata principalmente nel senso che più chiaramente emerge dalla Bibbia e soprattutto dal libro dell’Apocalisse, quella del Principe delle milizie celesti, difensore dei diritti di Dio. San Michele divenne, insieme a San Giovanni Battista, il santo nazionale dei Longobardi. La sua immagine fu spesso impressa sulle monete.
Cuniperto quando nel 671 ascese al trono di Pavia fece dipingere l’immagine di San Michele sugli scudi dei guerrieri. Paolo Diacono riferisce che il duca del Friuli Alahis si rifiutò di affrontare in duello personale Cuniperto perché sullo scudo di questi era raffigurata l’immagine di San Michele su cui aveva giurato fedeltà al re.

Dopo tutti questi fatti la grotta delle apparizioni fu al centro dell’attenzione religiosa dei sipontini, i pellegrinaggi si moltiplicavano anche dai paesi vicini e da tutto il ducato di Benevento. La grotta, però, non essendo stata consacrata, non era un luogo di culto, per cui il vescovo di Siponto non sapeva cosa fare. Gli apparve ancora una volta l’arcangelo Michele il quale gli disse di aver provveduto lui stesso a consacrare la Grotta; il vescovo poteva, quindi, tranquillamente compiere atti di culto, celebrare la messa e autorizzare i pellegrinaggi.

Da questo momento il santuario garganico fu uno dei centri religiosi più frequentati di tutta Europa. La costruzione della primitiva galleria di ingresso del Santuario è da attribuire all’interesse che i Longobardi subito ebbero per San Michele. Fino al sec. VII il santuario era costituito dalla semplice grotta che si apriva ben alta, in cima a un’aspra salita, immediatamente sotto vetta della montagna. I pellegrini che arrivavano dalla valle Carbonara dovevano percorrere gli ultimi 200 metri arrampicandosi sulle rocce per arrivare alla Grotta.
I Longobardi, già nel secolo VII addolcirono la salita costruendo alla base del tratto finale una galleria che serviva come vestibolo da cui si saliva al piano superiore dove un porticato chiudeva la Grotta a settentrione.
Quello fra i Longobardi e San Michele fu da subito un rapporto privilegiato, nell’Arcangelo i longobardi identificarono l’eroe di Dio, capo delle schiere angeliche, difensore dei diritti di Dio. Essi contribuirono come nessun altro popolo alla diffusione del culto di S. Michele. La loro devozione a S. Michele favorì in maniera determinante il passaggio dei Longobardi dall’arianesimo al cattolicesimo. Il santuario garganico fu assunto ben presto dai Longobardi a loro santuario nazionale.
In una iscrizione incisa dopo il 687 si attesta che il duca Romualdo I, figlio di Grimoaldo I “spinto dalla devozione, per ringraziamento a Dio e al santo Arcangelo, volle che si realizzasse la costruzione del Santuario e ne fornì i mezzi. Gaidemari fece”.
Un’altra iscrizione ricorda la visita al santuario di Romualdo II e di sua moglie Gunperga avvenuta nei primi anni del sec. VIII “L’Angelo Gabriele vi protegga, duca Romualdo, Gunperga. Dio da al re il tuo giudizio e al figlio del re la tua giustizia” con cui il duca Romualdo invoca Dio perché assista nell’esercizio del potere il figlio, il futuro Gisulfo II che regnò dal 742 al 751.

Lo studioso protestante tedesco Ferdinand Gregorovius (1821-1891) definì il santuario micaelico di Monte Sant’Angelo, sul Gargano, “la metropoli del culto dell’Arcangelo in Occidente”: tale definizione trova puntale riscontro in una storia che dura da più di quindici secoli e ha contribuito e creare un ricco patrimonio di fede, arte e cultura e a fare del promontorio garganico uno dei luoghi privilegiati della religiosità e della devozione popolare dell’Europa medievale.

Accanto alle iscrizioni riguardanti personaggi famosi, si leggono nel Santuario di Monte Sant’Angelo molte centinaia di iscrizioni che ricordano il passaggio di pellegrini di ogni stirpe e ceto sociale. L’analisi dei nomi, denota una netta prevalenza di popolazioni longobarde. Vi sono tuttavia anche iscrizioni incise nell’antico alfabeto runico che tramandano nomi dell’area britannica.
Si moltiplicarono nei secoli successivi i santuari dedicati all’Arcangelo, soprattutto lungo le grandi vie di comunicazione battute dai pellegrini. Molto spesso, nella costruzione di questi santuari veniva murata, tra le opere di fondazione, una pietra proveniente dalla Grotta di Monte Sant’Angelo, ed elargita, come speciale segno di benevolenza, dagli stessi Papi. La pratica, tuttora in uso, è antichissima essendo stata regolata addirittura in una disposizione di papa Gregorio II (715-731). Tra i personaggi più importanti che visitarono il santuario si annoverano diversi Papi. L’ultimo Papa pellegrino alla Grotta dell’Arcangelo è stato Giovanni Paolo II, nel maggio del 1987. La tradizione assegna a Gelasio I, sotto il cui pontificato, alla fine del sec. V, si ebbero le apparizioni di San Michele sul Gargano, l’inizio della serie dei papi pellegrini. Certamente pellegrino è stato Leone IX nel 1049, nello stesso anno della sua elevazione al soglio pontificio.

Nel 1093 era pellegrino sul Gargano Urbano II, il banditore della prima Crociata. Con molta probabilità anche il pontefice Callisto II fu pellegrino alla Grotta di San Michele in occazione del concilio di Troia dell’anno 1120. Il papa Alessandro III, l’intrepido oppositore di Federico Barbarossa e protettore dei Comuni Lombardi, fu pellegrino nel gennaio 1177 quando consacrò la chiesa dell’Abbazia di Pulsano, nei pressi di Monte Sant’Angelo. Anche Gregorio X, proveniente dalla Palestina, dove era stato sorpreso dalla elezione a papa, salì all’inizio del 1272 alla sacra Grotta, prima di recarsi a Roma dove fu consacrato.

Molti altri sono i papi che la tradizione dice essere stati pellegrini alla Grotta dell’Arcangelo. Anche molti regnanti si recarono pellegrini alla Basilica Angelica. Sopra si accennava ai molti personaggi delle case regnanti longobarde. Il più importante e noto imperatore pellegrino fu Ottone III di Sassonia. Costui il 29 aprile 998 aveva fatto decapitare sugli spalti di Castel S. Angelo a Roma Giovanni, detto Nomentano, della celebre famiglia romana dei Crescenzi, che si fregiava del titolo di Senator omnium romanorum, nel tentativo di porre fine allo stato di endemica confusione in cui erano cadute Roma e la sede Apostolica per la presenza ingombrante e sovvertitrice di alcune grandi famiglie, tra cui i Crescenzi. Il saeculum obscurum, in cui gli accadimenti ebbero luogo, era fecondo di vicende tenebrose e confuse, di tradimenti, di ricatti per cui niente era quel che sembrava. Ma Ottone III era troppo buon cristiano per non sentire il peso del suo delitto. Dopo un lunghi colloqui con i suoi direttori spirituali, San Romualdo fondatore dell’eremo di Camaldoli e San Nilo fondatore del monastero di Grottaferrata, su imposizione di San Romualdo, nel 999 iniziò il suo viaggio penitenziale verso la Grotta dell’Arcangelo per espiare il suo peccato.
Il viaggio da Roma al Gargano fu come un bagno ristoratore per le contrade attraversate. Dovunque l’imperatore penitente suscitò un rinnovamento spirituale; tutti i cronisti dell’epoca sottolinearono il ritorno alle fresche sorgenti della spiritualità che il viaggio imperiale aveva suscitato non solo fra le classi aristocratiche, ma anche fra il popolo.

L’imperatore restò diversi giorni a Monte Sant’Angelo, e di ritorno, trascorse altri quaranta giorni in stretta penitenza nel monastero di S. Apollinare in Classe, presso Ravenna, dove il suo amico San Romualdo era Abate. Anche Enrico II, detto il Santo e venerato come tale dalla Chiesa Cattolica, successore di Ottone III, si recò come pellegrino a Monte Sant’Angelo. Il piissimo Imperatore era molto devoto dell’Arcangelo Michele, a lui aveva dedicato una grande Badia benedettina fondata presso Bamberga; l’incoronazione a Imperatore era avvenuta, inoltre, nella chiesa di San Michele a Pavia. Il pellegrinaggio di Enrico II avvenne nella primavera del 1022 e fu tramandato alla storia da un episodio straordinario. L’imperatore volle trascorrere una notte nella Mistica Grotta. Durante la preghiera ebbe la visione di innumerevoli schiere angeliche, che cantavano attorno all’altare e vi celebravano il culto mentre Dio stesso, per mezzo di un angelo, gli faceva baciare la Bibbia. Tra i pellegrini illustri dobbiamo annoverare anche la contessa Matilde di Canossa, e poi una moltitudine di re e regine di tutte le case regnanti che si sono succedute a Napoli, in Italia e in tutta Europa fino ai Borboni di Napoli e ai principi di Casa Savoia.

Fra i Santi pellegrini sono da ricordare, oltre ai Santi Guglielmo e Pellegrino, Guglielmo da Vercelli, Giovanni da Matera e Francesco di Assisi, di cui si è parlato sopra, anche una innumerevole schiera di Santi attirati non solo dalla figura dell’Arcangelo ma anche dal misticismo dei luoghi, dalla loro solitudine raffinata e piena di presenze. Si ricorda che San Tommaso d’Aquino, prima di trasferirsi a Parigi, mentre era professore di Teologia a Napoli, avendo accettato dal Re Carlo I d’Angiò di tenere pubbliche lezioni a Foggia in cambio di un’oncia d’oro, tra una lezione e l’altra si recò al santuario dell’Arcangelo.Un altro santo domenicano pellegrino fu San Vincenzo Ferreri invitato dalla lontana Spagna a predicare in Puglia per ricondurre alla fede cattolica gli eretici Valdesi.
Furono pellegrini anche Sant’ Antonino da Firenze, San Camillo De Lellis e tanti altri.

Non tutti i visitatori del santuario furono pellegrini. Come tutte le strade, anche quelle dei pellegrini spesso sono battute da briganti e grassatori. Greci, Longobardi e Saraceni spesse volte considerarono il Santuario come una sorta di cassaforte ove attingere risorse e ricchezze. Fra gli episodi più truci sono da ricordare la spoliazione del normanno Guglielmo I il Malo accaduta nel 1160. Altro episodio degno di memoria fu la pesante imposizione di consegnare i vasi sacri fatta da Federico II di Svevia nel 1229. Ma anche sovrani di confessata fede cattolica non esitarono a raccogliere preziosi frutti nella vigna del Signore.
Così Alfonso I di Aragona, nel 1442 asportò dalla Celeste Basilica la statua d’oro per farne monete, dal suo nome chiamate Alfonsine. Gesto analogo fu quello di Ferdinando I d’Aragona il quale nel 1461 fece man bassa di tutti gli oggetti preziosi della Basilica e della stessa statua d’argento. utto fu trasformato in monete sonanti le quali, ornate dell’effigie dell’Arcangelo, furono chiamate Coronati dell’Angelo.
L’ultima grande ruberia fu fatta il 2 marzo 1799 dai soldati francesi del generale Duhesme. Misero a sacco l’intera città; il solo santuario fruttò tanta roba preziosa da caricarne 24 muli. Nulla sfuggì all’accurata caccia della soldataglia. Fu ripetuto così, nel 1799, il gesto sacrilego già compiuto nel 1528 da altri francesi non meno rapaci appartenenti alle soldatesche di Francesco I.

L’incredibile linea retta che ha unito tutti i santuari sino al suo punto più importante, il Santuario di San Michele Arcangelo a Monte Sant’Angelo sul Gargano, certamente non si conclude nel punto dove tutto si è originato, cioè sul Gargano. Posto sulla Ley line che passa da Saint Michael’s Mount, Mont Saint Michel, Sacra di San Michele e Monte sant’Angelo, c’è anche il Monastero sull’Isola di Simi. Si trova nella parte meridionale dell’isola di Simi, attaccata quasi alla Turchia, nel Dodecaneso meridionale, in un’insenatura stupenda del mare ed è, anche questo, dedicato a Michele Arcangelo. Fu fondato nel secolo XII e ricostruito nelle attuali forme nel XVIII secolo, meta di pellegrinaggi di tutte le popolazioni dell’Egeo.
Quivi è conservata una imponente e magnifica icona quasi a sottolineare la vittoria contro i detti degli iconomonachi rei. Secondo un’antica leggenda locale quando si dorme per la prima volta in questa isola, l’Arcangelo viene di certo in sogno e ti parla; al mattino non devi far altro che raccontare il sogno al pope che con pazienza ti ascolta in riva al mare e ti spiega l’invito che ti ha rivolto l’Arcangelo nella notte.

Dopo la distruzione di Chonae in Turchia – luogo vicinissimo a Colossi, oggi Ak Su, ove risiedeva un’antica comunità cristiana che ebbe le cure dirette dell’apostolo Paolo il quale ebbe la sollecitudine pastorale di scrivere un’apposita Lettera apostolica per dimostrare la supremazia di Cristo sugli Angeli, il cui culto com’è noto pervenne all’Ebraismo dalla cultura siro-babilonese – la devozione popolare michaelica orientale fu trasferita nell’isola di Simi. Nel IV secolo la città di Colossi fu sede vescovile, ma nell’VIII gli abitanti si trasferirono a Chonae oggi Honat e le pietre di Colossi servirono per la costruzione del nuovo villaggio di Chonae ove nell’alto Medioevo vi fu il fiorente santuario dedicato all’Arcangelo Michele il quale proprio qui fece un grande miracolo, deviando il corso di un fiume che divenne una cisterna: la somiglianza alla “stilla” garganica è evidentissima.
La festa del miracolo di Chonae è ancora oggi nel calendario della Chiesa Orientale fissata al 6 settembre mentre la Sinassi dei santi Arcangeli guidati da Michele è celebrata nel calendario liturgico l’8 novembre. In un graffito dei resti dell’antica chiesa di Chonae in modo chiaro è riportata la preghiera di un devoto che si rivolge all’Arcangelo; è infatti scritto in greco “o Archistratega, abbi pietà del tuo servo e anche della madre sua”. La scritta è posta intorno a una Croce con calotta e triangoli all’estremità, poggiante su un globo, il mondo, che a sua volta appoggia su scale: lapalissiana anche in questo caso è la similitudine con i graffiti giudeo-cristiani del santuario micaelico. Ma ritorniamo al santuario micaelico di Simi: qui, in questo estremo lembo greco dell’Egeo, l’orgoglio della tradizione orientale ed ortodossa è vivissimo, anzi si palpa e si percepisce un po’ ovunque. Si legge in una iscrizione greca posta ben visivamente all’interno del santuario e fattaci ben notare dal pope Demosthènes che “il culto di san Michele da questo lembo d’Oriente è partito, dopo essere qui giunto da Chonae, verso l’Occidente, giungendo in special modo al monte Gargano, al mont saint Michel di Normandia, al st Michael’s Mount di Cornovaglia”.
Interessante molto è l’iconografia singolarissima di san Michele di Panormìtis: l’Archistratega celeste con la destra impugna la spada-scimitarra ma con la sinistra ben elevata tiene ben stretta l’anima in fasce di un fedele defunto che ha strappato dalle fauci di satana che è sconfitto ai suoi piedi, proprio come Cristo tiene ben alzata in mano l’anima della santa Madre nell’icona della Koimesis, dormizione della Vergine.

Dunque, la rappresentazione iconografica di Panormitis così come le tante altre immagini dell’arcangelo Michele, a grandi dimensioni, poste sulle pareti delle chiese di tutto il mondo cristiano è una vera gigantografia che occupa quasi tutta l’altezza del piano iconografico. Si tratta di una grandiosa icona, misura circa tre metri di altezza, rispondente all’antico canone iconografico in risposta agli insegnamenti del presbitero Xeniàias che sottolineava: Questo canone grandioso e solenne sottolinea molto bene l’intenzione esistente nei secoli passati di rispondere al detto contrario degli iconomachi, dipingendo un Arcangelo dalle dimensioni imponenti.
Affreschi dell’Arcangelo di dimensioni notevoli si trovano anche in Italia, come quello dipinto da Pietro Cavallini nel 1200 nella basilica di santa Cecilia in Trastevere a Roma, e poi quelli bizantini della basilica monastica di sant’Angelo in Formis a Capua e della chiesa romanica di santa Maria Maggiore in Monte Sant’Angelo, in cui l’iconografia intende ben richiamare e sottolineare la validità dell’iconografia attraverso la dimensione notevole degli affreschi.

La bellezza del sito ove è posto il santuario dell’Arcangelo è davvero unica: il mare e la vicina costa turca costituiscono un impareggiabile panorama che aiuta ad elevare lo spirito alle altezze celesti. Le fabbriche del santuario sono coloratissime, com’è costumanza del resto in tutte le isole dell’Egeo riservata ai fabbricati destinati al culto e agli edifici pubblici.

Le origini dell’Ordine Carmelitano risalgono al XIII secolo, quando alcuni eremiti cominciarono a stabilirsi sul Monte Carmelo.
Un’antica via di pellegrinaggio, santuari disposti lungo una direttrice misteriosa e la figura di un arcangelo protettore e guerriero, sono gli elementi fondanti che caratterizzano il mistero della Via Michaelica, un’antichissima rotta di pellegrinaggio che toccò i principali paesi dell’Europa antica. Questa curiosa via di pellegrinaggio si è rivelata qualcosa di più vasto e profondo. Oggi quasi del tutto dimenticata se non per i tre importanti e monumentali monasteri che ancora raccontano le antiche gesta e peregrinazioni di migliaia di fedeli, la Via Michaelica resta un enigma storico unico nel suo genere per la precisione, non tanto geometrica quanto spaziale, con cui gli eremi sono stati costruiti in luoghi suggestivi e in certi casi inaccessibili.
Suggestione e mistero sembrano pervadere le chiese e le abbazie che portano il suo nome, non solo per il fascino e la bellezza che sembrano promanare, ma anche perché collegate da una linea ideale che prese il nome di Via Sancti Michaelis, una via di pellegrinaggio tra le più antiche e battute nel passato assieme alle consorelle Santiago de Compostela, Roma, la Terra Santa e non ultima la Via Francigena.
A fianco dei tre santuari noti dedicati all’arcangelo e costituenti i tre centri fondanti della Via Michaelica, sono stati identificati altri punti posti in asse con la stessa immaginaria diagonale di san Michele. Una strana correlazione con i tre principali santuari europei in cui viene venerata la figura dell’arcangelo, una curiosa linea che sembrava tagliare in due l’Europa. Altri santuari ampliano però tale diagonale fino a giungere al Monte Carmelo, tappa finale di questo lungo viaggio, ma fors’anche tappa inziale.

Il Monte Carmelo, ritenuto sacro dagli ebrei, dai cristiani, dai musulmani e dai bahá’í, si trova al crocevia della storia dell’umanità sin da quando se ne ha la memoria. Scheletri di Cromagnon sono stati rinvenuti in caverne scavate nella pietra calcarea. Pitagora si fermò in queste colline durante il viaggio verso l’Egitto; Il profeta Elia ebbe la sua dimora in due caverne del Carmelo; si dice che la famiglia di Gesù abbia sostato qui durante il ritorno dall’Egitto e che i crociati fecero un pellegrinaggio a questo sacro monte nel 1150 d.C. I Drusi si stabilirono qui nel sedicesimo secolo, provenienti dal Libano; nel 1868 i Templari Tedeschi costruirono ai piedi del monte una colonia con case in mattoni massicci, e nel 1891 Bahá’u’lláh piantò la Sua tenda alla base della montagna, facendone un luogo sacro per i bahá’í del mondo.
La natura sacra del Carmelo viene annotata fin dalla metà del secondo millennio a.C. in un elenco di luoghi conquistati dal Re Egiziano Thothmes III. La montagna viene indicata come “il sacro promontorio”. Nel quarto secolo a.C. il filosofo neo-platonico Jamblicus descrisse il Carmelo come “sacro al di sopra di tutti i monti con l’accesso vietato ai volgari”. Infatti, tutte le campagne militari della storia della Siria e dell’Egitto hanno considerato questa montagna un luogo da evitare e da oltrepassare rapidamente oltre, sia andando che tornando dalle battaglie.
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