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venerdì 10 luglio 2015

I DINOSAURI

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I dinosauri sono un gruppo di rettili molto diversificati comparsi durante il Triassico superiore (circa 230 milioni di anni fa) che dominarono il pianeta fino alla fine del Cretaceo (circa 65 milioni di anni fa).

I dinosauri sono un gruppo di animali molto diversificato: i soli uccelli attuali contano oltre 9 000 specie. Basandosi sui fossili, i paleontologi hanno identificato oltre 500 generi distinti e più di 1 000 specie di dinosauri non aviani. I dinosauri sono rappresentati su ogni continente sia da specie fossili che da specie attuali (gli uccelli). Alcuni dinosauri erano erbivori, altri carnivori. Molti di essi erano bipedi, mentre altri erano quadrupedi o capaci di muoversi sia a due che a quattro zampe. Molte specie possiedono elaborate strutture “da parata”, come corna e creste, e alcuni gruppi estinti svilupparono anche modificazioni scheletriche come armature d’osso e spine.

I dinosauri aviani sono i vertebrati volanti dominanti fin dall’estinzione degli pterosauri, e le prove suggeriscono che tutti i dinosauri costruissero nidi e depositassero uova, così come fanno gli uccelli odierni. I dinosauri variavano molto in taglia e peso: i più piccoli teropodi adulti erano lunghi meno di un metro, mentre i più grandi dinosauri sauropodi potevano raggiungere lunghezze di quasi cinquanta metri ed erano alti decine di metri.

Nonostante la parola dinosauro significhi “terribile lucertola”, il nome è piuttosto fuorviante: i dinosauri infatti non erano lucertole, ma un gruppo separato di rettili con una particolare postura eretta che non si riscontra nelle vere lucertole. Fino alla prima metà del Novecento, gran parte della comunità scientifica riteneva che i dinosauri fossero lenti, poco intelligenti e a sangue freddo. Numerose ricerche a partire dagli anni settanta, però, hanno indicato che i dinosauri erano animali attivi con un elevato metabolismo e numerosi adattamenti per l’interazione sociale. Molti gruppi (in particolare tra i carnivori) erano tra i più intelligenti organismi del loro periodo.

Fin da quando i primi fossili di dinosauri sono stati riconosciuti come tali all'inizio del XIX secolo, scheletri fossili montati (o repliche) di questi animali sono divenuti grandi attrazioni nei musei di storia naturale in tutto il mondo, e i dinosauri sono divenuti parte della cultura mondiale.

Per distinguere i dinosauri dagli altri rettili esistono alcuni elementi che permettono di stabilire la differenziazione:
La prima più semplice è quella della datazione del fossile, infatti i dinosauri non aviani sono vissuti in un preciso periodo di tempo (dal Triassico inoltrato alla fine del Cretaceo) e qualsiasi rettile, anche di considerevoli dimensioni (come i pelicosauri, ad esempio Dimetrodon), vissuto prima o dopo questo periodo non è un dinosauro.
Dal punto di vista dell'habitat, i dinosauri erano esclusivamente terrestri e qualsiasi rettile marino (come i plesiosauri, i mosasauri o gli ittiosauri) o volante (pterosauri), nonostante a volte siano comunemente definiti tali, non sono in realtà dinosauri. Va comunque fatta una precisazione riguardo alla possibilità di volare, poiché per i dinosauri-uccelli come l'Archaeopteryx e diversi celurosauri che presentavano un rivestimento piumato, non si esclude la possibilità che compissero delle planate o addirittura brevi voli: dai celurosauri si sono inoltre originati anche gli uccelli, tanto che la stessa classificazione dell'Archaeopteryx (definibile come dinosauro evoluto o, equivalentemente, come uccello primitivo) è controversa. Ad oggi però, ritenendo la classe Aves parte integrante di Dinosauria, possiamo considerare dinosauri teropodi (comprese forme volanti o nuotatrici), tutti gli uccelli. Vi furono inoltre specie come il bizzarro e controverso Yi qi, un piccolo dinosauro piumato con una membrana che forse gli permetteva di volare o di planare.
Più concretamente, i dinosauri presentavano le forme e le dimensioni più svariate, che in genere di primo acchito permettono di distinguerli da molti altri rettili. Saltano subito all'occhio le dimensioni eccezionali di certi colossi, mai raggiunte da qualsiasi altro animale terrestre, o le forme curiose di specie come il triceratopo o il parasaurolofo. Tuttavia esistevano anche dinosauri molto più piccoli.
Vi sono caratteristiche anatomiche più specifiche che permettono di separare più nitidamente i dinosauri da qualsiasi altro rettile. La principale è quella del posizionamento degli arti, che nei dinosauri sono collocati direttamente sotto il corpo (in maniera simile agli uccelli odierni, o anche grossomodo ai mammiferi); ne consegue che quando l'animale è fermo gli arti sono approssimativamente perpendicolari al corpo, in maniera analoga, per esempio, a quanto avviene in una mucca, mentre il ventre e quasi tutta la coda non toccano il terreno. In qualsiasi altro rettile questo non avviene: le articolazioni sporgono all'esterno del corpo (presentando delle sorta di "gomiti") e quando è fermo l'animale tocca il suolo con il ventre e la coda. Fanno eccezione alcuni arcosauri come alcuni Curotersi terricoli e alcuni pterosauri, che però articolavano la caviglia e agganciavano la zampa al bacino in maniera nettamente differente. Va anche notato come tutti questi gruppi di rettili svilupparono prima la verticalità delle zampe posteriori, e poi, in modo differente spesso da clade a clade, delle zampe anteriori, sviluppando spesso forme di bipedismo obbligato.

Le caratteristiche morfologiche dei dinosauri sono estremamente varie. Il superordine Dinosauria comprende infatti animali adattati a quasi tutte le nicchie ecologiche terrestri. Fra i dinosauri vi furono sia erbivori che carnivori, sia bipedi, che quadrupedi; vi furono specie adattate ad ambienti caldo-umidi, di foresta pluviale, quanto specie di ambiente arido o di ambiente temperato. Una ricostruzione precisa del loro aspetto e del loro comportamento è però un'impresa molto difficile e largamente speculativa, che si basa soprattutto su misure morfometriche delle ossa fossili, sulle associazioni faunistiche desunte dalla tanatocenosi, sull'interpretazione sedimentologica dei depositi in cui sono stati rinvenuti i fossili e sui rarissimi ritrovamenti di parti molli fossilizzate.

Occorre osservare, da un punto di vista generale, che solo una minima percentuale degli organismi viventi appartenenti ad una certa popolazione si fossilizzano: la maggior parte va distrutta per fattori di tipo ambientale (fisico, chimico o biologico). Inoltre, degli individui fossilizzati, la maggior parte sono inaccessibili, sepolti in profondità nei sedimenti, oppure perduti a causa dell'erosione. Quindi, il campione di esemplari di cui disponiamo è sicuramente poco rappresentativo. Anche tra quelli che sono stati recuperati, per pochissimi è noto lo scheletro completo e sono molto rare anche le tracce di tessuti molli come la pelle. Le ricostruzioni di scheletri ottenute confrontando la dimensione e la morfologia delle ossa con ossa di specie simili meglio conosciute hanno un notevole margine di imprecisione e di ipotesi, come del resto le ricostruzioni di muscoli e altri organi. In effetti molte specie di dinosauri sono conosciute solo da uno scheletro altamente incompleto, frammenti d'ossa o di denti, e pochissime sono studiabili attraverso collezioni di scheletri più o meno completi giovanili, adulti ed infantili.

Nonostante si ritenga comunemente il contrario, la taglia media dei dinosauri conosciuti non era superiore a quella di una pecora; a questo dato bisogna inoltre aggiungere il fatto che le creature più grandi si fossilizzano più facilmente e sono più facili da scoprire, per cui la reale taglia media potrebbe essere ancora inferiore se si tiene conto delle specie non ancora scoperte. Tuttavia, se confrontati con animali delle epoche sia anteriori che posteriori, i dinosauri del gruppo dei sauropodi avevano dimensioni superiori di circa un ordine di grandezza. I più piccoli sauropodi erano più grandi di qualunque altro essere nel loro habitat e i più grandi erano di un ordine di grandezza maggiore di qualunque altro essere abbia mai camminato sulla Terra.

Il più alto e il più pesante dinosauro di cui sia noto lo scheletro completo è tuttora l'esemplare di brachiosauro (ora attribuito al genere Giraffatitan) che fu scoperto in Tanzania tra il 1907 e il 1912, attualmente esposto nel Museo Humboldt di Berlino. Era alto 12 m, e probabilmente pesava tra le 30 e le 60 t. Il più lungo è uno scheletro di Diplodocus che misura 27 m, scoperto nel Wyoming. Questo esemplare fu montato nel Carnegie Natural History Museum di Pittsburgh nel 1907 e ne furono in seguito eseguiti numerosi calchi che furono donati a numerosi musei nel mondo.

Esistono molti altri dinosauri più grandi, ma ne sono state recuperate solo poche ossa. Gli attuali primatisti sono stati scoperti tutti dopo il 1970 e comprendono il massiccio Argentinosauro, il cui peso potrebbe essere stato di 100 tonnellate; il più lungo, il Supersaurus (40 m); e il più alto, il Sauroposeidon (18 m).

Nessun altro gruppo di animali terrestri si avvicina a queste dimensioni. Il più grande elefante registrato pesava appena 8 tonnellate, mentre la più alta giraffa era alta appena 6 m. Anche i grandi mammiferi preistorici come l'indricoterio, il mammut imperiale e il mammut del fiume Songhua erano nani in confronto ai giganteschi sauropodi. Solo pochi animali acquatici si avvicinano a tali dimensioni; tra questi la balenottera azzurra è la più grande, giungendo fino a 150-180 tonnellate e a 33 m di lunghezza.

Escludendo i moderni uccelli come il colibrì, i più piccoli dinosauri conosciuti possedevano circa le dimensioni di un corvo o di un pollo. Il Microraptor e il Parvicursor erano di lunghezza inferiore ai 60 cm. I fossili di piccoli dinosauri sono quelli più difficili da trovare in molti classici giacimenti (ed in particolare quelli a marne di grana fine, particolarmente indicati per i reperti di grosse dimensioni), tendono ad essere distrutti più facilmente dall'erosione e a passare inosservati, anche per questo fino a poco tempo fa erano poco note forme microscopiche di dinosauro; tuttavia non è affatto escluso esistessero molte specie di piccole e piccolissime dimensioni, anche inferiori a quelle di un pollo o di un corvo.

Il comportamento dei dinosauri non aviani sarà sempre soggetto ad un grande margine di mistero dal momento che non ne è possibile l'osservazione diretta. I paleontologi devono basarsi su indizi indiretti, dedotti da tracce fossili, come scheletri in combattimento (Velociraptor e Protoceratops) e nidi fossilizzati, confrontandoli cautamente con gli studi sul comportamento degli animali viventi.

Tali indizi sono molto vari e suggeriscono diversi tipi di comportamenti, comunque ipotetici. Alcuni potrebbero aver avuto una sorta di comportamento gregario (non necessariamente sociale), forse migrando in grandi branchi analogamente ai mammiferi erbivori moderni (ad esempio le specie africane).

Un'ipotesi sostiene che questo comportamento poteva fornire un sistema di allarme contro taluni predatori. È possibile che anche i dinosauri carnivori abbiano avuto comportamenti sociali, come accade oggi per i lupi e i grandi felini. Unità familiari potrebbero avere viaggiato insieme per lunghi periodi in modo da aiutarsi reciprocamente a sopravvivere. Tuttavia ciò è messo in dubbio dal fatto che gli arcosauri odierni più vicini ai dinosauri mesozoici non presentano alcun tipo di organizzazione sociale. Inoltre molti arcosauri odierni che collaborano nella caccia (come i coccodrilli del Nilo) lo fanno senza sviluppare complessi sistemi di interazione sociale, che sono complessivamente rari anche tra gli uccelli, mentre sono molto diffuse forme di tolleranza reciproca, commensalità e di occasionale collaborazione, soprattutto nello smembramento di una carcassa. Numerose "prove" di socialità tra i dinosauri, e soprattutto tra i teropodi, ovvero letti di ossa monospecifici, si sono dimostrate errate o quantomeno interpretabili in differenti maniere in base all'analisi tafonomica del sito. Qualunque interpretazione sul comportamento dei dinosauri si basa su speculazioni e promette di causare controversie in futuro.

I dinosauri sono studiati dai paleontologi. Tra le specializzazioni vi sono la scoperta, la ricostruzione e la conservazione dei fossili di dinosauro e l'interpretazione di quei fossili per capire meglio l'evoluzione, la classificazione e il comportamento dei dinosauri.

Il primo dinosauro conosciuto, l'Eoraptor lunensis apparve approssimativamente 230 milioni di anni fa, tra il Triassico medio e il Triassico superiore, circa 20 milioni di anni dopo l'estinzione di massa del Permiano-Triassico che causò la scomparsa di circa il 75% di tutta la varietà biologica del pianeta. Le datazioni radiometriche dei fossili della primitiva specie di dinosauro Eoraptor lunensis, scoperto in Argentina, stabiliscono la sua presenza nei ritrovamenti fossili di quel periodo. I paleontologi credono che Eoraptor potesse assomigliare all'antenato comune di tutti i dinosauri. Se ciò fosse vero, le sue caratteristiche farebbero pensare che i primi dinosauri fossero piccoli predatori bipedi. Tra i possibili antenati dei dinosauri vi sono Marasuchus, del Triassico medio dell'Argentina, il poco conosciuto Saltopus della Scozia (grande quanto una mano, del Triassico superiore) e Silesaurus, rinvenuto in Polonia e considerato un possibile antenato dei dinosauri ornitischi.

Molte linee di dinosauri primitivi si diversificarono rapidamente dopo il Triassico, espandendosi rapidamente fino a riempire la maggior parte delle nicchie ecologiche disponibili.

L'estinzione di massa del Cretaceo terziario, 65 milioni di anni fa, alla fine del Cretaceo, causò la scomparsa di tutti i dinosauri, con l'eccezione del ramo dei teropodi che, evolvendosi, avevano già portato alla comparsa dei primi uccelli.

La conoscenza attuale dei dinosauri deriva da una varietà di ritrovamenti fossili e non fossili, tra cui ossa fossilizzate, coproliti, tracce di deambulazione, gastroliti, piume, impronte della pelle, tessuti molli e organi interni. Molti campi di studio contribuiscono a farci capire il mondo dei dinosauri, tra cui la fisica, la chimica, la biologia e le scienze della terra (delle quali la paleontologia è una branca).

Resti di dinosauri sono stati ritrovati in ogni continente, incluso l'Antartide. Numerosi fossili delle medesime specie di dinosauro sono stati ritrovati su continenti del tutto differenti, dando in questo modo vigore alla teoria secondo la quale tutte le masse continentali erano unite un tempo in un supercontinente denominato Pangea. Questa massa iniziò a frammentarsi nel Triassico, circa 230 milioni di anni fa.

I dinosauri hanno anche denti che crescono da alveoli, anziché essere estensioni dirette delle ossa mascellari, come pure varie altre caratteristiche. Entro questo gruppo, i dinosauri si differenziano principalmente per la loro andatura. Invece di avere zampe che si estendono lateralmente, come le lucertole e i coccodrilli, le loro zampe si protendono direttamente sotto il loro corpo.

Nella stessa epoca dei dinosauri vivevano molti altri tipi di rettili. Alcuni di questi sono comunemente, ma scorrettamente, considerati dinosauri: tra questi i plesiosauri (rettili acquatici che non sono vicini ai dinosauri dal punto di vista evolutivo), e gli pterosauri, rettili volanti che si sono evoluti separatamente da un rettile progenitore nel tardo Triassico.

Gli scienziati hanno alimentato un costante e vigoroso dibattito riguardo alla regolazione della temperatura del sangue dei dinosauri: la discussione, resa popolare da Robert T. Bakker si è incentrata dapprima sulla possibilità che vi fosse una tale regolazione e in seguito sul metodo di regolazione.

Dalla prima scoperta dei dinosauri, i paleontologi ipotizzarono che fossero creature ectotermiche. Questa ipotesi implicava che i dinosauri fossero per lo più organismi lenti e pigri, confrontabili con i moderni rettili, che hanno bisogno del sole per riscaldare i loro corpi. In realtà il paelontologo inglese Owen, quando creò il nome Dinosauria, già si interrogò sul loro metabolismo, ipotizzando se non una completa omotermia, almeno un cuore complesso a quattro cavità. Diverse scoperte successive hanno messo in discussione l'ipotesi dell'ectotermia: il ritrovamento di dinosauri in territori dal clima freddo, di dinosauri polari in Australia e nel nord della Siberia e dell'Alaska, dove sopportavano sei mesi di inverno gelido e scuro, la scoperta di dinosauri piumati le cui piume fornivano una regolazione per isolamento e infine l'analisi, nelle ossa di dinosauro, di strutture dei vasi sanguigni che sono tipiche degli organismi endotermici. Tutte queste scoperte confermarono la possibilità che alcuni dinosauri, se non tutti, regolassero la loro temperatura corporea con metodi biologici interni; in alcuni casi potrebbero essere stati parzialmente aiutati dalla loro ampia massa corporea, che al contrario per altri scienziati è la dimostrazione più lampante della necessità di un metabolismo endotermico, non tanto per riscaldare il corpo quanto per raffreddarlo. Le strutture scheletriche suggeriscono per i teropodi e altre creature stili di vita attivi, più compatibili con un sistema cardiovascolare endotermico. Forse alcuni dinosauri erano endotermici e altri no. La discussione scientifica sui dettagli continua, sebbene molti paleontologi ora concordino sul fatto che i sistemi endotermici sono più probabili.

A complicare questo dibattito, il "sangue caldo" può essere mantenuto con più di un meccanismo (per esempio anche tonni e squali hanno un metabolismo attivo, ma differente da quello di mammiferi e uccelli). La maggior parte delle discussioni sull'endotermia dei dinosauri li confronta con il tipico uccello o mammifero, che consuma energia per alzare la temperatura corporea al di sopra della temperatura ambiente. I piccoli uccelli e i mammiferi possiedono inoltre qualche tipo di isolamento, come grasso, pelliccia o piume, per ridurre la perdita di calore. Tuttavia i grandi mammiferi, come gli elefanti, devono affrontare un problema diverso poiché il rapporto tra la loro superficie corporea e il loro volume è particolarmente piccolo (principio di Haldane). Considerando animali via via più grandi, si nota che l'area della loro superficie cresce più lentamente rispetto al loro volume; a un certo punto, la quantità di calore disperso attraverso la pelle scende al di sotto della quantità di calore prodotta all'interno del corpo, costringendo così gli animali ad usare metodi addizionali per evitare il surriscaldamento. Nel caso degli elefanti, essi non hanno pelliccia, possiedono grandi orecchie che aumentano la loro superficie corporea e mostrano inoltre un adattamento comportamentale, come usare la proboscide per spruzzarsi di acqua e immergersi nel fango. Questi comportamenti aumentano il raffreddamento per evaporazione.

I grandi dinosauri dovettero, presumibilmente, fronteggiare la stessa situazione: la loro dimensione suggerisce che disperdessero calore in modo relativamente lento, e quindi avrebbero potuto essere "grossi endotermi", animali che sono più caldi dell'ambiente circostante a causa della loro dimensione e non grazie ai particolari adattamenti messi in atto da mammiferi e uccelli. L'anatomia dei Dinosauri, per quanto ancora conosciuta in modo imperfetto, permette di ipotizzare che, già a livello basale, i saurischi avessero un sistema di respirazione assai complesso, basato su sacche aeree e polmoni rigidi. Questo sistema avrebbe potuto contribuire in maniera sostanziale a ridurre i problemi di surriscaldamento degli animali, permettendo ai dinosauri di raggiungere dimensioni notevolmente superiori a quelle raggiunte da qualsiasi mammifero terrestre o, nel caso dei sauropodi, marino.

ESono stati identificati residui di materiale organico in alcune ossa di dinosauri risalenti a settantacinque milioni di anni fa: cellule di tessuti e tracce di quelli che sembrano essere globuli rossi. La straordinaria scoperta, effettuata da ricercatori dell’Imperial College di Londra, fornisce preziosissimi indizi per risalire al reale aspetto e alle abitudini dei giganteschi rettili che in un passato molto remoto hanno dominato la Terra: lo studio di eventuali resti di cellule ematiche potrebbe infatti aiutare gli scienziati a capire quando i dinosauri hanno sviluppato un metabolismo simile a quello degli uccelli, in altre parole in che modo si sono evoluti in animali a sangue caldo e quale è stata la loro genealogia.

Il team di ricercatori capitanati da Sergio Bertazzo e Susannah Maidment ha individuato piccole parti di tessuti molli nei reperti ossei di otto esemplari di dinosauri, ritrovati nei primi decenni dello scorso secolo e risalenti al Cretaceo, il periodo che nella cronologia delle ere geologiche segue il Giurassico. Anche se le ossa non erano in perfetto stato di preservazione, anzi, e a prima vista non mostrassero segni evidenti di strutture tissutali, accurate analisi al microscopio elettronico hanno rivelato invece la presenza di cellule quasi del tutto identiche a eritrociti (i globuli rossi), oltre a fibre di collagene e residui di altre proteine di tessuto connettivo. Finora qualche traccia di materia organica era stata osservata solo in rarissimi campioni fossili ottimamente conservati, ma con identificazione controversa: secondo alcuni esperti non sarebbero residui di natura biologica in quanto le molecole che compongono le proteine decadono in tempi relativamente brevi e comunque non possono durare oltre quattro milioni di anni. Ma i risultati delle analisi effettuate dai ricercatori d’oltremanica e riportati su Nature Communications sembrano fugare ogni dubbio. Anche perché hanno esaminato vari campioni provenienti da diverse ossa di differenti fossili, tutti custoditi al Natural History Museum della capitale inglese: un pezzo d’unghia dell’artiglio appartenente a un esemplare non ben definito di teropode (cioè della famiglia del Tirannosauro Rex), frammenti di tibia e costole di cinque adrosauridi (erbivori col becco d’anatra e una lunga protuberanza a mo’ di elmo sul cranio), di un casmosauro (altro erbivoro ma dotato di lunghe corna) e di un ceratopside (famiglia del Triceratopo).
Gli studiosi si sono avvalsi di uno stuolo di apparecchiature all’avanguardia: prima hanno visionato le ossa con dettagli micrometrici tramite un microscopio elettronico a scansione per rilevare e localizzare nei frammenti la presenza di tessuti molli, poi con uno strumento che spara fasci di ioni hanno praticato micro incisioni per osservarne la struttura interna. Hanno così scovato molecole di amminoacidi (le basi delle proteine) e catene proteiche avvolte in filamenti a tripla elica, come nelle fibre di collagene, la principale proteina che costituisce il tessuto connettivo. “Poiché ogni gruppo di animali ha una sua propria struttura di collagene, future analisi ci potranno dire come le varie specie di dinosauri erano imparentate tra loro” spiega Susannah Maidment. Infine i piccoli pezzi di tessuto sono stati sottoposti ad analisi con uno spettrometro di massa, comparandoli con un campione di sangue prelevato da un emù (dato che si ritiene che gli uccelli discendano proprio dai dinosauri). Risultato: i frammenti fossili hanno mostrato similarità con i globuli rossi dell’uccello australiano. Alla fine la domanda sorge quindi spontanea: sono state rinvenute anche tracce di Dna? «Non è possibile trovarlo o estrarlo da questo tipo di campioni», dice Sergio Bertazzo «però la nostra scoperta ha implicazioni allo stesso modo importantissime: ora sappiamo che con adeguate tecniche siamo in grado di rivelare la presenza di cellule vecchie di decine di milioni di anni nei resti fossili degli scheletri di dinosauri; il che non solo ci consente di conoscere meglio la fisiologia di queste creature, ma anche il loro comportamento e permette di tracciare una precisa linea di discendenza tra le varie specie». Proprio per il fatto che il team è riuscito a osservare strutture organiche in ossa che giacevano da quasi cento anni nelle teche di un museo, si suppone ora che anche in altri reperti sparsi per il mondo si possa trovare qualcosa di simile o addirittura di più dettagliato. E che potrebbe riservare altre eclatanti sorprese.


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lunedì 22 giugno 2015

L'UOMO DI NEANDERTHAL

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L'Uomo di Neandertal, è un ominide strettamente affine all'Homo sapiens, che visse nel periodo paleolitico medio, compreso tra i 200 000 e i 40 000 anni fa.

Prende il nome dalla Valle Neander in Germania, presso Düsseldorf, dove vennero ritrovati i primi resti fossili. Fu un "Homo" molto evoluto, in possesso di tecnologie litiche elevate e dal comportamento sociale piuttosto avanzato, al pari dei sapiens di diversi periodi paleolitici.

Convissuto, nell'ultimo periodo della sua esistenza, con lo stesso Homo sapiens, l'Homo neanderthalensis scomparve in un tempo relativamente breve, un evento che costituisce un enigma scientifico oggi attivamente studiato.

Documentata fra 130 000 (per le forme arcaiche) e 30 000 (documentata con reperti fossili)-22 000 (in assenza di fossili ma con discusse prove culturali) anni fa principalmente in Europa e Asia, e limitatamente in Africa, questa specie si è presumibilmente evoluta dall'Homo heidelbergensis.

Studi del 2010 suggeriscono, tra alcune ipotesi probabili relative alla vicinanza genetica tra H. neanderthalensis e H. sapiens, che ibridazioni fra i due possano avere avuto luogo nel Vicino Oriente all'incirca tra 80 000 e 50 000 anni fa, per la presenza nell'uomo contemporaneo di una percentuale tra 1 e il 4% di materiale genetico specificamente neanderthaliano.

Tali tracce genetiche sono presenti negli euroasiatici e nei nativi americani ma non negli africani, e ciò suggerisce, tra diverse ipotesi possibili, almeno quattro, che l'ibridazione possa avere avuto luogo nei primi stadi della migrazione della specie umana fuori dall'Africa, presumibilmente quando venne a contatto con i Neanderthal che vivevano nel Medio Oriente, circa 80 000 anni or sono.

In passato la specie era stata chiamata anche uomo di Neanderthal, dall'originale nome specifico scientifico, e Homo sapiens neanderthalensis quando era ancora considerato sottospecie dell'homo sapiens; queste denominazioni talora si riscontrano, così pure avviene in altre lingue. Il problema del nome come sottospecifico, non è, al contrario del primo, meramente formale, ma riflette, differenze che sottintendono differenti possibili cammini evolutivi e differenti gradi di reincrocio con i sapiens.

I resti che diedero il nome alla specie furono scoperti da Johann Fuhlrott nell'agosto 1856 in una grotta di Feldhofer nella valle di Neander in Germania, che prende il nome dalla traduzione in greco antico del cognome dell'organista sacro e pastore Joachim Neumann, appunto cambiato poi in Joachim Neander, a cui i concittadini di Düsseldorf intitolarono come omaggio toponomastico la piccola valle. Della scoperta dei fossili venne poi dato annuncio ufficiale solo il 4 febbraio 1857.

L'aspetto fisico esteriore del neanderthaliano classico alla luce delle conoscenze attuali, notevolmente incrementatesi rispetto alle prime ipotesi e estrapolazioni otto-novecentesche, è quello di un uomo di altezza media (1,60 m) perfettamente eretto e muscolarmente molto robusto.

La testa, rispetto ad un sapiens è allungata antero-posteriormente, anche se si sovrappone in genere nella variabilità sapiens, ha un volume cerebrale di 1500 cm³ in media, del 10% superiore agli uomini attuali e arcate sopraccigliari sporgenti. Ha uno spiccato prognatismo e il mento può essere sfuggente, per lo meno nei tipi arcaici. Col tempo, in alcune zone e verso la fine del Paleolitico si diffonde un tipo più gracile e con un mento osseo più pronunciato, mentre gli zigomi sono molto meno accentuati e le arcate sopraccigliari al contrario più sporgenti.

Una tesi esposta nel 2006 e confermata nel 2007 è basata su ricerche avanzate con tecniche di biologia molecolare e ipotizza che la specie, in Europa, abbia sviluppato individui di carnagione bianca con capelli rossi: il tipo di pigmentazione è in accordo con la scarsa irradiazione solare (ultravioletta) del territorio colonizzato, analogamente alla distribuzione geografica attuale della pigmentazione nei tipi umani. Nonostante ciò, si è evidenziato come la variabilità genetica della popolazione neanderthaliana suggerisca una variabilità del fenotipo piuttosto ampia, analogamente a quella attuale di H. sapiens.

Recenti studi, basati sull'analisi di alcune sequenze geniche di DNA, suggeriscono che, senza arrivare a parlare di sottospecie, vi fu sicuramente una suddivisione in tre (o forse quattro, ma il metodo non riesce ancora a chiarire quest'ipotesi) diversi grandi gruppi di popolazioni. La reale esistenza dei gruppi sud europeo (sud iberico, subalpino, balcanico), centro-est europeo (dalla zona nord iberica fino al mar Caspio) e medio asiatico (fino ai confini orientali kazaki) in precedenza era stata frequentemente messa in discussione sulla base dei soli reperti fossili.

L'uomo di Neanderthal inizia a evolvere in un contesto culturale Acheuleano superiore, dove i manufatti bifacciali cambiano forma, migliorano la punta e diminuiscono di spessore.
Nell'industria litica compare la nuova tecnica di scheggiatura Levalloisiana. Da un nucleo litico iniziale, sgrossato fino a portarlo a una forma biconvessa, lateralmente su di una faccia si staccano parallelamente a un piano di base schegge di forma regolare. Questa tecnica evolve e le forme chiamate amigdale (a mo' di mandorla) dell'Acheuleano scompaiono, anche se a sud del Sahara continuerà fino al 50 000 a.C. circa.
In Europa, territorio principale del Neanderthal, si parla di cultura Musteriana, da ritrovamenti a Le Moustier, in Dordogna. Abbiamo punte triangolari, raschiatoi per la preparazione delle pelli molto rifiniti, col bordo tagliente finemente ritoccato. Il Musteriano si articola in diverse culture, geografiche e cronologiche.
Pare accertato, con qualche residua incertezza, il passaggio successivo al castelperroniano, con reperti affidabilmente attribuiti ai neanderthal come lamette litiche, manufatti in osso e ornamenti per il corpo.

Sull'evoluzione culturale del neanderthal non vi è ancora una visione condivisa. A fronte di antropologi come Ian Tattersall che non riconoscono il raggiungimento di livelli culturali che sconfinino dalla mera tecnologia, e in particolare non condividendo il fatto che sia stata raggiunta la visione simbolica, intesa come dimensione simbolica nel senso psicologico, premessa a riti, arte, e comportamenti relativi, vi sono indizi di comportamenti culturali avanzati.
Le culture litiche che poi evolveranno (Castelperroniano, Aurignaziano e molto dubbiosamente Gravettiano, condivise sicuramente dai sapiens) sono quindi tuttora allo studio per la sicura eventuale attribuzione ai neanderthal; pare con buona significatività accertato il primo passaggio.
In sintesi e a grandi linee si può dire che la cultura neanderthaliana dominante fu il Musteriano e che il limite convenzionale (attuale) superiore si situa fra il Castelperroniano e l'Aurignaziano.
Molto diffuso l'utilizzo delle pelli, anche per la costruzione di ripari estivi all'aperto, contrapponendosi alla pratica troglodita invernale. Si ritrovano strutture di pietre o di ossa atte ad assicurare i bordi delle pelli al suolo.
Abbondanti tracce di ocra rossa fanno pensare a usi rituali e religiosi. Anche in tale ottica si evidenzia l'inumazione come pratica diffusa, in fosse di forma ovale, con corredi funerari (cibo, corna e strumenti litici), spesso ricoperte da lastroni per sottrarre i corpi alle fiere, deposizioni di fiori (studi sui pollini in ritrovamenti in Asia Minore). Il fuoco, in cerchi di contenimento di pietre, è largamente utilizzato.

Forse, con i neanderthalensis si ha il primo esempio di strumento musicale non a percussione ma intonato, grazie al ritrovamento del cosiddetto flauto di Divje Babe (in Slovenia): un frammento di femore di orso delle caverne perforato regolarmente. Inizia anche l'arte figurativa in senso stretto, considerata prerogativa di sapiens ma dalla stratigrafia recentemente attribuita anche ai neanderthalensis.
I recenti progressi molecolari nello studio delle popolazioni neanderthaliane e la loro localizzazione geografica, uniti a quelli sull'industria litica e degli altri manufatti, permetteranno in futuro di chiarire meglio i rapporti tra le diverse culture e la loro evoluzione nello spazio e nel tempo.

Un articolo pubblicato su Proc Natl Acad Sci U S A. il 13 Nov 2012 a cura di un gruppo del Department of Human Evolution, Max Planck Institute for Evolutionary Anthropology di Lipsia, getta nuova luce sulla sempre più probabile attività simbolica e artistica dei Neanderthal nel passaggio dal Paleolitico medio a Paleolitico superiore, periodo caratterizzato dalla sostituzione degli ultimi Neanderthal con gli esseri umani moderni in Europa tra 50.000 e 40.000 anni fa. Le raccolte di manufatti del Castelperroniano  trovati nella Francia centrale e nella Spagna settentrionale sono databili in questo intervallo di tempo. Fino ad ora, è il solo tipo di collezioni che ha consentito di associare i resti Neanderthal con manufatti di stile UP. I manufatti CP includono anche ornamenti del corpo, praticamente sconosciuti in tutto il mondo Neanderthal. Tuttavia, si è sostenuto che i manufatti CP non siano stati fabbricati da Neanderthal, ma piuttosto i processi di formazione dei siti e la commistione degli strati abbiano portato all'associazione casuale di resti di Neanderthal, assemblaggi CP, e gli ornamenti del corpo. Gli autori pubblicano una serie di datazioni al radiocarbonio ottenute con spettrometria di accelerazione di massa analizzando collagene osseo ultrafiltrato estratto da 40 frammenti di ossa ben conservate del tardo Musteriano, CP, e dagli strati Protoaurignaziani nel sito di Grotte du Renne (a Arcy-sur-Cure, Francia) . I risultati sono incompatibili con l'ipotesi di commistione. Inoltre, si riporta una data direttamente calcolata su di un frammento di osso compatto di tibia di Neanderthal rinvenuto a Saint-Césaire (Francia). Questa data conferma l'assegnazione di manufatti CP agli ultimi Neanderthal dell'Europa occidentale. Inoltre, ed è ancora più importante, i dati stabiliscono che la produzione di ornamenti corporei nel CP è successiva all'arrivo degli umani moderni nelle regioni adiacenti dell'Europa. Questo nuovo comportamento potrebbe quindi essere il risultato di una diffusione culturale dai gruppi moderni ai gruppi di Neanderthal.

Un'accurata statistica, basata sull'analisi multivariata di forma e dimensioni del cranio, tuttavia, pur rilevando un habitus tipico del Neanderthal, mostra sorprendenti vicinanze con crani attuali di forme estreme (C.Stringer, del British Museum).

Da uno studio del 2001 alcuni commentatori speculano sul fatto che i Neanderthal dimostrino un tipo a capelli rossi, condividendone l'eredità con uomini attuali di tipo lentigginoso e di pelo rosso; in ogni caso altri ricercatori dell'epoca dissentivano. Gli studi molecolari del 2007 dell'aspetto esteriore sciolgono comunque ogni dubbio, ovvero sulla base dello studio sulle varianti dei melanocortin 1 receptor (mc1r), si deduce che la ridotta funzionalità di questi porti a sviluppare un fenotipo poco pigmentato a pelle chiara e capelli rossi. Lo studio è stato condotto, con tecniche di amplificazione genica su un gene responsabile della pigmentazione umana, appunto quello relativo al melanocortin 1 receptor (mc1r), che codifica sette proteine eterometriche transmembrana GTP-ligande (G protein)–coupled receptor (GPCR). I capelli rossi e la pelle chiara risultano da alleli che comportino complete o parziali perdite di funzionalità dell'MC1R umano (huMC1R), alterando il bilancio nella sintesi eumelanina-feomelanina. I campioni provenivano da DNA ben conservato (sulla base di dati relativi ad abbondante contenuto amminoacidico e alla sua alla scarsa racemizzazione) di un esemplare dei Monti Lessini e dell'esemplare El Sidrón 1252 (Cueva de El Sidrón, in Spagna).

Un'altra differenza secondo i paleoantropologi, potrebbe essere stata nella crescita, infatti si ritiene, analizzando la crescita del primo molare comparata con quello della dentatura di Homo sapiens, che i neanderthal crescessero più velocemente di quanto facciano gli uomini moderni, raggiungendo l'età adulta già a 15 anni. Questa crescita rapida, stando a quanto riportano gli esperti, è una caratteristica tipica dei primi ominidi. Tempi di sviluppo più rapidi, secondo gli studiosi, sembrano essere stati una necessità per una specie che viveva in terre molto fredde e inospitali, dove la mortalità infantile era molto elevata e l'aspettativa di vita breve.

Si dibatte lungamente sugli ultimi rappresentanti noti dei nostri parenti più prossimi. Quest'argomento, assieme al mistero della scomparsa della popolazione neaderthaliana, è forse uno dei più controversi della scienza paleoantropologica e il più soggetto a evoluzione. Le datazioni tramite spettrometria di massa da parte di Fred Smith ed Erik Trinkaus, (Northern Illinois University e Washington University rispettivamente), da scavi di Vindija (Croazia) portano a 28 000 anni i reperti più recenti, con articoli pubblicati a cavallo del 2000. Nuove datazioni ricollocano indietro a 32 000 anni i reperti. Vengono scoperti altri fossili recenti sulle coste atlantiche del Portogallo, e si riscontrano evoluzioni morfologiche verso una maggiore modernità. Contemporaneamente viene messa in discussione l'associazione di alcune culture litiche (Aurignaziano, Musteriano) ai vari Homo.

Si dibatte anche sulla completa scomparsa della popolazione, non perfettamente spiegabile sulla base delle sole caratteristiche fisiche degli individui. Si trattava di una specie lungamente adattata all'ambiente colonizzato, con un volume cranico pari o superiore ai sapiens attuali, e di cultura tecnica almeno inizialmente sovrapponibile nelle due popolazioni. Le prime ipotesi teorizzate parlano di lenta ibridazione con Sapiens moderni, eliminazione fisica (genocidio), competizione, o selezione sessuale. La difficoltà ad analizzare lo scarso materiale genetico sopravvissuto completa il quadro. Certamente la lunga coesistenza di uomo di Neanderthal e uomo moderno pongono sul tavolo della discussione molti problemi irrisolti, e l'argomento è in costante riscrittura.

Nel 2005 sul Journal of Economic Behaviour and Organization Jason Shogren, economista dell'Università del Wyoming di Laramie, pubblica con i suoi collaboratori un articolo in cui avanza una teoria sulla scomparsa dell'uomo di Neanderthal. Lo studioso avanza l'ipotesi che H. neanderthalensis si sia dovuto scontrare con la particolare cultura dell'H. sapiens: questa cultura si basava su tecniche avanzate di commercio, cosa che portava più tempo libero rispetto a una cultura basata sulla caccia. Il tempo libero ottenuto avrebbe permesso lo sviluppo di specializzazioni non strettamente legate alla sussistenza, come costruire utensili sempre più complessi o dedicarsi all'arte. La complessità e la versatilità di una tale cultura avrebbe avuto esito fatale per la più "tradizionale" cultura dei Neanderthal.

Stephen Kuhn e Mary Stimer dell'università dell'Arizona, sulla rivista Current Anthropology, propongono, documentandola, la tesi per cui la principale causa di estinzione fu la mancata suddivisione dei lavori tra i sessi. I più organizzati sapiens, più efficientemente, poterono competere affidando alle donne compiti stanziali, e meno gravosi, affidando ai maschi i ruoli di cacciatori e approvvigionatori di materiali. La prole, protetta e anch'essa stanziale, avrebbe avuto più possibilità di sopravvivenza.

Due caratteristiche dei neanderthalensis vanno rimarcate. La prima è che il loro fisico era strutturato per esprimere al meglio la forza, mentre quello di alcuni, ma non tutti, i sapiens loro contemporanei come i Cromagnonoidi, a gambe più lunghe e a bacino più stretto e compatto, privilegiava le capacità di resistenza nella corsa. Quindi quei sapiens sarebbero stati più resistenti nel percorso di sensibili distanze con quel tipo di andatura, ma svantaggiati nella forza fisica e nella lotta. Una caratteristica che si pensava differenziasse sapiens e neanderthal, la diversa alimentazione, con sapiens marcatamente onnivori e neanderthal carnivori si è variamente rivelata parziale e dipendente esclusivamente da singole situazioni. Entrambi ad esempio erano specie ben adattate agli ambienti costieri con un'alimentazione basata su frutta e verdura, prodotti della pesca, raccolta di molluschi e caccia. Soggetta a periodiche discussioni è anche la capacità dei Neanderthal di cacciare grosse prede (come la megafauna); mentre esistono prove che anche i più antichi esponenti della nostra specie utilizzassero zagaglie, e altri ordigni da lancio, non si sa se i neanderthal utilizzassero armi da lancio. Avrebbero cioè dovuto approcciarsi alle prede (e a eventuali nemici) a distanza ravvicinata. I neanderthal, almeno alcune popolazioni, erano comunque prettamente carnivori e superpredatori.

Molto ma non tutto si può dire del vero aspetto di questo ominide ricostruendolo dai suoi resti fossili. La scienza contemporanea ha messo a punto varie tecniche per la ricostruzione delle parti non fossilizzabili, i tessuti molli, a partire da elementi quali le inserzioni tendinee sulle ossa, le linee di forza sulle stesse, i livelli di consunzione dei denti e altro ancora. La biologia molecolare ha poi fornito ulteriori elementi per valutare l'espressione genica di caratteri non conservabili, appunto come il colore dei capelli. Il Neanderthal possedeva la tecnologia necessaria a confezionare indumenti; a tale scopo utilizzava prevalentemente pelli, per la concia delle quali costruiva utensili quali i raschiatoi musteriani. Le zone climatiche frequentate imponevano sicuramente l'uso di coperture, e possiamo rappresentare il neanderthal tipico prevalentemente vestito.
Oltre a ciò si segnala la capacità simbolica e artistica, che ha portato all'uso, almeno episodico, di monili e pendagli.
In passato, al contrario, è spesso stato rappresentato come lo stereotipo dell'uomo cavernicolo, tale ricostruzione ripete né più né meno la figura dell'uomo selvatico presente nella tradizione popolare europea e raffigurata sin dal Medioevo. Secondo alcune interpretazioni di studiosi di criptozoologia, non di antropologi o paleontologi, poteva però essere di aspetto scimmiesco, dotato di un fitto villo pilifero distribuito su tutta la superficie del corpo che lo proteggeva dal clima freddo europeo.

Un'immagine da alcuni supposta e interpretata di neanderthal è una rappresentazione preistorica nella caverna di Isturits sui bassi Pirenei francesi, frequentata da 80 000 a 10 000 anni fa prima dai neanderthal e poi dai Cro-magnon. Vi compare la rappresentazione di una testa-trofeo di un essere antropomorfo con testa ovale senza fronte e mento, collo grosso, occhi a mandorla infossati sotto grandi arcate frontali, con un grosso naso, orecchie piccole, con capelli corti a spazzola e dritti a cresta sulla testa che proseguivano sulla schiena in una sorta di criniera equina, e peli fitti simili su quasi tutta la faccia e collo simili al manto di un cervo.

I resti rinvenuti nel 1856 da Johann Fuhlrott nella valle di Neander consistevano nella parte superiore del cranio, alcune ossa, parte dell'osso pelvico, alcune costole, e ossa del braccio e della spalla.
In precedenza erano stati scoperti altri fossili, infatti già nel 1829 nel Belgio venne trovato parte di un cranio di un bambino di due anni e mezzo. Questi, però, venne riconosciuto come arcaico soltanto nel 1836. Nel 1848 a Gibilterra venne trovato un cranio adulto, ma la sua esistenza rimase sconosciuta alla scienza fino al 1864, quando venne riconosciuto come appartenente agli uomini di Neanderthal.

Altri due scheletri di Homo neanderthalensis, risalenti ad almeno 60 000 anni, vennero trovati in Belgio nel 1886 da Marcel de Puydt e Max Lohest. Altri rinvenimenti importanti vennero fatti in Croazia nel 1899 da Dragutin Gorjanovic-Kramberger e nel 1908 in Francia a La Chapelle-aux-Saints da Jean Bouyssonie che rinvenne lo scheletro di un uomo anziano, risalente a 50 000 anni, in possesso di un cranio di 1620 centimetri cubi.

Nel 1939 venne rinvenuto nella grotta Guattari a San Felice Circeo, un cranio presumibilmente appartenente a Homo neanderthalensis.

Nel secondo dopo guerra emersero ancora altri resti importanti; tra il 1953 e il 1960 nella grotta di Shanidar in Iraq vennero scoperti 9 scheletri di uomini di Neanderthal, risalenti a un periodo compreso tra i 70 e i 40 000 anni fa, e nel 1979 nel villaggio di Saint-Césaire in Francia uno scheletro completo risalente a 35 000 anni fa.

Nel 1868 a Cro-Magnon in Francia vennero trovati da alcuni operai i resti di un uomo risalenti a 28 000 anni fa; era venuto alla luce uno dei più antichi progenitori della nostra specie (Homo sapiens). Era un rappresentante della nostra specie umana, che proveniente dall'Africa o dall'Asia, migrando stava insediandosi in Europa, confinando verso la penisola iberica gli ultimi Neanderthal.

I resti portati alla luce in Italia non sono molto numerosi rispetto all'Europa continentale. Si distingue in ogni caso tra ritrovamenti fossili (rari) e ritrovamenti di tracce e manufatti, non sempre associati. Nel secondo caso, alcuni siti sono discussi; alcune culture, infatti, furono condivise con soggetti appartenenti al genere Homo.

Si potrebbero definire “storie fugaci, di amori rapaci”. Usciti dall'Africa, circa 65.000 anni fa, i nostri antenati Homo sapiens incontrarono almeno altre due specie dello stesso genere. Nonostante quello che pensano i teorici della “purezza della razza”, i sapiens non persero occasione per accoppiarsi con i veri padroni del territorio – prima di conquistare tutto il mondo. Non furono certo episodi isolati, se una parte dei geni delle altre specie è ancora visibile nel nostro genoma.
Gli altri uomini con cui i nostri bis-bis nonni hanno avuto storie d'amore sono il nostro primo cugino, l'uomo di Neanderthal, e l'uomo di Denisova. Se per il Neanderthal ci sono parecchi scheletri, per l'uomo di Denisova (che prende il nome dalla grotta nell'Asia centro occidentale dove sono stati trovati i fossili) gli unici frammenti trovati sono la falange di un dito e un dente: nonostante le difficoltà, è stato possibile scrutare all'interno del patrimonio genetico di entrambe le specie e confrontarle con quello dell'uomo moderno.
Gli accoppiamenti con neanderthaliani e denisoviani hanno introdotto nel nostro Dna geni diversi da quelli presenti nei sapiens in Africa.

In particolare un folto gruppo di studiosi proveniente da tutto il mondo ha cercato di capire se gli amori dei tre uomini avessero lasciato nella nostra specie qualche pezzetto utile alla sopravvivenza. E hanno studiato in particolare un gruppo di geni chiamato Hla (Human leukocyte antigen) che ha il compito importantissimo di creare proteine che riconoscono e distruggono i germi. L'analisi ha portato a più di una sorpresa: per esempio che una variante di uno di questi geni, HLA-B73, è rara nell'Africa attuale ma presente nelle popolazioni dell'Asia occidentale (proprio dove si pensa ci siano statigli incontri di uomini e denisoviani).
Un altro gene, che si chiama HLA-A11, rappresenta il 64% delle varianti in Asia orientale e Oceania. Negli europei si trovano invece pezzetti di patrimonio genetico dei neanderthaliani, perché è proprio in Europa e in Asia orientale che le due specie si sono sono “incontrate”.
Cosa ne deducono i genetisti? Che gli accoppiamenti con neanderthaliani e denisoviani hanno introdotto nel nostro Dna geni diversi da quelli presenti in Africa, che ci hanno aiutato a combattere i nuovi parassiti che abbiamo incontrato uscendo dalla nostra culla.

Forse sarà stato il suo aspetto, ricostruito grazie ai resti fossili, la fronte stretta, lo spiccato prognatismo e le sopracciglia sporgenti, ma per lungo tempo l'uomo di Neanderthal ha avuto fama di poca intelligenza. Ora però le ultime ricerche, descritte sul 'Washington Post', riabilitano questo ominide che convisse a lungo con l'Homo sapiens: le sue capacità sarebbero state sottovalutate. Questi antichissimi abitanti della terra erano abili cacciatori, sapevano usare degli strumenti e avevano una forma di cultura. Inoltre gli abitanti di Europa o Asia hanno buone probabilità di avere tracce di Dna Neanderthal nel proprio genoma.

Secondo Paola Villa, archeologa dell'University of Colorado, la cattiva fama dei Neanderthal iniziò nel 1850, con la scoperta del primo teschio in Germania. "Le caratteristiche morfologiche hanno portato all'idea che fossero esemplari molto diversi da noi e inferiori". Un'idea non più condivisa dagli esperti, ma ancora popolare. Ebbene, per Villa, autrice di uno studio su 'Plos One', non c'è nulla che sostenga il "complesso di superiorità" dei 'sapiens'. E a ben guardare il cranio dei Neanderthal, il loro cervello era "più grande" del nostro. Inoltre questi nostri 'parenti estinti' usavano ornamenti personali, conchiglie colorate, pezzi di uccelli, cosa che supporta l'idea che fossero capaci di simbolismo e pensieri astratti. Alcuni erano anche artisti, come mostra un ritrovamento a Gibilterra di quello che secondo alcuni ricercatori sarebbe il primo esempio noto di arte Neanderthal. E ancora, bruciavano i loro morti, come hanno rivelato altri studi. Ed è chiaro, spiega i ricercatori, che nel corso dei secoli si sono mescolati ai moderni esseri umani. In questo modo, non sono mai svaniti nel tutto, "ma ancora oggi vivono un po' negli esseri umani moderni", conclude Svante Paabo del Max Planck Institute di Lipsia, che ha scoperto come l'1-2% del Dna degli esseri umani moderni - originari di Europa o Asia - arrivi proprio dai Neanderthal.



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