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venerdì 10 luglio 2015

I DINOSAURI

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I dinosauri sono un gruppo di rettili molto diversificati comparsi durante il Triassico superiore (circa 230 milioni di anni fa) che dominarono il pianeta fino alla fine del Cretaceo (circa 65 milioni di anni fa).

I dinosauri sono un gruppo di animali molto diversificato: i soli uccelli attuali contano oltre 9 000 specie. Basandosi sui fossili, i paleontologi hanno identificato oltre 500 generi distinti e più di 1 000 specie di dinosauri non aviani. I dinosauri sono rappresentati su ogni continente sia da specie fossili che da specie attuali (gli uccelli). Alcuni dinosauri erano erbivori, altri carnivori. Molti di essi erano bipedi, mentre altri erano quadrupedi o capaci di muoversi sia a due che a quattro zampe. Molte specie possiedono elaborate strutture “da parata”, come corna e creste, e alcuni gruppi estinti svilupparono anche modificazioni scheletriche come armature d’osso e spine.

I dinosauri aviani sono i vertebrati volanti dominanti fin dall’estinzione degli pterosauri, e le prove suggeriscono che tutti i dinosauri costruissero nidi e depositassero uova, così come fanno gli uccelli odierni. I dinosauri variavano molto in taglia e peso: i più piccoli teropodi adulti erano lunghi meno di un metro, mentre i più grandi dinosauri sauropodi potevano raggiungere lunghezze di quasi cinquanta metri ed erano alti decine di metri.

Nonostante la parola dinosauro significhi “terribile lucertola”, il nome è piuttosto fuorviante: i dinosauri infatti non erano lucertole, ma un gruppo separato di rettili con una particolare postura eretta che non si riscontra nelle vere lucertole. Fino alla prima metà del Novecento, gran parte della comunità scientifica riteneva che i dinosauri fossero lenti, poco intelligenti e a sangue freddo. Numerose ricerche a partire dagli anni settanta, però, hanno indicato che i dinosauri erano animali attivi con un elevato metabolismo e numerosi adattamenti per l’interazione sociale. Molti gruppi (in particolare tra i carnivori) erano tra i più intelligenti organismi del loro periodo.

Fin da quando i primi fossili di dinosauri sono stati riconosciuti come tali all'inizio del XIX secolo, scheletri fossili montati (o repliche) di questi animali sono divenuti grandi attrazioni nei musei di storia naturale in tutto il mondo, e i dinosauri sono divenuti parte della cultura mondiale.

Per distinguere i dinosauri dagli altri rettili esistono alcuni elementi che permettono di stabilire la differenziazione:
La prima più semplice è quella della datazione del fossile, infatti i dinosauri non aviani sono vissuti in un preciso periodo di tempo (dal Triassico inoltrato alla fine del Cretaceo) e qualsiasi rettile, anche di considerevoli dimensioni (come i pelicosauri, ad esempio Dimetrodon), vissuto prima o dopo questo periodo non è un dinosauro.
Dal punto di vista dell'habitat, i dinosauri erano esclusivamente terrestri e qualsiasi rettile marino (come i plesiosauri, i mosasauri o gli ittiosauri) o volante (pterosauri), nonostante a volte siano comunemente definiti tali, non sono in realtà dinosauri. Va comunque fatta una precisazione riguardo alla possibilità di volare, poiché per i dinosauri-uccelli come l'Archaeopteryx e diversi celurosauri che presentavano un rivestimento piumato, non si esclude la possibilità che compissero delle planate o addirittura brevi voli: dai celurosauri si sono inoltre originati anche gli uccelli, tanto che la stessa classificazione dell'Archaeopteryx (definibile come dinosauro evoluto o, equivalentemente, come uccello primitivo) è controversa. Ad oggi però, ritenendo la classe Aves parte integrante di Dinosauria, possiamo considerare dinosauri teropodi (comprese forme volanti o nuotatrici), tutti gli uccelli. Vi furono inoltre specie come il bizzarro e controverso Yi qi, un piccolo dinosauro piumato con una membrana che forse gli permetteva di volare o di planare.
Più concretamente, i dinosauri presentavano le forme e le dimensioni più svariate, che in genere di primo acchito permettono di distinguerli da molti altri rettili. Saltano subito all'occhio le dimensioni eccezionali di certi colossi, mai raggiunte da qualsiasi altro animale terrestre, o le forme curiose di specie come il triceratopo o il parasaurolofo. Tuttavia esistevano anche dinosauri molto più piccoli.
Vi sono caratteristiche anatomiche più specifiche che permettono di separare più nitidamente i dinosauri da qualsiasi altro rettile. La principale è quella del posizionamento degli arti, che nei dinosauri sono collocati direttamente sotto il corpo (in maniera simile agli uccelli odierni, o anche grossomodo ai mammiferi); ne consegue che quando l'animale è fermo gli arti sono approssimativamente perpendicolari al corpo, in maniera analoga, per esempio, a quanto avviene in una mucca, mentre il ventre e quasi tutta la coda non toccano il terreno. In qualsiasi altro rettile questo non avviene: le articolazioni sporgono all'esterno del corpo (presentando delle sorta di "gomiti") e quando è fermo l'animale tocca il suolo con il ventre e la coda. Fanno eccezione alcuni arcosauri come alcuni Curotersi terricoli e alcuni pterosauri, che però articolavano la caviglia e agganciavano la zampa al bacino in maniera nettamente differente. Va anche notato come tutti questi gruppi di rettili svilupparono prima la verticalità delle zampe posteriori, e poi, in modo differente spesso da clade a clade, delle zampe anteriori, sviluppando spesso forme di bipedismo obbligato.

Le caratteristiche morfologiche dei dinosauri sono estremamente varie. Il superordine Dinosauria comprende infatti animali adattati a quasi tutte le nicchie ecologiche terrestri. Fra i dinosauri vi furono sia erbivori che carnivori, sia bipedi, che quadrupedi; vi furono specie adattate ad ambienti caldo-umidi, di foresta pluviale, quanto specie di ambiente arido o di ambiente temperato. Una ricostruzione precisa del loro aspetto e del loro comportamento è però un'impresa molto difficile e largamente speculativa, che si basa soprattutto su misure morfometriche delle ossa fossili, sulle associazioni faunistiche desunte dalla tanatocenosi, sull'interpretazione sedimentologica dei depositi in cui sono stati rinvenuti i fossili e sui rarissimi ritrovamenti di parti molli fossilizzate.

Occorre osservare, da un punto di vista generale, che solo una minima percentuale degli organismi viventi appartenenti ad una certa popolazione si fossilizzano: la maggior parte va distrutta per fattori di tipo ambientale (fisico, chimico o biologico). Inoltre, degli individui fossilizzati, la maggior parte sono inaccessibili, sepolti in profondità nei sedimenti, oppure perduti a causa dell'erosione. Quindi, il campione di esemplari di cui disponiamo è sicuramente poco rappresentativo. Anche tra quelli che sono stati recuperati, per pochissimi è noto lo scheletro completo e sono molto rare anche le tracce di tessuti molli come la pelle. Le ricostruzioni di scheletri ottenute confrontando la dimensione e la morfologia delle ossa con ossa di specie simili meglio conosciute hanno un notevole margine di imprecisione e di ipotesi, come del resto le ricostruzioni di muscoli e altri organi. In effetti molte specie di dinosauri sono conosciute solo da uno scheletro altamente incompleto, frammenti d'ossa o di denti, e pochissime sono studiabili attraverso collezioni di scheletri più o meno completi giovanili, adulti ed infantili.

Nonostante si ritenga comunemente il contrario, la taglia media dei dinosauri conosciuti non era superiore a quella di una pecora; a questo dato bisogna inoltre aggiungere il fatto che le creature più grandi si fossilizzano più facilmente e sono più facili da scoprire, per cui la reale taglia media potrebbe essere ancora inferiore se si tiene conto delle specie non ancora scoperte. Tuttavia, se confrontati con animali delle epoche sia anteriori che posteriori, i dinosauri del gruppo dei sauropodi avevano dimensioni superiori di circa un ordine di grandezza. I più piccoli sauropodi erano più grandi di qualunque altro essere nel loro habitat e i più grandi erano di un ordine di grandezza maggiore di qualunque altro essere abbia mai camminato sulla Terra.

Il più alto e il più pesante dinosauro di cui sia noto lo scheletro completo è tuttora l'esemplare di brachiosauro (ora attribuito al genere Giraffatitan) che fu scoperto in Tanzania tra il 1907 e il 1912, attualmente esposto nel Museo Humboldt di Berlino. Era alto 12 m, e probabilmente pesava tra le 30 e le 60 t. Il più lungo è uno scheletro di Diplodocus che misura 27 m, scoperto nel Wyoming. Questo esemplare fu montato nel Carnegie Natural History Museum di Pittsburgh nel 1907 e ne furono in seguito eseguiti numerosi calchi che furono donati a numerosi musei nel mondo.

Esistono molti altri dinosauri più grandi, ma ne sono state recuperate solo poche ossa. Gli attuali primatisti sono stati scoperti tutti dopo il 1970 e comprendono il massiccio Argentinosauro, il cui peso potrebbe essere stato di 100 tonnellate; il più lungo, il Supersaurus (40 m); e il più alto, il Sauroposeidon (18 m).

Nessun altro gruppo di animali terrestri si avvicina a queste dimensioni. Il più grande elefante registrato pesava appena 8 tonnellate, mentre la più alta giraffa era alta appena 6 m. Anche i grandi mammiferi preistorici come l'indricoterio, il mammut imperiale e il mammut del fiume Songhua erano nani in confronto ai giganteschi sauropodi. Solo pochi animali acquatici si avvicinano a tali dimensioni; tra questi la balenottera azzurra è la più grande, giungendo fino a 150-180 tonnellate e a 33 m di lunghezza.

Escludendo i moderni uccelli come il colibrì, i più piccoli dinosauri conosciuti possedevano circa le dimensioni di un corvo o di un pollo. Il Microraptor e il Parvicursor erano di lunghezza inferiore ai 60 cm. I fossili di piccoli dinosauri sono quelli più difficili da trovare in molti classici giacimenti (ed in particolare quelli a marne di grana fine, particolarmente indicati per i reperti di grosse dimensioni), tendono ad essere distrutti più facilmente dall'erosione e a passare inosservati, anche per questo fino a poco tempo fa erano poco note forme microscopiche di dinosauro; tuttavia non è affatto escluso esistessero molte specie di piccole e piccolissime dimensioni, anche inferiori a quelle di un pollo o di un corvo.

Il comportamento dei dinosauri non aviani sarà sempre soggetto ad un grande margine di mistero dal momento che non ne è possibile l'osservazione diretta. I paleontologi devono basarsi su indizi indiretti, dedotti da tracce fossili, come scheletri in combattimento (Velociraptor e Protoceratops) e nidi fossilizzati, confrontandoli cautamente con gli studi sul comportamento degli animali viventi.

Tali indizi sono molto vari e suggeriscono diversi tipi di comportamenti, comunque ipotetici. Alcuni potrebbero aver avuto una sorta di comportamento gregario (non necessariamente sociale), forse migrando in grandi branchi analogamente ai mammiferi erbivori moderni (ad esempio le specie africane).

Un'ipotesi sostiene che questo comportamento poteva fornire un sistema di allarme contro taluni predatori. È possibile che anche i dinosauri carnivori abbiano avuto comportamenti sociali, come accade oggi per i lupi e i grandi felini. Unità familiari potrebbero avere viaggiato insieme per lunghi periodi in modo da aiutarsi reciprocamente a sopravvivere. Tuttavia ciò è messo in dubbio dal fatto che gli arcosauri odierni più vicini ai dinosauri mesozoici non presentano alcun tipo di organizzazione sociale. Inoltre molti arcosauri odierni che collaborano nella caccia (come i coccodrilli del Nilo) lo fanno senza sviluppare complessi sistemi di interazione sociale, che sono complessivamente rari anche tra gli uccelli, mentre sono molto diffuse forme di tolleranza reciproca, commensalità e di occasionale collaborazione, soprattutto nello smembramento di una carcassa. Numerose "prove" di socialità tra i dinosauri, e soprattutto tra i teropodi, ovvero letti di ossa monospecifici, si sono dimostrate errate o quantomeno interpretabili in differenti maniere in base all'analisi tafonomica del sito. Qualunque interpretazione sul comportamento dei dinosauri si basa su speculazioni e promette di causare controversie in futuro.

I dinosauri sono studiati dai paleontologi. Tra le specializzazioni vi sono la scoperta, la ricostruzione e la conservazione dei fossili di dinosauro e l'interpretazione di quei fossili per capire meglio l'evoluzione, la classificazione e il comportamento dei dinosauri.

Il primo dinosauro conosciuto, l'Eoraptor lunensis apparve approssimativamente 230 milioni di anni fa, tra il Triassico medio e il Triassico superiore, circa 20 milioni di anni dopo l'estinzione di massa del Permiano-Triassico che causò la scomparsa di circa il 75% di tutta la varietà biologica del pianeta. Le datazioni radiometriche dei fossili della primitiva specie di dinosauro Eoraptor lunensis, scoperto in Argentina, stabiliscono la sua presenza nei ritrovamenti fossili di quel periodo. I paleontologi credono che Eoraptor potesse assomigliare all'antenato comune di tutti i dinosauri. Se ciò fosse vero, le sue caratteristiche farebbero pensare che i primi dinosauri fossero piccoli predatori bipedi. Tra i possibili antenati dei dinosauri vi sono Marasuchus, del Triassico medio dell'Argentina, il poco conosciuto Saltopus della Scozia (grande quanto una mano, del Triassico superiore) e Silesaurus, rinvenuto in Polonia e considerato un possibile antenato dei dinosauri ornitischi.

Molte linee di dinosauri primitivi si diversificarono rapidamente dopo il Triassico, espandendosi rapidamente fino a riempire la maggior parte delle nicchie ecologiche disponibili.

L'estinzione di massa del Cretaceo terziario, 65 milioni di anni fa, alla fine del Cretaceo, causò la scomparsa di tutti i dinosauri, con l'eccezione del ramo dei teropodi che, evolvendosi, avevano già portato alla comparsa dei primi uccelli.

La conoscenza attuale dei dinosauri deriva da una varietà di ritrovamenti fossili e non fossili, tra cui ossa fossilizzate, coproliti, tracce di deambulazione, gastroliti, piume, impronte della pelle, tessuti molli e organi interni. Molti campi di studio contribuiscono a farci capire il mondo dei dinosauri, tra cui la fisica, la chimica, la biologia e le scienze della terra (delle quali la paleontologia è una branca).

Resti di dinosauri sono stati ritrovati in ogni continente, incluso l'Antartide. Numerosi fossili delle medesime specie di dinosauro sono stati ritrovati su continenti del tutto differenti, dando in questo modo vigore alla teoria secondo la quale tutte le masse continentali erano unite un tempo in un supercontinente denominato Pangea. Questa massa iniziò a frammentarsi nel Triassico, circa 230 milioni di anni fa.

I dinosauri hanno anche denti che crescono da alveoli, anziché essere estensioni dirette delle ossa mascellari, come pure varie altre caratteristiche. Entro questo gruppo, i dinosauri si differenziano principalmente per la loro andatura. Invece di avere zampe che si estendono lateralmente, come le lucertole e i coccodrilli, le loro zampe si protendono direttamente sotto il loro corpo.

Nella stessa epoca dei dinosauri vivevano molti altri tipi di rettili. Alcuni di questi sono comunemente, ma scorrettamente, considerati dinosauri: tra questi i plesiosauri (rettili acquatici che non sono vicini ai dinosauri dal punto di vista evolutivo), e gli pterosauri, rettili volanti che si sono evoluti separatamente da un rettile progenitore nel tardo Triassico.

Gli scienziati hanno alimentato un costante e vigoroso dibattito riguardo alla regolazione della temperatura del sangue dei dinosauri: la discussione, resa popolare da Robert T. Bakker si è incentrata dapprima sulla possibilità che vi fosse una tale regolazione e in seguito sul metodo di regolazione.

Dalla prima scoperta dei dinosauri, i paleontologi ipotizzarono che fossero creature ectotermiche. Questa ipotesi implicava che i dinosauri fossero per lo più organismi lenti e pigri, confrontabili con i moderni rettili, che hanno bisogno del sole per riscaldare i loro corpi. In realtà il paelontologo inglese Owen, quando creò il nome Dinosauria, già si interrogò sul loro metabolismo, ipotizzando se non una completa omotermia, almeno un cuore complesso a quattro cavità. Diverse scoperte successive hanno messo in discussione l'ipotesi dell'ectotermia: il ritrovamento di dinosauri in territori dal clima freddo, di dinosauri polari in Australia e nel nord della Siberia e dell'Alaska, dove sopportavano sei mesi di inverno gelido e scuro, la scoperta di dinosauri piumati le cui piume fornivano una regolazione per isolamento e infine l'analisi, nelle ossa di dinosauro, di strutture dei vasi sanguigni che sono tipiche degli organismi endotermici. Tutte queste scoperte confermarono la possibilità che alcuni dinosauri, se non tutti, regolassero la loro temperatura corporea con metodi biologici interni; in alcuni casi potrebbero essere stati parzialmente aiutati dalla loro ampia massa corporea, che al contrario per altri scienziati è la dimostrazione più lampante della necessità di un metabolismo endotermico, non tanto per riscaldare il corpo quanto per raffreddarlo. Le strutture scheletriche suggeriscono per i teropodi e altre creature stili di vita attivi, più compatibili con un sistema cardiovascolare endotermico. Forse alcuni dinosauri erano endotermici e altri no. La discussione scientifica sui dettagli continua, sebbene molti paleontologi ora concordino sul fatto che i sistemi endotermici sono più probabili.

A complicare questo dibattito, il "sangue caldo" può essere mantenuto con più di un meccanismo (per esempio anche tonni e squali hanno un metabolismo attivo, ma differente da quello di mammiferi e uccelli). La maggior parte delle discussioni sull'endotermia dei dinosauri li confronta con il tipico uccello o mammifero, che consuma energia per alzare la temperatura corporea al di sopra della temperatura ambiente. I piccoli uccelli e i mammiferi possiedono inoltre qualche tipo di isolamento, come grasso, pelliccia o piume, per ridurre la perdita di calore. Tuttavia i grandi mammiferi, come gli elefanti, devono affrontare un problema diverso poiché il rapporto tra la loro superficie corporea e il loro volume è particolarmente piccolo (principio di Haldane). Considerando animali via via più grandi, si nota che l'area della loro superficie cresce più lentamente rispetto al loro volume; a un certo punto, la quantità di calore disperso attraverso la pelle scende al di sotto della quantità di calore prodotta all'interno del corpo, costringendo così gli animali ad usare metodi addizionali per evitare il surriscaldamento. Nel caso degli elefanti, essi non hanno pelliccia, possiedono grandi orecchie che aumentano la loro superficie corporea e mostrano inoltre un adattamento comportamentale, come usare la proboscide per spruzzarsi di acqua e immergersi nel fango. Questi comportamenti aumentano il raffreddamento per evaporazione.

I grandi dinosauri dovettero, presumibilmente, fronteggiare la stessa situazione: la loro dimensione suggerisce che disperdessero calore in modo relativamente lento, e quindi avrebbero potuto essere "grossi endotermi", animali che sono più caldi dell'ambiente circostante a causa della loro dimensione e non grazie ai particolari adattamenti messi in atto da mammiferi e uccelli. L'anatomia dei Dinosauri, per quanto ancora conosciuta in modo imperfetto, permette di ipotizzare che, già a livello basale, i saurischi avessero un sistema di respirazione assai complesso, basato su sacche aeree e polmoni rigidi. Questo sistema avrebbe potuto contribuire in maniera sostanziale a ridurre i problemi di surriscaldamento degli animali, permettendo ai dinosauri di raggiungere dimensioni notevolmente superiori a quelle raggiunte da qualsiasi mammifero terrestre o, nel caso dei sauropodi, marino.

ESono stati identificati residui di materiale organico in alcune ossa di dinosauri risalenti a settantacinque milioni di anni fa: cellule di tessuti e tracce di quelli che sembrano essere globuli rossi. La straordinaria scoperta, effettuata da ricercatori dell’Imperial College di Londra, fornisce preziosissimi indizi per risalire al reale aspetto e alle abitudini dei giganteschi rettili che in un passato molto remoto hanno dominato la Terra: lo studio di eventuali resti di cellule ematiche potrebbe infatti aiutare gli scienziati a capire quando i dinosauri hanno sviluppato un metabolismo simile a quello degli uccelli, in altre parole in che modo si sono evoluti in animali a sangue caldo e quale è stata la loro genealogia.

Il team di ricercatori capitanati da Sergio Bertazzo e Susannah Maidment ha individuato piccole parti di tessuti molli nei reperti ossei di otto esemplari di dinosauri, ritrovati nei primi decenni dello scorso secolo e risalenti al Cretaceo, il periodo che nella cronologia delle ere geologiche segue il Giurassico. Anche se le ossa non erano in perfetto stato di preservazione, anzi, e a prima vista non mostrassero segni evidenti di strutture tissutali, accurate analisi al microscopio elettronico hanno rivelato invece la presenza di cellule quasi del tutto identiche a eritrociti (i globuli rossi), oltre a fibre di collagene e residui di altre proteine di tessuto connettivo. Finora qualche traccia di materia organica era stata osservata solo in rarissimi campioni fossili ottimamente conservati, ma con identificazione controversa: secondo alcuni esperti non sarebbero residui di natura biologica in quanto le molecole che compongono le proteine decadono in tempi relativamente brevi e comunque non possono durare oltre quattro milioni di anni. Ma i risultati delle analisi effettuate dai ricercatori d’oltremanica e riportati su Nature Communications sembrano fugare ogni dubbio. Anche perché hanno esaminato vari campioni provenienti da diverse ossa di differenti fossili, tutti custoditi al Natural History Museum della capitale inglese: un pezzo d’unghia dell’artiglio appartenente a un esemplare non ben definito di teropode (cioè della famiglia del Tirannosauro Rex), frammenti di tibia e costole di cinque adrosauridi (erbivori col becco d’anatra e una lunga protuberanza a mo’ di elmo sul cranio), di un casmosauro (altro erbivoro ma dotato di lunghe corna) e di un ceratopside (famiglia del Triceratopo).
Gli studiosi si sono avvalsi di uno stuolo di apparecchiature all’avanguardia: prima hanno visionato le ossa con dettagli micrometrici tramite un microscopio elettronico a scansione per rilevare e localizzare nei frammenti la presenza di tessuti molli, poi con uno strumento che spara fasci di ioni hanno praticato micro incisioni per osservarne la struttura interna. Hanno così scovato molecole di amminoacidi (le basi delle proteine) e catene proteiche avvolte in filamenti a tripla elica, come nelle fibre di collagene, la principale proteina che costituisce il tessuto connettivo. “Poiché ogni gruppo di animali ha una sua propria struttura di collagene, future analisi ci potranno dire come le varie specie di dinosauri erano imparentate tra loro” spiega Susannah Maidment. Infine i piccoli pezzi di tessuto sono stati sottoposti ad analisi con uno spettrometro di massa, comparandoli con un campione di sangue prelevato da un emù (dato che si ritiene che gli uccelli discendano proprio dai dinosauri). Risultato: i frammenti fossili hanno mostrato similarità con i globuli rossi dell’uccello australiano. Alla fine la domanda sorge quindi spontanea: sono state rinvenute anche tracce di Dna? «Non è possibile trovarlo o estrarlo da questo tipo di campioni», dice Sergio Bertazzo «però la nostra scoperta ha implicazioni allo stesso modo importantissime: ora sappiamo che con adeguate tecniche siamo in grado di rivelare la presenza di cellule vecchie di decine di milioni di anni nei resti fossili degli scheletri di dinosauri; il che non solo ci consente di conoscere meglio la fisiologia di queste creature, ma anche il loro comportamento e permette di tracciare una precisa linea di discendenza tra le varie specie». Proprio per il fatto che il team è riuscito a osservare strutture organiche in ossa che giacevano da quasi cento anni nelle teche di un museo, si suppone ora che anche in altri reperti sparsi per il mondo si possa trovare qualcosa di simile o addirittura di più dettagliato. E che potrebbe riservare altre eclatanti sorprese.


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I MAMMUT



Resti di mammut sono stati rinvenuti in Europa, Africa, Asia e Nordamerica. Si pensa che questi animali si fossero sviluppati in Africa del Nord circa 4,8 milioni di anni fa, nel Pliocene; i resti della specie primitiva Mammuthus africanavus sono stati rinvenuti in Ciad, Libia, Marocco e Tunisia. Mammuthus subplanifrons, del Sudafrica e del Kenya, è anch'esso considerato una delle specie più antiche e primitive (età: circa 4 milioni di anni). Nonostante la loro origine africana, i mammut sono più strettamente imparentati con gli odierni elefanti asiatici che con le due specie di elefanti africani. L'antenato comune di mammut ed elefanti asiatici si separò dalla linea degli elefanti africani tra i 7 e i 6 milioni di anni fa. Gli elefanti asiatici e i mammut si differenziarono in seguito, circa mezzo milione di anni dopo.

I mammut africani, in poco tempo, migrarono a nord verso l'Europa e diedero origine a una nuova specie, il mammut meridionale (Mammuthus meridionalis), che si diffuse attraverso l'Europa e l'Asia e attraversò il ponte di Bering, ora sommerso, fino ad arrivare in Nordamerica. Circa 700.000 anni fa, il clima peggiorò sensibilmente e le pianure e le savane di Europa, Asia e Nordamerica divennero steppe freddissime e decisamente meno fertili. Il mammut meridionale, di conseguenza, scomparve, sostituito in gran parte del suo areale dal mammut delle steppe (Mammuthus trogontherii). Questa specie, poi, diede origine al mammut lanoso, Mammuthus primigenius, circa 300.000 anni fa. I mammut lanosi erano eccezionalmente adatti a fronteggiare il freddo estremo dell'Era glaciale.

Questa specie di mammut ebbe un successo davvero notevole: visse dalla Spagna fino al Nordamerica, e si pensa sia esistita in grandi quantità di individui. Il ricercatore russo Sergei Zimov ha stimato che durante l'ultima Era Glaciale, parti della Siberia potrebbero aver avuto una densità media di popolazione di sessanta animali per cento chilometri quadrati - l'equivalente degli elefanti africani al giorno d'oggi. In Nordamerica, invece, si svilupparono due specie di mammut, Mammuthus jeffersonii e Mammuthus columbi.

La sopravvivenza dei mammut nani (Mammuthus primigenius vrangeliensis) nell'isola di Wrangel in Russia è dovuta al fatto che l'isola era molto remota, e completamente disabitata fino all'Olocene inoltrato. L'isola non fu scoperta dalla civiltà odierna fino al 1820, da una nave baleniera americana. I mammut di Wrangel non erano però di piccolissima taglia, con un'altezza al garrese di circa 2-2,5 metri, paragonabile a quella di alcune varietà di elefanti asiatici, e infatti non sono considerati una specie a sé stante del genere Mammuthus, ma una semplice variazione geografica del mammut lanoso. Un molto più marcato nanismo insulare è stato riconosciuto nei mammut delle isole Channel della California (Mammuthus exilis), che sono considerate una specie distinta ed originatesi in un periodo precedente. Là, gli animali sono stati probabilmente sterminati quando i nativi americani iniziarono a navigare fino alle isole Channel, che sono prospicienti alla costa, e/o dalla perdita dell'habitat. Un'altra specie nana (Mammuthus lamarmorae) è vissuta in Sardegna e presumibilmente in Corsica (le due isole erano all'epoca collegate), estinguendosi circa 500.000 anni fa, grossomodo in concomitanza con le più antiche tracce di occupazione umana in Sardegna e Corsica.

Come gli odierni elefanti, i loro parenti più vicini, anche i mammut potevano raggiungere dimensioni ragguardevoli. La specie più grande conosciuta, il Mammuthus sungari che viveva tra la Cina e la Mongolia, raggiungeva l'altezza di 5 metri al garrese. Probabilmente i mammut pesavano circa 6 - 8 tonnellate, ma eccezionalmente i grandi maschi potrebbero aver superato le 12 tonnellate. La maggior parte delle specie, in ogni caso, erano grandi solo quanto un elefante asiatico attuale, e si conoscono fossili di forme nane.

I mammut possedevano alcuni adattamenti per resistere al freddo, il più noto dei quali è lo spesso strato di pelo, lungo fino a 50 centimetri, per il quale è stata data anche la denominazione di "mammut lanoso". Questi animali, inoltre, avevano orecchie più piccole rispetto a quelle degli elefanti attuali; il più grande orecchio di mammut mai trovato era lungo solo 30 centimetri, una minuzia in confronto al metro e ottanta di un grosso elefante africano. I mammut possedevano anche una membrana di pelle ricoperta di pelo che copriva l'ano, proteggendolo dal freddo.

Anche i denti di questi proboscidati erano adattati per la dieta di erbe di tundra, con più placche e corone più alte dei loro parenti meridionali. La loro pelle non era più spessa di quella degli odierni elefanti, ma a differenza di questi ultimi possedevano numerose ghiandole sebacee nella loro pelle, che secernevano grasso oleoso all'interno della loro pelliccia, migliorando le sue qualità di isolante. I mammut avevano uno strato di grasso spesso fino a otto centimetri sotto la pelle, simile a quello delle balene, che aiutava a tenere il loro corpo al caldo.

Infine, i mammut possedevano zanne estremamente allungate (fino a 5 metri), molto ritorte in alcune specie, la cui taglia era ben maggiore di quelle degli elefanti attuali. Non è chiaro se le zanne fossero un adattamento specifico al loro ambiente, ma è stato suggerito che i mammut potrebbero aver usato le loro zanne per rimuovere la neve dal terreno e raggiungere la vegetazione sottostante.

Dal 1999, alcuni scienziati russi e giapponesi lavorano ad un ambizioso progetto che ha come scopo la clonazione del mammut, in particolare l'equipe guidata dal professor Akira Intani, della School of Biology-Oriented Science and Technology della Kinki University di Osaka, spera di riuscire a clonare il mammut lanoso prelevando del DNA intatto dagli esemplari rinvenuti congelati nel permafrost nel corso degli ultimi anni.

Per riuscire nel loro intento, gli scienziati devono tuttavia risolvere delle difficilissime problematiche, prima di tutto è necessario disporre di tessuti muscolari o sperma di questi animali in buono stato di conservazione, solo in questo modo si può sperare di estrarre delle cellule intatte. Perciò, questo è possibile esclusivamente su mammut che una volta morti sono rimasti ricoperti e congelati immediatamente, senza poi aver subito processi di scongelamento nel corso dei millenni. I tentativi svolti finora sui tessuti muscolari di alcuni esemplari di mammut ritrovati nel permafrost in Siberia, come la cucciola di mammut di pochi mesi di vita soprannominata Ljuba (amore in russo) scoperta nel 2007, non hanno dato i risultati sperati, le cellule risultano troppo danneggiate per cui il DNA non è completo, gli scienziati hanno estratto circa il 70/80 % del DNA di mammut. L'eventuale estrazione di una cellula sana permetterebbe il suo inserimento nell'ovocita di elefante indiano, la specie vivente più simile al mammut, dal quale si svilupperebbe poi un embrione che, posto nell'utero di una elefantessa attraverso un'inseminazione artificiale, porterebbe alla nascita, salvo complicazioni e dopo una gestazione di 22 mesi, di un piccolo mammut.

Tuttavia, l'individuo generato sarebbe comunque geneticamente un ibrido fra due specie, poiché, nonostante la differenza genetica fra mammut ed elefante indiano sia solo del 5%, l'animale clonato con questa tecnica avrebbe un patrimonio genetico costituito dal DNA nucleare degli antichi Mammut, e il DNA mitocondriale dell'elefante indiano. Questo tuttavia non comporterà alcuna differenza fenotipica con i Mammut antichi, in quanto il DNA mitocondriale codifica esclusivamente per geni coinvolti nel metabolismo.

Alcuni scienziati si spingono persino ad individuare l'habitat ideale per "mammut rinati" ipotizzando zone della Siberia e del Canada i luoghi con il clima più adatto, creando parchi tematici o rendendoli attrazioni da zoo.

La ricerca, condotta dal Museo di storia Naturale di Stoccolma e pubblicata su Proceedings of the Royal Society B, dimostra infatti definitivamente, attraverso l’analisi del Dna, che a uccidere i mammut fu la fine della glaciazione e il riscaldamento globale e non i nostri antenati, anche se come fanno notare molti esperti la deglaciazione comportò a sua volta ondate di popolazioni migratorie dedite alla caccia e dunque le due cause con ogni probabilità si intrecciarono.
In realtà è dal 1806, epoca in cui furono ritrovati in Russia i primi resti fossilizzati di mammut, che si discute sulla reale causa di estinzione di questi cugini dei moderni elefanti che centinaia di migliaia di anni fa popolarono le steppe ghiacciate ed è ormai quasi assodato che le condizioni climatiche giocarono il ruolo cruciale. I mammut si sono estinti a causa della trasformazione del loro habitat, che riscaldandosi ha modificato gradatamente la flora. Ma la vera novità di questo studio, alle cui conclusioni erano già approdati gran parte degli scienziati, sta nel fatto che i mammut avrebbero iniziato un primo processo di estinzione già a partire da 120 mila anni fa (nel periodo interglaciale Eemiano, tra le glaciazioni che nelle Alpi prendono il nome di Riss e Würm).
L’analisi genetica condotta dal gruppo di ricerca del Museo di storia naturale di Stoccolma mostra come già nel Pleistocene superiore i grandi erbivori avessero iniziato a decimarsi e che addirittura 120 mila anni fa la popolazione di mammut avesse dato i primissimi segni di contrazione. La prima grande moria risale dunque a quando si verificò un periodo interglaciale (Eemiano) che generò temperature definite dagli esperti «più o meno come quelle attuali». In quell’occasione la popolazione di mammut passò probabilmente da alcuni milioni ad alcune decine di migliaia di esemplari. Con la ripresa dell’espansione dei ghiacci sulle terre emerse i mammut tornarono a prosperare. Ma quando anche l’ultima glaciazione (Würm) terminò circa 20 mila anni fa, i mammut scomparvero di scena. Non tutti però, alcuni (forse una sottospecie) restarono isolati nell’ultima nicchia ecologica a loro congeniale: nelle remote lande e nelle isole a nord della Siberia.

I ricercatori hanno sequenziato il Dna di 300 campioni fossili di mammut lanoso scoperti in Eurasia e in America del Nord e risalenti a differenti epoche e hanno messo poi in relazione la documentazione fossile e genetica con la simulazione del clima delle varie regioni abitate dai mammut durante i vari intervalli di tempo.

Attualmente intorno al climate change e ai mammut sono stati fatti notevoli passi in avanti. Recentemente per esempio è stata trovata in un’isola dell’arcipelago Ljachov, nel mar di Laptev, la carcassa di un mammut dalla quale è stato possibile estrarre una discreta quantità di sangue. È avvenuto in una remota isola a nord della Siberia aprendo nuovi spiragli per riportare in vita i mammut tramite clonazione.




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