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mercoledì 8 febbraio 2017

LE MADONNE CHE PIANGONO

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Lungo i secoli del Cristianesimo, Maria è apparsa varie volte, di tanto in tanto, quasi ad accompagnare l’umanità, che gli fu affidata da Gesù sulla Croce, nel cammino faticoso della vita di ognuno e delle Nazioni.

Non tutte le immagini che piangono sono il risultato di truffe e di abili contraffazioni, ci sono numerosi casi che non rivelano alcun intervento umano e sembrano sfuggire ad ogni spiegazione scientifica. Alcuni di questi casi sono stati studiati a fondo da scienziati e da commissioni teologico-scientifiche senza che fosse possibile trovare una causa naturale che potesse spiegarli. Alcuni di essi, dopo lunghi anni di indagine, sono stati anche riconosciuti dalla Chiesa.

Il 21 marzo del 1953, Angelo e Antonina Iannuso celebravano le loro nozze a Siracusa, una città italiana della Sicilia. Ricevettero come regalo una scultura in gesso a forma di busto piano che rappresenta il "Cuore Immacolato di Maria".

Antonina successivamente rimase incinta, condizione a cui si accompagnarono alcune malattie che i suoi medici diagnosticarono come toxemia associata ad una sintomatologia di convulsioni e cecità temporanea.

Il 29 agosto dello stesso anno, giorno di sabato, ebbe un attacco di convulsioni che la lasciò cieca fino alle 8.20 di mattina. La signora riferì quanto segue: "Aprii gli occhi e fissai lo sguardo sulla Vergine che stava sopra il mio capezzale. Con mia grande sorpresa vidi che stava versando lacrime. Chiamai mia cognata Grazia e mia zia Antonina Sgarlata che vennero da me e allora mostrai loro le lacrime. All'inizio pensarono che avessi le allucinazioni per via della mia malattia, ma quando si avvicinarono alla placca poterono distinguere le lacrime che le scendevano dagli occhi, videro anche come le lacrime cadevano sulla spalliera del letto. Con timore presero l'immagine e la portarono fuori dalla casa per mostrarla ai vicini che confermarono a loro volta il fenomeno...".

Numerose persone assistettero all'accaduto: Mario Messina, molto considerato nel quartiere, accertò che non c'era alcun meccanismo interno che potesse spiegare il fenomeno, un altro asciugò le lacrime ma immediatamente ne uscirono delle altre.

Domenica 30 agosto, alle 2.00 del mattino cominciò l'effusione di lacrime. Tre sacerdoti che assistettero all'evento informarono la Cancelleria del Vescovo, il quale inviò immediatamente degli esperti per prelevare campioni del liquido e condurre su di essi degli studi chimici. Alcuni membri della commissione esaminarono la composizione dell'effigie non trovandovi né porosità né irregolarità nella superficie. Analizzarono la parte posteriore confermando che era asciutta, tuttavia davanti era inumidita dalle presunte lacrime. Alla fine raccolsero 20 gocce. Dopo l'esame l'immagine "pianse" per altri 51 minuti circa. Alle ore 11.40 della mattina del 1° settembre la lacrimazione ebbe termine e il fenomeno non tornò mai più a ripetersi.

Le conclusioni della Commissione furono le seguenti: "... il liquido esaminato mostra di essere formato da una soluzione di cloruro di sodio in cui si rilevano tracce di proteine e nuclei che provengono dai centri escretori di tipo quaternario, è identico a quello che è stato trovato in secrezioni umane simili usate come modelli comparativi durante l'analisi". "L'aspetto, l'alcalinità e la composizione inducono a considerare che il liquido esaminato è analogo alle lacrime umane".

Il rapporto venne trasmesso il 9 settembre del 1953, firmato dai dottori Michele Cassola, Francesco Cotzie, Leopoldo Rosa e Mario Marietta. Dopo aver ricevuto questo documento l'Arcivescovo di Palermo, il cardinale Ernesto Ruffini, annunciava nel dicembre del 1953 per trasmissione radiofonica: "...Dopo aver analizzato con attenzione le numerose informazioni, aver ottenuto risultati positivi nelle diligenti analisi chimiche a cui sono state sottoposte le lacrime, noi Vescovi di Sicilia; esprimiamo unanimemente il giudizio che non può essere messa in dubbio la realtà dei fatti".

L'anno seguente, il 17 ottobre del 1954, Sua Santità Pio XII proclamava in un'altra trasmissione radiofonica: "...prendemmo conoscenza della unanime dichiarazione dell'Episcopato della Sicilia sulla realtà di quell'evento... Comprenderanno gli uomini l'arcano linguaggio di quelle lacrime?".

Successivamente venne formata un'altra commissione medica che si incaricò di esaminare 290 casi di guarigioni da mettere in relazione con questo speciale evento.

La storia di Akita deve essere tenuta in grande considerazione da coloro che hanno la responsabilità dell'orientamento delle persone in questo delicato ambito di eventi straordinari, poiché per molti le ultime apparizioni riconosciute e autorizzate sono quelle di Fatima. Ne ignorano molte altre come quelle di Beauraing e di Banneux (1932-33) nel Belgio, quelle di Betania in Venezuela, riconosciute dall'Arcivescovo Mons. Pío Bello Ricardo nel 1987.

A 42 anni Agnese Katsuko Sasagawa entra nel convento delle "Serve della Sacra Eucarestia". Come attestano i registri del 12 maggio 1973, la suora era completamente sorda ed irrimediabilmente incurabile.

Gli eventi acquistano rilievo quando il 12 giugno dello stesso anno Suor Sasagawa nota una luce brillante provenire dal tabernacolo a cui segue una specie di fumo, successivamente le figure si fanno più definite e la religiosa dice di vedere degli angeli che circondano il Tabernacolo in atteggiamento di adorazione davanti alla Santa Ostia. Casualmente, in quei giorni il Vescovo Ito si trovava in quel luogo per fare una settimana di ritiro spirituale e poté essere testimone di molti degli eventi, assieme al direttore spirituale del convento R. P. Teiji Yasuda.

Nella notte del 28 giugno 1973 appare nella palma della mano sinistra di Agnese una ferita a forma di croce di tre centimetri per due che le causa un intenso dolore; il 5 luglio si apre causandole maggiore dolore e versando sangue.

La mattina del 6 luglio entra per pregare nella Cappella davanti a una statua realizzata in legno dallo scultore buddista M. Saburo Wakasa. "Quando mi avvicinai alla statua - riferisce Agnese -, sentii che la statua dava l'impressione di essere viva... era immersa nella luce e una voce risuonò nelle mie orecchie sorde". Secondo lei la Vergine le parlò esprimendo una promessa: "la tua sordità sarà guarita...".

Il giorno seguente, quando le consorelle entrarono nella Cappella per pregare davanti alla Vergine, scoprirono con stupore che dalla mano destra della statua fuoriusciva del sangue. Osservarono con maggiore attenzione constatando che c'era una ferita a forma di croce identica a quella che aveva Suor Agnese. La ferita sanguinò tutti i venerdì del mese di luglio del 1973, così come avvenne con la ferita della religiosa.

La notte del 29 settembre tutta la comunità notò che dalla statua emanava una grande luce che immediatamente si trasformava in qualcosa che sembrava umidità. Il liquido venne asciugato con del cotone che venne poi inviato ai laboratori dell'Università di Akita, i quali accertarono che la composizione corrispondeva a "secrezioni umane".

Nel 1982 visitò la sua opera lo scultore buddista che l'aveva realizzata; rimase stupito quando rivide l'immagine e constatò che nessuna parte era cambiata tranne il viso che appariva assolutamente diverso. Il 4 gennaio 1975 il Vescovo Ito e molte persone che si trovavano in quel luogo per fare un ritiro spirituale, osservarono quel giorno la statua versare lacrime per tre volte. Durante i 10 anni di studio successivi non fu possibile attribuire questi fenomeni ad altre cause se non quella soprannaturale.

L'Arcivescovo Ito incaricò il professor Sagisaka, M.D., specialista in medicina forense e non credente, di fare l'esame scientifico dei tre fluidi, senza averlo informato da dove provenissero. I risultati dei test indicarono che: "la materia presente nella garza è sangue umano. Il sudore e le lacrime assorbite dai due pezzi di cotone sono di origine umana". Successivamente si scoprì che il sangue apparteneva al gruppo B, il sudore e le lacrime al gruppo AB.

Un sacerdote gesuita, non giapponese, dell'Università di Sofia a Tokyo, al corrente del fatto che anche Agnese aveva sangue del tipo B, sostenne che Suor Sasagawa esercitasse il potere occulto della "pratica ectoplasmatica", con la quale era in grado di "trasferire" il proprio sangue sulla statua così come il sudore e le lacrime. Quando al religioso venne chiesto come fosse possibile che potesse fare lo stesso stando a 250 chilometri dal quel luogo, rispose che "c'era un'altra persona vicino alla Vergine" con le stesse facoltà ectoplasmatiche.

Karou Sagisaka, M.D., del Dipartimento di Medicina forense della Scuola di Medicina dell'Università di Akita, fece un altro esame dei fluidi, i cui risultati vennero consegnati alle autorità ecclesiastiche il 30 novembre 1981 e nei quali si rivela: "L'oggetto esaminato ha in aderenza liquidi umani che corrispondono a sangue di tipo 0". Ma un'altra analisi precedente aveva dato come risultato un tipo B e le sudorazioni e le lacrime corrispondevano al gruppo AB, per cui i campioni appartenevano a tre gruppi diversi.

Spiega Joan Carroll (1993), che è un dato di fatto medico che il sangue, le lacrime e le sudorazioni di un individuo appartengano allo stesso tipo di sangue. Un fluido non può differire nel tipo da altri fluidi dello stesso corpo. Se Suor Agnese apparteneva al gruppo B, non poteva "trasferire" sangue o fluidi che appartengono ai gruppi AB o 0. La teoria del sacerdote venne quindi confutata dagli esperti in ematologia. In virtù di questi risultati, quando si studiano eventi simili "il tipo" di sangue non è un criterio fondamentale di analisi, poiché tanto Gesù quanto Maria potrebbero avere "il sangue di tutti i loro figli". Pertanto risulta priva di senso l'insistenza nel voler conoscere il "gruppo sanguigno" di ogni statua che sanguina. Gli scienziati concordano nell'affermare che l'analisi preponderante è quella genetica, perché è in grado di stabilire senza limiti l'origine umana o meno di un campione.

La statua ebbe 101 lacrimazioni che si succedettero a periodi irregolari dal 4 gennaio 1975 al 15 settembre 1981. I testimoni sono migliaia, fra loro molti non cattolici come il sindaco della città di Akita.

Terminate le analisi, il Vescovo Ito, ordinario della diocesi di Niigata, scrisse il 22 aprile 1984 una Lettera Pastorale annunciando le seguenti disposizioni: "Autorizzo in tutta la diocesi di mia competenza la venerazione della Santa Madre di Akita".

Il caso di Teresa Musco, morta in Italia nel 1976, certifica la lacrimazione di 24 immagini nel suo domicilio. Nel 1982, nella casa di Mirna Nazour a Damasco (Siria), un piccolo quadro della Vergine comincia ad avere effusioni di olio, l'analisi mostra che è olio di oliva; casi simili si registrano in Ecuador a partire dal 1988. A Naju (Corea), nell'abitazione di Julia Kim, l'immagine dello Madonna essuda lacrime di sangue umano dal 1985.



Nel 1995 le informazioni in merito si moltiplicano, fra gennaio e marzo piangono e sanguinano circa 30 immagini nel mondo, una delle ultime in Argentina.

A partire dal 2 febbraio 1995 a Civitavecchia un'immagine della Vergine di Medjugorje sanguina 15 volte, le analisi condotte da un'équipe di ricercatori dell'Ospedale Gemelli di Roma, confermano che il campione è umano dopo avere identificato la catena genetica corrispondente.

Il 9 marzo 1995, un caso agita la mente e il cuore di tutti i boliviani: per la prima volta nella storia della Chiesa ufficiale, un busto di Cristo piange a Cochabamba (Bolivia).

Il 9 marzo del 1995 la Sig.ra. Silvia Arévalo, una hostess della compagnia aerea "Lloyd Aéreo Boliviano", acquistò un'immagine del Cristo a forma di busto, con l'intento di metterla in una cappella privata all'interno della sua casa di Cochabamba, in Bolivia.

Poche ore dopo aver collocato l'immagine nella cappella, si produsse la prima lacrimazione, che causò gran sorpresa sulla Sig.ra. Silvia, su sua madre, la Sig.ra Emma Urquidi, ed altri parenti che erano presenti. Alcuni giorni dopo, il 2 aprile, l'immagine cominciò a sanguinare.

Da allora le lacrimazioni e le essudazioni di sangue si sono ripetute in maniera intermittente, e non hanno mancato di risvegliare non soltanto curiosità, ma anche un'enorme religiosità popolare. Questo evento suscitò col tempo una grande eco e sono ormai sempre più numerosi i devoti che si recano a venerare l'immagine.

In riguardo a questo argomento, esiste una leggenda su papa Sisto V che venuto a conoscenza di un Crocifisso che sanguinava, si recò sul posto e con un ascia spaccò il Crocifisso recitando la frase: “Come Cristo ti adoro, come legno ti spacco.” Infatti nel legno del Crocifisso emersero spugne bagnate di sangue.

Nei pressi di Podenzana si gridò al miracolo allorché, in località Gaggio, un eretico con l’accetta in mano ad ogni colpo per abbattere una pianta di castagno pronunciava una bestemmia. Udì una voce "Perché mi fai male?" e subito dopo dalla pianta uscì l’immagine della Madonna piangente. Alla conversione dell’uomo seguì la costruzione di una Chiesa nel cui altar maggiore fu appunto murato il castagno. Un vescovo incredulo, siamo quasi ai giorni nostri, volle verificare a metà del secolo scorso, la veridicità della storia. Dall’altare dove fu aperta una breccia apparve il tronco dell’albero, il 5 agosto di ogni anno i pellegrini salgono alla Madonna del Gaggio implorando grazie e benedizioni. E dopo aver soddisfatto lo spirito pensano al corpo gustando gli squisiti panigacci, specialità del paese.

Nel Medioevo, mentre si sviluppa il culto dell’Addolorata, incontriamo la prima lacrimazione mariana. Nel 1489 a Pennabilli nelle Marche "un’immagine della Vergine Maria, dipinta a olio sul muro, iniziò improvvisamente a lacrimare. L’avvenimento provocò grande scalpore". Seguono quelle di Assisi (1494), Treviglio (1522) e Dongo (1553), dove le immagini di Maria lacrimano e danno origine a Santuari.

Non occorrerà attendere molto per trovare le prime Lacrimazioni di sangue: quella di un’immagine a Ponte Nossa (Bergamo) nel 1511; quella di una statuetta della Madonna  troneggiante su una grande falce lunare che nel 1583 a Copacabana (Bolivia) cambia i tratti del volto e versa lacrime di sangue, e quella avvenuta nel 1598 a Mesagne (Brindisi), dove un’immagine di Maria fu vista da numerose persone lacrimare sangue.

I segni della presenza di Maria nella vita delle Comunità assumono un triplice significato: partecipano alla sofferenza del popolo (condivisione), lo preservano e immunizzano da un pericolo imminente (preservazione) e infine lo proteggono dagli attacchi avversari (protezione).

La figura di Maria assume il ruolo di difesa contro l’avanzare dell’eresia o del paganesimo dei tempi moderni. Non per nulla, in Francia e altrove, Santuari e immagini di Maria sono bersaglio da parte di Calvinisti e poi dei rivoluzionari. Ella diviene il simbolo della Controriforma.

Si possono distinguere con Chiron apparizioni preventive, che intendono prevenire l’affermarsi del Protestantesimo in una data regione (per esempio, le apparizioni di Maria a Locarno nel 1504, a Utelle nel 1510, a Cotignac nel 1519, nei Pirenei tra 1510 e 1520, a Savona nel 1536, ecc.), e Apparizioni di riconquista, che mirano a ripristinare la religione cattolica e la devozione mariana, come quelle avvenute all’inizio del Seicento a Siluva in Lituania e a Szydlow in territorio polacco: in ambedue la Vergine appare piangente, deplorando il progresso del Calvinismo in quelle regioni che ritorneranno poi al Cattolicesimo.

Con l’Illuminismo e la Rivoluzione Francese la società si stacca dal Cristianesimo e perfino lo combatte e deride. Il culto, compreso quello mariano, perde ogni rilevanza e Voltaire non manca di lanciare il suo sarcasmo su Notre Dame de Liesse e sulla sultana convertita Ismeria. Non si tratta solo di parole, perché la furia iconoclasta dei rivoluzionari distrugge i Santuari mariani di Médous e di Boulogne, ne chiude altri, come quelli di Bétharram e di Liesse, ne brucia la statua o addirittura la ghigliottina, come avviene a Notre Dame des Ardilliers.

Come in tutti i periodi di turbolenze, fioriscono i prodigi: apparizioni, "Madonne occhiomoventi", statue piangenti… Tra queste va segnalata la Lacrimazione abbondante di una statua della Vergine nel Dicembre 1790 in un Convento di ‘Recollette’ a Parigi. Il suo significato è posto in relazione con la soppressione dei Voti religiosi da parte dell’Assemblea Costituente, che ha comportato l’uscita nel mondo di parecchi membri di Congregazioni e Ordini. Anche ad Avignone nel 1791 una statua piange quattro mesi dopo l’annessione della città papale alla Francia; segue una sollevazione di popolo e una repressione. Un’altra statua lacrima nel 1792 presso Blois; l’anno seguente il Santuario viene saccheggiato e la statua mutilata.

Nel contesto della folgorante "Campagna d’Italia" di Napoleone Bonaparte che avanzava minaccioso nei territori della Chiesa con i suoi Francesi "divenuti barbari tanto nel costume, quanto nella religione", avviene quella che Renzo De Felice chiama un’"ondata di miracoli" che, soprattutto nel corso dell’estate 1797, invade il territorio dello Stato Pontificio, sicché a Roma l’Autorità ecclesiastica riconosce che dal 1796-97 ben 26 immagini della Vergine, di cui 11 "Madonnelle", hanno mosso gli occhi. I gesti dell’immagine mariana sono visti come "un segno positivo, rassicurante, e così infatti lo interpretarono i testimoni presenti". Lo storico Gabriele De Rosa riferisce di una statua di Maria piangente a Roma nel 1798 davanti a 50.000 persone.

Nel 1813 a Lipsia (Germania) si registra l’Apparizione di Maria piangente a un soldato polacco, Tommaso Klossowski, gravemente ferito nella battaglia contro Napoleone. La Madonna tiene stretta al petto, in segno di protezione, l’aquila polacca e gli predice la guarigione e il ritorno in patria.

Poi, il 19 Settembre 1846, appare sulla montagna di La Salette a Massimino e Melania, rispettivamente di 11 e 15 anni: con la testa fra le mani piange silenziosamente e le sue lacrime raggiungono il suolo, mentre dice: "Da quanto tempo soffro per voi! Se voglio che mio Figlio non vi abbandoni, devo incaricarmi di pregarlo incessantemente per voi, e voi non ci fate caso. Per quanto pregherete e farete, non potete mai compensare la pena che io mi sono presa per voi".

Nel corso dell’Ottocento si alternano Lacrimazioni di statue e Apparizioni della Madonna in lacrime. Anzi, queste sono incorniciate da due statue piangenti, una nel 1830 a Parigi e una nel 1892 a Campocavallo. Maria appare piangente, oltre che nel 1813 a Lipsia e nel 1846 a La Salette, nel 1848 a Obermauerbach (Germania), nel 1853 a Cerreto (Firenze), nel 1872 a L’Hôpital dove le lacrime sono di sangue e nel 1888 a Vallensanges (Francia).

Il Novecento è il secolo delle dittature comunista, fascista e nazista, con le persecuzioni e orrori di cui sono state responsabili, ognuna secondo la propria misura. In mezzo si colloca il Concilio Vaticano II che segna l’apertura definitiva della Chiesa in rapporto all’ecumenismo e al mondo contemporaneo. Proprio in questo secolo si registra una proliferazione di Apparizioni e Lacrimazioni da non temere il paragone con le altre precedenti epoche storiche. Bouflet e Boutry riferiscono 400 segni straordinari, veri o presunti, quattro volte più di tutti gli eventi analoghi anteriori al Novecento. Essi, pur muovendosi su un piano spirituale, rivestono talvolta in modo esplicito un carattere protestatario in rapporto alla Russia comunista, come emerge dal Messaggio di Fatima.

Dopo Siracusa sono segnalate almeno altre 69 Lacrimazioni, di cui 16 di sangue, 49 di liquido lacrimale e 4 di ambedue. Si registra quindi un’escalation che tocca il suo apice quantitativo negli anni ’80 e qualitativo nel 1995 con la sanguinazione di Civitavecchia, ripetuta 14 volte e molto pubblicizzata dalla stampa.

A far 'lacrimare' la Madonna nella chiesa di Santa Lucia di Forli', sarebbe stato - secondo le indagini - il custode della stessa chiesa. L'uomo, un napoletano di 63 anni, e' indagato dalla procura di Forli' con le ipotesi di reato di abuso della credulita' popolare e deturpamento di cose altrui. Il custode, riporta il Resto del Carlino, nega tutto. Secondo gli inquirenti complice sarebbe stato un commerciante e il movente quello di incrementare il business per l'afflusso di fedeli e curiosi.

Il grazioso e devoto Santuario della Madonna della Caravina si trova sulla strada che collega Lugano e Porlezza, sulle rive del Ceresio.
Nel punto dove, fra il verde chiaro degli ulivi e quello più cupo dei cipressi, biancheggia il Santuario e dove il monte sembra protendersi sul lago quasi a contemplarne la severa bellezza, esisteva fin dagli inizi del 1500 una rozza cappelletta campestre che aveva dipinta sullo sfondo la Madonna Addolorata con Gesù morto sulle ginocchia. Nel 1530, un fuoriuscito valsoldese, sfuggito alla giustizia, aveva potuto salvarsi varcando il confine italo-svizzero. Arrivato alla cappelletta della Caravina, le autorità sanitarie della Valsolda lo sottoposero per misura precauzionale ad una rigorosa quarantena. Purtroppo il poveretto era infetto da peste bubbonica. Consunto dall’inedia e rifuggito da tutti, l’infelice passava le lunghe ore della giornata all’interno della cappelletta a domandare conforto a Colei che i Padri della Chiesa chiamano "Pubblico Ospedale dei poveri peccatori". Un giorno vide in sogno la Madonna della Caravina, prendere vita, avvicinarsi a lui e fargli quello che il Buon Samaritano fece al viandante di Gerico. Svegliatosi, s’accorse d’essere guarito. Il sogno era diventato realtà. Pochi anni dopo accadrà il miracolo che darà origine al Santuario odierno.

L’undici Maggio 1562, lunedì dopo l’Ascensione e primo giorno delle Rogazioni secondo il rito ambrosiano, verso mezzogiorno, terminata a Cima la processione di penitenza, i fedeli facevano  ritorno alla spicciolata alle loro case. Due donne, Pedrina di Cortivo e Beltramina Mazzucchi, alla Caravina, vollero entrare nella cappelletta per salutare la Madonna. Con loro grande meraviglia, arrivate La videro piangente da entrambi gli occhi.

In breve, si sparse la notizia: "La Madonna della Caravina piange!".

Altri miracoli confermarono, il giorno stesso, il pianto miracoloso della Vergine: una donna di Oria, malata ad una gamba da parecchi anni, guarì improvvisamente. Tre giorni dopo, due sacerdoti ammalati, guarirono celebrando la S. Messa. Un povero sordo, oltre ad ottenere la guarigione, vide un turbinio di piccole stesse attorno all’immagine miracolosa della Madonna. Questi ed altri miracoli arrivarono all’orecchio dell’Arcivescovo di Milano, che era allora S.Carlo Borromeo. Egli ordinò l’indagine canonica per stabilire l’autenticità dei miracoli. Il risultato fu che l’Autorità Ecclesiastica dichiarò miracoloso il quadro della Caravina ed ordinò la costruzione del Santuario.

A ritroso nel tempo, a 155 anni fa, ai primi di agosto del 1834.

Tra le borgate sparse di Valmala si diffonde una strana notizia:

- Lassù al Chiotto è apparsa una Signora piangente!

- 'Na frema ch'a paura, ch'a pioura sempe...

La notizia portata a valle da alcuni pastorelli fa tosto il giro del paese, suscitando commenti diversi, per lo più sfavorevoli.

Ai primi di agosto le quattro Marie col piccolo Chiffredo ed alcuni altri sono giunti al Chiotto. Sono circa le dieci del mattino. Deposto sul lastrone il loro zainetto, già stanno per mettersi a giocare, quando una Bella Signora, sui vent'anni, colle mani tese verso di loro e le braccia aperte in atteggiamento benevolo, materno.
Indossa un lungo vestito rosso cupo che le scende fino ai piedi ed un altrettanto lungo velo azzurro, unito sul davanti da un bottoncino dorato brillantissimo. Stringe i fianchi una lucente cintura dorata. In capo porta una corona abbagliante di luce.
Il suo aspetto è triste. I suoi occhi sono pieni di lacrime.

A Jaffna, la zona del nord Sri Lanka al centro della guerra civile tra ribelli ed esercito nazionale, una statua della Madonna di Lourdes ha versato lacrime di sangue. La statua, che si trovava in una casa nei pressi della strada che conduce all’ospedale di Jaffna, è stata subito trasferita nella chiesa più vicina, quella di San Giovanni Battista.

Dagli anni del dopoguerra in poi si è assistito ad una proliferazione eccezionale di fenomeni mistici quali apparizioni, visioni, messaggi celesti, praticamente in tutti i paesi del mondo.
Il noto mariologo francese René Laurentin ne ha studiati circa 1800 ed ha pubblicato parecchi libri sull'argomento, reperibili con facilità presso le librerie cattoliche. Gli autori che hanno scritto su tali eventi sono invero molti ma basterà citare la fama internazionale di Laurentin, i suoi precedenti studi su Lourdes, le solide argomentazioni.
 
La Chiesa, giustamente sempre cauta su questi fenomeni, ha súbito assunto un atteggiamento di distacco e ha invitato a non creare una sorta di psicosi del miracolo.
Non v'è dubbio che fenomeni del genere possano benissimo ascriversi all'intervento dall'alto, ma è altrettanto indubbio che piú spesso si tratta semplicemente dell'azione del pathos popolare, che finisce col creare apparenze anche eclatanti, all'occhio umano.
Un sottile filo sembra collegare i vari fattori che intervengono nella manifestazione di accadimenti del genere: ed allora il problema si complica non poco. C'è da chiedersi quanto influisca su tutto questo la oggettiva condizione interiore dell'uomo moderno, la sua condotta esistenziale, la sua capacità cognitiva, il suo bisogno di soprannaturale, la sua disperazione spirituale: siano esse vissute in modo conscio o, come è ormai norma oggigiorno, in modo inconscio.



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giovedì 29 ottobre 2015

La Simbologia Del CUORE

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Il cuore è stato a lungo utilizzato come un simbolo riferito alla spiritualità, emotività, moralità, insita nell'essere umano. Un tempo si riteneva il cuore sede della mente umana e le rappresentazioni stilizzate di cuori sono molto diffusi in simboli che rappresentano l'amore.

Nel folklore europeo il cuore viene tradizionalmente disegnato in una forma stilizzata, in genere di colore rosso, che indica sia sangue sia, in molte culture, la passione. La forma è solo vagamente simile al cuore umano, tanto che alcune persone sostengono che in realtà rappresenti il cuore di una mucca, mentre secondo altri è la rappresentazione di un monte di Venere di una vulva (come nel simbolo tantrico del "Yoni"). Altre fonti hanno suggerito che il simbolo si riferisca a dei seni femminili, o delle natiche di una donna piegata in avanti.

Alcuni storici ritengono che questo simbolo derivi dalla forma del geroglifico egizio utilizzato per indicare il concetto del cuore: a sua volta, questo carattere potrebbe derivare dal seme di silfio, una pianta con virtù anticoncezionali estinta. Questa relazione potrebbe essere giustificata dal significato sessuale del simbolo egizio, combinato con l'ampio uso del silfio nell'antico Egitto per il controllo delle nascite. 

Sui reperti antichi la figura esisteva da molto tempo, ma con un altro significato. Era la rappresentazione delle foglie di una pianta. In Grecia, in genere, indicava la vite. Nel mondo etrusco simboleggiava le foglie di edera, veniva inciso sul legno e sul bronzo e dato in regalo agli sposi durante i matrimoni, come augurio di fertilità, di fedeltà e rinascita. I buddisti ci vedono, dal II secolo in poi, il segno dell’illuminazione.



La svolta avviene proprio in quel periodo, ma in ambiente romano. È il medico Galeno che, sulla base delle sue osservazioni anatomiche, scrive circa 22 volumi di medicina, destinati a diventare un caposaldo per la disciplina nei secoli a venire. È qui che parla del cuore come di una specie di foglia di edera rovesciata, a forma di cono. Non si capisce come mai, ma la sua migliore descrizione è questa. E non lo sa, ma è destinata a influenzare il futuro.

Il simbolo del cuore come lo conosciamo noi oggi compare nel 1200, in un manoscritto del Roman de la Poire (Il romanzo della Pera), in cui due amanti sbucciano insieme una pera con i loro denti. 

Segue la Cappella degli Scrivegni, di Padova, dove Giotto raffigura, tra le varie cose, un ritratto allegorico della Carità che porge il suo cuore a Cristo. E anche qui ha la forma, fin troppo riconoscibile, del cuore moderno. Eppure, come dimostrano i disegni di Leonardo da Vinci, nel XV secolo, il cuore era ben conosciuto dal punto di vista anatomico.

Il colpo finale, però, arriva nel 16esimo secolo, con le carte da gioco francesi. Qui ogni seme ha la sua rappresentazione. Le picche, i fiori, i quadri. E i cuori, che hanno, da quel momento, quella forma definitiva.




venerdì 21 agosto 2015

LA PUNCIUTA



La descrizione più antica del rituale della "punciuta" si trova in un rapporto giudiziario della questura di Palermo risalente al febbraio 1876. Tuttavia la magistratura ha accertato come alcuni soggetti, pur non affiliati in maniera formale a Cosa Nostra attraverso il rito della punciuta, rivestano ruoli assai importanti all'interno delle Famiglie, con particolare riferimento agli imprenditori che, giustificando la propria vicinanza alla mafia con la necessità di lavorare in un contesto ambientale ostile, con la loro condotta traggono notevoli vantaggi di ordine economico e rafforzano la posizione sociale della Famiglia.

Alla fine degli anni novanta alcuni analisti hanno ipotizzato che la mafia abbia scelto di ripensare i propri principi fondanti tendendo a far coincidere la struttura criminale primaria con la famiglia naturale e pertanto, per riconoscere gli affiliati, è sufficiente il solo legame di sangue senza necessità della punciuta.

Tuttavia il ritrovamento della formula del giuramento e l'elenco delle regole da rispettare nel covo dei latitanti Salvatore e Sandro Lo Piccolo nel novembre 2007 nonché le indagini degli organi inquirenti e le recenti dichiarazioni dei collaboratori di giustizia Gaspare Pulizzi, Manuel Pasta e Sergio Flamia hanno dimostrato che il tradizionale rito della punciuta persiste ancora oggi.

La persona che deve essere iniziata viene condotto in una stanza alla presenza di tutti i componenti della Famiglia locale in riunione. Uno dei momenti chiave, da cui la cerimonia prende il nome, è la puntura dell'indice della mano che l'iniziato utilizza per sparare con una spina di arancio amaro o, a seconda del clan mafioso, con un'apposita spilla d'oro.

Il sangue fuoriuscito viene usato per imbrattare un'immaginetta sacra a cui in seguito viene dato fuoco mentre il nuovo affiliato la tiene tra le mani e pronuncia un giuramento solenne: "giuro di essere fedele a cosa nostra. Se dovessi tradire le mie carni devono bruciare come brucia questa immagine".

Successivamente, vengono ricordati al nuovo affiliato gli obblighi che dovranno essere rigorosamente rispettati: non desiderare la donna di altri uomini d'onore; non rubare agli altri affiliati; non sfruttare la prostituzione; non uccidere altri uomini d'onore, salvo in caso di assoluta necessità; evitare la delazione alla polizia; mantenere con gli estranei il silenzio assoluto su Cosa Nostra; non presentarsi mai da soli ad un altro uomo d'onore estraneo, poiché è necessaria la presentazione rituale da parte di un terzo uomo d'onore che conosca entrambi e garantisca la rispettiva appartenenza a Cosa Nostra.

I riti, di norma, hanno inizio con una formula di sacralizzazione dello spazio. Riferisce al riguardo il collaboratore di giustizia Gianni Cretarola, intervistato da la Repubblica:



Per il rito ci vogliono cinque persone, non di più non di meno ma nella calzoleria ce n’erano solo due, oltre a me. Gli altri erano rappresentati da fazzoletti annodati. Il primo passo è la “formazione del locale”, una sorta di consacrazione che, alla fine del rito, verrà rifatta al contrario: “Se prima questo era un luogo di transito e passaggio da questo momento in poi è un luogo sacro, santo e inviolabile.

La sacralizzazione dello spazio, oltre alla formula verbale pronunciata dal maestro di iniziazione è garantita dall’evocazione di testes mitologici o religiosi che variano – dall’arcangelo Michele alla Madonna del soccorso, da Osso, Mastrosso e Calcagnosso, a Gaspare, Melchiorre e Baldasarre, compresi Mazzini, Garibaldi e la Marmora – a seconda dei contesti o dei gradi di iniziazione previste dall’organizzazione mafiosa.

Significativo poi è il fatto che vengano utilizzati riferimenti proprio al rito del battesimo. Sono ancora le parole di Cretarola a darne testimonianza:

A nome dei nostri tre vecchi antenati, io battezzo il locale e formo società come battezzavano e formavano i nostri tre vecchi antenati, se loro battezzavano con ferri, catene e camicie di forza io battezzo e formo con ferri, catene e camicie di forza, se loro formavano e battezzavano con fiori di rosa e gelsomini in mano io battezzo e formo.

Il riferimento al battesimo trova riflesso anche nella presenza di padrini che svolgono un ruolo fondamentale sia nel reclutamento del novizio, sia nel rito di affiliazione che lo introduce nella onorata società e sia in tutta la sua successiva condotta di vita di cui lo stesso padrino è ritenuto il responsabile e il fideiussore.

Ulteriore topos ricorrente nei riti di affiliazione è il sangue. Viene fatto fuoriuscire tramite un taglio dell’avambraccio o tramite la punciuta di un dito e viene lasciato cadere su un’immaginetta votiva successivamente bruciata nel palmo della mano del neofita cui viene chiesto di pronunciare una breve formula promissoria:

Poi hanno preso una candela accesa, hanno disinfettato un ago facendolo bruciare al fuoco e ci hanno punto il dito. Pigghiaru a santa, ci dettiru focu e nna’ misiru nna’ manu, poi ci fecero giurare: io giuro di essere fedele alla famiglia, se io dovessi tradire le mie carni saranno bruciate come brucia questa santona.

Con queste parole Candido Cannavò, in Pretacci. Storie di uomini che portano il vangelo sul marciapiede, mostra come l’atto del pungere o dell’incidere la pelle al fine di provocare la fuoriuscita di sangue, costituisca un espediente rituale dall’impatto emotivo molto potente e drammatico.




Sul perché il sangue giochi un ruolo così determinante nei rituali di iniziazione si vogliono richiamare le considerazioni che Luigi Lombardi Satriani espone nella sua introduzione a Fratelli di Sangue, il libro di Nicola Gratteri e Antonio Nicaso sulla ndrangheta.

Secondo l’antropologo calabrese, capire il ruolo del sangue nelle cerimonia di iniziazione mafiosa significa innanzitutto riconoscere il significato profondo che lo stesso sangue riveste nella cultura folklorica meridionalistica, quindi significa tener conto di cosa, in prospettiva interculturale e diacronica, il sangue rappresenti alla luce di un pensiero simbolico universale. Scrive testualmente Lombardi Satriani:

Il sangue è un elemento investito di intense cariche di valorizzazione simbolica e può declinarsi tanto come principium vitae che come principium mortis. Il sangue cioè si pone come elemento atto a far vita, a fondarla, a renderla imperitura. Inoltre si qualificandosi come supremo regolatore della quotidianità, non è sottoposto alle norme del quotidiano, e quindi può infrangere le barriere del tempo, introdurre al potere, richiamare al potere, essere potere. Il sangue, poi, in quanto nesso dialettico vita-morte, introduce a una dimensione sacra in cui la ritualità rappresenta la trascrizione sul piano simbolico dell’esperienza di vita e di morte.

Tra i vari scopi assegnati alla profusione rituale del sangue (dal garantire l’efficacia del rituale al produrre l’idea della fratellanza) c’è anche quello di attestare i requisiti di coraggio del postulante nell’atto di diventare uomo d’onore. Ebbene letto in questa in questa prospettiva dietro il simbolismo del sangue noi possiamo cogliere un assunto assai importante che il rito iniziatico esalta e che il sistema mafioso ratifica come proprio: quello della virilità. Una virilità che, nella cultura mafiosa descritta dallo stesso Lombardi Satriani in Il silenzio, la memoria, lo sguardo, si vede assegnare un valore di primissimo piano e che viene recepita sulla base di due accezioni:
quella – più ristretta – che ruota attorno al concetto di “mascolinità” e che porta a escludere gli omosessuali (o coloro che hanno moglie e sorelle che non siano di specchiata rispettabilità) dal consesso degli uomini d’onore;
un’altra – più estensiva – che ruota attorno al concetto di “omineità” e che fa riferimento alla capacità di testimoniare con le proprie azioni la validità delle norme e l’efficacia indiscutibile dei valore. È da uomo non tradire, è da uomo tacere, è da uomo darsi alla latitanza, è da uomo persino dire bugie al fine di instaurare con lo stato un rapporto di antagonismo. In pratica è da uomo l’esercizio dell’omertà che il mafioso considera alla stregua di una virtù.
Volendo dunque sintetizzare. L’utilizzo di scenari e di simbolismi iniziatici nelle cerimonie di affiliazione mafiosa, se da una parte mirano a suggellare il passaggio da uomo comune a uomo d’onore, o da contrasto onorato a picciotto liscio, dall’altra rispondono al bisogno di trasformare gli affiliati in un consesso di similes e di pares vincolati da un giuramento per nessuna ragione derogabile. Tuttavia il ricorso a scenari e simbolismi iniziatici svolge anche un’altra importante funzione nell’ottica dell’ideologia mafiosa: ossia quella di creare una identità forte dove la distinzione tra sé e il gruppo è impossibile da concepirsi; dove l’interesse collettivo (della famiglia) deve prevalere su quello del sé; dove il senso del noi deve assumere il sopravvento su quello dell’io.


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martedì 11 agosto 2015

IL VINO



 Ora, mentre essi mangiavano, Gesù prese il pane e, pronunziata la benedizione, lo spezzò e lo diede ai discepoli dicendo: «Prendete e mangiate; questo è il mio corpo».  Poi prese il calice e, dopo aver reso grazie, lo diede loro, dicendo: «Bevetene tutti,  perché questo è il mio sangue dell'alleanza, versato per molti, in remissione dei peccati.

Nella cultura occidentale la presenza dell’uomo è sempre stata accompagnata da quella della vite.

Mosè si dimostrò un esperto viticoltore portando al mondo i tralci della vite da trapiantare e non i vinaccioli da seminare; da qui il vino diventa il filo conduttore della geologia della Bibbia. Lo si ritrova nei Vangeli, ma il suo culmine lo si ha nell’episodio dell’ultima cena dove Gesù offre il vino ai discepoli pronunciando le memorabili parole “bevete, questo è il mio sangue “, da qui il vino diventa simbolo di sacrificio e di momenti sacrificali.

Si può anche trovare corrispondenza tra il sangue dell’agnello e il pane non lievitato, simboli della Pasqua ebraica, e il vino assimilato al sangue e il pane tipici della Pasqua cristiana. Pane e vino diventano inseparabili tra loro: pane e vino esistono perché esiste l’uomo e diventano alimentazione terrestre ma anche dell’anima essendo alimenti divini.

Si può anche dire che il pane ci nutre mentre il vino ci dà la vita.

Il vino, preferibilmente rosso, assume particolare rilevanza per la celebrazione del sabato ebraico (o shabbat) pari almeno alla funzione che questo giorno sacro assume come divisione sacrale del tempo cosmico.

La simbologia del rito sacro di santificazione del Sabato con la beracah (benedizione) sul vino  affonda  in ogni caso nell'insegnamento tradizionale per eccellenza quale è quello tramandatoci dalla Bibbia.

Il "Kiddush" è il nome con il quale si indica appunto la benedizione e la speciale preghiera con cui la sera del venerdì ci si prepara al successivo giorno di  riposo da dedicare esclusivamente alle cose spirituali: esso  è stato codificato dai Maestri della Legge in ogni più minuto particolare. Il vino per tale speciale cerimonia e di cui si deve riempire sino all'orlo un bicchiere, di solito  un apposito elegante calice istoriato con caratteri ebraici, dovrebbe essere  rosso e di alta qualità. In casi eccezionali è permesso succo d'uva rosso non ancora fermentato. Quest'ultimo particolare induce a pensare che in epoca biblica l'uva più diffusa fosse quella nera; il sinonimo "sangue d'uva" usato fa infatti pensare  che la scelta dell’uva nera  sia legata alla simbologia del colore del mosto che se ne ricava.

La stessa simbologia del sangue  che occupa un posto rilevante nel cristianesimo  è un  segno inequivocabile della radice ebraica dei significati esoterici o cabalistici del vino.

I saggi maestri del giudaismo legarono dunque la benedizione del sabato al bicchiere di vino rosso, sabato ebraico che rappresenta l'architettura portante  e differenziatrice del monoteismo etico ebraico.

Il collegamento tra cibo, bere e sessualità quale elemento essenziale e dinamico  per la riproduzione della vita stessa è ancestrale. Come altre attività umane  che danno un senso alla vita, il bere una bibita alcolica (birra o vino) è anch'esso un atto con cui l'uomo cerca di entrare in contatto con la Divinità.

La speranza di una vita oltre la morte  nella cultura ebraica si esprime  spesso con la simbologia del "banchetto"  che, ovviamente, include la presenza di bevande.

"Preparerete (dice) il Signore... su questo monte, un banchetto di grasse vivande, un banchetto di vini eccellenti  di cibi succulenti, di vini raffinati... (Isaia  25,6).

Metafora esistenziale e  religiosa, la coltura della vite  era diffusissima in tutta l'area siro-palestinese culla  del nostro monoteismo etico. Questa notizia è confermata da Sinueh, quell'ufficiale egiziano  esiliatosi in Asia, quando  afferma che "in Palestina il vino è più diffuso dell'acqua"! Probabilmente  Sinueh  intendeva dire che l'acqua era tanto scarsa  che il vino era più abbondante ma indirettamente conferma che la coltura della vite era molto diffusa.

Con queste lunghissime radici la cultura del vino non poteva perdere  di importanza  con il passare dei secoli ed infatti anche  nella nostra epoca  il succo d'uva fermentato continua  a rappresentare qualcosa di speciale non paragonabile a nessun'altra bevanda. Brindare  in qualche circostanza  importante e meno importante della vita, con coca cola, aranciata o acqua è un vero tabù, qualcosa che porta male, che non conferisce alcuna sacralità o solennità all'avvenimento.

Il vino e solo il vino è dunque la  bevanda  sacra e piacevole nello stesso tempo.

Il mondo, che per facilità di comprensione è indicato come occidentale e che si regola sulle concezioni etico-religiose della Bibbia, colloca  gli inizi della vinificazione in epoca primordiale all'alba della diffusione dell'uomo sulla terra dopo il diluvio.

Il mito dice che sarebbe stato Noè  il primo uomo  a piantare la vite: <Bevve  del vino, si ubriacò e si scoprì dentro la tenda.(Gen. 9,20)

L'archeologia  anche in questo caso ha confermato il racconto biblico e recenti scavi hanno dimostrato che la vinificazione era diffusa nella regione di Hebron .

Gli esploratori inviati da Mosè nella terra di Canaan giunsero proprio nella valle di Eshcol e riportarono indietro, come prova della fertilità del suolo, un immenso grappolo d'uva, notissimo  nell'iconografia ebraica: due uomini che portano appeso ad una stanga un immenso grappolo: una descrizione iperbolica ma che rende perfettamente la realtà  dei luoghi.

Vari termini designano il vino nella Bibbia ebraica.

Il termine più diffuso “ YAYIN”( ןיי ) ricorre ben 141 volte nella Torà ed è un vocabolo probabilmente non semitico ma forse di origine caucasica: ha il significato letterale di "effervescente”.

Un'altra parola con cui nella Bibbia  si indica questa bevanda è  ASIS dalla radice  ebraica  "asas" che letteralmente ha il significato  di "pressare " o "schiacciare". L'uso di questo termine è specifico ed indica il succo dell'uva  schiacciata o pressata e, probabilmente, anche fermentata.

Tuttavia  non si è  certi che con asis venga indicato il succo fermentato in quanto nei testi aramaici della Bibbia il succo  d'uva fermentato  ha un suo vocabolo  ben preciso che è " chemer "dalla radice  "chamar " che indica appunto la fermentazione (Deut. 32,14).
Nelle cerimonie  più importanti come matrimoni, maggiore età  religiosa (Bar mitzvah) etc. il vino veniva  mescolato con l'acqua e con aggiunta di miele e altri aromi. Ciò conferiva maggiore solennità agli avvenimenti ma c'è  il sospetto maligno che l'aggiunta di acqua servisse ad aumentare la quantità di vino per soddisfare, a poco prezzo, tutti gli invitati. Comunque anche in quei tempi l’annacquamento del vino era considerato negativamente se non proprio una truffa.

In epoca romana, invece, divenne uso comune aggiungere acqua  e miele al vino  ma l'usanza era giustificata dal fatto che il vino  era molto fortemente  tannico e quindi poco bevibile senza diluizione ed aromatizzazione. Ciò non toglie che la pratica divenne di moda, mentre invece si trattava di aumentare i guadagni del commercio del vino.

Il vino viene anche chiamato nella tradizione giudaica  sangue di uva; "<Egli lega alla vite il suo puledro ed alla vite pregiata il figlio della sua asina; lava il vestito nel vino ed i panni nel sangue d'uva.(Genesi 49,11)

Tale  metafora viene usata anche in  Deut. 32,14 e Siracide 39,26. Sembra superfluo sottolineare che in questi passi della Bibbia  ci si dovesse riferire all'uva nera anche perché sembra  che in periodo biblico l'uva bianca fosse sconosciuta.

Probabilmente l'uva bianca da vino  è frutto di innesti  successivi  mentre la vite  coltivata  nella Palestina  del tempo biblico doveva essere un vitigno piuttosto forte, resistente alla siccità e molto simile alla vite selvatica. Però il termine più generico usato nella Torà per indicare qualunque bevanda fermentata, (quindi anche birra, sia quella derivata dalla fermentazione  dell'orzo che quella dei datteri, del melograno, della palma delle  mele etc.) è shekar.



A partire dalla traduzione  della Bibbia in greco (quella dei settanta) viene usato il termine greco "oinos" per indicare tutti i tipi di vino  e "gleuokos " per indicare il mosto da fermentare o in fermentazione ed il vino dolce, novello.

La vendemmia aveva luogo nella Palestina  come in Sicilia, a metà agosto-settembre, a seconda se ci si trovava  nelle zone collinari dell'alta Galilea oppure lungo le coste  mediterranee; ma il vino non era esclusivamente legato alla religione era  anche allora un elemento indispensabile per un buon pasto ed un dono ideale.

Accompagnato da altre offerte,  era uno degli elementi del rito sacrificale al Tempio."Uno degli agnelli offrirai al mattino ed un secondo al pomeriggio. Inoltre  un decimo di efà, 1 di fior di farina intrisa in olio vergine con un quarto di vino per questo primo agnello.2(Esodo: 29,40).

Il vino nelle offerte sacrificali  lo troviamo ancora in Lev.23,13, Num;15,7.10- Samuele 1,24.

Il vino come ricostituente appare nella Bibbia ebraica in 2 Sam.16 mentre  nel Nuovo testamento  viene citato come medicamento (prima lettera di Paolo a Timoteo, cap.5,23.)

Naturalmente un libro come la Bibbia se da un lato apprezza molto il vino e lo fa assurgere  a simbolo della creazione  non poteva sottovalutare  gli effetti negativi e le insidie di un uso smodato di tale bevanda. Una vita benedetta da Dio e cioè colma di tutti i doni del Creatore comprende quindi abbondanza di vino di olio, di grano, tutti prodotti cui viene riconosciuta una funzione assolutamente vitale voluta  dal Signore  nel suo piano per gli uomini.

Salomone, nella sua saggezza, menziona  il vino tra i doni della creazione (Proverbi 104,15 ) "vino che rallegra il cuore degli uomini, seguito dall'olio  che fa risplendere il volto" (olio cosmetico, protettivo della pelle, ma di uso festivo).

L'abbondanza di vino è una benedizione e per contrasto, il venir meno della benedizione può comportare penuria di olio, vino e pane.

Nei proverbi offrire cibo e bevande è espressione di comunione  tra chi ha bisogno di aiuto e chi glielo presta. Così vi è anche un risvolto pratico: il nemico soccorso, cesserà di essere nemico.

Il vino assume  sempre più importanza nei culti sacrificali  e segna  una via di mezzo tra l'offerta  cruenta dell'animale alla Divinità e l'offerta  delle preghiere.

Anche le preghiere  vengono però  offerte a Dio solennizzandole con  il bere  rituale di vino. Se a questa simbologia si aggiunge quella erotica ci si renderà conto come il vino è presente in tutti gli aspetti della vita.

La creazione, come prodotto dell'opera di Dio nel giudaismo, va accettata senza escludere niente di quello che la natura  può darci e questo è un segno di rispetto e gratitudine per il Creatore: ecco perché nell'ebraismo non è accettata la fuga dal mondo, l'estraniarsi ascetico da esso.

Il godere di tutta la creazione divina è segno di riconoscenza.

Ecco dunque affiorare un altro concetto etico: il mangiare non è la misura di tutte le cose, vivere in pienezza la vita, il dono massimo di Dio, significa accettare di controllare e contenere il proprio desiderio in base alla legge, al comandamento, espressione  questa della libertà dell'uomo e  misura per la ricompensa divina.

La libertà di scegliere, di decidere  l'osservanza o meno dei comandamenti  è ciò che distingue  l'essere umano dagli animali.

Mentre quindi da un lato il comandamento di Dio non censura  il desiderio  di mangiare e bere e di godere di tutti i beni della creazione, dall'altro ci ricorda che  solo Dio provvede il mondo di questi beni e che il nostro agire va regolato  dalla Sua legge.

Questo concetto radicato nella tradizione religiosa ebraica è la conseguenza del fatto che  il commercio del vino è stato esercitato  spesso  in monopolio dai mercanti ebrei  di ogni latitudine.

La fermentazione è un segno di rovina e morte. Il vino usato alla Pasqua era chiaramente un simbolo del sangue di Cristo, sparso per stabilire il nuovo patto. Egli berrà dello stesso tipo di succo d’uva con i Suoi eletti nel Regno dei Cieli, dove la decomposizione e la fermentazione non ci saranno più.

Il simbolismo del vino nei sogni non può prescindere l’associazione con il sangue ed il sacrificio, per il colore e per la trasformazione rituale in “sangue di Cristo” dell’Eucarestia.

Ma vino è soprattutto, e fin dall’antichità, segno di gioia, di verità (per la capacità di sciogliere la lingua: “in vino veritas” ) di iniziazione e rito (per l’ebbrezza che procura) e in generale di tutti i doni che il divino mette a disposizione dell’uomo.

Il vino è quindi bevanda degli Dei, fluido “divino”, che subisce un’alchemica trasformazione da semplice prodotto vegetativo frutto della terra, in liquido complesso e raffinato; mentre, lo “spirito” alcolico che contiene, lo rende aereo ed opposto agli umori terricoli da cui proviene la sua matrice.

Il vino diventa simbolo della tensione umana verso la trascendenza, simbolo di spiritualità, ed appare nei sogni a rappresentare la forza ed il miracolo della vita che si eleva dalla semplice materia, e che ubbidisce alla forza dell’immaginazione e dello spirito.

Ma il vino è pur sempre bevanda associata all’allegria ed al benessere del corpo, così come all’ebbrezza ed alla perdita di controllo. Si consuma con piacere in compagnia, abbassa le inibizioni, procura una sensazione di benessere ed ha quindi, da questo punto di vista, un potere simbolico di coesione e di ampliamento dei propri limiti, che si riflettono nei sogni.

Il vino fa “vedere doppio”, altera la visione, questo può essere considerato negativamente, come incapacità di vedere le cose obiettivamente, ma può avere anche un aspetto positivo di revisione dei propri punti di vista: vedere oltre, vedere con occhi diversi. Ecco che il vino nei sogni può assumere anche una funzione rivelatrice di ciò che le convenzioni e l’abitudine celano.

Va comunque sempre considerato ogni aspetto che riguardi la situazione reale del sognatore. Se questi è un alcolista, il vino del suoi sogni potrà comparire come rappresentazione di un bisogno fisico, di un desiderio, o anche di un senso di colpa.

Se il vino che compare nei sogni è annacquato, e non ha il sapore che ci si aspetta, può puntare l’indice su aspetti della vita del sognatore che non lo soddisfano più, che non lo “nutrono” secondo i suoi bisogni, o che non corrispondono più alle sue aspettative.

Infine vedersi in sogno ubriachi e contenti può alludere al bisogno di lasciare andare il controllo e di godere delle situazioni che la vita porta, abbandonandosi ad esse.



Il gesto del brindisi è ormai radicato nella cultura occidentale, ma le usanze che non appartengono alla nostra tradizione sono diverse. Il rituale gestuale e verbale del brindisi può essere più o meno elaborato o formale (alzare il bicchiere verso qualcuno o qualcosa e poi bere), è comunque un messaggio benevolo nei confronti della persona o della cosa presa in considerazione. La storia tuttavia ci racconta che non è sempre stato così: secondo alcuni studi, l'usanza del brindisi si è evoluta spinta dalla preoccupazione per possibili avvelenamenti; una pratica molto diffusa soprattutto nell'antichità (Roma e Grecia ne sono un esempio) e nel Medioevo. Si dice infatti, che l'usanza di scambiare il proprio bicchiere con quello altrui costituiva un segno di reciproca fiducia, così che prima di bere s'iniziava a sbattere il bicchiere verso quello dell'altro, scambiandone anche parte del contenuto. Secondo altri, la genesi del brindisi è da associarsi al XVII secolo ed esattamente alla consuetudine di aggiungere delle spezie alle bevande da parte di alcune dame dell'epoca. Da allora, gli uomini avrebbero usato il brindisi per catturare l'attenzione degli altri uomini e per ingraziarsi la stessa signora. Altri ancora ritengono che il brindisi sia un'usanza ancora più antica e che derivi dalle libagioni celebrate in onore di Dionisio, dio del vino. Il brindisi nell'antica Grecia avveniva in genere durante il simposio, e cioè alla fine del pasto. Aveva una connotazione rituale; era il momento della convivialità e incominciava con i sacrifici in onore degli dei: uno degli ospiti versava il vino a terra, mentre gli altri convitati pronunciavano una preghiera. Da più di cinquemila anni si brinda così. Chi conosce il vino, sentenzia Francois Rabelais,  celebre umanista e scrittore francese del XVI° secolo,  conosce la parola trink. Di fatto sono poche, pochissime, le varianti del rito. La letteratura, la musica, l'arte non ne danno quasi testimonianza. Per conoscerne alcune si deve ricorrere alle tradizioni popolari. Nei matrimoni tra ebrei, per esempio, si usa rompere il bicchiere dopo il brindisi a ricordo della distruzione del tempio di Gerusalemme. La stessa azione la si trova tra i popoli di religione ortodossa. Qui però cambia il valore simbolico. Per alcuni la rottura del bicchiere evoca la fine della vita celibe; per altri è l'anticipazione della lacerazione dell'imene della sposa. Il costume russo di lanciare all'indietro il bicchiere è spiegato come il gesto di liberarsi della ragione per cui si è brindato, in modo da lasciare spazio a un altro brindisi, a un'altra gioia. L'uso, abbastanza diffuso tra le popolazioni germaniche, di brindare guardandosi negli occhi, assume il significato di una partecipazione intensa e leale, nell'augurarsi reciproca salute e fortuna. Nella Repubblica Ceca questo brindisi è riservato ai maschi. Tra ragazzi e ragazze si usa invece brindare tenendosi mano nella mano e con la sinistra bere. La valenza simbolica non dovrebbe essere diversa da quella precedente. Un riferimento più marcato all'unione nuziale è il brindisi, diffuso soprattutto nel sud, di bere con le braccia intrecciate tra sposo e sposa.
Nella maggioranza dei casi tuttavia il brindisi si è svilito a rito meccanico. Gesto e parole hanno perso di significato. Le ragioni profonde del brindare non si riconoscono più, e il brindisi è diventato frase fatta, luogo comune, automatismo dell'inizio a bere. Cin cin, alasanté (à la santé), prosit (dal latino prodesse = giovare), lo stesso salute (impiegato tanto nei brindisi quanto dopo uno starnuto) sono usati a memoria, passivamente.
Di Cin Cin si sa che deriva dall'inglese chin chin, a sua volta derivato dal cinese ch'ing ch'ing, il cui significato è prego prego. Furono i marinai inglesi a introdurlo in Europa. Il grande linguista Bruno Migliorini per primo lo interpretò come parola onomatopeica, atta a riprodurre il suono dei due bicchieri che cozzano tra loro. Un'altra parola onomatopeica è usata nel brindisi polacco. Bevendo d'un fiato, gettando la testa indietro, si dice bach! quasi a riprodurre il suono della lingua schiacciata contro il palato.
Studi etnologici sul brindisi non sono stati ancora compiuti. O almeno non risultano nel vasto catalogo della biblioteca La Vigna di Vicenza, seconda al mondo, dopo quella di Berkeley (California), nella raccolta di libri sul vino. Vi è invece una ricca collezione di brindisi popolari, occasionali e di nessun valore letterario, pubblicati durante le Feste dell'Uva, promosse dal regime fascista. Fa eccezione un brindisi in lingua spagnola, tra i più interessanti che si conoscano: "Amor, salud y plata, y el tiempo para gustarlos". La sua bellezza è tutta nella sua saggezza. Potrebbe eleggersi a sintesi dei tanti brindisi colti, fin qui letti. Vi si augura l'amore, la salute e il denaro, ma non si dimentica di augurare il tempo libero, senza il quale né l'amore, né la salute, né il denaro valgono alcunché. Con rare eccezioni pare che tutto l'umano abbia trovato almeno una volta espressione in un brindisi. Sia esso atto letterario quanto nostro di ogni giorno, il brindisi ci lega ad un rituale antichissimo e ancestrale dei popoli, attraverso il quale il dono di bere vino si unisce ai nostri pensieri, alle nostre speranze, al nostro bisogno di "salute", cioè di "salvezza".
Uno studio francese ha dimostrato che sono più di quaranta i santi protettori del vino. Quello del brindisi potrebbe essere identificato in San Vincenzo. Era tradizione comporre dei giochi di parole con il suo nome. Alcuni di questi pare evochino proprio il brindare, come vin-cent, ossia l'augurio di bere per cent'anni, che si legge anche nell'Enrico IV di Shakespeare "io bevo all'amor mio caro, cuor contento cent'anni camperà!", e O vincent O, che si trovava sulle insegne dei cabaret e che si poteva leggere au vin sans eau e quindi interpretare, lunga vita "alla taverna del vino senz'acqua".

Quello del Capodanno lo conosciamo, in genere assume sempre una forma di augurio nei confronti dell'altro. Tuttavia, in alcune culture se da una parte è un gesto solenne e sentimentale, in altre può essere anche ironico e perfino osceno o offensivo. In Giappone prima d'iniziare a bere il celebre 'sake' si usa, come in Europa, fare un brindisi dicendo Kampai! Tuttavia, se siete in Giappone evitate di dire 'cin-cin', il cui significato è tutt'altro. Nei paesi di lingua inglese gli ospiti possono far intendere la loro approvazione ad un brindisi dicendo 'udite, udite' ("hear, hear"), seguito da una brevissima dedica. La persona onorata del brindisi però non deve bere, né tanto meno stare in piedi per ringraziare. Infatti, l'usanza è quella di farlo solo dopo la fine del brindisi, ringraziando colui che ha offerto da bere e non necessariamente contraccambiare. In Ungheria, non è visto di buon occhio fare un brindisi con la birra: la superstizione ha origine dai festeggiamenti fatti dagli austriaci durante la rivolta ungherese del XIX secolo, che pare siano stati fatti proprio con la birra.



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venerdì 10 luglio 2015

I DINOSAURI

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I dinosauri sono un gruppo di rettili molto diversificati comparsi durante il Triassico superiore (circa 230 milioni di anni fa) che dominarono il pianeta fino alla fine del Cretaceo (circa 65 milioni di anni fa).

I dinosauri sono un gruppo di animali molto diversificato: i soli uccelli attuali contano oltre 9 000 specie. Basandosi sui fossili, i paleontologi hanno identificato oltre 500 generi distinti e più di 1 000 specie di dinosauri non aviani. I dinosauri sono rappresentati su ogni continente sia da specie fossili che da specie attuali (gli uccelli). Alcuni dinosauri erano erbivori, altri carnivori. Molti di essi erano bipedi, mentre altri erano quadrupedi o capaci di muoversi sia a due che a quattro zampe. Molte specie possiedono elaborate strutture “da parata”, come corna e creste, e alcuni gruppi estinti svilupparono anche modificazioni scheletriche come armature d’osso e spine.

I dinosauri aviani sono i vertebrati volanti dominanti fin dall’estinzione degli pterosauri, e le prove suggeriscono che tutti i dinosauri costruissero nidi e depositassero uova, così come fanno gli uccelli odierni. I dinosauri variavano molto in taglia e peso: i più piccoli teropodi adulti erano lunghi meno di un metro, mentre i più grandi dinosauri sauropodi potevano raggiungere lunghezze di quasi cinquanta metri ed erano alti decine di metri.

Nonostante la parola dinosauro significhi “terribile lucertola”, il nome è piuttosto fuorviante: i dinosauri infatti non erano lucertole, ma un gruppo separato di rettili con una particolare postura eretta che non si riscontra nelle vere lucertole. Fino alla prima metà del Novecento, gran parte della comunità scientifica riteneva che i dinosauri fossero lenti, poco intelligenti e a sangue freddo. Numerose ricerche a partire dagli anni settanta, però, hanno indicato che i dinosauri erano animali attivi con un elevato metabolismo e numerosi adattamenti per l’interazione sociale. Molti gruppi (in particolare tra i carnivori) erano tra i più intelligenti organismi del loro periodo.

Fin da quando i primi fossili di dinosauri sono stati riconosciuti come tali all'inizio del XIX secolo, scheletri fossili montati (o repliche) di questi animali sono divenuti grandi attrazioni nei musei di storia naturale in tutto il mondo, e i dinosauri sono divenuti parte della cultura mondiale.

Per distinguere i dinosauri dagli altri rettili esistono alcuni elementi che permettono di stabilire la differenziazione:
La prima più semplice è quella della datazione del fossile, infatti i dinosauri non aviani sono vissuti in un preciso periodo di tempo (dal Triassico inoltrato alla fine del Cretaceo) e qualsiasi rettile, anche di considerevoli dimensioni (come i pelicosauri, ad esempio Dimetrodon), vissuto prima o dopo questo periodo non è un dinosauro.
Dal punto di vista dell'habitat, i dinosauri erano esclusivamente terrestri e qualsiasi rettile marino (come i plesiosauri, i mosasauri o gli ittiosauri) o volante (pterosauri), nonostante a volte siano comunemente definiti tali, non sono in realtà dinosauri. Va comunque fatta una precisazione riguardo alla possibilità di volare, poiché per i dinosauri-uccelli come l'Archaeopteryx e diversi celurosauri che presentavano un rivestimento piumato, non si esclude la possibilità che compissero delle planate o addirittura brevi voli: dai celurosauri si sono inoltre originati anche gli uccelli, tanto che la stessa classificazione dell'Archaeopteryx (definibile come dinosauro evoluto o, equivalentemente, come uccello primitivo) è controversa. Ad oggi però, ritenendo la classe Aves parte integrante di Dinosauria, possiamo considerare dinosauri teropodi (comprese forme volanti o nuotatrici), tutti gli uccelli. Vi furono inoltre specie come il bizzarro e controverso Yi qi, un piccolo dinosauro piumato con una membrana che forse gli permetteva di volare o di planare.
Più concretamente, i dinosauri presentavano le forme e le dimensioni più svariate, che in genere di primo acchito permettono di distinguerli da molti altri rettili. Saltano subito all'occhio le dimensioni eccezionali di certi colossi, mai raggiunte da qualsiasi altro animale terrestre, o le forme curiose di specie come il triceratopo o il parasaurolofo. Tuttavia esistevano anche dinosauri molto più piccoli.
Vi sono caratteristiche anatomiche più specifiche che permettono di separare più nitidamente i dinosauri da qualsiasi altro rettile. La principale è quella del posizionamento degli arti, che nei dinosauri sono collocati direttamente sotto il corpo (in maniera simile agli uccelli odierni, o anche grossomodo ai mammiferi); ne consegue che quando l'animale è fermo gli arti sono approssimativamente perpendicolari al corpo, in maniera analoga, per esempio, a quanto avviene in una mucca, mentre il ventre e quasi tutta la coda non toccano il terreno. In qualsiasi altro rettile questo non avviene: le articolazioni sporgono all'esterno del corpo (presentando delle sorta di "gomiti") e quando è fermo l'animale tocca il suolo con il ventre e la coda. Fanno eccezione alcuni arcosauri come alcuni Curotersi terricoli e alcuni pterosauri, che però articolavano la caviglia e agganciavano la zampa al bacino in maniera nettamente differente. Va anche notato come tutti questi gruppi di rettili svilupparono prima la verticalità delle zampe posteriori, e poi, in modo differente spesso da clade a clade, delle zampe anteriori, sviluppando spesso forme di bipedismo obbligato.

Le caratteristiche morfologiche dei dinosauri sono estremamente varie. Il superordine Dinosauria comprende infatti animali adattati a quasi tutte le nicchie ecologiche terrestri. Fra i dinosauri vi furono sia erbivori che carnivori, sia bipedi, che quadrupedi; vi furono specie adattate ad ambienti caldo-umidi, di foresta pluviale, quanto specie di ambiente arido o di ambiente temperato. Una ricostruzione precisa del loro aspetto e del loro comportamento è però un'impresa molto difficile e largamente speculativa, che si basa soprattutto su misure morfometriche delle ossa fossili, sulle associazioni faunistiche desunte dalla tanatocenosi, sull'interpretazione sedimentologica dei depositi in cui sono stati rinvenuti i fossili e sui rarissimi ritrovamenti di parti molli fossilizzate.

Occorre osservare, da un punto di vista generale, che solo una minima percentuale degli organismi viventi appartenenti ad una certa popolazione si fossilizzano: la maggior parte va distrutta per fattori di tipo ambientale (fisico, chimico o biologico). Inoltre, degli individui fossilizzati, la maggior parte sono inaccessibili, sepolti in profondità nei sedimenti, oppure perduti a causa dell'erosione. Quindi, il campione di esemplari di cui disponiamo è sicuramente poco rappresentativo. Anche tra quelli che sono stati recuperati, per pochissimi è noto lo scheletro completo e sono molto rare anche le tracce di tessuti molli come la pelle. Le ricostruzioni di scheletri ottenute confrontando la dimensione e la morfologia delle ossa con ossa di specie simili meglio conosciute hanno un notevole margine di imprecisione e di ipotesi, come del resto le ricostruzioni di muscoli e altri organi. In effetti molte specie di dinosauri sono conosciute solo da uno scheletro altamente incompleto, frammenti d'ossa o di denti, e pochissime sono studiabili attraverso collezioni di scheletri più o meno completi giovanili, adulti ed infantili.

Nonostante si ritenga comunemente il contrario, la taglia media dei dinosauri conosciuti non era superiore a quella di una pecora; a questo dato bisogna inoltre aggiungere il fatto che le creature più grandi si fossilizzano più facilmente e sono più facili da scoprire, per cui la reale taglia media potrebbe essere ancora inferiore se si tiene conto delle specie non ancora scoperte. Tuttavia, se confrontati con animali delle epoche sia anteriori che posteriori, i dinosauri del gruppo dei sauropodi avevano dimensioni superiori di circa un ordine di grandezza. I più piccoli sauropodi erano più grandi di qualunque altro essere nel loro habitat e i più grandi erano di un ordine di grandezza maggiore di qualunque altro essere abbia mai camminato sulla Terra.

Il più alto e il più pesante dinosauro di cui sia noto lo scheletro completo è tuttora l'esemplare di brachiosauro (ora attribuito al genere Giraffatitan) che fu scoperto in Tanzania tra il 1907 e il 1912, attualmente esposto nel Museo Humboldt di Berlino. Era alto 12 m, e probabilmente pesava tra le 30 e le 60 t. Il più lungo è uno scheletro di Diplodocus che misura 27 m, scoperto nel Wyoming. Questo esemplare fu montato nel Carnegie Natural History Museum di Pittsburgh nel 1907 e ne furono in seguito eseguiti numerosi calchi che furono donati a numerosi musei nel mondo.

Esistono molti altri dinosauri più grandi, ma ne sono state recuperate solo poche ossa. Gli attuali primatisti sono stati scoperti tutti dopo il 1970 e comprendono il massiccio Argentinosauro, il cui peso potrebbe essere stato di 100 tonnellate; il più lungo, il Supersaurus (40 m); e il più alto, il Sauroposeidon (18 m).

Nessun altro gruppo di animali terrestri si avvicina a queste dimensioni. Il più grande elefante registrato pesava appena 8 tonnellate, mentre la più alta giraffa era alta appena 6 m. Anche i grandi mammiferi preistorici come l'indricoterio, il mammut imperiale e il mammut del fiume Songhua erano nani in confronto ai giganteschi sauropodi. Solo pochi animali acquatici si avvicinano a tali dimensioni; tra questi la balenottera azzurra è la più grande, giungendo fino a 150-180 tonnellate e a 33 m di lunghezza.

Escludendo i moderni uccelli come il colibrì, i più piccoli dinosauri conosciuti possedevano circa le dimensioni di un corvo o di un pollo. Il Microraptor e il Parvicursor erano di lunghezza inferiore ai 60 cm. I fossili di piccoli dinosauri sono quelli più difficili da trovare in molti classici giacimenti (ed in particolare quelli a marne di grana fine, particolarmente indicati per i reperti di grosse dimensioni), tendono ad essere distrutti più facilmente dall'erosione e a passare inosservati, anche per questo fino a poco tempo fa erano poco note forme microscopiche di dinosauro; tuttavia non è affatto escluso esistessero molte specie di piccole e piccolissime dimensioni, anche inferiori a quelle di un pollo o di un corvo.

Il comportamento dei dinosauri non aviani sarà sempre soggetto ad un grande margine di mistero dal momento che non ne è possibile l'osservazione diretta. I paleontologi devono basarsi su indizi indiretti, dedotti da tracce fossili, come scheletri in combattimento (Velociraptor e Protoceratops) e nidi fossilizzati, confrontandoli cautamente con gli studi sul comportamento degli animali viventi.

Tali indizi sono molto vari e suggeriscono diversi tipi di comportamenti, comunque ipotetici. Alcuni potrebbero aver avuto una sorta di comportamento gregario (non necessariamente sociale), forse migrando in grandi branchi analogamente ai mammiferi erbivori moderni (ad esempio le specie africane).

Un'ipotesi sostiene che questo comportamento poteva fornire un sistema di allarme contro taluni predatori. È possibile che anche i dinosauri carnivori abbiano avuto comportamenti sociali, come accade oggi per i lupi e i grandi felini. Unità familiari potrebbero avere viaggiato insieme per lunghi periodi in modo da aiutarsi reciprocamente a sopravvivere. Tuttavia ciò è messo in dubbio dal fatto che gli arcosauri odierni più vicini ai dinosauri mesozoici non presentano alcun tipo di organizzazione sociale. Inoltre molti arcosauri odierni che collaborano nella caccia (come i coccodrilli del Nilo) lo fanno senza sviluppare complessi sistemi di interazione sociale, che sono complessivamente rari anche tra gli uccelli, mentre sono molto diffuse forme di tolleranza reciproca, commensalità e di occasionale collaborazione, soprattutto nello smembramento di una carcassa. Numerose "prove" di socialità tra i dinosauri, e soprattutto tra i teropodi, ovvero letti di ossa monospecifici, si sono dimostrate errate o quantomeno interpretabili in differenti maniere in base all'analisi tafonomica del sito. Qualunque interpretazione sul comportamento dei dinosauri si basa su speculazioni e promette di causare controversie in futuro.

I dinosauri sono studiati dai paleontologi. Tra le specializzazioni vi sono la scoperta, la ricostruzione e la conservazione dei fossili di dinosauro e l'interpretazione di quei fossili per capire meglio l'evoluzione, la classificazione e il comportamento dei dinosauri.

Il primo dinosauro conosciuto, l'Eoraptor lunensis apparve approssimativamente 230 milioni di anni fa, tra il Triassico medio e il Triassico superiore, circa 20 milioni di anni dopo l'estinzione di massa del Permiano-Triassico che causò la scomparsa di circa il 75% di tutta la varietà biologica del pianeta. Le datazioni radiometriche dei fossili della primitiva specie di dinosauro Eoraptor lunensis, scoperto in Argentina, stabiliscono la sua presenza nei ritrovamenti fossili di quel periodo. I paleontologi credono che Eoraptor potesse assomigliare all'antenato comune di tutti i dinosauri. Se ciò fosse vero, le sue caratteristiche farebbero pensare che i primi dinosauri fossero piccoli predatori bipedi. Tra i possibili antenati dei dinosauri vi sono Marasuchus, del Triassico medio dell'Argentina, il poco conosciuto Saltopus della Scozia (grande quanto una mano, del Triassico superiore) e Silesaurus, rinvenuto in Polonia e considerato un possibile antenato dei dinosauri ornitischi.

Molte linee di dinosauri primitivi si diversificarono rapidamente dopo il Triassico, espandendosi rapidamente fino a riempire la maggior parte delle nicchie ecologiche disponibili.

L'estinzione di massa del Cretaceo terziario, 65 milioni di anni fa, alla fine del Cretaceo, causò la scomparsa di tutti i dinosauri, con l'eccezione del ramo dei teropodi che, evolvendosi, avevano già portato alla comparsa dei primi uccelli.

La conoscenza attuale dei dinosauri deriva da una varietà di ritrovamenti fossili e non fossili, tra cui ossa fossilizzate, coproliti, tracce di deambulazione, gastroliti, piume, impronte della pelle, tessuti molli e organi interni. Molti campi di studio contribuiscono a farci capire il mondo dei dinosauri, tra cui la fisica, la chimica, la biologia e le scienze della terra (delle quali la paleontologia è una branca).

Resti di dinosauri sono stati ritrovati in ogni continente, incluso l'Antartide. Numerosi fossili delle medesime specie di dinosauro sono stati ritrovati su continenti del tutto differenti, dando in questo modo vigore alla teoria secondo la quale tutte le masse continentali erano unite un tempo in un supercontinente denominato Pangea. Questa massa iniziò a frammentarsi nel Triassico, circa 230 milioni di anni fa.

I dinosauri hanno anche denti che crescono da alveoli, anziché essere estensioni dirette delle ossa mascellari, come pure varie altre caratteristiche. Entro questo gruppo, i dinosauri si differenziano principalmente per la loro andatura. Invece di avere zampe che si estendono lateralmente, come le lucertole e i coccodrilli, le loro zampe si protendono direttamente sotto il loro corpo.

Nella stessa epoca dei dinosauri vivevano molti altri tipi di rettili. Alcuni di questi sono comunemente, ma scorrettamente, considerati dinosauri: tra questi i plesiosauri (rettili acquatici che non sono vicini ai dinosauri dal punto di vista evolutivo), e gli pterosauri, rettili volanti che si sono evoluti separatamente da un rettile progenitore nel tardo Triassico.

Gli scienziati hanno alimentato un costante e vigoroso dibattito riguardo alla regolazione della temperatura del sangue dei dinosauri: la discussione, resa popolare da Robert T. Bakker si è incentrata dapprima sulla possibilità che vi fosse una tale regolazione e in seguito sul metodo di regolazione.

Dalla prima scoperta dei dinosauri, i paleontologi ipotizzarono che fossero creature ectotermiche. Questa ipotesi implicava che i dinosauri fossero per lo più organismi lenti e pigri, confrontabili con i moderni rettili, che hanno bisogno del sole per riscaldare i loro corpi. In realtà il paelontologo inglese Owen, quando creò il nome Dinosauria, già si interrogò sul loro metabolismo, ipotizzando se non una completa omotermia, almeno un cuore complesso a quattro cavità. Diverse scoperte successive hanno messo in discussione l'ipotesi dell'ectotermia: il ritrovamento di dinosauri in territori dal clima freddo, di dinosauri polari in Australia e nel nord della Siberia e dell'Alaska, dove sopportavano sei mesi di inverno gelido e scuro, la scoperta di dinosauri piumati le cui piume fornivano una regolazione per isolamento e infine l'analisi, nelle ossa di dinosauro, di strutture dei vasi sanguigni che sono tipiche degli organismi endotermici. Tutte queste scoperte confermarono la possibilità che alcuni dinosauri, se non tutti, regolassero la loro temperatura corporea con metodi biologici interni; in alcuni casi potrebbero essere stati parzialmente aiutati dalla loro ampia massa corporea, che al contrario per altri scienziati è la dimostrazione più lampante della necessità di un metabolismo endotermico, non tanto per riscaldare il corpo quanto per raffreddarlo. Le strutture scheletriche suggeriscono per i teropodi e altre creature stili di vita attivi, più compatibili con un sistema cardiovascolare endotermico. Forse alcuni dinosauri erano endotermici e altri no. La discussione scientifica sui dettagli continua, sebbene molti paleontologi ora concordino sul fatto che i sistemi endotermici sono più probabili.

A complicare questo dibattito, il "sangue caldo" può essere mantenuto con più di un meccanismo (per esempio anche tonni e squali hanno un metabolismo attivo, ma differente da quello di mammiferi e uccelli). La maggior parte delle discussioni sull'endotermia dei dinosauri li confronta con il tipico uccello o mammifero, che consuma energia per alzare la temperatura corporea al di sopra della temperatura ambiente. I piccoli uccelli e i mammiferi possiedono inoltre qualche tipo di isolamento, come grasso, pelliccia o piume, per ridurre la perdita di calore. Tuttavia i grandi mammiferi, come gli elefanti, devono affrontare un problema diverso poiché il rapporto tra la loro superficie corporea e il loro volume è particolarmente piccolo (principio di Haldane). Considerando animali via via più grandi, si nota che l'area della loro superficie cresce più lentamente rispetto al loro volume; a un certo punto, la quantità di calore disperso attraverso la pelle scende al di sotto della quantità di calore prodotta all'interno del corpo, costringendo così gli animali ad usare metodi addizionali per evitare il surriscaldamento. Nel caso degli elefanti, essi non hanno pelliccia, possiedono grandi orecchie che aumentano la loro superficie corporea e mostrano inoltre un adattamento comportamentale, come usare la proboscide per spruzzarsi di acqua e immergersi nel fango. Questi comportamenti aumentano il raffreddamento per evaporazione.

I grandi dinosauri dovettero, presumibilmente, fronteggiare la stessa situazione: la loro dimensione suggerisce che disperdessero calore in modo relativamente lento, e quindi avrebbero potuto essere "grossi endotermi", animali che sono più caldi dell'ambiente circostante a causa della loro dimensione e non grazie ai particolari adattamenti messi in atto da mammiferi e uccelli. L'anatomia dei Dinosauri, per quanto ancora conosciuta in modo imperfetto, permette di ipotizzare che, già a livello basale, i saurischi avessero un sistema di respirazione assai complesso, basato su sacche aeree e polmoni rigidi. Questo sistema avrebbe potuto contribuire in maniera sostanziale a ridurre i problemi di surriscaldamento degli animali, permettendo ai dinosauri di raggiungere dimensioni notevolmente superiori a quelle raggiunte da qualsiasi mammifero terrestre o, nel caso dei sauropodi, marino.

ESono stati identificati residui di materiale organico in alcune ossa di dinosauri risalenti a settantacinque milioni di anni fa: cellule di tessuti e tracce di quelli che sembrano essere globuli rossi. La straordinaria scoperta, effettuata da ricercatori dell’Imperial College di Londra, fornisce preziosissimi indizi per risalire al reale aspetto e alle abitudini dei giganteschi rettili che in un passato molto remoto hanno dominato la Terra: lo studio di eventuali resti di cellule ematiche potrebbe infatti aiutare gli scienziati a capire quando i dinosauri hanno sviluppato un metabolismo simile a quello degli uccelli, in altre parole in che modo si sono evoluti in animali a sangue caldo e quale è stata la loro genealogia.

Il team di ricercatori capitanati da Sergio Bertazzo e Susannah Maidment ha individuato piccole parti di tessuti molli nei reperti ossei di otto esemplari di dinosauri, ritrovati nei primi decenni dello scorso secolo e risalenti al Cretaceo, il periodo che nella cronologia delle ere geologiche segue il Giurassico. Anche se le ossa non erano in perfetto stato di preservazione, anzi, e a prima vista non mostrassero segni evidenti di strutture tissutali, accurate analisi al microscopio elettronico hanno rivelato invece la presenza di cellule quasi del tutto identiche a eritrociti (i globuli rossi), oltre a fibre di collagene e residui di altre proteine di tessuto connettivo. Finora qualche traccia di materia organica era stata osservata solo in rarissimi campioni fossili ottimamente conservati, ma con identificazione controversa: secondo alcuni esperti non sarebbero residui di natura biologica in quanto le molecole che compongono le proteine decadono in tempi relativamente brevi e comunque non possono durare oltre quattro milioni di anni. Ma i risultati delle analisi effettuate dai ricercatori d’oltremanica e riportati su Nature Communications sembrano fugare ogni dubbio. Anche perché hanno esaminato vari campioni provenienti da diverse ossa di differenti fossili, tutti custoditi al Natural History Museum della capitale inglese: un pezzo d’unghia dell’artiglio appartenente a un esemplare non ben definito di teropode (cioè della famiglia del Tirannosauro Rex), frammenti di tibia e costole di cinque adrosauridi (erbivori col becco d’anatra e una lunga protuberanza a mo’ di elmo sul cranio), di un casmosauro (altro erbivoro ma dotato di lunghe corna) e di un ceratopside (famiglia del Triceratopo).
Gli studiosi si sono avvalsi di uno stuolo di apparecchiature all’avanguardia: prima hanno visionato le ossa con dettagli micrometrici tramite un microscopio elettronico a scansione per rilevare e localizzare nei frammenti la presenza di tessuti molli, poi con uno strumento che spara fasci di ioni hanno praticato micro incisioni per osservarne la struttura interna. Hanno così scovato molecole di amminoacidi (le basi delle proteine) e catene proteiche avvolte in filamenti a tripla elica, come nelle fibre di collagene, la principale proteina che costituisce il tessuto connettivo. “Poiché ogni gruppo di animali ha una sua propria struttura di collagene, future analisi ci potranno dire come le varie specie di dinosauri erano imparentate tra loro” spiega Susannah Maidment. Infine i piccoli pezzi di tessuto sono stati sottoposti ad analisi con uno spettrometro di massa, comparandoli con un campione di sangue prelevato da un emù (dato che si ritiene che gli uccelli discendano proprio dai dinosauri). Risultato: i frammenti fossili hanno mostrato similarità con i globuli rossi dell’uccello australiano. Alla fine la domanda sorge quindi spontanea: sono state rinvenute anche tracce di Dna? «Non è possibile trovarlo o estrarlo da questo tipo di campioni», dice Sergio Bertazzo «però la nostra scoperta ha implicazioni allo stesso modo importantissime: ora sappiamo che con adeguate tecniche siamo in grado di rivelare la presenza di cellule vecchie di decine di milioni di anni nei resti fossili degli scheletri di dinosauri; il che non solo ci consente di conoscere meglio la fisiologia di queste creature, ma anche il loro comportamento e permette di tracciare una precisa linea di discendenza tra le varie specie». Proprio per il fatto che il team è riuscito a osservare strutture organiche in ossa che giacevano da quasi cento anni nelle teche di un museo, si suppone ora che anche in altri reperti sparsi per il mondo si possa trovare qualcosa di simile o addirittura di più dettagliato. E che potrebbe riservare altre eclatanti sorprese.


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