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sabato 25 luglio 2015

LA STELLA



Stella stellina
la notte si avvicina
la fiamma traballa
la mucca è nella stalla
la mucca e il vitello
la pecora e l'agnello
la chioccia e il pulcino 
ognuno il suo bambino
ognuno con la sua mamma
e tutti fan la nanna



Una stella è un corpo celeste che brilla di luce propria. In astronomia e astrofisica il termine indica uno sferoide luminoso di plasma che genera energia nel proprio nucleo attraverso processi di fusione nucleare; tale energia è irradiata nello spazio sotto forma di radiazione elettromagnetica, flusso di particelle elementari (vento stellare) e neutrini. Buona parte degli elementi chimici più pesanti dell'idrogeno e dell'elio (i più abbondanti nell'Universo) vengono sintetizzati nei nuclei delle stelle tramite il processo di nucleosintesi.

La stella più vicina alla Terra è il Sole, sorgente di gran parte dell'energia del nostro pianeta. Le altre stelle, ad eccezione di alcune supernovae, sono visibili solamente durante la notte come dei puntini luminosi, che appaiono tremolanti a causa degli effetti distorsivi (seeing) operati dall'atmosfera terrestre.

Le stelle sono oggetti dotati di una massa considerevole, compresa tra 0,08 e 150–200 masse solari. Gli oggetti con una massa inferiore a 0,08  sono detti nane brune, corpi a metà strada tra stelle e pianeti che non producono energia tramite la fusione nucleare, mentre non sembrano esistere, almeno apparentemente, stelle di massa superiore a 200, per via del limite di Eddington. Sono variabili anche le dimensioni, comprese tra i pochi km delle stelle degeneri e i miliardi di km delle supergiganti e ipergiganti, e le luminosità, comprese tra 10−4 e 106 - 107 luminosità solari.

Le stelle si presentano, oltre che singolarmente, anche in sistemi costituiti da due (stelle binarie) o più componenti (sistemi multipli), legate dalla forza di gravità. Un buon numero di stelle convive in associazioni o ammassi stellari (suddivisi in aperti e globulari), a loro volta raggruppati, insieme a stelle singole e nubi di gas e polveri, in addensamenti ancora più estesi, che prendono il nome di galassie. Numerose stelle possiedono inoltre uno stuolo più o meno ampio di pianeti.

Nel corso della storia numerosi filosofi, poeti, scrittori e musicisti si sono ispirati al cielo stellato per la realizzazione delle loro opere e, in diversi casi, si sono interessati direttamente allo studio dell'astronomia.

Il termine "stella" è stato oggetto di numerose etimologie e interpretazioni da parte dei linguisti. Sino agli inizi del XX secolo due erano le etimologie prevalenti: la prima, proposta dal tedesco Adalbert Kuhn, sosteneva che "stella" derivasse dal latino stella (originariamente sterla), forma sincopata di sterula, che a sua volta deriverebbe dall'ittita shittar e dal sanscrito सितारा (sitara), la cui radice sit- è comune col verbo che significa spargere; secondo quest'etimologia "stella" significherebbe sparsa (per il firmamento). Altri studiosi a lui contemporanei ritenevano che il termine derivasse invece da un arcaico astella, a sua volta derivato dal greco ἀστήρ (astér, in latino astrum), che mantiene la radice indoeuropea as-, di accezione balistica; secondo questa seconda etimologia "stella" significherebbe che scaglia (raggi di luce).

Attualmente i linguisti propendono per due alternative etimologie. La prima tende a far derivare il termine da una radice protoindoeuropea, h₂stḗr, da una radice h₂Hs- che significherebbe ardere, bruciare; in alternativa, il termine deriverebbe da una parola sumera o babilonese, riconoscibile anche nel nome della dea Ištar, con cui si indicava il pianeta Venere.

Nell'avvicendarsi delle epoche storiche furono molti i filosofi, i poeti, gli scrittori e persino i musicisti a ispirarsi al cielo stellato; in diversi casi, essi stessi si sono interessati in prima persona allo studio dell'astronomia, con riscontri nelle loro opere.

Numerosi sono i riferimenti sulle stelle fatti da importanti letterati dell'antichità greca e romana. Secondo l'astronomo Kenneth Glyn Jones, il primo riferimento conosciuto alle Pleiadi, un famoso ammasso aperto nella costellazione del Toro, è una citazione di Esiodo, risalente circa all'XI secolo a.C. Omero ne fa menzione nell'Odissea, mentre nella Bibbia compaiono addirittura tre riferimenti.
Numerosi intellettuali del periodo scrissero inoltre opere incentrate sull'astronomia; basti pensare ad Arato di Soli, autore dei Fenomeni, al Somnium Scipionis, parte del VI libro del De re pubblica ciceroniano, o ancora a Marco Manilio e il poemetto didascalico Astronomica, alle Naturales Quaestiones di Seneca, o a Claudio Tolomeo e al suo Almagesto, il più completo catalogo stellare dell'antichità.

Durante l'epoca medioevale si classificava l'astronomia come una delle arti del quadrivio, assieme all'aritmetica, alla geometria e alla musica. Dante Alighieri, nella Divina Commedia, ha trattato diversi aspetti del sapere dell'epoca, indugiando particolarmente sulle conoscenze astronomiche del tempo; le tre cantiche del poema inoltre terminano con la parola "stelle": infatti esse, quali sede del Paradiso, sono per Dante il naturale destino dell'uomo e della sua voglia di conoscenza, tramite il suo sforzo a salire a guardare verso l'alto.

Altri importanti letterati, quali Giacomo Leopardi, si occuparono nelle loro opere di argomenti inerenti ad aspetti astronomici; il poeta di Recanati è autore nei suoi componimenti di un gran numero di riferimenti astronomici, come ad esempio in Canto notturno di un pastore errante dell'Asia o in Le ricordanze; inoltre scrisse, durante la sua gioventù, un poco noto trattato intitolato Storia dell'astronomia. Celebre l'aforisma di Emerson: "Aggancia il tuo carro a una stella". Riferimenti astronomici sono presenti anche in diverse liriche del Pascoli (come in Gelsomino notturno), in Giuseppe Ungaretti (che compose una poesia intitolata Stella) e nel romanzo Il piccolo principe di Antoine de Saint-Exupéry.
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Nell'epoca romantica la musica, come del resto le altre arti, poneva il suo fondamento su tutti gli episodi in grado di scatenare nell'animo umano quelle forti sensazioni che prendono il nome di "sublime"; in particolare la vista del cielo stellato influì sulla creazione dei cosiddetti Notturni, i più importanti dei quali furono composti dal polacco Fryderyk Chopin (che ne scrisse 21). Diversi altri riferimenti astronomici sono presenti nelle opere per pianoforte e nella sesta sinfonia di Beethoven. Il genere del Notturno non si esaurì con il Romanticismo, ma proseguì nell'età postromantica; il riferimento importante è dato dai due Notturni nella settima sinfonia di Gustav Mahler e nelle atmosfere notturne ricorrenti nei poemi di Richard Strauss, in particolare nella Sinfonia delle Alpi.

Nel campo delle arti figurative è sufficiente pensare a Leonardo da Vinci per comprendere le innumerevoli affinità tra scienza e arte e, sebbene Leonardo non si sia interessato di astronomia, nelle sue ricerche riuscì comunque ad abbracciare concetti scientifici inerenti alla natura dell'Universo comparandoli ad altri più "umanistici" sulla natura umana. Altri artisti, quali Albrecht Durer, Étienne L. Trouvelot, Giacomo Balla, Maurits C. Escher, furono persino spinti ad approfondire gli studi astronomici per rappresentarne i concetti scientifici nelle loro opere. Anche Salvador Dalí restò fortemente influenzato dagli sconvolgimenti teorici arrecati alla fisica primo novecentesca da parte della teoria della relatività di Einstein. Altri ancora, come Giotto, Vincent van Gogh e Joan Miró, subirono il fascino irresistibile della volta celeste e, semplicemente, vollero rappresentare il cielo stellato sulla tela o nelle elaborazioni stilistiche a loro più congeniali.

Da tempo immemore le stelle trovano spazio nella cultura popolare. Sebbene le conoscenze popolari del cielo fossero piuttosto ridotte e commiste con numerose leggende, sia risalenti all'epoca precristiana, ma ancora più spesso legate alla religione cattolica, esse avevano un certo grado di complessità e rappresentavano, per così dire, la continuazione di quel sapere astronomico risalente alla preistoria e profondamente legato alla scansione temporale delle attività lavorative nel corso dell'anno.

Per questo motivo alcuni astri assunsero nomi particolari a causa della loro utilità pratica: il pianeta Venere, ad esempio, considerato una vera e propria stella, era denominato stella bovara perché il suo apparire coincideva con l'inizio della giornata lavorativa dei pastori; Marte (o forse Antares, nella costellazione dello Scorpione) era invece detto la rossa e segnava il termine della mietitura, mentre Sirio era la stella delle messi poiché ricordava, in base al momento e alla posizione in cui appariva, il tempo della semina autunnale o primaverile.

L'apparizione delle comete, considerate vere e proprie stelle, era un avvenimento piuttosto raro, ma quando si verificava era considerato un cattivo presagio, che suscitava sempre apprensioni e angosce. Nella tradizione popolare cristiana, invece, esse hanno assunto una valenza positiva: basti pensare alla Stella di Betlemme, tradizionalmente considerata una cometa, che si ritiene abbia guidato i re magi sino a Betlemme, dove sarebbe nato Gesù. Anche le meteore, popolarmente dette stelle cadenti, rivestivano un ruolo particolare nella cultura popolare: erano infatti considerate un buon auspicio, in particolar modo quelle che comparivano nella notte di San Lorenzo, ovvero le Perseidi.

Al giorno d'oggi, specialmente nei Paesi industrializzati o in via di forte sviluppo, questo stretto contatto fra la cultura popolare e la volta celeste si è perso, soprattutto a causa del sempre più crescente inquinamento luminoso. Nonostante diverse amministrazioni regionali stiano prendendo provvedimenti per cercare di arginare questa forma di inquinamento, oggi è molto difficile osservare le stelle dai centri urbani; pertanto l'unico modo per compiere delle buone osservazioni resta quello di recarsi quanto più lontano possibile dalle luci cittadine, in luoghi dove gli effetti dell'inquinamento luminoso si facciano sentire il meno possibile.

Dal punto di vista geometrico il Pentagramma - chiamato anche Pentalfa, Pentacolo, Pentacolo di Agrippa, Stella del microcosmo, Stella di luce, Stella dei Magi, Stella dell’Iniziazione - è un segno benefico che raffigura il corpo umano a braccia e gambe aperte.
Il pentagramma è anche conosciuto come Piede dei Druidi perché veniva utilizzato come protezione proprio contro i Druidi e le streghe.
Simbolo antichissimo e potente dai molteplici significati, presso gli antichi Egizi era l'immagine di Horus, figlio del Sole e di Iside, incarnava la materia prima, il Fuoco sacro, la sorgente inesauribile di vita e il germe universale di tutti gli esseri.
In poche parole possiamo definire il Pentagramma come "il simbolo" per eccellenza dell’uomo-microcosmo.
Per la Magia tradizionale, il Pentagramma è un accentratore di potenza, felicità e amore. Esso rende sicuri si sè e sospinge verso la meta migliore, modera e contiene gli istinti dell'uomo amplificandone la genialità: è il simbolo di quell'energia capace di dominare le potenze demoniache e le attrazioni elementari.
Con Pitagora rappresentava il simbolo della salute, nel Medio Evo molti autori importanti adornavano le prime pagine dei loro manoscritti con Stelle a cinque punte: credevano così di riuscire a garantirsi il successo della propria opera e pensavano gli conferisse il dominio totale sugli spiriti della natura.
In esoterismo rappresenta una stella che possiede forze segrete che possono essere utilizzate per il raggiungimento dei propri obiettivi e per realizzare i desideri.
Il Pentagramma è anche uno dei simboli principali dell’occultismo, del satanismo e della Massoneria: è noto, infatti, che satanisti e streghe amino il Pentagramma. Esso è sempre stato usato nella magia rituale ed è utilizzato anche nella divinazione, per l'evocazione degli spiriti maligni e per invocare l'aiuto demoniaco.
Il Dictionary of Mysticism definisce in questo modo il Pentacolo "è considerato dagli occultisti il mezzo più potente per evocare gli spiriti. Quando la Stella ha la punta diretta verso l'alto, essa è considerata il segno del bene e uno strumento per evocare gli spiriti benevoli; quando la Stella ha la punta in giù e altre due in alto, è il simbolo del male, di Satana, ed è utilizzato per evocare le potenze malefiche".
La concezione massonica conferisce al Pentagramma il significato particolare detto "numero d’oro", oppure "proporzione aurea": è la proporzione ermetica per la quale la parte minore sta in rapporto alla maggiore come la maggiore sta al Tutto.
Per la Libera Moratoria la Stella Fiammeggiante simboleggia, dal punto di vista esoterico, il genio umano, inteso come raggio di Luce divina. Essa rappresenta il Fuoco filosofico degli Alchimisti, ovvero la scintilla vitale comunicata dal Creatore alla materia, ottenuta alchemicamente con l’acciarino o la lente ustoria e non tramite normale combustione.
All’interno della Stella, partecipe della sua luce, si trova spesso la lettera "G" (in lingua latina oppure greca), alla quale sono attribuiti diversi significati: Dio, Grande Architetto dell'Universo, Gloria, Grandezza, Gravitazione, Gnosi, Geometria, Genio e Generazione.


Un altro significato della Stella a cinque punte è l’unione del principio maschile e femminile o l'Essere Androgino, cioè il corpo luminoso, che non ha sesso, tenuto conto che le sue punte sono la somma del tre, simbolo maschile, e del due, il simbolo femminile.
E’ stato associato dalle popolazioni più antiche al pianeta Venere, in quanto se si segnano le posizioni planetarie di Venere lungo i 360° del cerchio zodiacale, la figura che si forma è proprio un pentagramma perfetto.
È in Mesopotamia che per la prima volta troviamo il pentagramma, di solito inciso su tavolette o frammenti di coccio come segno fonetico, ma anche come fregio delle vesti di alcune divinità, con diversi significati, forse connesso alle cinque direzioni spaziali – avanti, dietro, sinistra, destra e "in alto" – e ai cinque pianeti Giove, Mercurio, Marte, Saturno e Venere.
A Roma troviamo il pentagramma in una serie di monete dell’età repubblicana associato a simboli come capitelli corinzi, squadre, basamenti di colonne e altri oggetti che fanno pensare ad un collegamento della stella con la professione del costruttore.
Nel Rinascimento, il periodo del ritorno di Platone e del neoplatonismo, si afferma il principio base della magia naturalis, quello della simpateia tra simile e simile, tra microcosmo e macrocosmo: “ciò che è in basso è come ciò che è in alto, e ciò che è in alto è come ciò che è in basso, per le meraviglie di una cosa unica”, come recita l’incipit della Tavola di Smeraldo attribuita ad Ermete Trismegisto. Ed è proprio in questo contesto che come simbolo dell’uomo-microcosmo ritroviamo il pentagramma accostato alla figura umana a braccia e gambe spiegate che appunto ricorda la forma di una stella a cinque punte. In tal guisa, ad esempio, è conosciuto anche come Pentagramma di Agrippa, dal nome del filosofo Heinrich Cornelius Agrippa von Nettesheim (1486-1535) che nel "De Occulta Philosophia" del 1533, inserisce l’immagine di un uomo inscritto in un doppio cerchio circondato dai simboli planetari di Marte, Giove, Saturno, Mercurio e Venere; gli arti e la testa sono collegati da linee che formano appunto un pentagramma.
Altro esempio lo troviamo nel famosissimo Uomo Vitruviano di Leonardo Da Vinci (1452-1519). Nel famoso disegno Leonardo da Vinci sviluppa, dandone completa esemplificazione grafica, le affermazioni del De architectura di Vitruvio circa le proporzioni tra le parti del corpo umano. E l’idea di rintracciare nella stessa realtà fisica dell'uomo leggi numeriche e geometriche perfette trova giustificazione proprio in un clima culturale - quello dell'Umanesimo e del Rinascimento - in cui l'individuo era considerato artefice del proprio destino e misura di tutte le cose.
Se si disegnano tutte le diagonali possibili di un pentagono regolare fino ad ottenere una stella a 5 punte, misurando i segmenti che si ottengono dall'intersezione reciproca delle diagonali, si determina che l'intera diagonale sta alla parte maggiore come la stessa parte maggiore sta 1,618  e che è convenzionalmente indicato dalla lettera greca Φ (phi). La parte maggiore è la "sezione aurea" del segmento che costituisce la diagonale intera. Questa proporzione e il numero che la rappresenta si trova un po’ dappertutto in natura, tanto che gli antichi pensavano che fosse stato stabilito dal Creatore dell'universo. I  primi scienziati la chiamarono infatti " proporzione divina". Anche nella sequenza di Fibonacci (1170-1250), in cui la somma di due termini adiacenti è uguale al termine successivo, il quoziente di due numeri adiacenti tende sorprendentemente al valore 1, 618.
Sia le sue proprietà geometriche e matematiche, che la frequente riproposizione in svariati contesti naturali, apparentemente slegati tra loro, hanno impressionato nei secoli la mente dell'uomo, che è arrivato a cogliervi col tempo un ideale di bellezza e armonia, spingendosi a ricercarlo e, in alcuni casi, a ricrearlo nell'ambiente antropico quale canone di bellezza.
Ma il numero d’oro e la divina proporzione prima ancora di ritrovarli applicati nell’architettura, sono nel corpo umano, anzi è stato proprio il corpo umano tanto bene proporzionato e armonizzato a servire da modello all’architettura. Quindi la stella a cinque punte possiamo considerarla una trasposizione in geometria del rapporto armonico che è nell’uomo e a questo pensò Agrippa di Nettesheim quando disegnò l’uomo microcosmo e Leonardo da Vinci, anch’egli forse un iniziato, con l’uomo Vitruviano o Homo ad circulum e ad quadratum.
Nell’antichità, Egizi e Greci avevano scoperto questa quantità in natura, e la utilizzarono nell’arte, in architettura e nella filosofia. Ritenevano che il rapporto aureo rappresentasse la proporzione ideale tra parti del corpo come il viso e il tronco, o tra gli arti ed il corpo intero; fu perciò usata come guida per riprodurre accuratamente la figura umana nella pittura e nella scultura.
Nel "tempio dell'Uomo", Scwaller de Lubicz (1887-1961), archeologo ed esoterista nel contempo, mostra il Tempio di Luxor in Egitto come l'applicazione architettonica dell'essere umano, con le sue proporzioni ed armonie dettate dalla sezione aurea.
La Grande Piramide, Il Tempio di Luxor, la Cattedrale di Chartres, il Tempio di Salomone e la successiva Moschea di Al Aqsa, Anhkor Vat in Cambogia, le zigurrat babilonesi, il Partenone greco, Castel del Monte in Puglia, Pievi e Magioni Templari, antiche Abbazie cistercensi e benedettine, sono solo alcuni dei tanti edifici di culto costruiti secondo i dettami dell’antica arte di Thot: la Sacra Geometria.
La sezione aurea risulta indissolubilmente connessa con la geometria pentagonale dove emerge ovunque si propone: la possiamo trovare nel rapporto fra il lato BC e la sua diagonale AB, ma anche fra AB e BD (o AC’) e fra AD e AC’, e a sua volta AD e DC’, e in un’infinità di relazioni simili, se immaginiamo che nel pentagono centrale possiamo iscrivere una nuova stella o pentagramma, la quale produrrà a sua volta un nuovo pentagono centrale in cui ripetere l'iscrizione del pentagramma e così via.
Sia le proprietà geometriche e matematiche di questo rapporto, che la frequente riproposizione in svariati contesti naturali, apparentemente slegati tra loro, hanno impressionato nei secoli la mente dell'uomo, che è arrivato a cogliervi col tempo un ideale di bellezza e armonia, spingendosi a ricercarlo e, in alcuni casi, a ricrearlo nell'ambiente antropico quale canone di bellezza; testimonianza ne è forse la storia del nome che ha assunto gli appellativi di "aureo" e "divino".
E proprio perché il pentagramma ha la particolarità che tutti i suoi segmenti sono una applicazione del rapporto aureo, è stato fin dai tempi più antichi assunto a perfetto simbolo dell’armonia, della bellezza e della perfezione associato anche alla dea Venere e al femminino sacro, anche se il rapporto si trova in diverse altre figure geometriche, in particolare il rettangolo e il triangolo.
Furono probabilmente i Babilonesi a scoprire le prime proprietà geometriche del pentagramma, ma la prima civiltà a definire il rapporto aureo fu quella ellenica. Possiamo infatti far risalire la scoperta attorno al VI secolo a.C., nell’Italia Meridionale, presso la scuola pitagorica, ove, riferisce Giamblico, presumibilmente Ippaso di Metaponto ne scoprì l’esistenza. E i Pitagorici, appartenenti ad una scuola filosofica che poneva il numero come struttura base dell’essere, affascinati dalle peculiarità geometriche del pentagramma, i cui lati si intersecano sempre secondo la sezione aurea, lo scelsero proprio per emblema e ne fecero il centro delle loro meditazioni, in quanto lo consideravano simbolo di ordine e di perfezione.
Ma fu Euclide, intorno al 300 a.C., a lasciare la più antica testimonianza scritta oggi disponibile sull'argomento, precisamente nel XIII° libro dei suoi Elementi, ove, a proposito della costruzione del pentagono, fornisce la definizione di divisione di un segmento in quella che definisce "media e ultima ragione"(gr. ἄκρος καὶ μέσος λόγος).
Tale divisione è basata sul semplice concetto di medio proporzionale: un segmento AB è infatti diviso in media e ultima ragione dal punto C' se il segmento AC' ha con AB lo stesso rapporto che C'B ha con esso.
Dal declino del periodo ellenico passarono circa mille anni prima che la sezione aurea tornasse nuovamente a intrigare le menti dei matematici.
È il 1202, l’anno in cui Leonardo Fibonacci (1170-1250) pubblica il suo Liber abaci, il libro col quale si diffonderanno in Europa le cifre indo-arabe, e nel quale introduce il concetto di successione ricorsiva, ovvero la famosa sequenza in cui ogni termine è la somma dei due precedenti:
0, 1, 1, 2, 3, 5, 8, 13, 21, 34, 55, 89,
ma in realtà Fibonacci pone un problema per la cui soluzione occorre calcolare i primi 12 termini della successione che oggi porta il suo nome e non fa alcuna considerazione sulla successione infinita.
Ma ad insaputa dello scopritore, anche la successione che porta il suo nome è indissolubilmente legata alla sezione aurea, in quanto, il quoziente di due numeri adiacenti tende sorprendentemente al valore 1,618.
Un rinnovato interesse per il numero aureo si ebbe in un periodo di fervente rinascita culturale, il Rinascimento, e particolarmente lo si deve ad un libro, il “De Divina proporzione”,  del matematico Luca Pacioli (1445- 1514 o 1517), pubblicato a Venezia nel 1509, corredato di disegni di solidi platonici di Leonardo da Vinci, con il quale si divulgava a una più vasta platea di intellettuali l'esistenza del numero d’oro e delle sue innumerevoli proprietà, fino ad allora appannaggio soltanto di una ben più ristretta cerchia di specialisti. Il medesimo libro scalzava inoltre la definizione euclidea di proporzione media ed estrema, reinventandone una completamente nuova di proporzione divina, dove l'aggettivo “divina” è dovuto ad un ardito accostamento tra l’irrazionalità del numero che lo rende compiutamente inesprimibile per mezzo di una ratio o frazione, e l'inconoscibilità del divino per mezzo della ragione umana. Ma il termine divino potrebbe essere inteso anche in un'altra accezione, che forse era stata intuita già dagli antichi, perché la sua ricorrenza in natura, e in particolare nei suoi aspetti più armonici, dimostrerebbe che la misteriosa magia della proporzione divina è stata scritta all’inizio dei tempi, che è uno dei mattoni usati da un principio creatore e che pertanto c’è un ordine sotto l’apparente caos. Ma se l’aggettivo “divina”  si deve al Pacioli non è altrettanto certa l'origine della denominazione “aurea” con la quale è comunemente conosciuta, e, anche se è diffusa l’opinione che tale denominazione fosse in auge fin dall'antica Grecia, studiosi di storia della matematica la collocano più verosimilmente attorno al XV° - XVI° secolo, mentre la prima testimonianza scritta rintracciabile sembra risalire addirittura al 1835 nel libro Die Reine Elementar-Mathematik, del matematico tedesco Martin Ohm.
Del rapporto tra i due argomenti, sequenza di Fibonacci e numero aureo, sfuggito anche al Pacioli, si accorse invece Keplero nel 1611 che, quale astronomo, la ricercò nell'architettura dell'universo: non a caso concettualizzò un modello eliocentrico in cui le orbite dei pianeti erano inscritte e circoscritte in solidi platonici e di conseguenza legate alla divina proporzione.
Ma quello che più ha affascinato la mente umana fin dai tempi più antichi è il fatto che le proporzioni del Φ (phi) o numero d’oro si ritrovano un po’ ovunque in natura, nei luoghi più impensati, e creano una sensazione di armonia e di bellezza.
E’ stato individuato nella disposizione dei petali di una rosa, dei semi nelle mele, nella forma a spirale di alcune conchiglie, nella forma dei cicloni, negli ammassi di galassie, persino nella doppia elica del DNA e nel corpo umano. E poiché l’uomo ha sempre cercato di imitare la perfezione della natura, non ci deve sorprendere il fatto che quasi tutte le antiche costruzioni rispettassero la divina proporzione: i pitagorici parlano di “euritmia” delle costruzioni architettoniche basate sul numero d’oro che dà senso di proporzione e bellezza anche a colui che non lo conosce.
Infatti non abbiamo la certezza che la sezione aurea e il numero che la definisce fossero conosciuti da civiltà precedenti a quella greca, eppure secondo alcuni studiosi si ritrova anche in alcuni dei massimi templi costruiti dagli antichi egizi, come la Piramide di Cheope e il tempio di Luxor.
Ora nella Piramide di Cheope, ad esempio, il rapporto tra la base (230 metri) e l’altezza (145 metri) è pari a 1,58, molto vicino a 1,6. Non si esclude tuttavia che si potrebbe trattare di un tentativo un po’ forzato di ritrovare anche qui il numero aureo e si sa quanto si è elucubrato sui numeri della grande piramide..
L’egittologo ed esoterista francese René Adolphe Schwaller de Lubicz (1887-1961)nel suo capolavoro,”Il tempio dell’uomo”, dimostra che il tempio di Luxor è di un’enorme complessità geometrica e che si tratta di una rappresentazione simbolica di un uomo, una sorta di gigantesco geroglifico. Una delle principali intuizioni di  Schwaller è  che il tempio contiene molti esempi della proporzione geometrica nota come sezione aurea.   L’argomento è stato ripreso in tempi più recenti dall’egittologo indipendente John Anthony West con “Il serpente celeste”.
La Grande Piramide, Il Tempio di Luxor, il Tempio di Salomone e la successiva Moschea di Al Aqsa, Anhkor Vat in Cambogia, le zigurrat babilonesi, l’arco di Costantino, il Partenone, Castel del Monte in Puglia, Pievi e Magioni Templari, antiche Abbazie cistercensi e benedettine, la Cattedrale di Chartres e quella di Notre Dame di Parigi, sono solo alcuni dei tanti edifici di culto costruiti secondo i dettami dell’antica arte di Thot, la Sacra Geometria, e in tutte sarebbe rintracciabile il rapporto aureo, così come in molte costruzioni recenti, quali il Palazzo dell’ONU e alcune opere di Le Corbusier.
Ma il numero d’oro e la divina proporzione prima ancora di ritrovarli applicati nell’architettura, sono nel corpo umano, anzi è stato proprio il corpo umano tanto bene proporzionato e armonizzato a servire da modello all’architettura. Si riteneva infatti che il rapporto aureo rappresentasse la proporzione ideale tra parti del corpo come il viso e il tronco, o tra gli arti ed il corpo intero; fu perciò usata come guida per riprodurre accuratamente la figura umana nella pittura e nella scultura.
E al rapporto armonico che è nell’uomo pensarono sia Agrippa di Nettesheim, quando disegnò l’uomo microcosmo, sia Leonardo da Vinci, anch’egli forse un iniziato, con l’uomo Vitruviano o Homo ad circulum e ad quadratum.
Heinrich Cornelius Agrippa von Nettesheim (1486-1535) nel "De Occulta Philosophia" del 1533 inserisce l’immagine di un uomo inscritto in un doppio cerchio circondato dai simboli planetari di Marte, Giove, Saturno, Mercurio e Venere, con braccia e gambe spiegate, e gli arti e la testa collegati da linee che formano un pentagramma.
E nel famosissimo Uomo Vitruviano Leonardo Da Vinci (1452-1519), sviluppa, dandone completa esemplificazione grafica, le affermazioni del De architectura di Vitruvio circa le proporzioni tra le parti del corpo umano. La persona è inscritta in un quadrato e in un cerchio. Nel quadrato, l'altezza  dell'uomo (AB) è pari alla distanza (BC) tra le estremità delle mani con le braccia distese . La retta x-y passante per l'ombelico divide i lati AB e CD esattamente in rapporto aureo tra loro. Lo stesso ombelico è anche il centro del cerchio che inscrive la persona umana con le braccia e gambe aperte.
E Leonardo da Vinci sarebbe stato profondamente affascinato dalla sezione aurea tanto da riprodurla in altre sue opere, in particolare La Gioconda, la Vergine delle rocce, l’Ultima Cena, mentre il Botticelli l’avrebbe utilizzata nella Venere.
E l’idea di rintracciare nella stessa realtà fisica dell'uomo leggi numeriche e geometriche perfette trova giustificazione proprio in un clima culturale - quello dell'Umanesimo e del Rinascimento - in cui l’uomo è considerato artefice del proprio destino e misura di tutte le cose.
Dunque la proporzione aurea, scoperta dagli antichi in natura, è stata utilizzata nell’arte e nell’architettura, benché non si possa essere certi che il suo uso sia stato sempre premeditato.
Non solo, c'è chi ha rintracciato il rapporto aureo pure in letteratura, più specificatamente in poesia, come principio organizzatore della struttura ritmica che dona al componimento le sue decantate doti di armonia, e nella musica, ove la struttura di molte partiture musicali che suonano istintivamente "armoniose" rispecchierebbe la sezione aurea, anche se si tratta di interpretazioni molto controverse.
Quel che è innegabile è che per secoli la magia, il fascino, la perfezione della sezione aurea ha ispirato intere generazioni di artisti e architetti, ma anche di musicisti, letterati, psicologi e mistici, ha appassionato comunità scientifiche di ogni tempo e di ogni angolo del mondo ed è apparso come simbolo dell’Armonia e della Bellezza dell’universo.
Secondo alcuni indica la chiara intelligenza dietro la creazione, secondo altri non rappresenta proprio nulla, perché, anche se è innegabile che essa tenda a mostrarsi un po’ ovunque, si tratterebbe solo di coincidenze.



La stella è da sempre uno dei simboli più amati e preferiti come tema per il tatuaggio, anche per questo motivo è uno di quei tattoo a cui vengo associati molti significati.

Uno dei significati attribuiti alla stella è un desiderio interiore di diventare proprio come una stella o comunque di raggiungere la felicità sopratutto per il suo dare luce, essere fonte di luce e di speranza.

Un altro significato è l’aver raggiunto un proprio obiettivo o aver avverato un proprio sogno.

In alcune culture una stella significava una nuova nascita, un matrimonio, un evento importante e decisivo o il desiderio di cambiare al meglio la propria vita.

L’idea di associare alle stelle amici e familiari dapprima era stata associata solo ai rami di fiori di pesco, mentre ora viene associata anche alle stelle, con la conseguente creazioni di vere e proprie “vie latee” parentali sulla pelle.

La stella è tipica della Old School americana, classico elemento tatuato sul corpo dei marinai anche per via della simbologia navale che le è stata attribuita.

Anche il numero delle punte della stella può racchiudere un diverso significato in base al numero delle stesse:

la stella a 4 punte simboleggia l’asse del mondo e si raffigura come una croce sempliceo con le punte molto aguzze.
la stella a 5 punte è la forma che troviamo in natura, in alcuni fiori e in animali come la stella marina.
la stella a 6 punte o esagramma è conosciuta come Stella di Davide o Sigillo di Salomone, rappresenta l’unione del Cielo con la Terra, l’equilibro fra divino e umano, l’evoluzione.
la stella a 7 punte o septagramma è conosciuta anche come stella delle fate e rappresenta la magia, l’infansia e la capacità di comunicare con il mondo magico.
la stella ad 8 punte era l’emblema dei Cavalieri di Malta ed era diffusa anche fra i Crociati.
la stella a 9 punte è un simbolo magico collegato alla dèa madre, nella mitologia dei popoli scandinavi rappresentava i nove Mondi, per gli esoteristi rappresenta la fine di un ciclo, per altri è simbolo di perfezione.



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martedì 14 luglio 2015

LA TRINACRIA



La storia della Trinacria è articolata e per alcuni versi ancora avvolta nel mistero, o comunque nella indeterminatezza, poichè si ricollega alla mitologia. La trinacria, simbolo della Sicilia, è composta dalla testa della Gorgone, i cui capelli sono serpenti intrecciati con spighe di grano, dalla quale di irradiano tre gambe piegate all'altezza del ginocchio. La Gorgone è un personaggio mitologico, che secondo il poeta greco Esiodo (VIII - inizio VII sec. a.C.) era ognuna della tre figlie di Forco e Ceto, due divinità del mare: Medusa (la gorgone per antonomasia), Steno ("la forte"), Euriale ("la spaziosa"). 

Avevano zanne di cinghiale, mani di bronzo, ali d'oro, serpenti sulla testa e nella vita, abitavano presso le Esperidi (figlie di Atlante, abitanti presso l'isola dei Beati, nella parte più occidentale del mondo), ed erano in grado, con uno sguardo, di pietrificare gli uomini. Le spighe di grano sono simbolo della fertilità del territorio. Le tre gambe rappresentano i tre promontori, punti estremi dell'isola - capo Peloro (o punta del Faro, Messina: Nord-Est), capo Passero (Siracusa: Sud), capo Lilibeo (o capo Boeo, Marsala: Ovest) - la cui disposizione, si ritrova nel termine greco triskeles, e si ricollega al significato geografico: treis (tre) e akra (promontori): da cui anche nel latino triquetra ("a tre vertici"). 

La disposizione delle tre gambe, facendo pensare a una rotazione, ha portato gli studiosi a risalire fino alla simbologia religiosa orientale, in particolare quella del dio del Tempo Baal (nel cui monumento a Vaga (Beja, in Tunisia), sopra il toro, vi è una trinacria) - oppure a quella della luna, dove le tre gambe sono sostituite da falci. In Oriente - in Asia Minore - tra il VI e il IV secolo a.C. la trinacria fu incisa nelle monete di varie città, in antiche regioni, quali: Aspendo (in Panfilia: sul Mediterraneo orientale), Berrito e Tebe (nella Troade: territorio intorno alla città di Troia, tra lo Scamandro e l'Ellesponto), Olba (in Cilicia; tra Armenia e Siria), e in alcune città della Licia (Sud-Ovest, sul mare).




Omero, nella Odissea, alludendo alla forma dell'isola, utilizza il termine Thrinakie, che deriva da thrinax ("dalle tre punte"). La tesi sulle origini della trinacria trovano un riferimento sostanziale nella storia della Grecia antica. I combattenti spartani incidevano nei loro scudi una gamba bianca piegata all'altezza del ginocchio: simbolo di forza. Questa immagine si ritrova nei dipinti sui vasi antichi, ed è anche in una monografia del 1863 sull'argomento, scritta dal filosofo tedesco K.W. Goettling. 

I normanni, arrivati in Sicilia nel 1072, "esportarono" la trinacria nell'isola di Man, che la scelse come simbolo in sostituzione di quello precedente - un vascello - di origine scandinava. Un esempio della rilevanza simbolica della trinacria, nella storia della Sicilia, si è avuta il 30 agosto del 1302 con la costituzione dell'Isola in regno di Trinacria, a seguito della pace di Caltabellotta, alla conclusione della guerra del Vespro, che vide la contesa tra gli angioini e i siciliani ai quali si allearono gli aragonesi. La sovranità del Regno era, dal punto di vista formale, assegnata a Federico II d'Aragona (1227-1337); di fatto era indipendente dal resto dei possedimenti aragonesi nell'Italia meridionale. 

La trinacria è presente anche negli stemmi di varie dinastie nobili quali gli Stuart d'Albany d'Inghilterra, (forse derivato proprio dal loro dominio su isole del mare d'Irlanda, tra cui l'isola di Man), i Rabensteiner di Francia, gli Schanke di Danimarca, i Drocomir di Polonia, e in quello di Gioacchino Murat, re delle Due Sicilie all'inizio del 1800. La trinacria è al centro della bandiera della Sicilia, di colore rosso e giallo in senso diagonale, approvata nel gennaio 2000. La legge stabilisce che la bandiera siciliana sia esposta all'esterno del Parlamento siciliano (Assemblea regionale siciliana), della sede della Giunta regionale, delle sedi dei consigli provinciali e comunali, delle sedi dei presidenti delle provincie regionali e dei sindaci dei comuni, le sedi degli istituti scolastici di ogni ordine e grado, gli edifici in cui sono costituiti seggi elettorali in occasioni delle elezioni per il rinnovo del Parlamento siciliano. 

E’ una tipica usanza siciliana quella di decorare vasi e tempi, case e ville con delle “teste” o maschere che vogliono allontanare, scongiurare e respingere gli influssi maligni, e dunque la trinacria è un simbolo portafortuna.

La Trinacria è un simbolo che gli studiosi attribuiscono al mondo religioso orientale: antiche monete, risalenti al VI e IV secolo a.C., provenienti dall’Asia Minore, ci dicono che questo simbolo doveva raffigurare il dio del sole nella sua triplice forma inverno – primavera – estate.

Diffusosi successivamente tramite i greci anche in occidente (ricordiamo che le monete di Atene del VI sec. a.C., le monete di Paestum, Elea, Metaponto, Caulonia riportavano proprio le tregambe), la trinacria arrivò in Sicilia con Agatocle di Siracusa, che usò questo simbolo per le sue monete e forse come sigillo personale.

In epoca romana, al posto di Medusa, una delle tre gorgoni, al centro della trinacria vengono sostituiti i serpenti con le spighe, era noto infatti che la Sicilia era l’antico granaio dell’impero romano, oltre che simbolo di fertilità e prosperità.

La Trinacria è la variante siciliana della Trischele (Trischelis in greco e Triqueta in latino), figura simbolica formata da tre gambe che si diramano da un centro comune e hanno i piedi rivolti nello stesso verso (da destra verso sinistra perché rappresenta il movimento rotatorio del sole). La Triscelle, a sua volta, è analoga al " Triskell" di origine vikinga, simbolo formato da tre S a base triangolare, che è una varietà della doppia spirale celtica. La triscelle, inoltre, rappresenta simbolicamente il Triangolo che, dalla tradizione esoterica viene raffigurato con tre punti, corrispondenti ai tre angoli.

Alla stessa famiglia della Trinacria appartiene la Swastika, con le sue molteplici varianti, simbolo risalente ad almeno 5.000 anni prima di Cristo e diffuso in aree vastissime (Europa, Africa, India, Cina, Giappone, Indonesia, America settentrionale, centrale e meridionale): la Swastika deriva dalla stilizzazione della ruota raggiata ed è un simbolo con molti significati, tutti riferentesi alla simbologia solare ed a quella del Principio divino. Lo stesso termine di Swastika deriva dal sanscritto "svasti", che vuol dire "salute e felicità".

Secondo la tradizione la Swastika è dotata di poteri apotropaici (dal greco apotropaios, "che allontana" il male) e rappresenta la vittoria del Sole, donatore di vita e di luce, sulle tenebre e la mala sorte. Rappresenta altresì la ruota della vita, il movimento rotatorio della sfera celeste ed il continuo divenire delle vicende umane. In Occidente fu, per alcuni secoli, uno degli emblemi del Gesù Cristo.

Ma la Trinacria ha qualcosa di più e precisamente il simbolo del triangolo, del numero tre e quello della Medusa. Secondo la mitologia greca la Medusa è una delle tre Gorgoni (le altre due si chiamavamo Steno e Euriale) che dalla iconografia ufficiale viene generalemnte raffigurata con le seguenti caratteristiche: volto circolare, occhi spalancati, fronte bassa aggrondata, naso schiacciato, bocca aperta con denti sviluppati e ligua pendula. Inoltre la chioma è costituita da numerosissimi serpenti aggrovigliati. Nell’effige posta al centro della Trinacria, invece, non vi è nulla di tutto questo. Infatti il volto umano raffigura un volto femminile regolare, i serpenti sono soltanto quattro, avvolti a due a due in direzione apposta e, particolare interessante, ai lati del volto vi sono due ali di aquila.

Secondo un punto di vista e tenendo presente il fatto che la Trinacria è un simbolo di origine greca e che la mitologia greca in buona parte da quella egizia, si ritiene più esatto interpretare il significato simbolico riferendoci all’esoterismo delle predette civiltà.

Per quel che si riferisce al simbolismo del serpente, per esempio, è noto che, sia nella mitologia greca che in quella egizia, questo rettile rappresentava la capacità di rinascita e di ringiovanire, la continua metamorfosi della Natura, la vera palingenesi. In particolare i serpenti avvolti in direzione opposta rappresentavano il principio dualistico dell’Assoluto, la continua lotta fra il bene ed il male, l’alternarsi della luce e delle tenebre, il simbolo dell’eternità. Questo è quindi il significato del serpente che solo molto più taridi nel mondo ebraico-cristiano assumerà il valore di simbolo del diabolico.

Le ali di aquila rapresentano la forza vitale, il sentimento inteso come passione, la forza dello spirito che prevale sulla materia. Ma questo è solo uno dei significati esoterici della Gorgone. Essa in effetti, a causa di una trasposizione simbolica, assume un ulteriore significato esoterico rapprsentando la trasfigurazione di Atene. 

Questa interpretazione trova conferma nel volume "Mitologia Greca" di L.A. Stella la quale a proposito della Gorgone così si esprime: "… Con la sua belluina faccia, spaventosa maschera ghignante dal satanico sguardo e dalla lingua sporgente, la testa recisa da Perseo: Gorgo, dallo sguardo malefico che impetra, è una concezione mitica vetustissima: Prima che la sua atroce maschera sogghigni con smorfia satanica, fra un selvaggio contorcersi di serpenti, dalle antefisse, dalle terrecotte e dai bronzi votivi di Siracusa, di Camarina, di Olimpia, nello VIII secolo a.C. il Gorgoneion del tempio geometrico di Dreros continua una tradizione mitico-figurativa che risale all’età del bronzo, ed ha i suoi precedenti nella Gorgone "minoica" di Mallia e Creta. Figura non solo del mito, ma del mondo religioso greco, da tempi preistorici, a metà del VI secolo campeggia ancora al centro del frontone di Paleopoli a Corfù…

…Sul finire dell’età arcaica, il Corgoneion per i Greci non è più se non il simbolo di Atena; cinge di invunerabile corazza il petto e le spalle della Parthenos ". 

Il simbolo di Atena. Ecco finalmente svelato il mistero. L’immagine posta al centro della Triscelle aveva dunque questo preciso significato esoterico. Atena, divinità antichissima, apportatrice di civiltà, già venerata fin dall’età del bronzo. Nel mito ellenico Atena è la Parthenos, la Vergine, la "dea" per eccellenza. Nel corso dei secoli l’antico mito è venuto ad assumere il valore di un simbolo. Simbolo ed auspicio di pace, Atena rappresentava per i Greci dell’età classica, la vittoria della coraggiosa intelligenza sulla forza bruta, della civilità sulla barbarie. Insieme alla sua fedele compagna Nike, l’alata dea della Vittoria. Atena è sempre presente ovunque una giusta causa è in pericolo, dovunque vi siano da difendere popoli oppressi, sacrosanti diritti minacciati. Per questo la sua figura, solenne ed austera, nonostante il trascorso lento dei secoli, ha conservato fino ai nostri giorni un fascino innegabile.

Restano adesso solo due aspetti per chiarire il complesso simbolismo contenuto nella Trinacria: sono relativi al triangolo ed al numero tre.

Secondo Jean de Pavilly, illustre cultore di scienze esoteriche, i tre punti simboleggiano il triangolo. Nella tradizione mistico-religiosa esso è la rappresentazione della Trinità, concetto-base presente in quasi tutte le religioni. La Trinità, come è noto, simboleggia il perenne ciclo di energia cosmica che dall’Infinito va al Finito e viceversa. In altre parole il triangolo è l’emblema dell'Essere Supremo. Il Triangolo con il vertice in alto rappresenta il fuoco, la potenza celeste ed è simbolo della perfezione spirituale. A sua vola nella tradizione esoterica il Triangolo è la rappresentazione del "3 ", numero filosofico e sacro, numero di massima saggezza e della perfetta armonia, dell’abbondanza e della fertilità. 

Il totemismo della Trinacria affonda le sue radici nell’insieme dei concetti tradizionali tipiche del popolo siciliano, come ad esempio il culto degli antenati ed i miti delle origini. Come tale è al tempo stesso un simbolo mistico-religioso che si riallaccia direttamente alla religione originaria delle antiche tradizioni ed in particolare al significato delle divinità generatrici.

Fra queste si fa riferimento in primo luogo ai culti dionisiaci, diffusi in tutto il mondo panellenico e nell’Asia Minore. Ecco cosa scrive su Dionysos il Ramorino: "… Era il Dio del vino e della viticultura, ma in senso più generale rappresentava quell’eneergia della natura la quale, per effetto del calore e dell’umido, porta a maturità i frutti delle piante; era quindi una deità benefica per gli uomini e a lei si riferivano tutti i benefici dell’agiatezza, della cultura, dell’ordine morale e civile".

Ancora una volata, quindi, si manifesta l’ultimo rapporto esistente tra il Mito e la Religione, essendo il Mito il nucleo originario di ogni credenza religiosa e la Trinacria, sotto questo profilo, rivela un significato ben preciso: è un simbolo che evoca l’idea di un’esperienza spirituale che si protrae nel tempo e che, a distanza di secoli, riesce a far rivivere, a far sentire nella più intima interiorità dell’individuo il rapporto che esiste fra l’uomo e l’essenza suprema della realtà che lo circonda.

Proprio per questo e pur risalendo ad un’unica, lontanissima, misteriosa origine, i simboli hanno incalcolabile valore pratico anche nel tempo attuale, perchè riescono ad esprimere una sintesi di concetti ci valore assoluto, generale ed eterno.

Ipotesi e storie che spiegherebbero l’uso della Medusa (o di una delle Gorgoni) come parte integrante della figura araldica della Trinacria.

Anche nella formazione dello stemma siciliano, storia e mitologia rinnovano il loro matrimonio, un legame indissolubile reso ancora più forte dall’imponderabilità di tempi ormai remoti.

La posizione delle tre gambe fa pensare al movimento rotatorio di una spirale. Trinacria e spirale (molto di più quest’ultima) sono simboli che si trovano spesso in rappresentazioni africane, mediorientali e asiatiche. Nel Peloponneso, la gamba bianca piegata al ginocchio era anche simbolo di forza e per questo dipinta sugli scudi di alcuni guerrieri spartani.

Secondo un'altra versione sull'origine del nome Trinacria e del suo simbolo, si racconta che i tre promontori ai tre vertici dell'Isola sarebbero sorti grazie a tre ninfe. Queste tre splendide creature vagavano danzando per il mondo prelevando manciate di terra, piccoli sassi e frutti dalle aree più fertili.

Ad un certo punto si fermarono in una regione del Globo che aveva un cielo particolarmente limpido ed azzurro. Lì la danza si fece più elegante, gioiosa e fra un passo e l'altro le tre ninfe gettarono in mare tutto quello che avevano raccolto per il mondo. Il mare si illuminò come un arcobaleno e dalle onde emerse una terra tutta nuova, ricca, profumata, splendente. Aveva la forma di un triangolo in quanto riempì lo spazio fra i promontori che si erano creati proprio lì dove le tre ninfe, danzando, avevano gettato tutto il loro ricco carico.




La triscele che sta alla base del simbolo della Trinacria (tre promontori, dal greco), o Sicilia, è formata dall´unione a spirale di tre gambe, qui stilizzate con motivi di onde per sottolineare il legame della terra con il mare che la circonda. Nell´originale la testa di donna ha come capelli delle spighe, in sostituzione ai serpenti originali, per sottolineare la fertilità. Da qui l´idea di usare come rappresentazione un tiki, simbolo di protezione e fertilità. Le ali rappresentano, in questo simbolo, l´eterno trascorrere del tempo.



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