giovedì 2 giugno 2016

GLI ORCHI

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Orco era il dio degli Inferi nella prima mitologia romana. Come con Ade, il nome del dio è stato utilizzato anche per indicare gli Inferi stessi. Nella tradizione, la sua figura fu associata anche a Dite, per poi confluire in Plutone.

Il termine che lo indica, essendo quasi omofono al greco Horkos ("giuramento"), figlio di Eris, demone punitore dei giuramenti mancati, lo ha portato ad essere confuso anche con quest'ultima divinità.
L'origine di tale divinità è probabilmente etrusca: Orco è ritratto in alcuni affreschi nelle tombe etrusche come un gigante peloso e barbuto. Presso gli etruschi il destino di ogni defunto era di essere condotto in un mondo di patimenti, senza luce e speranza, popolato da creature demoniache, come Tuchulcha (il demone) dal volto di avvoltoio e armato di serpenti, o Charun (Caronte), dal volto deforme che regge un pesante martello, i quali occupavano un ruolo di primo piano come rapitori e carnefici delle anime. In questo quadro, probabilmente trae la sua origine la tetra figura di Orco.

La cosiddetta Tomba dell'Orco, un sito etrusco a Tarquinia, deve il suo nome ad un'ardita attribuzione dei suoi primi scopritori, riconoscendo come tale la figura di un peloso e barbuto gigante, il quale potrebbe essere anche un Ciclope.

Causa il lento disuso di tale divinità, presso la mitologia romana la figura di Orco è spesso identificata, confusa o associata con quella di altre divinità, principalmente Dite e Plutone.

In epoca tardo imperiale viene citato solitamente come sinonimo di Inferi.

Occasionalmente, la sua invocazione distingueva chiaramente le funzioni del dio Plutone-Ade: come dio del sottosuolo, delle ricchezze celate in esso e dei morti, poteva essere visto come generoso padre dispensatore di ricchezze, dunque identificato con Dis Pater (o Pluto), oppure come oscuro e brutale Signore degli Inferi, dunque identificato con Orco (o Ade).

Un tempio di Orco può essere stato presente sul Palatino a Roma. Orco era venerato principalmente nelle zone rurali e non si hanno notizie certe del suo culto ufficiale nelle città.

Questa lontananza gli ha permesso di sopravvivere in campagna molto tempo dopo la cessazione dell'adorazione degli Dei principali. Sopravvisse come figura popolare nel Medioevo, nel quale aspetti del suo culto sono stati trasmutati nella figura del selvaggio, con feste organizzate nelle zone rurali d'Europa perdurate fino ai tempi moderni. Infatti, gran parte di ciò che è noto sulle celebrazioni associate ad Orco provengono da fonti medievali.

Dall'associazione con la morte e con gli Inferi, il termine orcus cominciò ad essere usato anche per altre creature mostruose e ripreso dai bestiari medievali. In particolare, l'italiano orco indica una creatura antropomorfa con connotazioni bestiali, spesso demoniache.

Il termine orco appare nelle opere di Jacomo Tolomei (1290), Fazio degli Uberti e Ristoro Canigiani (1363), il quale ne parla esplicitamente come di uno spauracchio dei bambini.

Una descrizione più accurata lo si ritrova nell'Orlando Innamorato di Matteo Maria Boiardo, quale orrida creatura dalle grandi zanne e coi peli simili a quelle di un cinghiale, grondante del sangue delle sue vittime. Un altro esempio appare nell'Orlando Furioso dell'Ariosto, il quale, evidentemente ispirandosi al Polifemo dell'Odissea, delinea un mostruoso gigante cieco, anche lui con zanne da cinghiale, che divora carne umana; tale orco non deve essere confuso con orca, mostro marino anch'esso presente nell'opera di Ariosto e piuttosto ricollegato all'analogo nel Naturalis Historia di Plinio il Vecchio.

A condividere l'etimologia del termine, nonché questo nuovo uso, vi è anche il francese ogre, riscontrabile nel Perceval ou le Conte du Graal del XII secolo di Chrétien de Troyes. Più celebre è la sua apparizione nelle fiabe di Charles Perrault.

L'inglese orc è invece stato introdotto nell'VIII secolo con il ciclo di Beowulf, che riunisce la mitologia norrena con elementi cristiani e della cultura classica, dove la razza del mostruoso Grendel è descritta come Orc-néas, che sembra significare "cadaveri di Orcus", quindi il termine orcus è l'originale latino e può essere interpretato come sinonimo di Orco o Ade. La stessa dimora di Grendel, un antro subacqueo nascosto in una nebbiosa palude, non è dissimile dalle rappresentazioni dell'Averno.



Orc è stato successivamente ripreso da J. R. R. Tolkien nella sua personale mitologia fantastica, su cui basano le sue opere letterarie.

Il termine orc si trova soprattutto in Beowulf, dove la razza dei non morti di Grendel è descritta come Orc-néas, che sembra significare "cadaveri di Orcus"; il termine Orcus è l'originale latino e può essere interpretato come sinonimo di Plutone o Ade. Gli orchi di Beowulf (Grendel e sua madre) sono esseri metà uomo e metà mostro, che vanno a caccia di notte, e si riparano in una dimora subacquea in fondo a nebbiosi acquitrini (in un'ambientazione che simboleggia in modo piuttosto esplicito il regno degli inferi). Da questo riferimento ha tratto spunto J. R. R. Tolkien per rappresentare la più celebre razza di orchi della letteratura fantasy, quelli della Terra di Mezzo (in alcune traduzioni italiane chiamati "orchetti" proprio per distinguerli dagli orchi del folklore, ogre in inglese). Gran parte della letteratura fantasy trae spunto dagli orchi di Tolkien (e quindi indirettamente da quelli di Beowulf), sebbene non raramente avvengano sovrapposizioni con elementi della tradizione folcloristica europea.

Nel folclore e nelle fiabe dei paesi europei, specialmente nordici, gli orchi sono mostri antropomorfi giganteschi, crudeli e divoratori di carne umana.

L'orco del folclore è correlato a quello della mitologia germanica; non sempre è possibile distinguere chiaramente queste due figure, sebbene l'orco della mitologia sia in generale un essere descritto come più simile a una bestia o a un demone. Gli orchi nel fantasy sono talvolta ispirati alla figura dell'orco del folclore (per esempio gli orchi di Piers Anthony), e talvolta a quella dell'orco della mitologia (gli orchi di J. R. R. Tolkien); in alcuni casi, fanno riferimento a elementi tipici di entrambe queste figure.

L'orco del folclore e delle fiabe deriva certamente dall'Orco della mitologia romana, sovrano del Regno degli Inferi e divoratore di uomini insieme al suo mostruoso cane Cerbero. L'uso del termine "orco" per designare un mostro divoratore di uomini è documentato in italiano fino dal XIII secolo; lo usano, tra gli altri, Jacomo Tolomei (1290), Fazio degli Uberti (1367), Luigi Pulci, e Ludovico Ariosto. Ristoro Canigiani (1363) ne parla esplicitamente come di uno spauracchio dei bambini. Nello stesso periodo, alcuni autori usano ancora il termine per riferirsi all'Orco romano (per esempio Guido da Pisa e Boccaccio).

È possibile che la figura dell'orco sia approdata in Europa proprio dall'Italia; lo testimonierebbe anche la probabile derivazione etimologica dall'italiano di molti termini europei.

Probabilmente traendo spunto dalla tradizione italiana (per esempio dall'uerco de Lo cunto de li cunti di Giambattista Basile, 1634), Charles Perrault introdusse alla fine del XVII secolo il prototipo di quello che sarebbe poi diventato l'orco tradizionale delle fiabe. Si tratta di un uomo gigantesco, dall'aspetto di un bruto (spesso rappresentato come peloso, muscoloso, barbuto e con il ventre prominente), non raramente armato di un pesante bastone. Caratteristica correlata è la stupidità, che spesso è ciò di cui l'eroe della storia si avvantaggia per sconfiggere l'orco. In alcune varianti, gli orchi sono in grado di mutare forma. Vivono spesso in palazzi o castelli sperduti, ma anche in grotte e paludi. Nelle fiabe, l'orco è spesso il guardiano di una principessa prigioniera, oppure tiene in schiavitù o divora bambini.

Molti personaggi delle fiabe, pur non essendo esplicitamente descritti come orchi, ne riproducono diversi elementi tipici; due esempi celebri sono Mangiafuoco di Pinocchio (che schiavizza le marionette e, metaforicamente, i bambini) e Barbablù.

Per estensione, il termine orco si applica a persone disgustose o volgari con un temperamento violento, specialmente quando tale violenza è diretta verso donne o bambini. È in questo senso, per esempio, che Daniel Pennac usa metaforicamente il termine nel romanzo Il paradiso degli orchi. L'associazione fra gli orchi e la violenza contro i bambini fa sì che il termine "orco" sia anche usato, per esempio in ambito giornalistico, per indicare persone che si macchiano di reati di pedofilia.

Un esempio ben noto di orco nella cinematografia moderna è Shrek, un personaggio che viene utilizzato per ribaltare parodisticamente molti degli elementi della tradizione fiabesca. Inoltre, in quasi tutte le campagne di The Battle for Wesnoth, gli orchi sono la principale razza nemica.


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