martedì 19 luglio 2016

IL TESORO DI ALARICO



Cupi a notte canti suonano Da Cosenza su 'l Busento, Cupo il fiume gli rimormora Dal suo gorgo sonnolento. Su e giù pe 'l fiume passano E ripassano ombre lente: Alarico i Goti piangono Il gran morto di lor gente. Ah sì presto e da la patria Così lungi avrà riposo, Mentre ancor bionda per gli omeri Va la chioma al poderoso! Dal Busento ecco si schierano Su le sponde i Goti a pruova, E dal corso usato il piegano Dischiudendo una via nuova. Dove l'onde pria muggivano, Cavan, cavano la terra; E profondo il corpo calano, A cavallo, armato in guerra. Lui di terra anche ricoprono E gli arnesi d'or lucenti; De l'eroe crescan su l'umida Fossa l'erbe dei torrenti! Poi, ridotto ai noti tramiti, Il Busento lasciò l'onde Per l'antico letto valide Spumeggiar tra le due sponde. Cantò allora un coro d'uomini: Dormi, o re, nella tua gloria! Man romano mai non violi La tua tomba e la memoria! Cantò, e lungo il canto udivasi Per le schiere gote errare: Recal tu, Busento rapido, Recal tu da mare a mare.
(August Graf von Platen, 1820)
(tradotta in italiano da Giosuè Carducci)


Alarico compare per la prima volta nelle cronache a vent'anni nel 390 quando, giovane principe della dinastia dei Balti, guidò i Visigoti, gli Unni ed altre tribù provenienti dalla sponda sinistra del Danubio nell'invasione della Tracia, culminata con il saccheggio di quella provincia. L'imperatore romano Teodosio I nel 391 intervenne personalmente, ma cadde in un'imboscata sul fiume Maritza, dove rischiò la vita. Nel 392 i Visigoti di Alarico vennero circondati sulla Maritza dal generale Stilicone, ma l'imperatore Teodosio li perdonò e li lasciò tornare nella loro provincia (la Mesia) rinnovando con loro il trattato già stipulato nel 382.

Alla Battaglia del Frigido (tributario del fiume Isonzo), combattuta il 5 settembre del 394, tra Teodosio e Flavio Eugenio, mentre le truppe di foederati erano comandate dal goto Gaina, Alarico servì fedelmente l'imperatore a capo dell'avanguardia costituita da truppe visigote che subì gravissime perdite. Dopo la vittoria, però, Alarico non ottenne il grado di magister militum dell'esercito romano che gli era stato promesso. Anzi, alla morte dell'imperatore, il 17 gennaio 395, il generale Stilicone inviò i Goti nella loro provincia e non pagò loro il tributo annuale che Roma gli versava. Questi fatti contribuirono a compromettere la pace che era stata raggiunta tra Goti e Romani e a fare ricominciare le ostilità.

Alarico, nel 395, fu proclamato re dei Visigoti e dichiarandosi indignato per la mancata nomina a magister militum, li guidò nell'invasione della Tracia, poi si ritirò verso la Macedonia, dove fu sconfitto al Peneo, quindi invase la Tessaglia, dove fu fermato dal generale Stilicone, reggente dell'Impero romano d'Occidente, per conto dell'imperatore Onorio, coadiuvato dal goto Gaina, comandante dell'esercito dell'Impero romano d'Oriente. Ma l'imperatore Arcadio chiese a Stilicone di rientrare in Occidente e a Gaina di rientrare a Costantinopoli, lasciando un contingente alle Termopili per difendere la Grecia.

Alarico, forse per merito del tradimento, si impossessò del famoso passo e attraversò la Beozia e l'Attica, occupò Il Pireo e costrinse Atene alla resa e lì soggiornò pacificamente senza saccheggiarla. Poi si diresse a Eleusi, dove distrusse il tempio di Demetra, determinando la definitiva interruzione delle celebrazioni dei Misteri eleusini. Nel corso del 396, tutto il Peloponneso fu occupato, Corinto, Argo, Sparta e molti altri siti subirono la violenza e le devastazioni dei Visigoti.

Nel 397, Stilicone sbarcò a Corinto con un esercito e cacciò i Visigoti dall'Arcadia e li accerchiò ad Elice. Ma, ancora una volta, richiamato per una rivolta in Africa, risparmiò Alarico, anzi si accordò con lui, per averlo alleato contro l'impero d'oriente. Alarico allora si ritirò sulle montagne verso il nord dell'Epiro, dove Arcadio, nel 399, gli offrì del denaro e lo nominò magister militum dell'Illyricum, in pratica Governatore dell'Epiro già occupato, concludendo così la pace. Alarico approfittò della collaborazione con l'impero d'oriente per rafforzarsi, soprattutto riarmò i Visigoti negli arsenali romani.

Nel corso del 400, Alarico lasciò l'Epiro e passando da Aemona, nel 401 arrivò in Italia, e da Aquileia si diresse su Mediolanum, dove si trovava l'imperatore Onorio, ma fu fermato a Pollenzo (402), dove la moglie e i figli di Alarico furono fatti prigionieri da Stilicone, che nominò Alarico magister militum purché lasciasse l'Italia. Dopo essere uscito dall'Italia, Alarico non si allontanò dai confini, e nel 403 rientrò, assediando Verona, dove venne sconfitto da Stilicone, e mentre tentava di crearsi un varco per uscire dall'Italia venne abbandonato dal principe Saro, che passò agli ordini di Stilicone. Alarico nel 404 dovette venire a patti con Stilicone, con cui rinnovò il patto di alleanza contro l'impero d'oriente, e dovette rientrare in Epiro. Ma presto abbandono l'Illiria per stabilirsi tra il Norico e la Pannonia. Comunque il magister militum dell'Impero romano d'Occidente, Stilicone, acconsentì di pagare un tributo ad Alarico per non avere problemi ai confini orientali, volendo recarsi a Costantinopoli dove l'imperatore d'oriente Arcadio era morto il primo maggio del 408.

In seguito alla condanna a morte di Stilicone (23 agosto 408), accusato di tradimento, Alarico dapprima chiese un tributo all'imperatore di Occidente Onorio per lasciare il Norico e trasferirsi in Pannonia. Al rifiuto di Onorio, Alarico (alla fine del 408), senza attendere il cognato Ataulfo, che era in Pannonia con truppe gote e unne, invase nuovamente l'Italia e - per la prima volta dai tempi di Brenno - pose sotto assedio Roma, che fu portata sull'orlo della carestia. Una volta obbligato il Senato romano a consegnargli un forte tributo, levò l'assedio e si trasferì in Toscana dove liberò un gran numero di schiavi germanici. Nel frattempo il cognato Ataulfo era giunto in Italia con i rinforzi, nel 409, senza subire eccessive perdite. Dopo un mancato accordo con l'imperatore Onorio, trincerato a Ravenna, Alarico fece ritorno nel Lazio, occupando Ostia e chiedendo al Senato di deporre Onorio e proclamare imperatore il prefetto della città, Prisco Attalo. Il Senato romano accettò e Prisco nominò Alarico magister militum. Nel 410 entrò ad Eboli saccheggiandola e si presume che nascose un tesoro. A causa delle sue razzie Eboli fu distrutta e rimasero solo pochi reperti archeologici.

Assieme ad Attalo Alarico pose l'assedio a Ravenna, che stava per cedere, quando ricevette l'aiuto di un contingente di circa 4.000 soldati bizantini, mentre la provincia africana si era ribellata e Roma era nuovamente minacciata dalla carestia. Mentre Alarico attaccava tutte le città cispadane per poi passare in Liguria, Attalo rientrò a Roma dove si oppose ad inviare un esercito in Africa. Per questo Alarico, tra maggio e giugno del 410, lo depose e lo tenne in sua custodia assieme a Galla Placidia, la sorella di Onorio. Dopo aver inviato a Onorio il diadema e la porpora imperiale di Attalo si ripresero le trattative che però fallirono perché Saro ancora una volta passato dalla parte dell'imperatore attaccò le truppe di Ataulfo, violando la tregua. Alarico, spazientito, marciò per la terza volta su Roma e, il 24 agosto 410, dopo che la porta Salaria era stata aperta a tradimento, la prese e la saccheggiò (Sacco di Roma), per tre giorni.

I Visigoti lasciarono Roma carichi di bottino e Alarico, passando da Capua e da Nola, si diresse a Reggio, dove preparò una flotta, con l'intenzione di conquistare l'Africa, il granaio dell'impero, per poi impadronirsi dell'Italia. Ma una tempesta disperse e affondò le navi quando erano già in parte cariche e pronte a partire. Allora Alarico lasciò la città diretto a nord; ma quando era ancora in Calabria, nei pressi di Cosenza, si ammalò improvvisamente e morì. Secondo la leggenda venne seppellito con i suoi tesori nel letto del fiume Busento a Cosenza. Gli schiavi, che avevano lavorato alla temporanea deviazione del corso del fiume, furono uccisi perché fosse mantenuto il segreto sul luogo della sepoltura.



Secondo lo storico Giordane, che afferma di averlo letto su un libro dello storico ufficiale dei Goti Cassiodoro di Squillace, venne deviato il corso del fiume Busento per scavarvi una tomba nella quale venne sepolto il re insieme al suo cavallo. Poi il fiume venne fatto rifluire nel suo letto. Questi imponenti lavori sarebbero stati eseguiti da prigionieri rastrellati nei dintorni, che alla fine sarebbero stati uccisi perchè non rivelassero il segreto. Questo è ciò che risulta dalle fonti storiche.

Ci sono dei motivi più specifici che fanno pensare che il racconto degli storici corrisponda alla realtà. C'è un'intera categoria di oggetti importanti che sono scomparsi dalla storia, e il motivo potrebbe proprio essere che sono finiti nella tomba di Alarico. Non cose di poco conto: stiamo parlando dei grandi cammei, cioè degli oggetti in assoluto più raffinati e preziosi che l'antichità abbia prodotto. Per le gemme più importanti venivano usate agate con stratificazioni di diversi colori, colori che venivano sfruttati abilmente per far risaltare le figure sullo sfondo e per colorare le vesti o i capelli. Le agate sono pietre molto dure, compatte e resistenti – le più usate erano la sardonica indiana e la sardonica araba -, e sono quindi adatte per sculture in miniatura e di grande precisione come i cammei e i sigilli.

I Goti di Alarico impiegarono tre giorni per saccheggiare la città di Roma, e in un tempo così breve possono solo avere assaltato i templi e le residenze principali. Possono quindi avere trafugato solo gli oggetti più preziosi e trasportabili. Tra questi non potevano mancare i grandi cammei. Pochi mesi dopo Alarico morì, e sicuramente nella sua tomba non si troveranno 70 tonnellate d'oro e 150 d'argento, perché questo bottino era proprio lo scopo dei ripetuti assalti alla città eterna.

Ma un re che aveva compiuto una così gloriosa impresa doveva avere una tomba all'altezza della sua fama. E cosa poteva esserci di meglio, per arricchirla, di tutti quegli oggetti di grande valore simbolico? Trofei di guerra innumerevoli, scettri e corone, armature di capi sconfitti, simboli dell'identità, della religione e del potere della città di Roma. Tutte cose che i Goti avevano trafugato per aggiungere la gloria al ricco bottino. Però adesso questi cimeli non aveva più senso trascinarseli dietro. La loro destinazione migliore era proprio quella di affidarli per l'eternità al loro eroico condottiero. Anche i cammei più grandi, insieme ad innumerevoli altri esemplari più piccoli, devono avere avuto questa destinazione, anche perché, per quanto preziosi e importanti, non si trovava più nessuno in quell'epoca che fosse disposto a scambiarli con un mucchietto d'oro. Questa quindi è la spiegazione migliore che si possa trovare per la scomparsa di questa importante categoria di oggetti, e nello stesso tempo questa stessa scomparsa è anche la migliore prova che questa tomba deve esistere davvero, e che non è mai stata scoperta. Infatti, se fosse stata trovata, alla fine, in un modo o nell'altro, i grandi cammei sarebbero ricomparsi. E l'ipotesi obbligata è che la tomba sia nascosta alla vista dalla corrente di un fiume. Per fare un'ipotesi diversa, bisognerebbe riuscire ad immaginare in quale altro modo si potrebbe nascondere una tomba che dovrebbe anche avere proporzioni grandiose. Inoltre sembra poco probabile che uno storico abbia potuto “inventarsi” una simile soluzione, che non ha alcun precedente. Ma se le cose stanno così, questa tomba non è destinata a rimanere per sempre nascosta, così come è avvenuto finora? Fino a pochi anni fa questa sarebbe stata solo una domanda retorica, con una inevitabile risposta affermativa. Oggi però, con l'aiuto di alcune sofisticate tecnologie, si possono eseguire indagini strumentali atte a verificare il racconto tramandato dagli storici.

Usando sia l'ecoscandaglio che un radar a penetrazione del sottosuolo, è stata indagata la struttura dei sedimenti, che per una profondità di più di dieci metri erano costituiti da depositi caotici con resti di rami e tronchi. E alcuni metri al di sotto del punto più profondo, è stato individuato un oggetto compatto del diametro di un metro. Nello stesso punto una piccola anomalia magnetica rilevata con il magnetometro ha dimostrato che esso contiene dei metalli. In sostanza con queste indagini gli scienziati hanno scoperto che il lago si era formato in seguito alla caduta di un frammento del meteorite esploso a qualche chilometro d'altezza, frammento che è stato individuato con notevole sicurezza al di sotto del punto più profondo.

Tutto questo per dare un'idea del tipo di indagini che si potrebbero fare oggi. Si potrebbe esplorare il letto del fiume con un magnetometro.

Se venisse segnalata la presenza di metalli con un ecoscandaglio e con un radar a penetrazione si potrebbero indagare gli strati di roccia sottostanti per evidenziare discontinuità che possano far pensare ad un ambiente sotterraneo.

Se venisse individuata una struttura di questo tipo, si potrebbero fare ulteriori indagini per arrivare alla certezza di avere individuato questa famosa tomba. E se così non fosse, si sarà almeno ottenuto il risultato di restringere il campo delle possibilità; potrebbe allora trattarsi di un altro corso d'acqua (probabilmente alla fine si scoprirà che la tomba è stata costruita in un punto dove l'alveo del fiume si restringe, per far sì che, quando nella stagione estiva la portata diminuisce e si formano delle secche, l'acqua continui a ricoprire l'intero letto da una riva all'altra). Una volta individuata la tomba, si porrebbe il problema, molto più impegnativo, di riportarla alla luce. Ma certamente ne varrebbe la pena. L'importanza storica e artistica dei tesori che vi potrebbero essere custoditi è tale, che ne trarrebbero vantaggio sia l'immagine del nostro paese, che il turismo e l'economia. Tra i tanti cimeli storici che si potrebbero trovare nella tomba di Alarico, ce n'è uno più importante degli altri. Questo trofeo è il simbolo di una guerra condotta dai Romani in maniera particolarmente spietata, per far sapere a tutti qual'era la punizione per chi si ribellava al loro potere. Un trofeo prelevato a Gerusalemme nel tempio di Salomone prima che fosse distrutto. Il candelabro a sette bracci d'oro massiccio divenne il simbolo di questa campagna militare, ed è stato per questo rappresentato nell'arco di Tito. Quasi certamente, a causa del suo particolare valore simbolico, era ancora conservato a Roma nell'anno 410. E se è così, è probabile che sia stato trafugato dai Goti insieme agli altri tesori. E forse anche per questi barbari, già ampiamente romanizzati, il suo valore superava quello pur notevole dell'oro di cui era fatto, e potrebbe quindi essere finito anch'esso nella tomba. Naturalmente questa è solo un'ipotesi, della quale non si può nemmeno stimare la probabilità. Ma se c'è una pur lontana possibilità di trovare il grande candelabro a sette bracci, questa è legata al nome di Alarico.

I luoghi su cui si è concentrata l'attenzione dei cacciatori di tesori nel corso dei secoli sono una collina chiamata Rigardi, che in gotico significa rispetto, sulla collina è incisa un'enorme croce e in un grotta c'è quello che sembra un altare in pietra. Si è poi cercato lungo la confluenza tra il Crati e il Busento, sotto i tumuli di Bisignano  e nei ninfei di Corlei.

Nel corso della storia, in molti hanno scavato nella zona senza trovare nulla. Nella seconda metà degli anni trenta Heinrich Himmler visita la zona, con lui ci sono gli uomini della Ahnenerbe, cacciatori nazisti delle radici ariane. Il mito di Alarico nell'ideologia nazista era di grande importanza, Goebbels elencava il tesoro del re barbaro come simbolo irrinunciabile del Reich. L'invasione dell'Italia fu chiamata Operazione Alarico. Il capo dell'SS era sceso in Calabria per controllare una archeologa francese, Amélie Crevolin che voleva dragare fino a otto metri sotto il ponte di Laurignano.

Oggi a essere convinto dell'esistenza della tomba di Alarico è un noto falco vicino alle amministrazioni Usa, Edward Luttwak. Il politologo rimprovera all'Italia di non incentivare la ricerca di tesori con la concessione di una percentuale, come fanno altri paesi. Questo favorirebbe l'arrivo di esperti cacciatori. "Questa faccenda del sacro fiume deviato sembrava solo un tòpos, invece no: l'alveo fu spostato davvero. Al massimo di un chilometro. L'area da indagare non è enorme. Bisogna cercare sul serio", ha dichiarato Luttwak.

L'americano ha anche suggerito di coinvolgere le autorità di Israele, che dispongono di una tecnologia in grado di individuare masse metalliche nel sottosuolo anche da un elicottero. Le forze armate israeliane hanno confermato, ma hanno chiarito che quegli strumenti sono top secret, vengono usati per individuare armi nei tunnel di Hamas. Inoltre le autorità israeliane chiudono dicendo che si muovono solo su prove certe, è per il momento non ce ne sono. Mito, leggenda o suggestione? Una cosa è certa: il tesoro c'è, perché il mito di Alarico e la suggestione del suo bottino, se ben usati possono davvero fare la fortuna di questo territorio.
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