venerdì 22 aprile 2016

ESSERE O NON ESSERE



« Essere, o non essere, questo è il dilemma:
se sia più nobile nella mente soffrire
i colpi di fionda e i dardi dell'oltraggiosa fortuna
o prendere le armi contro un mare di affanni
e, contrastandoli, porre loro fine? Morire, dormire…
nient'altro, e con un sonno dire che poniamo fine
al dolore del cuore e ai mille tumulti naturali
di cui è erede la carne: è una conclusione
da desiderarsi devotamente. Morire, dormire.
Dormire, forse sognare. Sì, qui è l'ostacolo,
perché in quel sonno di morte quali sogni possano venire
dopo che ci siamo cavati di dosso questo groviglio mortale
deve farci riflettere. È questo lo scrupolo
che dà alla sventura una vita così lunga.
Perché chi sopporterebbe le frustate e gli scherni del tempo,
il torto dell'oppressore, la contumelia dell'uomo superbo,
gli spasimi dell'amore disprezzato, il ritardo della legge,
l'insolenza delle cariche ufficiali, e il disprezzo
che il merito paziente riceve dagli indegni,
quando egli stesso potrebbe darsi quietanza
con un semplice stiletto? Chi porterebbe fardelli,
grugnendo e sudando sotto il peso di una vita faticosa,
se non fosse che il terrore di qualcosa dopo la morte,
il paese inesplorato dalla cui frontiera
nessun viaggiatore fa ritorno, sconcerta la volontà
e ci fa sopportare i mali che abbiamo
piuttosto che accorrere verso altri che ci sono ignoti?
Così la coscienza ci rende tutti codardi,
e così il colore naturale della risolutezza
è reso malsano dalla pallida cera del pensiero,
e imprese di grande altezza e momento
per questa ragione deviano dal loro corso
e perdono il nome di azione. »

La battuta viene pronunciata dal principe Amleto all'inizio del soliloquio che apre la prima scena del terzo atto della tragedia. È una delle frasi più celebri della letteratura di tutti i tempi, ed è stata oggetto di numerosi studi e diverse interpretazioni. L'interrogativo esistenziale del vivere (essere) o morire (non essere) è alla radice dell'indecisione che impedisce ad Amleto di agire (il famoso «dubbio amletico»). Spesso è stato associato all'idea del suicidio.

Nell'immaginario popolare il celebre soliloquio viene spesso confuso con un'altra scena dell'opera, quella di Amleto che scopre il teschio del buffone di corte Yorick. Questa confusione ha dato origine alle varie rappresentazioni di Amleto che pronuncia «essere o non essere» mentre regge in mano un teschio.

Nel linguaggio comune, l'espressione «essere o non essere» viene spesso adoperata anche in senso parodico, così come tutte le infinite varianti del tipo «X o non X».

Questo monologo sembra governato dalla ragione, e non dalla frenetica emozione. Incapace di fare poco per completare il suo piano di "catturare la coscienza del re" tramite la recita (la trappola per topi), Amleto da vita ad un dibattito interno sugli svantaggi e gli svantaggi dell'esistenza e sulla opportunita' di togliersi la vita, rendendo questo dibattito universale, riferendosi esplicitamente a tutti noi, usando il pronome NOI, riferendosi in particolar modo alle persone scoraggiate dalla vita. Come gia' detto, Amleto ritiene che gli svantaggi del vivere superano i vantaggi, ma e' anche consapevole che la chiesa condanna il suicidio come peccato mortale. Il monologo di Amleto e' interrotto da Ofelia che sta dicendo delle preghiere. Amleto si rivolge a lei come una ninfa, come spesso si usava nelle corti rinascimentali, ed in questo momento di intensa riflessione, implora la gentile Ofelia di pregare per lui. Alcuni critici, ritengono che la richiesta da parte di Amleto di essere ricordato nelle preghiere di Ofelia sia frutto del sarcasmo. 

‘To Be Or Not To Be’ e' un paragone, parole in contrapposizione tra loro. Essere o non essere e' il dubbio di Amleto mentre medita sulla vita e sulla morte, tra l'essere (vivi) e il non essere. Il paragone continua nel modo in cui si vedono la vita e la morte: la vita e' mancanza di potere, gli esseri umani sono esposti ai colpi della vita e dell'oltraggiosa fortuna. L'unico modo di schivare i colpi e' quello di non vivere. Uccidersi potrebbe essere un modo di ottenere il non essere, se non fosse che Amleto teme le conseguenze del suo gesto, Vietato o comunque pieno di incognite sulle sue conseguenze.



LA morte, quindi, sarebbe uno stato desiderabile, a patto che non si ottenga uccidendosi da se. E' niente piu' di un sonno, e la pausa della vita dopo la morte pone un freno e cambia direzione al nostro agire. Non possiamo controllare i nostri sogni, e quindi quali sogni possono venire in quel sonno di morte che ci procuriamo per porre fine alle nostre sofferenze? E se la vita dopo fosse peggiore della vita precedente proprio per le conseguenze dell'azione del suicidio? 

Tanti rimorsi e pensieri, contrapposti ad un gesto semplice, che potrebbe essere banale, e compiersi con un semplice uncinetto. Ma morire e' affrontare un viaggio nell'ignoto, attraversare il bordo tra il conosciuto e lo sconosciuto, andare in un luogo non presente nelle mappe, e da cui nessun viaggiatore ha mai fatto ritorno, dove potrebbero anche esserci degli orrori. Per questoblockquote la coscienza, ci rende tutti vili Questa citazione ci arriva come una sentenza: vi e' una dimensione religiosa in cui il suicidio e' un peccato, che ci fa temere tale gesto. 

Togliere la vita non e' peccato solo contro se stessi, ma anche e soprattutto nei confronti degli altri. Anche in questo caso la coscienza rende vile Amleto, e lo distoglie dall'azione di compiere la sua vendetta nei confronti di Claudio, il re assassino del suo stesso fratello (il padre di Amleto).


Amleto si strugge non sapendo scegliere tra l’agire e il non agire e presenta due posizioni filosofiche: da un lato un’attitudine stoica, che gli suggerirebbe di sopportare tutto il male e le sfortune che gli capitano, e dall’altra la scelta, vista quasi come salvifica, del suicidio, che metterebbe fine a tutte le sue sofferenze. La vita è, infatti, presentata da Amleto come una battaglia e una lista di pene e supplizi. Nel descriverla egli non accenna mai a fatti positivi o felici, ma solo a disgrazie. Ecco, quindi, che la morte rappresenta l’unica via di uscita, l’unica salvezza, ma affrontarla comporta coraggio, perché significa sfidare l’ignoto e le proprie paure. Da qui l’incertezza: vivere o morire? Agire o tollerare? 
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