venerdì 1 aprile 2016

PROFILI FALSI

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I social, ormai, sono parte integrante delle nostre vite, ma ogni tanto ci viene il dubbio che possano distruggerle. Quella battuta un po’ pesante che ha fatto tanto ridere i nostri amici potrebbe non piacere alla zia. E forse è meglio che il capo non veda le fotografie di quella festa a cui siamo stati prima di una riunione importante. Per molti la soluzione è semplice: usare un nome falso.
 
Un’inchiesta del New York Times racconta che negli Stati Uniti sempre più utenti, soprattutto tra i più giovani, scelgono di creare un profilo sotto falso nome. Il fenomeno è così diffuso che ha già un nome: Finstagram, che unisce “Instagram” a “fake”, “falso”. In molti casi quello pseudonimo non è l’unico account, ma un doppione privato destinato a essere usato solo con una ristretta cerchia di amici selezionatissimi. Dietro a questa scelta si cela il bisogno di ritagliarsi uno spazio più libero dalle inibizioni, una sfera social-ma-non-troppo su cui pubblicare fotografie più sciocche e spontanee di quelle condivise sull’account aperto a tutti. Instagram è il social preferito dai più giovani , e anche in Italia il numero di utenti continua a crescere . Ma secondo Ilaria Barbotti, la fondatrice e presidente di Instagramers Italia , il fenomeno “Finstagram” da noi non è ancora sbarcato. «Nella nostra community la maggioranza degli utenti ha meno di 35 anni, ed è chiaro che agli adolescenti Instagram piace molto più di Facebook. Ma per il momento continua a prevalere l’idea di usarlo per condividere immagini con quante più persone possibile: in fondo, è nato per questo». Non si può escludere che il nostro Paese sconti un certo ritardo rispetto al mondo anglosassone, anche perché la componente goliardica è tutt’altro che assente: «Su Instagram molti preferiscono un comportamento giocoso e disimpegnato - spiega Barbotti - ma per scambiarsi le immagini o i messaggi più sciocchi o privati si usano soprattutto i sistemi di messaggistica come Whatsapp».
 
In Italia, il fenomeno dell’anonimato sui social è diffuso soprattutto su Facebook. È impossibile sapere quanti dei 27 milioni di utenti che sono attivi mensilmente nel nostro Paese (dati novembre 2015) hanno scelto un nome falso. Quel che è chiaro è che nessuno di loro sembra curarsi più di tanto della policy ufficiale del social network, che recita in modo inequivocabile: «Facebook è una comunità dove le persone usano le loro identità autentiche». «Gli iscritti devono fornire il nome che usano nella vita reale in modo che tutti sappiano sempre con chi si stanno connettendo», spiega Laura Bononcini, Head of Policy di Facebook Italia. «Questo contribuisce a salvaguardare la sicurezza della nostra comunità rendendo le persone più responsabili, e aiutandoci a rimuovere gli account creati per scopi dannosi come le molestie, la frode o l’incitamento all’odio». Stando al regolamento, aggiornato nel 2015, iscriversi con un nome diverso da quello con cui si è registrati all’anagrafe è possibile, purché sia quello «con cui ti identifichi di più e che usi nel tuo quotidiano». «Per noi – precisa Bononcini – è molto importante che questa policy funzioni per tutti, e in particolare per le comunità discriminate». Un esempio sono le persone transessuali, che possono iscriversi a Facebook con il nome che sentono proprio anche se non corrisponde a quello che c’è sulla loro carta d’identità.
 
In questi casi Facebook chiede di caricare la scansione di un documento che attesti la veridicità del proprio nome. Nell’elenco di quelli ammessi , oltre a carta d’identità e patente, compaiono anche l’annuario scolastico e la tessera della biblioteca.



Per individuare chi viola la policy non esistono algoritmi che vagliano i nomi né altri sistemi automatici: Facebook, spiega Bononcini, «fa affidamento sulla propria comunità». Sono gli utenti stessi a segnalare i profili falsi, esattamente come si fa per le fotografie di nudo o altri contenuti contrari alle regole. «In questo modo – aggiunge Bononcini – tutti possono contribuire alla sicurezza della piattaforma». Ma la segnalazione, da sola, non basta: il passaggio successivo è affidato a un team che decide caso per caso se far scattare la sospensione dell’account e la richiesta di conferma dell’identità oppure no.

Per Facebook la parola chiave è: assumersi la responsabilità di quanto si scrive o si pubblica, sempre e comunque. E a chi si fa scrupoli per la riservatezza o vuole controllare strettamente l’accesso al proprio account, Bononcini risponde così: «Per salvaguardare la privacy del proprio profilo non è necessario ricorrere a uno pseudonimo: mettiamo a disposizione delle persone diversi strumenti che consentono di tenere sotto controllo e gestire in maniera sicura la propria vita su Facebook». Il social dispone di un’intera sezione delle impostazioni dedicata alla gestione dei propri dati personali . Creando delle liste – ad esempio per distinguere gli amici dai colleghi o dai familiari – è possibile anche filtrare i contenuti in modo che siano visibili solo a chi desideriamo. Le opzioni, insomma, non mancano, ma per molti non sono abbastanza efficaci o richiedono troppa pazienza.

Facebook pullula di personaggi poco raccomandabili. C'è chi crea falsi profili per rimorchiare all'ingrosso (secondo la nota tecnica "ndo cojo, cojo), per farsi pubblicità, per rubare dati personali o per altri scopi ancora meno nobili.

Visto che nessuno lo conosce, il titolare di un profilo falso cerca continuamente di ingrandire la sua lista di contatti, mandando richieste di amicizia a mambassa e pubblicando messaggi su pagine e bacheche altrui.

Quante volte avete “maledetto” i vostri amici per avervi taggato in momenti inopportuni? A queste persone, invece, ciò non accade mai (beate loro…). Sono sempre “in tiro” e, appunto, non vengono mai taggate da nessuno. Possibile che queste persone si siano auto-taggate in tutte le proprie foto o abbiano deciso di eliminare tutte le immagini in cui erano state taggate da qualcun altro?

Di certo anche voi avrete tra i vostri contatti qualcuno che non vorreste vedere mai più o qualcuno di cui vi “vergognate”, è normale. Ma mettere gli amici in privacy è, forse, un po’ troppo. Dunque, se dopo aver stretto amicizia con queste persone i suoi amici non sono visibili iniziate a sospettare…

Noi tutti abbiamo degli “scheletri nell’armadio”, cioè immagini di serate “compromettenti” trascorse in compagnia dei nostri amici. Questi ragazzi, invece, compaiono quasi sempre soli. Interpretando in maniera alquanto estrema il detto “meglio soli che mal accompagnati”.

Sempre in tema di foto, la miglior soluzione per scoprire un profilo falso è quella di trascinare le immagini del vostro nuovo “amico” su google. Se l’immagine in questione vi porterà a più profili di VIP o a link sospetti, siete sicuramente di fronte ad un falso.

I “social”, come suggerisce la parola stessa, prevedono una vita sociale che spesso queste persone non hanno. Pochi post, pochi commenti, insomma, una bacheca praticamente vuota. Va bene che, come detto, questi “amici” sono sempre bellissimi, ma possibile che nessuno abbia mai avuto il coraggio di scrivere loro un semplice post? A meno che non abbiano tutti deciso di scrivere loro solo in privato. Il che, diciamocelo, è abbastanza strano. Ma “giustificherebbe” il fatto di non avere una vita sociale visto il tempo che dovrebbero impiegare per rispondere a tutti i messaggi che hanno in chat…




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