lunedì 1 febbraio 2016

LE MUMMIE

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In ogni continente sono state ritrovate mummie di esseri umani e di animali, sia come risultato della conservazione naturale attraverso condizioni climatiche uniche, sia come cadaveri volutamente conservati per scopi religiosi o culturali. Oltre alle ben note mummie dell'Antico Egitto, la mummificazione intenzionale era una caratteristica di diverse culture antiche nelle aree del Sud America e dell'Asia, come pure in numerose altre.

Le mummie di Qilakitsoq in Groenlandia:
il suo piccolo viso guarda ancora verso l'alto, come se attendesse eternamente sua madre. Dal momento in cui è stato scoperto, il piccolo bambino inuit ha catturato i cuori della gente con la sua fotografia sbattuta sulle riviste e nei notiziari di tutto il mondo. Inizialmente, al momento del ritrovamento fu creduto una bambola, ma venne presto scoperto che in realtà era il corpo di un bambino di sei mesi. È stato sepolto vivo assieme alla madre già morta – presumibilmente perché non c'era nessuno che si prendesse cura di lui. Il piccolo bambino inuit è stato trovato insieme ad un altro bambino di due anni e a sei donne di varie età all'interno di due tombe distinte protette da una roccia che sovrastava una caverna poco profonda. I corpi sono stati mummificati naturalmente dalle temperature sotto zero e dei venti asciutti e disidratanti, e questo ha fornito una notevole opportunità per conoscere il popolo inuit della Groenlandia di mezzo millennio fa, rappresentano le più antiche spoglie conservate ritrovate in quel luogo.

L'uomo di Tollund è il corpo di un uomo, mummificato in maniera naturale, che ha vissuto nel corso del quarto secolo a.C., durante il periodo definito in Scandinavia come l'Età del Ferro preromana. È stato impiccato come un sacrificio agli Dei e posto in una torbiera dov'è rimasto conservato per più di due millenni. Il volto dell'uomo di Tollund si è conservato così com'era il giorno della sua morte. L'espressione del suo viso è calma e tranquilla, come se fosse un uomo addormentato.

La signora di Dai, conosciuta anche come 'la mummia diva', è una mummia di 2.100 anni fa proveniente dalla Dinastia Han della Cina occidentale ed è l'essere umano antico meglio conservato mai scoperto. Ad aver sconcertato e stupito gli scienziati di tutto il mondo è proprio il modo in cui si è raggiunto questo incredibile livello di conservazione. Xin Zhui, la signora di Dai, è morta tra 178 e il 145 a.C., all'età di circa cinquanta anni. Gli oggetti rinvenuti dentro la sua tomba indicano che fosse una donna ricca, importante e che amava le cose belle, ma ad aver catturato immediatamente l'attenzione degli archeologi non sono state le preziose merci e i tessuti raffinati, piuttosto la sua salma straordinariamente ben conservata.

Oltre un decennio fa in cima alla vetta del vulcano Llullaillaco in Argentina sono stati rinvenuti i resti di tre bambini inca straordinariamente conservati. L'analisi sui corpi della 'fanciulla' 13enne e dei suoi compagni dai quattro ai cinque anni di età – il 'bambino di Llullaillaco' e la 'bambina del fulmine' – ha rivelato che questi erano stati drogati ed era stato somministrato loro dell'alcol su base regolare come parte di una serie di processi cerimoniali durati un anno, che si sono poi conclusi con il sacrificio finale. Le prove suggeriscono che la cerimonia sacrificale potrebbe essere stata utilizzata come una forma di controllo sociale. Essere scelti per il rituale doveva essere visto come un grande onore, ma generava probabilmente un clima di paura. In realtà per i genitori, mostrare un qualsiasi accenno di tristezza dopo aver rinunciato ai loro figli per la cerimonia, era un grave oltraggio.

Tjayasetimu è il nome di una bambina che è stata una star del canto nell'antico Egitto. Quasi tremila anni fa era un membro del coro reale e cantava nei templi sul Nilo per i faraoni. La bambina di sette anni, sebbene giovanissima al momento della sua morte, era abbastanza importante da meritare una mummificazione elaborata, un processo solitamente riservato alla famiglia reale egiziana e alle famiglie d'élite. Tjayasetimu era stata avvolta in bende dipinte, il viso era stato coperto da un velo delicato e nascosto da una maschera d'oro, ed era stata collocata in un sarcofago dorato. La bambina era ben conservata e aveva ancora la testa piena di lunghi capelli fino alle spalle. Si potevano persino notare i suoi denti da latte spingere verso l'alto attraverso le gengive. Con un'altezza di solo un metro e venti centimetri, Tjayasetimu era troppo piccola per il suo sarcofago, anche se non è chiaro il perché non ne sia stato fatto uno delle sue dimensioni. Gli scienziati ritengono che sia morta a seguito di un male particolarmente veloce come il colera.

La mummia di Loulan è stata scoperta solo nel 1980, ma la sua morte avvenuta lungo la rotta commerciale conosciuta come la Via della Seta risale a 3.800 anni fa. La naturale secchezza e salinità del terreno hanno conservato il suo corpo e quello di più di duecento altre mummie, individui che avevano vissuto in diversi insediamenti strettamente situati lungo la rotta commerciale. La mummia è stata chiamata la 'bellezza di Loulan' a causa dei suoi lineamenti facciali signorili incredibilmente conservati che sono rimasti molto belli persino nella morte. Purtroppo, la regione dove lei e le altre mummie sono state ritrovate è politicamente instabile e la loro scoperta nel bacino del Tarim in Cina è stata vista come un possibile fattore di istigazione per potenziali disordini. Il governo cinese si è mostrato riluttante nel consentire il totale accesso alle mummie a causa della loro identità razziale. Le mummie di Tarim sono di etnia caucasica e questo ha dato credito alle rivendicazioni delle popolazioni locali degli uiguri, che hanno un aspetto più europeo che asiatico, i quali sono discendenti degli abitanti originari della zona e non arrivati in seguito come sostiene la storia cinese.

Il luogo conosciuto come Huaca El Brujo (luogo sacro dello sciamano) sulla splendida costa settentrionale del Perù che si affaccia sul blu del Pacifico, ci offre uno sguardo incredibile sulla cultura dei Moche e sulla sciamana che vi è sepolta. Le sue due piramidi principali, Huaca del Sol e la Huaca de la Luna, erano un tempo il centro delle funzioni sociali e religiose nella zona e il luogo di sepoltura della mummia tatuata, che è poi divenuta nota come la 'signora di Cao'. Non è una donna anziana, è morta 1.500 anni fa all'età approssimativa di venticinque anni probabilmente a causa di una complicanza nel parto. I Moche non mummificavano volutamente i loro morti, si sono semplicemente verificate quelle condizioni per l'essiccazione tali da preservare la signora di Cao e i suoi intricati tatuaggi. Sebbene non si ritenga che i membri più comuni della società dei Moche fossero tatuati, si potrebbe certamente dedurre da questa sepoltura che quelli del ceto sociale più elevato lo fossero e i tatuaggi probabilmente rappresentavano e rafforzavano la connessione degli individui con il divino attraverso la magia per affinità.



Zeleniy Yar è un sito remoto nei pressi del Circolo Polare Artico noto al popolo indigeno dei Nenets come 'la fine della terra'. Il particolare sito ha rivelato una dozzina di misteriose mummie che sembrano essere estranee alla regione e i cui manufatti possono essere attribuiti all'antica Persia, che dista quasi seimila chilometri. Gli scienziati stanno intraprendendo dei test genetici per determinare le origini delle mummie e sbloccare i segreti di una misteriosa civiltà medievale. Le mummie sono state trovate, apparentemente per caso, in un buono stato di conservazione e indossavano maschere di rame e abiti di renna, di castoro, di ghiottone e pellicce di orso. Molti dei loro crani sono andati in pezzi o sono mancanti, mentre gli scheletri erano frantumati. Una delle mummie è un uomo dai capelli rossi protetto dal petto ai piedi da un rivestimento in rame. Nel luogo della sua sepoltura c'erano un ascia di ferro, delle pellicce e una fibbia in bronzo raffigurante un orso.

A più di vent'anni dal ritrovamento della mummia del Similaun, il suo patrimonio genetico è stato mappato interamente dagli esperti dell'Accademia Europea di Bolzano che, in collaborazione con scienziati egiziani, hanno permesso anche l'identificazione dei genitori di Tutankhamon.

La decodifica del patrimonio genetico di Ötzi, che segna un punto di svolta nella ricerca sulla famosa mummia, è stata possibile grazie all'apporto di competenze multidisciplinari e al lavoro di squadra di tre esperti appartenenti a diverse istituzioni: Albert Zink, direttore dell'Istituto per le Mummie e l'Iceman dell'EURAC di Bolzano, Carsten Pusch dell'Istituto di genetica umana dell'Università di Tubinga e Andreas Keller, bioinformatico della azienda specializzata in biotecnologia febit di Heidelberg. Il binomio professionale fra Albert Zink e Carsten Pusch è già collaudato e ha pubblicato recentemente l'esito delle ricerche su Tutankhamon e sulla sua famiglia, in collaborazione con il team egiziano guidato da Zahi Hawass. Le tecnologie di sequenziamento di ultima generazione rese disponibili da Andreas Keller hanno poi consentito di identificare in breve tempo milioni di sequenze del genoma dell'Iceman, che con le tecnologie tradizionali avrebbero richiesto un impegno di numerosi decenni. I tre ricercatori hanno prelevato un campione dall'osso pubico di Ötzi e, grazie alla nuova tecnologia di sequenziamento SOLiD, ne hanno estratto la più grande quantità di DNA mai prelevata dal corpo mummificato, ricavandone una vera e propria biblioteca del DNA. Si è trattato di uno studio pilota che ha impiegato questa tecnologia per la prima volta per analizzare dei campioni della mummia venuta dal ghiaccio.

«Il DNA sul quale interveniamo ha più di 5.000 anni ed è estremamente frammentato. Tuttavia con l'ausilio di queste tecnologie avanzate, che garantiscono un margine minimo di errore, siamo riusciti a identificare con grande rapidità il genoma completo dell'Iceman», sottolinea Albert Zink, responsabile della conservazione della mummia. La parte più entusiasmante del lavoro deve tuttavia ancora iniziare, perché l'enorme quantità di dati ora disponibile dopo la rielaborazione bioinformatica schiude nuovi scenari investigativi.

Affascinanti risposte che gli esperti dell'EURAC, insieme a ricercatori tedeschi e a un gruppo di scienziati egiziani coordinato da Zahi Awass, ci hanno invece appena fornito sul conto di Tutankhamon, il faraone più famoso dell'Antico Egitto. Le origini del giovane re, morto a soli 19 anni, erano rimaste sconosciute fino a tempi recenti. Sotto la guida del tandem già collaudato formato da Albert Zink e Carsten Pusch i ricercatori hanno svolto indagini genetiche su 16 mummie utilizzando le tecniche più moderne. Le ricerche si sono svolte in due laboratori all’avanguardia per il sequenziamento del DNA, uno nei sotterranei del Museo Egizio del Cairo, l’altro presso la Facoltà di Medicina dell’Università del Cairo, dopo aver convinto dell'integrità dei metodi d'analisi Zahi Awass, Segretario generale del Consiglio supremo delle antichità egizie. Ed ecco svelato il mistero: il padre di Tutankhamon è il famoso faraone Akhenaton, il cui corpo mummificato viene identificato nella Valle dei Re con il numero KV (King Valley) 55. La madre è la cosiddetta Younger Lady, la mummia KV35, rinvenuta assieme a un'altra mummia più anziana. I mummiologi stanno ora cercando di capire se la Younger Lady sia la famosa Nefertiti.

Nel settembre 2007 i dieci ricercatori del team avevano iniziato a prelevare campioni di tessuto dall'interno delle ossa di undici mummie scelte tra i parenti di Tutankhmon e da altre cinque mummie, riuscendo in soli due anni a estrarne il DNA e le impronte digitali genetiche. I risultati hanno indicato la pista da seguire. Grazie a queste impronte genetiche si è potuto infatti ricostruire l'albero genealogico della famiglia Tutankhamon fino alla quinta generazione. Le ricerche hanno permesso inoltre di fare passi avanti nell'individuazione delle cause che hanno portato alla morte del giovane faraone. Con l'aiuto del radiologo bolzanino Paul Gostner, nel corpo di Tutankhamon sono state diagnosticate diverse malattie tra cui una necrosi ossea al piede sinistro che ha portato a una scarsa irrorazione sanguigna dell'osso e alla sua progressiva degenerazione. «Questa malattia da sola non può aver portato il faraone alla morte, ma ha limitato molto la sua mobilità», chiarisce Albert Zink. Si spiega così anche perché nella tomba siano stati trovati ben 130 bastoni da passeggio, ritenuti originariamente un simbolo di potere del faraone. Più insidiosa era invece la seconda malattia di cui gli scienziati hanno trovato traccia: «Tutankhamon soffriva di una forma acuta di malaria, la malaria tropica», continua Albert Zink. «Questo, assieme alla necrosi ossea, potrebbe averlo portato alla morte». I resti di piante rinvenuti nella sua tomba confermano la diagnosi, essendo conosciute in larga parte ancor oggi per le loro proprietà analgesiche e antipiretiche. Risolto dunque l'enigma sui rapporti di parentela del famoso faraone bambino, rimane ora da chiarire quello di Nefertiti, dall'antico egizio la «bella che è arrivata», potente consorte di Akhenaton dell'epoca eretica amarniana.

All’interno delle suggestive Catacombe dei Cappuccini a Palermo, rinomate in tutto il mondo, sono conservate circa 8.000 salme mummificate. Fin dalla fine del Cinquecento, infatti, il convento cominciò ad imbalsamare ed esporre i cadaveri (principalmente provenienti da ceti abbienti, che potevano permettersi i costi di questa particolare sepoltura).

La finalità filosofica di queste macabre esibizioni di cadaveri è in effetti la medesima: ricordare ai visitatori la transitorietà della vita, la decadenza della carne e l’effimero passaggio di ricchezze e onori. In una frase, memento mori – ricorda che morirai.

Le prime, antiche procedure prevedevano la “scolatura” delle salme, che venivano private degli organi interni e appese sopra a speciali vasche per un anno intero, in modo che perdessero ogni liquido e umore, e rinsecchissero. In seguito venivano lavate e cosparse con diversi olii essenziali e aceto, poi impagliate, rivestite ed esposte.

Ma fra le tante mummie contenute nelle Catacombe (così tante che nessuno le ha mai contate con precisione), ce n’è una che non cessa di stupire e commuovere chiunque si rechi in visita nel famoso santuario. Nella Cappella di Santa Rosalia, in fondo al primo corridoio, riposa “la mummia più bella del mondo”, quella di Rosalia Lombardo, una bambina di due anni morta nel 1920.

La piccola, morta per una broncopolmonite, dopo tutti questi anni sembra ancora che dorma, dolcemente adagiata nella sua minuscola bara. Il suo volto è sereno, la pelle appare morbida e distesa, e le sue lunghe ciocche di capelli biondi raccolte in un fiocco giallo le donano un’incredibile sensazione di vita.

Il segreto della sua imbalsamazione è rimasto irrisolto, fino a quando nel 2009 un paleopatologo messinese, Dario Piombino Mascali, ha concluso una lunga e complessa ricerca per svelare il mistero. La minuziosa preparazione della salma di Rosalia è stata attribuita all’imbalsamatore palermitano Alfredo Salafia, che alla fine dell’Ottocento aveva messo a punto una sua procedura di conservazione dei tessuti mediante iniezione di composti chimici segretissimi. Salafia aveva restaurato la salma di Francesco Crispi (ormai in precarie condizioni), meritandosi il plauso della stampa e delle autorità ecclesiastiche; aveva perfino portato le sue ricerche in America, dove aveva dato dimostrazioni del suo metodo presso l’Eclectic Medical College di New York , riscuotendo un clamoroso successo.

Fino a pochissimi anni fa si pensava che Salafia avesse portato il segreto del suo portentoso processo di imbalsamazione nella tomba. Il suo lavoro sulla mummia di Rosalia Lombardo è tanto più sorprendente se pensiamo che alcune sofisticate radiografie hanno mostrato che anche gli organi interni, in particolare cervello, fegato e polmoni, sono rimasti perfettamente conservati. Piombino, nel suo studio delle carte di Salafia, ha finalmente scoperto la tanto ricercata formula:  si tratta di una sola iniezione intravascolare di formalina, glicerina, sali di zinco, alcool e acido salicilico, a cui Salafia spesso aggiungeva un trattamento di paraffina disciolta in etere per mantenere un aspetto vivo e rotondeggiante del volto. Anche Rosalia, infatti, ha il viso paffuto e l’epidermide apparentemente morbida come se non fosse trascorso un solo giorno dalla sua morte.

Salafia era già celebre quando nel 1920 effettuò l’imbalsamazione della piccola Rosalia e, come favore alla famiglia Lombardo, grazie alla sua influenza riuscì a far seppellire la bambina nelle Catacombe quando non era più permesso. Così ancora oggi possiamo ammirare Rosalia Lombardo, abbandonata al sonno che la culla da quasi un secolo: la “Bella Addormentata”, come è stata chiamata, è sicuramente una delle mummie più importanti e famose del ventesimo secolo.

Dopo tanti anni passati a combattere i segni del disfacimento e della morte, senza ottenere mai una laurea in medicina, Alfredo Salafia si spense infine nel 1933. Nel 2000, allo spurgo della tomba, i familiari non vennero avvisati. Così, come ultima beffa, nessuno sa più dove siano finiti gli ultimi resti di quell’uomo straordinario che aveva dedicato la sua vita a preservare i corpi per l’eternità.



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