venerdì 5 febbraio 2016

POMPEI

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Pompei ha origini antiche quanto quelle di Roma: una migrazione di abitanti dalla Valle del Sarno, discendenti dai famosi Pelasgi, formò un primitivo insediamento ai piedi del Vesuvio: forse non un abitato vero e proprio, più probabilmente un piccolo agglomerato posto all'incrocio di tre importanti strade, ricalcate in epoca storica dalla via proveniente da Cuma, Nola, Stabia e da Nocera.

Passaggio obbligato tra nord e sud, Pompei divenne preda per i potenti stati confinanti. Fu conquistata una prima volta dalla colonia di Cuma tra il 525 e il 474 a.C. Strabone riporta che Pompei fu unita alla dodecapoli (l'insieme delle dodici città etrusche più importanti) sotto il controllo di Nuvkrinum, notizia che alla luce dei recenti scavi diventa sempre più attendibile. Nell'area del tempio d'Apollo e presso le Terme Stabiane sono stati rinvenuti numerosi frammenti di bucchero, alcuni con iscrizioni nucerine in grafite; sempre nella zona delle Terme, inoltre, è venuta alla luce una necropoli del VI secolo a.C.

Le prime tracce di un centro importante risalgono al VI secolo a.C., anche se in questo periodo la città, ancora piuttosto piccola, sembra ancora un'aggregazione di edifici piuttosto disordinata e spontanea.

La battaglia persa dagli Etruschi nelle acque di fronte a Cuma contro Cumani e Siracusani (metà del V secolo a.C.) portò Pompei sotto l'egemonia dei sanniti. La città aderì alla Lega nucerina, una confederazione che comprendeva Nuceria Alfaterna, Ercolano, Stabia e Sorrento, e utilizzò l'alfabeto nucerino che si basava su quello greco e su quello etrusco. Probabilmente risale a questo periodo la fortificazione dell'intero altopiano con una cerchia di mura di tufo che racchiudeva oltre sessanta ettari, anche se la città vera e propria non raggiungeva i dieci ettari d'estensione.

Fu ostile ai Romani durante le guerre sannitiche. Una volta sconfitta, divenne alleata di Roma come socia dell'Urbe, conservando un'autonomia linguistica e istituzionale. È del IV secolo a.C. il primo regolare impianto urbanistico della città che, intorno al 300 a.C., fu munita di una nuova fortificazione in calcare del Sarno.

Durante la seconda guerra punica Pompei, ancora sotto il controllo di Nuceria Alfaterna, rimase fedele a Roma al contrario di Capua e di molte altre città campane, e poté così conservare una parziale indipendenza.

Nel II secolo a.C. la coltivazione intensiva della terra e la conseguente massiccia esportazione di olio e vino portarono ricchezza e un alto tenore di vita: basterebbe ricordare il pregio di alcuni edifici e il loro lussuoso arredamento. La Casa del Fauno, ad esempio, può rivaleggiare in ampiezza (quasi 3000 m²) persino con le più famose dimore reali ellenistiche.

Allo scoppio della guerra sociale (91 a.C.) Pompei fu ostile a Roma, ma fu impossibile resistere alla sua forza militare: nell'89 a.C. Silla, dopo aver fatto capitolare Stabia, partì alla volta di Pompei, che tentò una strenua difesa rinforzando le mura cittadine e avvalendosi dell'aiuto di un gruppo di celti capitanati da Lucio Cluenzio. Ogni tentativo di resistenza risultò vano e ben presto la città cadde ma, grazie all'appartenenza alla lega nucerina, ottenne la cittadinanza romana e fu inserita nella Gens Menenia.

Nell'80 a.C. entrò definitivamente nell'orbita di Roma e Silla vi trasferì un gruppo di veterani nella Colonia Venerea Pompeianorum Sillana. L'assegnazione di terre ai veterani avvenne a danno delle gentes che avevano più aspramente avversato Silla. Ciò nonostante, le vicende politiche e militari non influirono in maniera determinante sul benessere e sull'intraprendenza commerciale dei pompeiani, volta soprattutto all'esportazione dei vini campani che interessava zone anche molto remote. Per la salubrità del clima e l'amenità del paesaggio la città e i suoi dintorni costituirono anche un piacevole luogo di villeggiatura per alcuni ricchi Romani, e anche Nerone aveva un suo fondo.

Le fonti sono piuttosto avare di notizie sulla vita di Pompei nella prima età imperiale. Solo Tacito ricorda la rissa tra Nucerini e Pompeiani del 59 d.C. nell'anfiteatro di Pompei, che spinse i consoli a proibire per dieci anni ogni forma di spettacolo gladiatorio.

Il 5 febbraio del 59 d. C. la città venne poi colpita da un forte terremoto.

Nell'autunno del 79 d.C. Pompei fu sommersa da una pioggia di cenere e lapilli (e non lava, come spesso viene riportato) che, salvo un intervallo di alcune ore, cadde ininterrotta fino a formare uno strato di oltre tre metri. Al momento dell'eruzione molti edifici erano in fase di ricostruzione a causa di un sisma verificatosi pochi giorni prima, e non - come precedentemente creduto - per quello del 59, i cui danni erano già stati completamente riparati.
La data di questa eruzione ci è nota in base a una lettera di Plinio il giovane e dovrebbe corrispondere al 24 agosto. Tuttavia non tutti gli studiosi concordano, anche perché di questa lettera non esiste l'originale, ma ci sono solamente trascrizioni successive. In alcune si parla del nono giorno prima delle calende di novembre, corrispondente al 24 di ottobre. Altri indizi vengono dal ritrovamento di frutta secca, come noci e fichi, oppure di sorbe, frutto tipico autunnale, ma la prova forse più importante è il ritrovamento di una moneta d'argento, che riporta la scritta IMPXV, ovvero la quindicesima acclamazione di Tito a imperatore, che avvenne l'8 settembre del 79 d.C. Nella cenere solidificata furono ritrovate delle cavità; queste, riempite con colate di gesso o di altro materiale, hanno poi formato i calchi delle vittime dell'eruzione.

Alcuni reperti bizantini testimoniano l'esistenza di un piccolo insediamento anche nel Medioevo; in questo periodo gli abitanti erano concentrati in località Civita Giuliana, a nord della città antica e in posizione più elevata, vista la presenza di paludi e di una forte umidità nella parte più meridionale, nei pressi del fiume Sarno, portatrice di malattie e morte. Successivamente il Sarno fu deviato dal Principe di Scafati, e ciò provocò la morte di quasi tutti gli abitanti della valle di Pompei. I Borboni realizzarono poi alcune opere idrauliche e la foce del fiume fu interamente bonificata e delimitata da argini in pietra. A inizio Ottocento fu costruita la Chiesa della Giuliana, ora in stato di abbandono.

La Pompei moderna fu fondata dopo la costruzione del Santuario della Beata Vergine del Rosario di Pompei. Il Santuario fu consacrato nel 1891.

Personaggio di assoluto rilievo fu Bartolo Longo, proclamato beato il 26 ottobre 1980 da papa Giovanni Paolo II. Per sua volontà fu eretto il Santuario della Beata Vergine del Rosario di Pompei, ora Basilica Pontificia, ricca di ex voto, la quale costituisce una delle mete italiane più frequentate "per grazia ricevuta"; in esso è conservata la tela seicentesca della scuola di Luca Giordano, raffigurante la Madonna di Pompei. Un intenso pellegrinaggio si verifica in occasione delle due suppliche alla Madonna, l'8 di maggio e la prima domenica di ottobre. Si devono a lui altre due opere a favore di persone bisognose, due strutture destinate all'accoglienza dei figli e figlie di persone carcerate.

Ebbe forte risalto internazionale la registrazione in audio e video, avvenuta tra il 4 e il 7 ottobre 1971, del concerto dei Pink Floyd, pubblicato nel 1972 come Pink Floyd a Pompei. Il concerto fu tenuto in assenza di pubblico, alla presenza del solo staff tecnico, e per questo resta tuttora un passaggio memorabile della storia del rock, sia per l'esecuzione in uno spazio vuoto, sia per gli effetti audio-visivi utilizzati.

Con decreto firmato il 9 gennaio 2004 dall'allora Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi, Pompei è stata elevata al rango di città.



Nell'area degli scavi archeologici è stata portata alla luce l'antica città romana sommersa dall'eruzione del Vesuvio del 79 d.C.. L'improvvisa pioggia di cenere, polvere e lapilli hanno cristallizzato la città e la sua tragedia, preservandole nei secoli.

Nel 1997 l'UNESCO ha dichiarato Pompei "Patrimonio Mondiale dell'Umanità". Il Comitato ha deciso di promuovere l'area considerando che gli straordinari reperti delle città di Pompei, Ercolano e delle città limitrofe, sepolte dall'eruzione del Vesuvio del 79 d.C., costituiscono la testimonianza unica di una struttura sociale conservata pressoché intatta per due millenni.

Pompei si estendeva su quasi 64 ettari e la sua popolazione era di circa 20.000 persone.
La planimetria della città dalla regolarità geometrica venne fondamentalmente derivata dall'architetto e urbanista greco Ippodamo di Mileto. Ma la planimetria di Pompei non si conforma alla rigida disposizione secondo angoli retti, e gli isolati non hanno dimensioni costanti che distinguevano, in genere, le opere di Ippodamo. Tuttavia , nonostante la carenza di esattezza, Pompei costituisce il primo esempio di pianificazione urbana sistematica in Italia. Architetti, progettisti e costruttori ebbero il loro momento più felice al tempo di Nerone, come conseguenza del terremoto del 62 d.C. Infatti, durante gli ultimi diciassette anni della vita della città essi furono chiamati, non solo ad ampliare la zona di Pompei, ma anche a ricostruire i numerosi edifici che il terremoto aveva distrutto o danneggiato. Tuttavia ciò prese molto tempo ed i costruttori non portarono a termine il loro lavoro; i grandiosi progetti per la ricostruzione degli edifici pubblici in molti casi non erano stati neanche avviati quando l'eruzione vesuviana del 79 d.C. ne provocarono la cancellazione totale.
Nei visitatori desta sempre sorpresa lo scoprire come fossero anguste la maggior parte delle strade dell'epoca. A Pompei esse erano larghe 2.4 o 3.6 o 4.5 metri, e la più ampia di tutte misurava poco più di sette metri. Su ambe due i lati delle strade principali v'erano zone soprelevate (marciapiedi) ma, poiché nel mezzo v'erano acque di scolo, si disponevano tra di esse grosse pietre per permettere ai pedoni di passare da un lato all'altro della strada. In molti incroci si incontrano delle fontane decorate con pietre scolpite sormontanti la vasca rettangolare di pietra. Le fontane, come pure numerosi edifici, erano alimentate da tubazioni di piombo disposte sotto i marciapiedi e che prendevano l'acqua da grosse cisterne, essa arrivava alle cisterne dalle colline dell'interno per mezzo un acquedotto che cominciava da Serino, nei pressi dell'odierna Avellino, a 26 chilometri nell'entroterra. Le mura di Pompei rappresentano uno dei più importanti sistemi di fortificazione di città italica preromana che siano giunti fino a noi. In esse si notano non meno di quattro fasi di costruzione. Nel corso del II cesolo a.C. le difese vennero ulteriormente rinforzate e alla fine, verso il 100, furono aggiunte dodici torri.
Pompei aveva sette porte, cinque delle quali comunicavano con importanti strade esterne. Subito fuori le mura si estendevano grandi aree principalmente adibite a cimiteri, dal momento che le sepolture e le cremazioni erano proibite all'interno della città. I rapporti tra i vivi ed i morti erano molto intimi; alcune delle tombe più grandi erano dotate di sala da pranzo e perfino di cucina per i banchetti annuali previsti nel testamento di coloro che vi erano sepolti.

Le case erano dominate dai dipinti parietali che costituiscono l'aspetto più straordinario di Pompei. La varietà di stili nella decorazione pittorica che riveste le pareti delle case pompeiane è evidente.
Dalla sobria ripartizione in riquadri colorati, agli scenari architettonici, talora semplici talora molto complessi, fino alla visione di prospettive assolutamente fantastiche, alle scene figurate e alla ornamentazione pura. Inoltre ognuno si renderà facilmente conto di come la decorazione pittorica fosse considerata essenziale all'abbellimento della parete. Esse cercano di deliziare e ci riescono, facendo pensare anche che fosse stato raggiunto un elevato livello di civiltà visiva, ampiamente generalizzata, che si estendeva fino ai gradini più bassi della scala sociale. Una civiltà mai superata in alcuna epoca posteriore e sempre sensibilmente superiore a quanto si possa oggi trovare in una qualsiasi città di dimensioni paragonabili.

I dipinti a carattere figurativo di Pompei sono quasi sempre copie, di solito tratte da altre copie di capolavori celebri dell'arte greca. che purtroppo sono andati perduti. Nei dipinti figurativi si tratta, nella maggior parte dei casi, di un capitolo marginale, trasferito in Campania, dell'arte ellenistica o, comunque, di una sua ultima conseguenza. Essa appare come la proiezione in un ambiente provinciale della corrente filoellenica presente nell'arte romana. Sono stati fatti molti studi per decidere se e quali delle pitture di Pompei, Ercolano, Stabiae e Oplontis possano essere sicuramente considerate come greche, campane e sannitiche.
La tecnica utilizzata per la realizzazione delle pitture parietali (affresco) consisteva nell'applicare al muro due o tre strati ben fatti di intonaco calcareo, mescolato con sabbia e calcite. Quindi si dipingeva prima il fondo e si lasciava asciugare. Quando il tutto si era ben essiccato, si aggiungevano le decorazioni. I colori venivano mescolati con calcare, mentre, per conferire brillantezza alla superfice, si aggiungevano anche colla e cera (encausto). Con tali mezzi le pitture acquistavano durevolezza e lucentezza. Tra l'altro, i pigmenti usati nell'antichità erano costituiti soprattutto da terre colorate come le ocre, da tinte minerali come il carbonato di rame e, infine, da tinte di origine vegetale e animale . Non era affatto facile acquistare padronanza della tecnica, ed era necessaria una grande avvedutezza da parte del pittore, il quale doveva riuscire a mettere in atto le sue idee con rapidità per ricoprire la massima superfice nel minor tempo. Tradizionalmente le pitture delle città vesuviane sono state assegnate a quattro stili diversi, susseguentisi nel tempo anche se qualche volta si sono sovrapposti. Oggi si pensa che tale suddivisione sia del tutto inadeguata a rappresentare la varietà delle tecniche pittoriche; essa però sarà conservata in questo sito dal momento che l'enorme sforzo di creare un sistema sostitutivo nonostante i numerosi tentativi potrà dare risultati solo nel futuro.

A Pompei il pavimento fu veduto come uno spazio unitario che avrebbe dovuto essere interamente coperto dal mosaico, il quale così sarebbe sembrato un tappeto anziché uno stuoino. Tale formula è in modo particolare riscontrabile negli atria delle grandi case sannitiche costruite a Pompei e a Ercolano nel II secolo a.C.

Ma la città di Pompei fornisce anche un certo numero di notevoli esempi dell'antica tecnica greca del "tappetino": cioè dei mosaici inseriti al centro del pavimento e formanti dei quadri, con disegni non soltanto decorativi. Talvolta gli scenari potevano essere molto grandi, come dimostra il più famoso di tutti, quello che rappresenta la battaglia di Isso (333 a.C.) combattuta fra Alessandro Magno e i Persiani di Dario In, che misura m 3,20 x m 5,50. Risalente al 150 a.C. circa, il mosaico fu scoperto nella Casa del Fauno di Pompei e attualmente è conservato nel Museo di Napoli. Insieme con il più recente e puramente decorativo mosaico del Nilo di Palestrina (la vecchia Praeneste), esso costituisce il più splendido esemplare dell'arte musiva che sia giunto fino a noi e rivela la straordinaria potenzialità del mezzo (anche se sarebbe alquanto scomodo dover guardare dall'alto in basso una composizione così complessa realizzata su un pavimento).



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