giovedì 5 novembre 2015

L'ADULTERIO

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Il termine “adulterio” nel suo significato originario viene dal latino “adulterare” (corrompere) ed indica la violazione della fedeltà coniugale, attraverso un rapporto sessuale e sentimentale che ha luogo al di fuori del matrimonio. In particolare, molto grave e legalmente punibile è stato sempre considerato, in tutte le culture ed in tutte le epoche, il tradimento operato dalla moglie.

Nell'Islam l'adulterio è un peccato molto grave, tanto da prevedere la pena di morte a mezzo della lapidazione. Infatti, tra le tre principali religioni monoteiste (cristianesimo, ebraismo e islam), l'islam è l'unica religione che prevede anche punizioni terrene, oltre a quelle riservate da Allah dopo la morte del credente, per alcune tipologie di peccati. I riferimenti nella legge islamica sono da ricercarsi sia nel Corano, il libro sacro dei musulmani, che contiene le rivelazioni di Allah a Maometto e fissa la raccolta delle regole divine nel codice della Sharia, sia nella Sunna, che esprime il pensiero autentico del Profeta (attraverso i ‘detti' del poeta, gli hadith) e include la definizione di specifiche fattispecie e la condotta da tenere al riguardo.

A differenza di altre religioni, l'islam non ha però subito alcuna evoluzione rispetto alle scritture originali, a causa dell'impossibilità di interpretazioni dei testi sacri che lo caratterizza.

A tutt'oggi, in alcuni paesi a prevalenza islamica vige la pena di morte per gli adulteri. E quando non lo prevede l'ordinamento giuridico nazionale ufficiale, spesso sono i tribunali locali ad emettere la sentenza. Secondo la legge islamica, per raggiungere la prova della colpevolezza dell'adulterio vi devono essere quattro testimoni concordi. Pur prevedendo le medesime pene per adulteri maschi e femmine, di fatto le vittime di lapidazione sono però quasi esclusivamente le donne. La lapidazione viene praticata con l'uomo interrato fino alla vita, e con la donna fino al petto, con pietre non troppo piccole da risultare innocue, né troppo grandi da abbreviare la sofferenza del condannato.

Nella Bibbia l'adulterio, considerato un peccato, indica un qualsiasi rapporto sessuale volontario di una persona con altri al di fuori del vincolo coniugale. Quando una persona sposata ha rapporti sessuali con chiunque non sia il proprio coniuge, la fornicazione equivale all'adulterio.

L'adulterio è proibito nella Bibbia perché viola il concetto della santità della famiglia e del matrimonio (Esodo 20:14; Deuteronomio 5:18). Più specificatamente questo peccato è descritto in Levitico 18:20 "Non avrai relazioni carnali con la moglie del tuo prossimo per contaminarti con lei". Nell'Antico Testamento questa infrazione è considerata tanto grave da meritare la morte (Levitico 20:10).

In Deuteronomio 22:22 non è prescritto il modo in cui vada punita l'adultera, sebbene in Ezechiele 16:40; 23:43-47 si menzioni la lapidazione come l'appropriato castigo. Così pure in Deuteronomio 22:23,24:

« Se una fanciulla vergine è fidanzata, e un uomo trovandola nella città, si sarà giaciuto con lei (avrà privato il fidanzato della verginità della "futura" moglie), siano ambedue condotti fuori della porta della città e siano lapidati, finché muoiano: la fanciulla, perché, pur trovandosi in città, non ha gridato, e l'uomo perché ha violato la donna del suo prossimo. Togli così il male di mezzo a te. »   (Deuteronomio 22,13-21)
Varie indicazioni nella tradizione giudaica suggeriscono come a volte questo castigo sia stato inflitto con lo strangolamento.

Dato che la pena di morte poteva essere inflitta su una persona "colta in flagrante adulterio" (Giovanni 8:4), la donna sospettata dal marito d'aver commesso adulterio doveva essere sottoposta a un'ordalia per stabilire la sua innocenza o essere manifestata come peccatrice da un giudizio divino (Numeri 5:11-31).

Sebbene l'adulterio sia condannato dalla legge divina come una trasgressione molto grave (Giobbe 31:9-11), essa non poteva essere estirpata, e sia uomini sia donne ne erano spesso trovati colpevoli (Giobbe 24:15; 31:9; Proverbi 2:16-19; 7:5-22). Persino Davide si rende colpevole d'adulterio con Betsabea, sfociando nell'omicidio del rivale (2 Samuele 11:2-5), ma egli se ne ravvede sinceramente (Salmo 51:1 ss). L'adulterio affligge il paese soprattutto per l'influenza di profeti e sacerdoti immorali (Geremia 23:10-14; 29:23).

È solo grazie alla parola di Gesù Cristo, e alla conseguente evoluzione della Bibbia nel Nuovo Testamento, che la lapidazione viene bandita definitivamente dalla religione cristiana: “Or Mosè, nella legge, ci ha comandato di lapidare tali donne; tu che ne dici?…Chi di voi è senza peccato, scagli per primo la pietra contro di lei” (Giovanni 8:5,8:7)

Sebbene la Bibbia consideri solo la trasgressione di fatto del comandamento della castità matrimoniale, la legge cristiana condanna pure le pratiche adultere commesse dall'occhio e dal cuore (adulterio virtuale, cfr. Giobbe 31:1,7). È soprattutto Gesù Cristo che mette in evidenza questo "adulterio virtuale" nel Discorso della Montagna (Matteo 5,27-28), dove lo equipara a un adulterio di fatto.

Il protestantesimo interpreta i dati del Vangelo in maniera più lasca della Chiesa Cattolica:

per i protestanti quando Gesù contesta le pratiche di divorzio molto facili del Suo tempo, basate sull'interpretazione molto liberale di Hillel di Deuteronomio 24:1-3, egli ne eccettua l'adulterio come legittima causa di divorzio, appoggiando così la scuola più rigorosa di Shammai, che limitava il divorzio come conseguenza dell'adulterio.
la Chiesa Cattolica non condivide questa interpretazione, ritenendola basata su un'interpretazione non esatta di Matteo 19,9: tale passo stabilisce un'eccezione e, apparentemente, una permissione del divorzio, ma solo nel caso di un'unione illegittima, e non nel caso dell'adulterio.
A causa della corruzione morale della creatura umana, l'adulterio sembra così essere qualcosa di insopprimibile. È per questo che il Nuovo Testamento spesso ammonisce a non cadervi (1 Corinzi 6:9; Ebrei 13:4; Giacomo 4:4).




Oggi, quando parliamo di “infedeltà” e “tradimento” non diamo a questi termini quelle accezioni particolari di riprovazione morale e di colpa che la parola “adulterio” invece implicitamente comporta.

Nel nostro Paese la questione della legittimità del reato di adulterio fu posta alla Corte Costituzionale, per la prima volta, solo nel 1961. Infatti, questo reato appariva in contrasto con l’articolo 29 della Costituzione (che invece sancisce la parità dei coniugi). La Corte Costituzionale in quella occasione dichiarò infondata la questione di legittimità costituzionale e la rigettò, per accoglierla solo nel 1968, anno in cui il reato di adulterio fu riconosciuto illegittimo.

Con la sentenza sentenza N. 126 del 1968, la Corte Costituzionale fece queste considerazioni sulla posizione della donna e sulla parità fra coniugi, che in Italia fino ad allora non si erano mai sentite prima:

1) la discriminazione non può trovare giustificazione nel fatto che, dovendo vincere particolari ostacoli fisiologici, la moglie adultera dimostra maggiore carica di criminosità; oppure nel fatto che l’adulterio dalla stessa commesso importa maggiori pericoli, implicando i rischi della commistio sanguinis, della usurpazione di stato del figlio, ecc. Ed invero, siffatte circostanze riposano su una distinzione per sesso esplicitamente vietata dall’art. 3 della Costituzione.

2) Non sembra che, attualmente, la coscienza collettiva annetta all’adulterio della moglie un particolare carattere di gravità, come avveniva nei tempi passati, coerentemente allo stato di soggezione morale, giuridica e materiale in cui era tenuta la donna; e non può pertanto sostenersi che esso rappresenti una maggiore offesa al bene della fedeltà coniugale, che l’art. 559 vuol tutelare.

3) Anche in riferimento all’art. 29 della Costituzione, che garantisce l’unità familiare, deve riconoscersi la illegittimità della norma impugnata. L’adulterio rappresenta un fatto dimostrativo dell’avvenuta rottura di tale unità, sicché non si vede quale sia la ragione della discriminazione, mentre qualunque limitazione del principio di eguaglianza incide sull’unità stessa, spostando l’equilibrio a favore di uno ed a danno dell’altro coniuge.

4) L’illecito comportamento della moglie rispetto alla liceità dell’identico comportamento del marito pone la prima in condizioni di inferiorità morale e giuridica e ne offende la dignità personale, costringendola a sopportare le infedeltà del marito.

In base allo stesso principio di parità, nel 1969 la Corte riconobbe anche l’illegittimità della norma che perseguiva il concubinato e abrogò entrambe le figure di illecito.

Il “delitto contro il matrimonio” che l’adulterio rappresenta era considerato atto lesivo della dignità del coniuge e della unità familiare sin da epoche remotissime.

Nel diritto greco, il reato di adulterio si configurava ogni qualvolta un uomo sposato aveva un rapporto sessuale con una donna appartenente a una classe sociale elevata, anche se vedova (avere relazioni sessuali con donne plebee era infatti considerato più che naturale e comunque non offensivo). La donna non era considerata infatti soggetto di reato, ma solo oggetto e dunque non era per questo legalmente punibile, in quanto non considerata responsabile, anche se il marito aveva la facoltà di ripudiarla e di chiedere del denaro per compensare l’offesa subita. L’uxoricidio per motivi d’onore non era punito.

Nella società romana le leggi erano più rigide ed in alcuni periodi storici gli adulteri potevano essere anche puntiti con la morte. Nel 18 a.C. ad esempio, la lex Iulia de adulteriis coercendis concedeva al padre della donna il diritto di uccidere impunemente entrambi gli adulteri colti in flagrante e al marito il diritto di uccidere l’amante della moglie. Inoltre aveva l’obbligo di ripudiare la consorte.

L’adulterio continuò ad essere punito con molta severità, spesso anche con la morte, anche in epoca medioevale.

In Italia l’adulterio della donna poteva comportare il famigerato ‘delitto d’onore’.

Quasi stupisce pensare che nel nostro Paese, dove si è sviluppata la civitas romana, il cristianesimo, il rinascimento ecc., l’articolo 559 del codice penale (secondo la codificazione del 1930), abbia previsto la pena di reclusione (fino ad un anno) per la moglie adultera e per il correo (cioè l’amante) e non per il marito adultero (che veniva punito solo nel caso di concubinato, ovvero del completo abbandono del tetto coniugale). Nel caso la relazione fosse stata abituale e non occasionale, la pena poteva raggiungere i due anni di reclusione.

Oggi il concetto di adulterio rimane alla base di provvedimenti di carattere civilistico, come nelle separazioni, nei divorzi, nell’affido dei minori ecc. Chi tradisce però non è più un criminale, ma solo una persona che non ha saputo o voluto rispettare un patto: quello della fedeltà coniugale.




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