In Italia esistono ufficialmente 120 basi dichiarate, oltre a 20 basi militari Usa totalmente segrete ed ad un numero variabile (al momento sono una sessantina) d'insediamenti militari o semplicemente residenziali con la presenza di militari USA. Per quanto riguarda le basi segrete, non si sa ovviamente dove siano, né che armi e che mezzi vi si trovino.
Circa 12mila militari statunitensi con i loro 16mila familiari, quasi 6mila civili in servizio. Senza considerare le basi a stelle e strisce che dal Friuli alla Sicilia interessano gran parte del nostro Paese. Da anni si discute sulla legittimità della presenza di forze armate statunitensi in Italia. Molto meno delle sue ripercussioni economiche.
Un’analisi finalizzata a confrontare i contributi economici, diretti e indiretti, forniti da alcuni Stati «a fronte dei costi di stazionamento delle forze armate statunitensi in quei Paesi». I dati sembrano facilmente consultabili per quanto riguarda la situazione in Germania - nonostante il forte ridimensionamento americano, resta questo il Paese europeo con la maggior presenza di militari Usa - Corea del Sud e Giappone. Molto meno nel nostro caso. «Per l’Italia - spiega il parlamentare grillino - non vene data alcuna informazione in termini monetari per mancanza di aggiornamenti».
Nel 1951 gli Stati Uniti d'America e l'Italia firmarono un primo accordo di cooperazione militare: gli Stati Uniti avrebbero rimesso in sesto il sistema di comunicazione militare in tutta Italia in cambio di circa mille ettari di terreno, tra Livorno e Pisa, da dedicare ad una base militare e la concessione ad operare militarmente, con proprie truppe, in Italia.
Il 15 novembre 1952 quei terreni divennero la base militare statunitense di Camp Darby, che prese il nome del brigadiere generale William Orlando Darby, ucciso in azione sulle rive del Lago di Garda a Torbole il 30 aprile 1945.
Nel 1955 a seguito della firma del trattato di pace tra gli Stati Uniti e l'Austria, che si era dichiarata neutrale, tutte le truppe d'occupazione statunitensi dovettero lasciare il Paese, e furono ridislocate, compresi i mezzi e le attrezzature, in Italia presso Camp Darby.
Con l'Austria oramai neutrale, il fianco orientale dell'Italia settentrionale era diventato vulnerabile ad eventuali attacchi da parte del blocco sovietico: per ridurre il pericolo in questo settore, gli Stati Uniti decisero di istituire una specifica forza militare, ed il 2 ottobre 1955 fu creato l'U.S.A.S.E.TA.F. – United States Army Southern European Task Force.
Il 25 ottobre 1955 la prima sede della S.E.TA.F. fu stabilita a Camp Darby, ma la maggior parte della truppa fu acquartierata a Vicenza.
Poco dopo la sua creazione la S.E.TA.F. spostò la propria sede a Verona.
Un secondo accordo fu firmato tra gli Stati Uniti e l'Italia e portò ad un aumento delle truppe statunitensi fino a circa 10.000 militari.
Nel 1959, in seguito alla visita a Roma del presidente statunitense Dwight D. Eisenhower, fu firmato un terzo accordo che portò a significativi cambiamenti in seno alla S.E.TA.F.:
piena operatività dell'Esercito Italiano
taglio delle truppe statunitensi in Italia del 50%, per arrivare ad una quota di circa 5.000 militari
cessione all'Italia di tutti i materiali ed attrezzature bellico-militari dei reparti statunitensi rimpatriati
inclusione nell'organico della S.E.TA.F. anche degli ufficiali e sottufficiali dell'Esercito Italiano lì assegnati con compiti di collegamento.
Come risultato di questo terzo accordo, la 69th Eng.Co. – Engineers Company, equipaggiata con ADM (Atomic Demolition Munitions) ed una compagnia di artiglieria, equipaggiata con missili nucleari tattici MGM-29 Sergeant, furono spostati nella Caserma “M.O.V.M. Ten. Ugo Passalacqua” a Verona.
Il 20 ottobre 1963, sotto il comando del tenente colonnello Ronald L. Little, il 2nd Field Artillery Battalion del 30th Field Artillery Group, armato con missili nucleari tattici MGM-29 Sergeant, fu attivato nella Caserma “Carlo Ederle” a Vicenza.
Nel 1964 alla S.E.TA.F., che aveva lo scopo di «provvedere alla consulenza ed assistenza dell'artiglieria italiana da campo e delle unità di difesa aerea», fu assegnato il 559th U.S.A.A.G. – United States Army Artillery Group, dal quale dipendevano:
69th Ord.Co. - Ordnance Company di stanza a Longare, con il compito di effettuare la manutenzione delle bombe atomiche;
28th U.S.A.F.A.D. - United States Army Field Artillery Detachment, con il compito della difesa fisica delle bombe.
Nel 1965 la sede della S.E.TA.F. fu definitivamente spostata nella caserma “Carlo Ederle”.
Nel 1970 altri mutamenti si ebbero:
taglio delle truppe statunitensi in Italia di un ulteriore 50%, per arrivare ad una quota di circa 2.500 militari;
taglio del personale civile statunitense in Italia del 70%, questo per una scelta unilaterale di riduzione dei costi;
restituzione alla sovranità italiana del porto di Livorno già sotto il controllo dell'8th Area Support Group.
Nel 1972 i compiti del Comando S.E.TA.F. e l'area geografica di responsabilità aumentarono, quando il Comando assunse sotto la propria responsabilità anche i Comandi di artiglieria di stanza in Grecia (558th U.S.A.A.G.) ed in Turchia (528th U.S.A.A.G.), attivi dai primi anni sessanta.
Nel 1973, con l'assegnazione del 1st A.B.C.T. - Airborne Battalion Combat Team del 509th P.I.R. - Parachute Infantry Regiment, la S.E.TA.F. ebbe il duplice compito di impiegare tale reparto anche come componente della Allied Command Europe Mobile Force (Land) della NATO; il 1st A.B.C.T. fu disattivato a metà degli anni ottanta e sostituito dal 1st A.B.C.T. - Airborne Battalion Combat Team del 325th P.I.R. - Parachute Infantry Regiment della 82nd Airborne Division e così costituito:
Headquarters Company;
Combat-Support Company;
Artillery Battery, armata con obici da 105mm;
esso fu inquadrato nelle N.A.T.O. Allied Forces Mobile (Land), e fu un Reparto fondamentale nello scacchiere nord orientale italiano, durante la Guerra Fredda, per la sua immediata dispiegabilità su territorio come reparto paracadutato.
Il 15 dicembre 1975 il 2nd Field Artillery Battalion del 30th Field Artillery Group fu smobilitato.
La missione primaria della S.E.TA.F. durante gli anni ottanta fu la difesa dei valichi alpini orientali, in previsione di una invasione sovietica, ed il comando/controllo delle scorte di armamento nucleare ancora situato nell'Italia settentrionale.
Fino al 1992, il Comando S.E.TA.F. fu considerato un Comando logistico, pur avendo ai suoi ordini:
un battaglione paracadutisti;
tre U.S.A.A.G.;
e mantenendo sotto la propria responsabilità la base logistica di Camp Darby con l'8th Area Support Group.
Il Comando S.E.TA.F. successivamente fu designato come Comando d'appoggio e ancora dopo come Comando di teatro, e responsabile per il ricevimento e la preparazione per il combattimento ed il movimento delle forze nell'Europa meridionale in caso di conflitto.
Dall'aprile 1996 il 1st A.B.C.T. - Airborne Battalion Combat Team del 508th P.I.R. - Parachute Infantry Regiment è dislocato a Vicenza ed è stato ristrutturato tre volte.
Da un punto di vista specificamente militare, una base è un luogo dove possono essere custodite delle forze ma anche un luogo di ridistribuzione e proiezione delle stesse. All'interno essa permette l'addestramento d'uomini e mezzi e lo svolgimento di "operazioni di spionaggio e sabotaggio". Il riserbo mantenuto su tali luoghi consente anche la sperimentazione d'apparecchiature segrete e può essere un punto di riferimento per la condotta della navigazione elettronica.
A quanto risulta da una serie di inchieste giudiziarie, in Italia le basi NATO sono state utilizzate come nascondiglio clandestino per operazioni speciali che facevano capo a "Gladio" (esercito anticomunista organizzato da NATO-CIA) e anche da deposito di armi per la medesima organizzazione. Si è ipotizzato inoltre che le "operazioni" consistessero in organizzazioni di "colpi di stato" e in "attentati" (1960-1985).
In particolare, attraverso accordi "sotterranei" tra i servizi Usa (la Cia) e quelli italiani (Sifar) fu a suo tempo possibile la costituzione di "Basi Nazionali Clandestine" (BNC, come quelle operanti con la Gladio) e di depositi di armi nascosti (i cosiddetti Nasco), oltre alla costruzione di gruppi di operatori speciali dei servizi chiamati "Ossi", la cui identità rimaneva celata tramite l'uso di documenti segreti. In seguito, la seconda Corte di Assise di Roma con sentenza del 21 dicembre 1996, dichiarò tali gruppi "eversivi dell'ordine costituzionale". Ma ciò non è tutto. Sin dal 1952, con uno dei primissimi accordi segreti, i servizi americani ed italiani si accordarono per la costruzione della base di Capo Marargiu di Gladio in Sardegna. Si trattava "ufficialmente" di una base italiana, tuttavia progettata e pagata dagli Usa, che avrebbe ospitato, in caso di colpo di Stato (auspicato per evitare l'ingresso del PCI nell'area di governo) i personaggi considerati politicamente pericolosi (i cosiddetti enucleandi). La lista di questi "deportabili", circa seicento fra uomini di cultura, politici e professionisti di varia estrazione politica e sociale, esiste tuttora, ma nessuno si è mai fatto carico di renderla pubblica.
In maniera più che esplicita. nell'accordo italo-statunitense del cosiddetto piano Demagnetize (smagnetizzare i comunisti), un'altra diavoleria uscita fuori dalle menti malate degli ultra-atlantici, si legge: "I governi italiano e francese non devono essere a conoscenza, essendo evidente che l'accordo può interferire con la loro rispettiva sovranità nazionale". Com'è evidente, nel caso specifico, erano addirittura esclusi dalla conoscenza i governi italiano e francese, mentre tutto si svolgeva a livello dei Servizi Segreti dei rispettivi Paesi, in combutta con la CIA.
Può capitare - e capita - che armi bandite nell'ambito dello Stato ospite (ad esempio le mine antiuomo), siano invece tranquillamente conservate nei depositi di armi delle basi NATO, in attesa di essere utilizzate. Nel nostro paese, infatti, è stato stabilito che tali armi venissero distrutte, ma nelle basi USA ne continuano a rimanere conservati grandissimi quantitativi: da lì possono essere spedite in tutto il mondo, in tal mondo violando anche la legge italiana che limita e condiziona la vendita delle armi, ma che non vale per le basi straniere. Per quanto se ne sappia, allo stato attuale, Milano, dopo New York, è la seconda piazza del Mondo, per la vendita di armi.
Solo per fare qualche esempio, nelle basi NATO di Aviano nel Friuli e Ghedi in Lombardia, sono presenti novanta testate atomiche e noi sappiamo che un referendum ha stabilito - nel nostro paese - la messa al bando dell'energia atomica per usi civili, figuriamoci per usi militari. Va precisato che le armi nucleari e i vettori custoditi in alcune basi sono nelle condizioni di portare distruzione anche oltre i confini italiani, in altre parole ben al di là di quei limiti che la Costituzione considera come "riferimento" per il concetto di difesa. Sono così violati gli articoli 11 (primo e secondo comma), l'articolo 78 e l'articolo 87 (nono comma), e ci troviamo di fronte ad una deroga al principio del ripudio della guerra ed alle prerogative del Parlamento ed alle procedure costituzionali previste per lo stato di guerra. Va detto in ogni caso, per onestà, che dopo la partecipazione diretta dell'Italia, intesa quest'ultima non come somma indistinta d'individui, bensì come espressione delle congreghe governative rappresentative dei poteri forti (talmente forti da essere totalmente "asserviti agli interessi" dei Padroni d'Oltre Oceano!), alla cosiddetta "Guerra del Kosovo", essa, da un punto di vista istituzionale è già completamente compromessa, sporcata, infangata dal lordume guerrafondaio tipico d'ogni capitalismo che si rispetti.
Riguardo al numero dei soggetti utilizzati all'interno delle basi Usa e Nato in Italia, secondo le solite fonti ufficiose, dovrebbe trattarsi di circa 13.000 militari e 15.000 civili, dipendenti da 18 comandi di vario rango. La maggiore concentrazione di uomini si ha nelle basi di Camp Ederle (Vicenza), Aviano (Friuli), Camp Darby (Toscana), Napoli (Campania), Sigonella (Sicilia) e S. Vito dei Normanni (Puglia, parzialmente smobilitata e riusata temporaneamente in occasione della guerra del Kosovo e recentemente dismessa).
L'Italia rappresenta una delle più importanti basi di stazionamento e logistiche per le operazioni dentro e oltre la regione immediata. A proposito della regione centrale europea, l'Italia presenta il vantaggio militare di profondità strategica garantendo, allo stesso tempo, una presenza-chiave sulla linea del fronte nel Mediterraneo.
Il ruolo strategico delle basi USA in Italia è fuori discussione: l'Italia contribuisce attivamente alle cosiddette "operazioni di sicurezza". In realtà si tratta solo d'"azioni di disturbo nei confronti di Paesi sovrani". Da ultimo, nelle missioni contro la Jugoslavia, le basi Nato in Italia ebbero un ruolo essenziale nel sostegno alle operazioni in Bosnia, in Serbia e nel Kosovo. Inoltre lungo lo spartiacque Veneto-Friuli è presente una linea di postazioni missilistiche, servite da una vera e propria catena di radar e in Puglia, nel 1957, furono installati 30 missili a medio raggio (2500 Km) con testata atomica.
Com'è noto le basi Usa e Nato in Italia sono state nel tempo costituite sulla premessa di un presunto "stato di necessità" per fronteggiare la minaccia sovietica, all'insegna della segretezza e in rapporto ad una esigenza di protezione rispetto al blocco di Varsavia.
La minaccia sovietica (che del resto fu una minaccia presente solo nelle menti malate dei generali yankee e di qualche collega "pari" italiano) è ora visivamente scomparsa. Non sono però scomparse le basi, anzi, a tal proposito, si nota addirittura un deciso incremento nella loro consistenza in uomini e mezzi. Un esempio è la base di Aviano, che, in tempi recenti, ha visto quasi raddoppiare il personale operativo interno.
Se la guerra fredda è finita, c'è da chiedersi perché tali esigenze di sicurezza e segretezza siano ancora esistenti. E c'è da chiedersi, ancora, se si possa continuare a tenere il Parlamento all'oscuro di tutto ciò che succede all'interno di queste sedi extraterritoriali, considerabili a tutti gli effetti "covi di sovversione contro la sovranità del nostro Paese". A proposito di tale pasticcio non sarà inutile ricordare che esistono dei "protocolli segreti aggiuntivi della Nato" che, ancora a distanza di oltre mezzo secolo, non conosciamo né sommariamente né tanto meno nei dettagli. Si tratta ovviamente di una materia che ci fa capire chiaramente la condizione di "sovranità limitata" in cui ci troviamo, tacitamente accettata da tutti i governi della Repubblica.
Se andiamo ad esaminare il retroterra giuridico che ha permesso il sorgere di queste basi in Italia, troviamo l'articolo 80 della Costituzione in base al quale è stabilito che la stipula dei trattati internazionali, essendo di natura politica, prevede arbitrati o regolamenti giudiziari, e qualora comportasse (com'è prevedibile) anche variazioni del territorio od oneri alle finanze o modificazioni di legge, è stabilito che siano le Camere ad autorizzarne la ratifica tramite specifiche norme di legge. E tuttavia sappiamo che molti accordi internazionali rientranti nelle categorie dell'articolo 80 non sono mai stati sottoposti alla ratifica delle Camere ed alla ratifica, cosa ancora più grave, del Presidente della Repubblica, come previsto dall'articolo 87. In pratica, come più volte ripetuto, "molte basi sono sorte al di fuori della conoscenza e dell'autorizzazione del Parlamento".
È osservabile che operazioni più o meno segrete abbiano comportato in Italia la creazione di un numero enorme di basi ed insediamenti con la presenza di militari USA, ma fra questi solo alcuni sono stati sottoposti a verifica, in particolare solo quelli per i quali si prevedeva dovesse esservi uno scambio con un altro paese contraente e, conseguente ratifica. La verità è che alcuni trattati sono noti solo a livello governativo o, addirittura, dei servizi segreti.
Il deputato Mauro Bulgarelli, promotore di un referendum per smantellare qualsiasi armamento nucleare sul territorio italiano, redasse a suo tempo una proposta di legge per la desecretazione dei documenti di Stato, nonché per fare luce sulle troppe questioni che rimangono nascoste all'opinione pubblica, dalle basi militari alle stragi.
È chiaro che, pur di evitare che le Autorità venissero a conoscenza, in qualche modo, di questi accordi segreti, gli addetti ai lavori non sono stati con le mani in mano, ingegnandosi nel creare qualche inghippo. Uno fra i tanti, per esempio, ha ideato il farraginoso concetto di "accordi in forma semplificata", il che vuol dire, in pratica, che la conclusione dovrebbe spettare al governo per effetto di delega. In maniera più specifica si dice poi che nella questione interviene il problema del segreto: si afferma in ultima istanza che tutto ciò che riguarda le basi è coperto dal segreto e da una non altrimenti precisata "riservatezza".
A tutt'oggi in Italia non esiste una distinzione chiara tra basi USA e basi NATO con presenza statunitense. È, infatti, difficile determinare se e a quale titolo le basi, le installazioni e le infrastrutture presenti nel territorio italiano siano riconducibili alla NATO oppure siano legate ad accordi bilaterali Italia - Stati Uniti.
Da ciò deriva che tutte le installazioni gestite dagli statunitensi sono al tempo stesso comandi o infrastrutture della NATO e delle forze armate nordamericane. Tale ambiguità ha come conseguenza che non si sa mai con certezza chi dovrebbe esercitare la sovranità su queste installazioni, se gli statunitensi o gli italiani.
Complessivamente abbiamo quattro tipi di basi militari:
Basi e infrastrutture concesse in uso agli USA, in base agli accordi segreti del 29 giugno 1951 e del 20 ottobre 1954. In base a tali accordi, e solo in teoria, le installazioni sono poste sotto comando italiano e i comandi USA detengono il controllo militare su equipaggiamento e operazioni.
Basi NATO, in base agli accordi dell'Alleanza Atlantica.
Basi italiane "precettate" per l'assegnazione alla NATO, cioè messe a disposizione del blocco militare d'Oltre Oceano, in base agli accordi dell'Alleanza Atlantica.
Basi promiscue (USA, NATO e Italia), in base agli accordi segreti di cui sopra e in base agli accordi dell'Alleanza Atlantica.
Mauro Bulgarelli, deputato verde, denuncia: ogni anno gli italiani versano in media 400 milioni di euro per mantenere ufficiali e soldati dell'esercito Usa di stanza nel nostro territorio, da Aviano alla Maddalena, da Ghedi a Camp Derby.
Tale dato è compreso nell'importante documento denominato "Report on Allied Contributions to the Common Defense" (rapporto sui contributi degli alleati alla difesa comune), dove possiamo estrapolare notizie riguardanti l'impegno complessivo del nostro fisco verso gli USA.
Questo documento, consegnato nel marzo 2001 dal Segretario alla Difesa al Congresso degli Stati Uniti, contiene a pag. 6 della sezione I, questa strabiliante notizia: "Italia e Germania pagano, rispettivamente, il 37 (l'Italia) e il 27% dei costi di stazionamento di queste forze (le forze armate USA, ndr)". Nel 1999, il tributo versato da Roma a Washington è stato pari a 530 milioni di dollari (circa 480 milioni di euro), mentre nel 2002 i contribuenti italiani parteciparono alle spese militari statunitensi per un ammontare di 326 milioni di dollari. 3 milioni furono dati in denaro liquido, il resto sotto forma di sgravi fiscali, sconti e forniture gratuite riguardanti trasporti, tariffe e servizi ai soldati e alle famiglie. La maggior parte dei pagamenti, si legge nelle carte ufficiali del Governo di Washington, nascono da "accordi bilaterali" ("bilateral agreements" nei testi originali) tra Italia e Stati Uniti, il resto viene dalla suddivisione delle spese in ambito Nato.
Dal documento "Nato Burdensharing After Enlargment", pubblicato nell'agosto 2001 dal Congressional Budget Office (Ufficio per il Bilancio) del Congresso USA, apprendiamo che il metodo di prelievo (alias di furto) adottato dagli USA, con la complicità dei governi italiani e a danno dei cittadini di questo paese coloniale, si chiama "burden-sharing" ("condivisione del peso").
In particolare (capitolo III, pagina 27), si legge, i comandi militari USA stimano che grazie a questi accordi, soltanto per le opere e i servizi nella base di Aviano, "i contribuenti - (taxpayers) - americani hanno risparmiato circa 190 milioni di dollari". E non è finita qui. Ancora nel rapporto "Defense Infrastructure", consegnato nel luglio 2004 al Congresso da parte dell'"Ufficio governativo per la trasparenza", (pag. 18) si legge che "nel bilancio 2001, Germania e Italia hanno dato i maggiori contributi, valutati rispettivamente in 862 e in 324 milioni di dollari". Si tratta, spiega il rapporto, di contributi diretti e indiretti "aggiuntivi rispetto a quelli della Nato".
C'è da chiedersi, a questo punto, cosa succederebbe nel caso in cui (eventualità "molto remota") un qualche governo italiano, decidesse, in ordine alla difesa degli interessi nazionali, di disporre, come del resto sarebbe nel diritto di ogni Stato Sovrano (ma l'Italia, non lo è) di disporre la chiusura di una base militare. Da documenti più volte apparsi su Internet si evince che "i pagamenti di denaro italiano agli Stati Uniti non finiranno nemmeno nel caso ipotetico di chiusura di basi e installazioni nel nostro Paese". Tale situazione è da imputare a specifici patti siglati dai governi di Roma e Washington e denominati "Returned Property - Residual Value", peraltro reperibili negli atti ufficiali del Congresso americano. Si tratta di un meccanismo, tuttora in vigore, confermato di recente. In un'interessante testimonianza rilasciata dal colonnello Dean Fox (capo del Genio dell'Aviazione Usa in Europa) ai parlamentari degli Stati Uniti l'8 aprile del 1997, si legge che "Il ritiro (delle truppe) e la conseguente restituzione di alcune ex basi degli Stati Uniti alle nazioni ospitanti ha creato l'opportunità per gli Stati Uniti di reclamare il valore residuale come risarcimento degli investimenti statunitensi".
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