venerdì 25 dicembre 2015

CHI E' GESU' BAMBINO?

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Quella di Gesù bambino è una tradizionale raffigurazione di Gesù che ricorre fin dal III e IV secolo in raffigurazioni religiose e in icone.

Il bambino Gesù viene solitamente rappresentato tenuto in braccio o per mano da Maria, da san Giuseppe o da altri santi, ad esempio sant'Antonio di Padova, santa Rosa da Lima, san Gaetano di Thiene o san Felice da Cantalice. La sua età può variare da neonato a fanciullo di dodici anni circa. Varianti di questa rappresentazione sono il Bambino Gesù di Praga o quello di Cebú, rappresentati in piedi, vestiti con abiti regali e con in mano un globo sormontato da una croce.

Sono frequenti anche le rappresentazioni della Sacra Famiglia, cioè Gesù bambino con Maria e Giuseppe, e della Sacra Parentela, ovvero il bambino Gesù con sant'Anna, le tre Marie e altri santi.

I Testi sacri e altri lavori apocrifi furono tramandati sia per via orale sia musicale, e più tardi in opere artistiche che sono state molto utili per istruire i credenti. Il simbolismo del Bambino Gesù nell'arte raggiunse il suo apice durante il Rinascimento dove la Sacra Famiglia fu un tema centrale delle opere di Leonardo da Vinci e di molti altri artisti.

L'analisi delle vicende relative all'infanzia di Gesù pone comunque particolari sfide agli storici: la narrazione dei vangeli comprende infatti anche elementi simbolici o soprannaturali e presenta alcune apparenti incongruenze, queste ultime peraltro in parte spiegabili con la limitatezza delle risorse di cui disponevano gli autori antichi. Nella redazione e nell'interpretazione dei testi (e in particolare di quello di Matteo) hanno inoltre un ruolo rilevante le profezie messianiche contenute nell'Antico Testamento. Molti studiosi moderni interpretano le narrazioni evangeliche della natività su un piano prevalentemente simbolico o teologico, piuttosto che strettamente storico.

Dal IV secolo fino al Rinascimento molte storie furono tramandate a proposito dell'infanzia "segreta" di Gesù dove, anche se ancora bambino, già possedeva e usava i suoi poteri messianici per proteggere i genitori durante il loro viaggio da e verso l'Egitto, fino al momento in cui a dodici anni lasciò i suoi parenti impauriti per tre giorni mentre lui discuteva con i saggi del tempio.

La maggior parte di queste tradizioni derivava dai testi apocrifi "proibiti" o "non approvati" basati sulle traduzioni latine o greche dei rotoli del Mar Morto e, poiché solamente una minoranza dei cristiani del tempo poteva dirsi letterata, queste storie acquisirono un suono oscuro e seducente simile alle favole dei Fratelli Grimm.

Un tema comune alle storie medioevali ritrae Gesù come un bambino intrepido e spensierato che innocentemente ne combina qualcuna e inesorabilmente porta alla morte i suoi compagni di gioco. Una storia molto comune è la storia della nuvola: Gesù, volendo giocare tra le nuvole, si arrampica in cielo su un raggio di sole, ma tutti i suoi compagni di gioco che lo hanno seguito presto perdono la fede e muoiono cadendo.

Un'altra storia narra di un bambino (a volte riferito come Giuda bambino - come se Gesù e i suoi discepoli abbiano avuto liti durante le loro esistenze), che sbarrò il canale che forniva acqua alle piscine dove Gesù bambino usava fare il bagno fino a quando un'onda di marea spazzò via il ragazzo e contemporaneamente liberò il canale.

Naturalmente questi eventi provocarono panico negli altri genitori che impedirono ai loro bambini di giocare con lui, così quando Gesù arrivava nella piazza della città per giocare, i genitori velocemente nascondevano i loro figli in un grande forno per ripararli. Gesù, accortosi di ciò, chiedeva dove fossero i suoi amici e gli veniva risposto che i bambini erano andati via. Quando chiedeva cos'era il rumore che proveniva dal grande forno, gli veniva detto che erano i maiali che stavano cuocendo. Quando Gesù andava via e i genitori aprivano le porte del forno, essi trovavano (a secondo delle versioni) o dei porcellini strillanti o delle bistecche arrosto.

Le storie create attorno alle attività di Gesù bambino non erano tutte raccapriccianti, ma evidenziavano come, anche da bambino, Gesù avesse adempiuto alla Volontà Divina di "suo Padre". Altre storie narrano come perfino da neonato il suo sorriso poteva far smettere la pioggia e le tempeste e far splendere il sole, oppure poteva guarire i malati. Altre ancora raccontano di come un bambino che stava morendo fu messo in una vasca contenente l'acqua in cui aveva fatto il bagnetto Gesù, e fu riportato alla vita e addirittura che qualunque bambino in sua presenza non avrebbe strillato o piagnucolato.



Il sacrestano della chiesa dell’Holy Child Jesus, nel Queens, a New York, aveva appena finito il presepe. Poi era andato a mangiare, e la grande chiesa di mattoni rossi sulla 86esima strada era rimasta deserta. Accanto all’altare la capanna, gli angeli, la mangiatoia ancora vuota, nella penombra delle luci basse. Un’ora dopo il sacrestano torna, e chissà che tuffo al cuore: dal presepe viene un vagito. L’uomo incredulo si avvicina, è proprio un bambino quello, seminudo, che piange nella mangiatoia. Un bambino con ancora il cordone ombelicale attaccato, partorito da pochissime ore: abbandonato in un presepe, in un giorno di inizio d’Avvento. Gesù Bambino a New York, è il titolo sui tg americani, e chi ascolta si commuove. Il neonato, due chili di peso, sta bene e dorme ora nella nursery di un ospedale; c’è già chi vuole adottarlo, e non resterà solo per molto. Anzi non lo è mai stato. Sembra una fiaba, una fiaba di Natale quella del bambino sceso come dal nulla tra i palazzi di una immensa metropoli, e lasciato proprio nella mangiatoia di un presepe – a ricordarci quanto profondamente ancora, e visceralmente, ci appartiene questa immagine, questo essenziale focolare che attende, sotto a una stella, un figlio. Non è però una fiaba, ma un doloroso dramma, la storia di Queens, a leggerla dalla parte della ignota madre. Pare di vederla entrare, in punta di piedi, con un fagotto in braccio, nella chiesa, guardandosi attorno, temendo di incontrare qualcuno. Lei, per chissà quale miseria o solitudine, da quel figlio deve separarsi. Ma già l’averlo avvolto, nel freddo di novembre, in una coperta, già come lo porta stretto in braccio rivela una cura materna: la più disperata forse, quella di chi cerca un luogo per abbandonare un figlio. La donna si guarda intorno: non deve essere un angolo troppo nascosto, perché qualcuno possa subito trovarlo. Gli occhi le cadono sulla mangiatoia vuota, eccola, non pare proprio lì apposta? Lì, lo vedranno subito.

E così è infatti, e la storia del Gesù Bambino di New York fa il giro del mondo. È il tipo di storia che ci fa bene sentirci raccontare, e soprattutto in tempi come questi: il dramma di un abbandonato, sì, ma subito abbracciato e accolto. È il tipo di storia che rincuora e fa pensare che il mondo vada ancora, a volte, per il verso giusto. Ma quanti altri bambini proprio in questi giorni, in queste ore premono alle nostre porte, e non hanno un tetto, come quello di Betlemme. Giorni fa sul web c’era la foto di una giovane profuga appena sbarcata su un’isola greca, con un neonato in braccio: e per la foggia delle vesti orientali, lunghe e col velo, e per la giovinezza dei tratti, pareva proprio una Madonna che venisse dal mare. E quanti infinitamente sono i figli profughi sulla via dei Balcani, ora che l’inverno piomba sui sentieri e che le frontiere dell’Occidente sgomento si sono fatte più severe. Quanti sono i bambini, nei campi profughi in Turchia, in Giordania, in Libano, quanti nelle braccia delle madri e sotto un cielo attraversato da ali di guerra, che hanno freddo. Quanti, perduti, sono ormai solo piccole sagome fluttuanti nelle acque del Mediterraneo. Di bambini come quello del Queens, che ha colpito il cuore degli americani col suo presentarsi in un presepe, ce ne sono davvero tanti. Su di loro non si accenderanno i riflettori, e, non vedendoli, potremo non pensarci. Potesse la fiaba di New York almeno farceli ricordare. Nella paura e nell’ansia che ha avvolto le nostre città dal 13 novembre, restasse almeno uno spiraglio per pensare a loro, alla marea di figli di fuggitivi che bussa ai confini che ora andiamo a chiudere. Sono, ci spinge ora a dirci uno spaventato immaginario collettivo, figli di stranieri magari ostili e pericolosi: sbarriamo le frontiere, spranghiamo le porte.

Eppure, sappiamo in fondo che quelli sono semplicemente bambini, e stride la coscienza nel festeggiare un Bambino mentre ne dimentichiamo centinaia di migliaia. Bella, la fiaba di Gesù “arrivato” in una mangiatoia a New York. Che strana profonda gioia ci dà sapere che un abbandonato, almeno, è stato abbracciato; come se in quel figlio salvato ci fosse un po’ di ognuno di noi. E chissà se, nell’ansia di una nuova, subdola guerra, non ci distoglierebbe dalla paura proprio fare il contrario che chiudere le porte: accogliere invece, aprire a quei figli e ai loro genitori. Come farebbe gente forte della sua storia, dei suoi valori e della sua fede, certa che il bene di cui siamo capaci è, di ogni incenerente nichilismo e di ogni odio, più generoso e più grande.


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