sabato 3 ottobre 2015

IL RATTO DI PROSERPINA

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Il Ratto di Proserpina è un gruppo scultoreo di Gian Lorenzo Bernini esposto nella Galleria Borghese di Roma. Fu commissionato da Scipione Borghese ed eseguito tra il 1621 e il 1622, quando l'artista aveva solo 23 anni: per l'occasione, Maffeo Barberini (il futuro Papa Urbano VIII), che si dilettava di poesia, compose un distico dedicato al gruppo.

Fu donato al cardinale Ludovico Ludovisi nipote del papa Gregorio XV e tornò nella Galleria Borghese all'inizio del secolo scorso.

Il soggetto è tratto dalle Metamorfosi di Ovidio e legato al tema del ciclo delle stagioni. Proserpina, figlia di Giove e Cerere (dea della fertilità e delle messi), fu notata da Plutone, Re degl'Inferi, che, invaghitosi di lei, la rapì mentre raccoglieva fiori al lago di Pergusa presso Enna.

Cerere, per il dolore, abbandonò i campi, causando una gravissima carestia. Giove, quindi, intervenne trovando un accordo tra Plutone e Cerere anche grazie alla mediazione di Mercurio: Proserpina avrebbe trascorso sei mesi con la madre favorendo l'abbondanza dei raccolti mentre, per i restanti mesi dell'anno, quelli invernali, sarebbe rimasta con Plutone nell'Ade.

L'opera di Bernini coglie l'azione al culmine del suo svolgimento e offre all'osservatore il massimo del pathos: le emozioni dei personaggi sono infatti perfettamente rappresentate e leggibili attraverso la gestualità e l'espressività dei volti. Plutone è contraddistinto dai suoi attributi regali (la corona e lo scettro), mentre, dietro di lui, il cane Cerbero controlla che nessuno ostacoli il percorso del suo padrone, girando le sue tre teste in tutte le direzioni. Proserpina lotta inutilmente per sottrarsi alla cattura di Plutone spingendo la sua mano sul volto del dio, il quale, invece, la trattiene con forza, affondando letteralmente le sue dita nella coscia e nel fianco della donna. Con questo dettaglio, attraverso cui Bernini ha reso la morbidezza della carne di Proserpina, lo scultore ha dimostrato il suo stupefacente virtuosismo.



La composizione del gruppo segue delle direttrici dinamiche sottolineate dai movimenti degli arti e delle teste, accentuate dal moto dei capelli e del drappo che scopre il corpo giovanile e sensuale della Ninfa, sul cui volto, rivolto all'indietro, è visibile una lacrima. Il corpo di Plutone è invece possente e muscolare e la sua virilità è accentuata dalla folta barba e dai capelli, le cui ciocche, nettamente definite e in forte rilievo, rivelano un abbondante uso del trapano.

Bernini si prefiggeva di realizzare opere il cui virtuosismo fosse tale da far sì che i personaggi mitici raffigurati quasi sembrassero figure reali. Tuttavia, ciò che conferisce una certa artificiosità alla scena è la natura del movimento. La posa dei due è piuttosto innaturale e, idealmente, spiraliforme: un espediente, quello del moto a spirale, già utilizzato nel Manierismo per esprimere al meglio un senso di moto e di dinamica all'interno di un'opera che, ovviamente, è caratterizzata dalla staticità. Tuttavia, pur essendo innaturale, la posa, nell'insieme, è indubbiamente molto teatrale e di grande impatto emotivo e visivo.

L'opera, capolavoro di scultura barocca, ha un punto di vista privilegiato, ovvero quello frontale, che rende riconoscibili i personaggi e comprensibile la scena. La scultura è anche perfettamente rifinita in tutte le sue parti e ricca di particolari che, ancora oggi, catturano l'attenzione dell'osservatore.

Il gruppo scultoreo ha ispirato, tra l'altro, l'omonimo lavoro del XIX secolo, il Ratto di Proserpina (1818) di Francesco Andreoli, collocato nel cortile del palazzo Sassi Masini a Forlì.

Il gruppo, visto da sinistra, rappresenta la presa al volo con passo potente e spedito; visto di fronte, il vincitore trionfa fermo con il trofeo in braccio; visto da destra si scorgono le lacrime di Proserpina e la sua preghiera al cielo, il vento sconvolge la chioma, e il cane a tre teste, guardiano infernale, abbaia. Momenti successivi della storia quindi sono sintetizzati in un'unica immagine.

Il “Ratto Di Proserpina” è l’esempio di cosa l’uomo può creare partendo da un’idea che si forma lentamente ma inesorabilmente, prima come immagine indefinita, poi sempre più dettagliata fino alla concretizzazione mentale completa.

Parliamo dell’idea, perché la posa complicatissima nella realizzazione, unita allo svolazzo delle capigliature, al tempo non poteva che essere frutto esclusivo della mente e solo in minima parte copia di modelli veri. Superati i canoni classici della scultura, sostenuto dal lento progredire degli attrezzi impiegati, Bernini si avventura nella realizzazione di questo magnifico gruppo scultoreo lasciandosi alle spalle i limiti umani e dando sfogo all’immaginazione, alla possibilità di fare quello che ancora non si reputava possibile.

Il risultato è una composizione spettacolare sotto ogni punto di vista, un’opera imponente che lo spettatore non finisce mai di ammirare, tanta è la finezza e la ricercatezza dell’esecuzione, la ricchezza di particolari, la completezza delle figure che ci costringe a mille girotondi per apprezzarla in tutta la sua perfezione. Davanti, dietro di lato, il Bernini non trascura di curare minuziosamente alcuna parte della sua creazione, facendo di ogni prospetto la visione principale ed essenziale.



Il possente nudo manierista del dio Plutone, dalle cosce come colonne, la barba lavorata in riccioli di marmo, si contrappone nella sua virile solidità alla leggiadria espressa dalla posa di Proserpina che sembra voler spiccare il volo dalle braccia nerborute, strette nella brutale morsa della sua rapina.

La parte più spettacolare dell’opera sono appunto le braccia e le mani di Plutone.

Bellissimi i capelli ricamati nel marmo di Proserpina, leggiadri e finemente lavorati, stupenda la plasticità del corpo, l’anatomia impeccabile che si incastra perfettamente nel movimento spiraliforme della composizione, completato dalla potenziata struttura muscolare del dio degli Inferi. Più morbide e leggere di mani reali quelle della dea, dalle dita affusolate, scolpite non con scalpello e mazzuolo ma a colpi di batuffoli d’ovatta.

Non si scappa però allo strapotere magnetico che fluisce dalle mani del dio nella presa sulle cosce. Pesanti, avide, affondano con naturalezza e forza tanto da far intendere il loro lasciare il segno sulla pelle morbida, eppure anch’essa di impensabile, duro marmo.

Passa in secondo piano la cura delle estremità degli arti della ninfa che da soli potrebbero fare la fortuna di qualsiasi scultura, il panneggio sottilissimo della veste, perfino la complicata, scapigliata, barocca posa dei capelli rispetto alla presa, vero soggetto dell’opera che, nascosta ad una prima visione, si rivela in seguito come particolare fondamentale e di assoluta maestria a chi già ha goduto di tutta la forza estetica sprigionata nel primo totale impatto emotivo.

Questo dettaglio della scultura, il più entusiasmante, è stranamente posto di lato ed è uno dei motivi che la rendono completa e obbligatoriamente visionabile in tutte le sue parti.

Un’opera perfetta, impeccabile, dove è impossibile pensare di aggiungere o limare qualcosa, dove il Classicismo, il Manierismo, si fondono con lo spirito indomito dell’uomo, dando vita a quello che è il concetto dell’Arte, l’andare oltre il conosciuto, il sostenibile, il già sperimentato, l’annoiante perfezione, aggiungendo quello che in natura in quel periodo non c’era: l’immagine di chiome di marmo fluttuanti, la possibilità di cogliere un movimento vorticoso nell’attimo più intenso ed ibernarlo rendendolo eterno, enfatizzare l’espressione di sgomento della dea rapita con lacrime di marmo.





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