Il fenomeno de El Nino ha più ripercussioni sul Pacifico e maggiormente nel periodo invernale. In Europa invece le ripercussioni non sono del tutto note e la faccenda è controversa.
Risalgono ormai quasi ad un anno fa i primissimi articoli usciti sul web, in merito l'esordio del famigerato El Niño che, alla resa dei conti, ha impiegato molto più tempo a manifestarsi rispetto quanto fosse stato preventivato inizialmente. In buona sostanza il fenomeno El Niño consiste nell'anomalo surriscaldamento delle acque superficiali dell'oceano Pacifico che si manifesta su alcuni settori specifici. Questi settori includono alcuni importanti tratti costieri del continente sudamericano, laddove temperature oceaniche sopra la media, tendono ad esaltare i processi convettivi che spesso e volentieri possono sfociare in precipitazioni estremamente abbondanti se non addirittura alluvionali.
Il NOAA, conferma ormai in via ufficiale, l'avvento del Niño che si manifesta attraverso un anomalo surriscaldamento delle acque superficiali dell'oceano Pacifico orientale.
La ragione di tale surriscaldamento è da ricercare in quella che dagli esperti viene chiamata "onda di Kelvin", in buona sostanza trattasi di un flusso d'acqua molto tiepida che attraversa l'oceano Pacifico da ovest verso est, viaggiando un centinaio di metri sotto il pelo dell'acqua. Quest'ultima rappresenta un flusso d'acqua molto importante, nel suo spostamento verso le coste occidentali sudamericane, determina addirittura un sollevamento della superficie marina calcolabile sugli 8-10 centimetri.
Negli episodi di El Niño, l'acqua emerge verso la superficie in corrispondenza delle coste pacifiche peruviane ed ecuadoregne. Le boe marine confermano l'accumulo di acqua calda lungo i tratti costieri sopraccitati, dove la temperatura del mare risulta in costante aumento ormai da diverse settimane.
Estremamente difficile fare una previsione sull'andamento di un fenomeno che, qualora dovesse persistere, potrebbe determinare veri e propri sconvolgimenti della circolazione atmosferica a livello planetario. L'accumulo di calore marino lungo le coste occidentali sudamericane, risulta infatti bilanciato da un profilo termico inferiore alla norma sulle isole del Pacifico e l'Australia che potrebbe innescare in un periodo di siccità piuttosto prolungato.
Gli effetti di tale circolazione potrebbero infine trasferirsi sino ai lidi nostrani, riferendoci quindi al continente europeo, con periodi di siccità concentrati soprattutto sui settori meridionali europei, ed una prevalenza di sinottiche settentrionali a scapito di quelle più canoniche occidentali.
Le ultime previsioni sull’evoluzione del fenomeno parlano di una entrata nella fase “strong”. “El Niño” 2015/2016 promette di essere uno dei più forti mai visti negli ultimi 60 anni, con serie ripercussioni per l’intera area del Pacifico e conseguenze indirette sul resto della Terra.
Negli ultimi mesi si è affermato un deciso incremento dell’attività temporalesca nell’area ad est della linea del cambiamento data e in vaste aree del Pacifico equatoriale orientale. Il rinforzo dei “forcing” convettivi su queste aree ad est della linea del cambiamento data è da impuntare principalmente a due diversi fattori. Il primo riguarda il lento spostamento verso est della cosiddetta “Madden Julian Oscillation” (“MJO”) che gradualmente tende a emigrare verso il settore centro-orientale del Pacifico equatoriale. Il secondo fattore è il riscaldamento delle acque superficiali del Pacifico orientale, indotto sia dall’avanzamento verso est dell’”onda di Kelvin” che ha preceduto l’evento di “Nino”, che dai “Westerly wind bursts”, una sostenuta ventilazione occidentale, attiva sulla coda ovest della “MJO”, che dai mari attorno Papua Nuova Guinea si spinge in direzione dei Kiribati e degli atolli del Pacifico centrale.
L’azione di questi venti occidentali, che già in vari episodi proprio lo scorso anno di questi tempi si erano attivati fra Papua Nuova Guinea e le isole Salomone, sono stati in grado in grado di trasferire dal Pacifico occidentale al Pacifico centro-orientale un’“onda di Kelvin“ che in questo caso va identificata come una grande striscia di acque molto calde, che scorrono ad una profondità di circa 150 metri, lungo una direttrice ovest-est. Questa onda può essere osservata in superficie da un leggero aumento in altezza della superficie del mare, di circa 8 cm, e un sensibile incremento delle temperature delle acque superficiali su un’area estesa per diverse centinaia di miglia.
Ma negli ultimi giorni l’attività convettiva, legata al progressivo riscaldamento delle acque superficiali oceaniche, è in decisa crescita anche nell’area della Melanesia e Polinesia, e sul Pacifico equatoriale orientale, dove cominciano a svilupparsi i primi grossi “Clusters temporaleschi”. A differenza dei mesi scorsi in queste ultime settimane si sta notando anche una certa “risposta” dell’atmosfera al sensibile riscaldamento delle acque superficiali dell’oceano Pacifico, dettata da un graduale allentamento degli Alisei sul Pacifico tropicale orientale, accompagnato da un notevole rinforzo del “getto sub-tropicale” e del “getto polare” a latitudini più elevate, con frequenti “Jet Streaks” (massimi di velocità del “getto” nell’alta troposfera) che dal Pacifico si propagano verso gli States e successivamente in direzione dell’Atlantico, dove l’intensificazione del “Wind Shear” in quota tende a inibire lo sviluppo di tempeste tropicali e possibili uragani sopra le acque dell’Atlantico tropicale.
Attualmente sul Pacifico centro-orientale sempre più di frequente si riscontra una maggiore frequenza dei “Westerly wind bursts” che contribuiscono a sospingere altre masse d’acqua molto calde superficiali verso est, in direzione delle coste di Colombia, Ecuador e Peru. Questo flusso di acque calde provenienti da Ovest tende a sopprimere la risalita delle acque più fredde di fondo (“upwelling” prodotto dall’Aliseo di SE che sale dal Golfo di Arica) davanti le coste peruviane, continuando ad alimentare questa striscia di acque caldissime, dilagando sopra la superficie del Pacifico equatoriale.
L’importante riscaldamento delle acque superficiali del Pacifico orientale equatoriale, nei prossimi giorni, comincerà ad avere importanti conseguenze, tradotte in un ulteriore rafforzamento dell’attività convettiva davanti le coste pacifiche centroamericane, da Panama al Costa Rica, dove, grazie al contributo dell’ITCZ in risalita verso nord, si potranno sviluppare imponenti “Clusters temporaleschi”, capaci di scaricare forti precipitazioni, a prevalente sfogo temporalesco. Un sensibile incremento della piovosità si dovrebbe registrare lungo le coste pacifiche colombiane e quelle ecuadoregne, dove nelle prossime settimane potrebbero manifestarsi fenomeni precipitativi di una certa intensità. Nel frattempo il fenomeno di “Nino” rischierà di avere pesantissime ripercussioni climatiche già dal prossimo autunno, contribuendo a determinare un inevitabile aumento delle temperature medie a livello globale entro il 2016, con il rischio di gravi siccità in Australia, mentre tempeste e inondazioni sferzeranno le coste occidentali del continente americano.
Nella prima fase del fenomeno, specie se in presenza di un “Nino strong”, il caldo dilagherà soprattutto nelle aree tropicali continentali, con l’innesco di ondate di calore molto forti che potrebbero mettere a rischio la stabilità di molti record di caldo assoluti. In Europa, ed in modo particolare sul Mediterraneo, questo nuovo ciclo di “El Niño” rischia di condizionare, assieme agli altri importanti indici teleconnettivi, la prossima stagione autunnale e il prossimo inverno, favorendo un abbassamento di latitudini del flusso perturbato principale che si troverebbe a scorrere al traverso delle nostre regioni centro-settentrionali, portando un clima molto mite con frequenti ondate di maltempo per il passaggio continuo di sistemi frontali e depressioni. Le regioni meridionali invece rischierebbero periodi più siccitosi, con frequenti avvezioni calde che potrebbero dilungarsi per periodi piuttosto lunghi.
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