martedì 1 settembre 2015

INNO ALLA GIOIA

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L'Ode alla Gioia o Ode An die Freude è un'ode composta dal poeta e drammaturgo tedesco Friedrich Schiller nell'estate del 1785 e pubblicata l'anno successivo sulla rivista Thalia. Una versione da lui leggermente rivista fu pubblicata nel 1808, cambiando due versi della prima e omettendo l'ultima strofa.

È conosciuta in tutto il mondo per essere stata usata da Ludwig van Beethoven nel finale del quarto movimento della sua Nona Sinfonia, selezionando alcuni brani e scrivendo di suo pugno una introduzione. La melodia composta da Beethoven (ma non le parole di Schiller) è stata adottata come Inno d'Europa dal Consiglio d'Europa nel 1972, e in seguito dell'Unione europea.

L'inno simbolizza non solo l'Unione europea, ma anche l'Europa in generale. L'Inno alla gioia esprime la visione idealistica di Schiller sullo sviluppo di un legame di fratellanza fra gli uomini, visione condivisa da Beethoven.
Nel 1972 il Consiglio d'Europa ha adottato il tema dell'Inno alla gioia di Beethoven come proprio inno. Nel 1985 è stato adottato dai capi di Stato e di governo dei paesi membri come inno ufficiale dell'Unione europea. L’inno è privo di testo ed è costituito solo dalla musica. Nel linguaggio universale della musica, questo inno esprime gli ideali di libertà, pace e solidarietà perseguiti dall'Europa.
Questa motivazione sottintendeva che in origine l'inno sarebbe stato privo di testo, in quanto parecchie nazioni europee dopo la seconda guerra mondiale non gradivano un inno con il testo scritto in tedesco. Ancora oggi questo pregiudizio - e quindi il fatto di cantare l'inno - non è del tutto superato.

Il compositore pensava idealmente a tutti gli uomini, perciò questa musica sarebbe stata più idonea ad essere l'inno mondiale, e non solo l'inno europeo.



Nel 1985 venne adottato dai capi di Stato e di governo dell'UE come inno ufficiale dell'Unione europea. Non vuole sostituire gli inni nazionali degli Stati membri ma celebrare i valori che essi condividono e la loro "unità nella diversità", come recita il motto europeo. Ormai è divenuta consuetudine nelle cerimonie ufficiali eseguire prima l'inno della nazione interessata, e subito di seguito l'inno europeo.

Ne furono approntate, ad opera di Herbert von Karajan, tre versioni: per piano solo, per fiati, cioè per banda e per orchestra sinfonica. Questa vicenda nasconde una storia ambigua. In origine, nell'anno 1971, venne bandito un concorso per l'inno europeo. Il numero di compositori partecipanti non è mai stato reso noto, ma si parlò di più di 2.000 (molti di questi hanno in seguito rilasciato testimonianze generalmente solo orali sulla loro partecipazione). Ad un certo punto nella vicenda si inserì Karajan, proponendo la musica di Beethoven, il che sottintendeva che con il suo complesso dell'Orchestra filarmonica di Berlino si sarebbe potuto realizzare incisioni discografiche. Il Consiglio d'Europa, venuto a conoscenza della proposta, considerando anche l'oggettiva difficoltà di giudicare più di 2.000 partiture e visti i nomi celebri di Beethoven, Karajan e dell'Orchestra berlinese, annullò il concorso ed aderì alla proposta.

Il brano è famosissimo poiché venne impiegato da Beethoven come testo di riferimento per il quarto movimento della Nona sinfonia , composta tra il 1822 e il 1825 quando la sordità già affliggeva completamente il maestro tedesco. Nel miracolo che le note riescono a costruire, pensando allo sforzo umano che sta dietro di esse, anche il testo di Schiller acquista nuova e particolare luce risaltando i punti fondamentali dell’ode attraverso il dialogo fra voci soliste, coro e orchestra.

Schiller non vuole ridurre la gioia ad un semplice godimento materiale (e dunque totalmente concreto e esaurito nel godimento) ma si apre ad una prospettiva ben superiore all’uomo definendo la scintilla “divina” e “figlia di Elisio” (Elisi erano i campi fioriti dove dimoravano dopo la morte gli uomini benvoluti dagli dei). Se la gioia è una scintilla, tuttavia è una scintilla di origine divina che sovrasta l’uomo con la sua forza e la sua influenza. Una influenza tanto forte al punto che l’uomo viene definito “ebbro” laddove si avvicina alla gioia. Nell’ebbrezza perdiamo la nostra prospettiva razionale sul mondo e ci occorre una guida che ci conduca avanti: nella gioia la nostra prospettiva sul mondo è mediata da questa grande forza che per per noi è sprone ad agire e nutrimento dell’anima.
Se le mode, gli interessi individuali, le discordie umane avevano diviso gli uomini, è proprio la gioia a riunire tutti i viventi in un canto unitario di lode. Non a caso, probabilmente, Beethoven sceglie di ripetere due volte tale sequenza di quattro versi adattandola prima al basso solista e poi all’intero coro di voci, quasi che fosse la rappresentazione dell’umanità stretta insieme a cantare. È singolare che l’artefice di tale riunione fraterna degli uomini sia “il fascino della gioia” e non la gioia stessa. È come se gli uomini si ricongiungessero nell’aspirazione alla gioia, nel tendere ad essa: se l’avvicinarsi alla gioia è un percorso, gli uomini sono costretti a compierlo insieme superando le divergenze che li avevano separati ed ispirati unicamente dal fascino di quella seducente meta. Ed ancora una volta la gioia è ritratta nel suo sovrastare l’uomo: è il mirabile uccello (tua ala soave freme) che sorvola l’umanità la quale solleva la testa e non può che meravigliarsi.



Schiller non rinuncia anche a gettare un occhio alla concretezza, ai casi di vita nei quali è riscontrabile il seme della gioia. L’uomo che abbia trovato un amico e chi ami una donna dalla quale è ricambiato sono esempi concreti di una gioia di vivere che senza dubbio unisce le persone. Ciò che sta a cuore a Schiller è il sottolineare ripetutamente il carattere dell’unità, della fratellanza come condizione indispensabile per poter godere della gioia. Tale convinzione si riassume nel verso centrale: chiunque sia unito fraternamente anche ad una sola anima del mondo è degno di festeggiare l’inno alla gioia. Rimane per ultimo chi non ha saputo stringere un legame con gli altri. A tali uomini Schiller riserva parole dure, cacciandoli dalla compagnia come guastafeste che potrebbero influenzare con la loro negatività l’aria gioiosa del momento.  Ma le parole del poeta tedesco lasciano intendere anche un altra riflessione. Il raggiungimento della gioia è un percorso è l’insuccesso è una possibilità concreta. Così chi “non sia riuscito” ha ancora del lavoro da fare: deve impegnarsi nella aspirazione ad una fratellanza con l’umanità con cui poter condividere la scintilla divina.

Schiller ha saputo coniugare una visione della gioia infinita con tanti casi particolari della vita quotidiana, mescolando il tutto in un linguaggio poetico che possiede il fine di esaltare la potenza della fratellanza degli uomini nel grembo della gioia stessa.  Se all’inzio avevamo riscontrato alcune difficoltà, ora troviamo una possibile soluzione ad esse grazie alla quale apprezziamo ancora di più il genio romantico di Schiller. A questo punto alcune parole sono state, forse indegnamente, spese.



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