Si pensa che i diamanti siano stati inizialmente riconosciuti ed estratti in India, dove furono trovati in depositi alluvionali lungo i fiumi Krishna e Godavari. I diamanti erano utilizzati nelle icone religiose, ed è probabile che fossero noti e considerati preziosi già 6.000 anni fa. Si trovano infatti riferimenti ai diamanti nei testi in sanscrito: l'Arthashastra di Kautilya ne menziona il commercio, opere buddiste, dal IV secolo a.C. in poi descrivono il diamante come pietra molto nota e preziosa, anche se non contengono indicazioni circa le tecniche di taglio.
Un altro testo indiano, scritto all'inizio del III secolo descrive la resistenza, la regolarità, la brillantezza, la capacità di graffiare i metalli e le buone proprietà di rifrazione come qualità desiderabili di un diamante.
La città indiana di Golconda fu per secoli (fino alla metà dell'Ottocento) il principale centro di produzione e vendita dei diamanti, tanto che il suo nome fu sinonimo di ricchezza.
I diamanti giunsero nella Roma antica dall'India e vi sono chiari riferimenti circa il loro utilizzo come strumenti d'incisione.
I cinesi, che non hanno trovato diamanti nel loro paese, non li consideravano in passato come gioielli, mentre apprezzavano molto la giada. Un'opera cinese del III secolo a.C. cita: «Gli stranieri li indossano nella convinzione che essi possano allontanare da loro gli influssi maligni».
Fino al XVIII secolo i diamanti provenivano esclusivamente dall'India o dal Borneo e solo nel 1725 in Brasile, nello Stato di Minas Gerais, furono trovati i primi diamanti provenienti dal Sudamerica. Successivamente, nel 1843, fu rinvenuto il carbonado, un aggregato microcristallino di diamante, di colore bruno-nero, impiegato nell'industria.
Il primo ritrovamento in Sudafrica avvenne nel 1867, nei pressi delle sorgenti del fiume Orange, e fino al 1871 vennero sfruttati unicamente i giacimenti di tipo alluvionale. In seguito si scoprì l'esistenza dei camini diamantiferi, dei quali il più noto è la miniera di Kimberley, che ha dato il nome alla roccia madre del diamante, la kimberlite.
Nel Settecento furono scoperti giacimenti nel Borneo, ciò che diede inizio al commercio del diamante nel sud-est asiatico. Con l'esaurimento delle risorse indiane, avvennero significative scoperte in Brasile (1725) e Sudafrica (Kimberley, 1867). Il Sud Africa divenne quindi il principale centro mondiale per la produzione di questa preziosissima gemma.
La popolarità dei diamanti è aumentata a partire dal XIX secolo grazie alla maggiore offerta, al miglioramento delle tecniche di taglio e lucidatura, alla crescita dell'economia mondiale e anche grazie ad innovative campagne pubblicitarie di successo. Nel 1813, Humphry Davy usò una lente per concentrare i raggi del sole su un diamante in un ambiente di ossigeno e dimostrò che l'unico prodotto della combustione era il biossido di carbonio, provando così che il diamante è un composto di carbonio. In seguito egli dimostrò che alla temperatura di circa 1.000 °C, in un ambiente privo di ossigeno, il diamante si converte in grafite.
I diamanti hanno origine nel mantello della Terra, dove esistono le condizioni di altissima pressione necessarie alla loro formazione. Si pensa che i diamanti ritrovati in superficie provengano da una profondità tra i 150 e i 225 km. I cristalli vengono portati alla superficie, inglobati in una roccia contenente molta olivina (detta kimberlite) da condotti vulcanici mediante eruzione. Questo dà origine ai camini diamantiferi dei giacimenti primari. In seguito, mediante erosione, la kimberlite può venire sgretolata, liberando i diamanti in giacimenti secondari, generalmente di tipo alluvionale.
Diamanti molto piccoli (tipicamente di diametro inferiore a 0,3 mm) sono stati trovati in molte meteoriti cadute sulla Terra. Alcuni studiosi ritengono che impatti di grandi meteoriti, avvenuti milioni di anni fa, possano aver prodotto alcuni (o molti) dei diamanti oggi ritrovati, ma non ci sono prove che avvalorino questa ipotesi.
Il metodo del carbonio-14 non è efficace per la datazione del diamante, perché si limita al carbonio di origine biologica. Risultano inefficaci a tal fine, sempre a causa della purezza chimica del diamante, anche le tecniche di geocronologia. I geologi ritengono però che la maggior parte dei diamanti ritrovati, cioè quelli formati nel mantello e arrivati in superficie, si siano formati tra circa 1 e 1,6 miliardi di anni fa.
I diamanti sono la modificazione cristallizzata del carbonio puro; poiché si sono formati, come il petrolio, in milioni di anni, sono un minerale esauribile. I cristalli del diamante possono avere la forma di un ottaedro o di un esacisottaedro, talvolta con le facce curve. Talora, sulle facce dell'ottaedro, si possono notare delle trigoni, ossia delle incisioni triangolari. Alcune gemmazioni possono portare a cristalli piatti a forma di triangolo smussato. Altre forme in cui si presenta sono i rombododecaedri ed i cubi; tuttavia meno rari, comunque, sono i cristalli esacisottaedrici, cubici e dodecaedrici. Non mancano inoltre cristalli geminati o a simmetria tetraedrica.
Il colore è vario, così come le dimensioni dei cristalli, che molto raramente superano quelle di una nocciola. Il record di grandezza per un diamante grezzo spetta al diamante Cullinan, trovato nel 1905 nella Premier Mine del Sudafrica. Perfetto nella limpidezza e nel colore, pesava 3.025 carati (605 grammi); tagliato in 105 pietre lavorate, le più grandi pesano 516,5 e 309 carati (fino al 1988 i più grandi diamanti lavorati). Attualmente il più grande diamante lavorato è il Golden Jubilee di 545,67 carati, trovato nel 1985 in Sudafrica.
I giacimenti diamantiferi si suddividono in due gruppi: primari e secondari. I giacimenti primari sono quelli in cui i diamanti si trovano ancora all'interno della roccia madre (tipicamente, la kimberlite), mentre i secondari sono quelli in cui essi si trovano dispersi in rocce sedimentarie spesso incoerenti tipo sabbia, ghiaia, trasportati lontano dai luoghi dove si trovava la roccia madre e da cui derivano per disgregazione della stessa, ossia in terreni alluvionali.
Nel caso dei giacimenti primari si deve frantumare la roccia estratta in pezzi sempre più piccoli, alternando le spaccature a lavaggi abbondanti in modo che l'acqua separi la ganga dai materiali più pesanti; il peso specifico relativamente elevato dei diamanti provoca la loro caduta nelle vasche sottostanti (eventualmente mischiati ad altri minerali pesanti).
La maggior parte delle miniere di diamanti è "a cielo aperto" o "a pozzo" (diversamente dalle miniere di carbone, in cui l'estrazione avviene spesso in gallerie scavate in profondità). Tra le più famose miniere diamantifere quelle di Kimberley e la Premier Mine, entrambe in Sudafrica. Le miniere nei dintorni di Golconda in India hanno fornito fino alla metà dell'Ottocento la quasi totalità dei diamanti prodotti nel mondo.
Nei giacimenti alluvionali, non dovendo sminuzzare la roccia, il procedimento è più semplice: si usa solo il procedimento gravitazionale con l'acqua, facendo cadere i diamanti nelle vasche. In seguito i diamanti e i residui di ganga vengono portati via da rulli cosparsi di grasso, al quale i diamanti e la ganga aderiscono. La ganga viene poi fatta scivolare via mediante altri lavaggi. Successivamente, per togliere i diamanti dal grasso, si porta a fusione l'intero impasto; il grasso si scioglie, liberando così i diamanti grezzi. Essi vengono poi suddivisi in due gruppi: di qualità superiore cioè gemmologica (adatti ad essere tagliati e lucidati per produrre gioielli) e di qualità inferiore, adatti per applicazioni industriali.
Si calcola che le miniere primarie producano mediamente un carato di diamanti (0,2 grammi) ogni 3,5 - 4 tonnellate di roccia estratta, mentre dai giacimenti alluvionali si estrae solo un carato ogni circa 15 tonnellate di materiale lavorato.
La produzione mondiale di diamante naturale varia notevolmente di anno in anno, perché i filoni diamantiferi vengono spesso esauriti rapidamente, e l'estrazione prosegue in nuove miniere scoperte, che possono dare produzioni molto diverse.
Complessivamente, circa la metà dei diamanti estratti oggi nel mondo proviene da miniere situate nell'Africa centrale e meridionale. La società sudafricana DeBeers, con sede a Johannesburg, controlla quasi completamente l'estrazione, la lavorazione e commercializzazione dei diamanti di origine africana. Tra le maggiori società al mondo per l'estrazione dei diamanti vi è anche l'anglo-australiana BHP Billiton.
Lo Zimbabwe appartiene alla ristretta schiera dei paesi produttori di diamanti. Prima del 2006 esistevano solo due miniere, dalla produzione modesta: River Branch al sud, la più antica, gestita per qualche anno da compagnie canadesi e australiane e poi venduta per la sua scarsa redditività, e Murowa al centro del paese, sfruttata da Rio Tinto, il colosso minerario australiano.
Nel 2006 furono scoperti i diamanti a Marange, ad est del paese, vicino alla frontiera con il Mozambico. Sono depositi alluvionali, cioè diamanti disseminati in una grande area, lungo i corsi d’acqua, che si possono recuperare anche scavando con il piccone e la pala. La notizie percorse tutto il paese, allora in preda ad una soffocante crisi economica, e in poche settimane la zona si riempì di cercatori artigianali di diamanti. Ma come il miele attira le mosche, i diamanti attraggono gli uomini armati e in divisa. Marange divenne subito un far west, con militari e poliziotti a disputarsi le pietre preziose con cercatori e scavatori.
Un rapporto di Human Right Watch del giugno 2009 denuncia gli abusi contro i diritti umani commessi sistematicamente a Marange. La zona è diventata una sorta di girone infernale intorno al quale sono compiuti veri e propri massacri, stupri, oltre che pratiche di lavoro forzato, spesso minorile, e uccisioni sommarie. Da lì parte un immenso giro di prostituzione, di contrabbando e di corruzione, i cui proventi finiscono tutti nelle tasche di una classe militare e politica, cosciente di essere ormai precaria, quindi intenzionata a sfruttare, o meglio saccheggiare, il paese fino a che sarà possibile.
A scoprire i diamanti a Marange era stata la De Beers, l’azienda sudafricana leader mondiale della commercializzazione dei diamanti, ma anche all’avanguardia per la prospezione dei siti diamantiferi. Ma per una volta la De Beers si sbagliò, e non valutò l’entità di quei giacimenti. Rinunciò alla concessione, e il governo di Harare la trasferì alla britannica African Consolidated Resources.
Per questa piccola impresa sarebbe stato l’affare del secolo, se il governo di Harare avesse rispettato il diritto commerciale. Quando si sparse la voce che quello poteva essere uno dei più ricchi depositi di diamanti del mondo, i legali del presidente-dittatore Mugabe inventarono dei vizi di forma nel contratto, ed espropriarono l’impresa inglese, con tanto di raid negli uffici della compagnia e sequestro di documenti, computer e relazioni sulle prospezioni effettuate.
Alla miniera di River Ranch era accaduta la stessa cosa: la febbre dei diamanti aveva contagiato un generale, Salomon Mujuru, l’eroe della guerra di indipendenza, un cacicco del partito al potere ZANU-PF, Trivanhu Mudariki, e la moglie del presidente Mugabe, Sibonokuhle Moyo. Costituita la Bubye Minerals, ottennero con facilità i diritti di sfruttamento.
Nella sua riunione del luglio 2010 a Sanpietroburgo il Kimberley Process ha votato un embargo dei diamanti prodotti a Marange. Il Kimberley Process è un sistema di certificazione concordato dai governi dei paesi esportatori e importatori di diamanti, con la collaborazione esterna dell’industria dei diamanti e delle Ong, che ha il fine di escludere dal commercio mondiale i diamanti estratti in zone di conflitto e di grave violazione dei diritti umani.
Emissari del Kimberley Process hanno costatato che i militari hanno il controllo quasi totale dei campi diamantiferi di Marange, e che sono loro a manovrare la rete di contrabbandieri.
Quello dello Zimbabwe è un caso esemplare: da una parte, troviamo un dittatore vecchio e impresentabile come Robert Mugabe, ancora al potere grazie al supporto di una cricca interna che non vuole abbandonare il saccheggio del paese; dall'altra, si osserva una popolazione ridotta letteralmente alla fame e privata di ogni diritto.
Dei personaggi che derubano il paese si conoscono i nomi: è l’élite politico-militare che permette al regime di sopravvivere. Non si conoscono invece i nomi di tutte le vittime, in gran parte ragazzi, che in questi anni sono morti nell'inferno di Marange. Ufficialmente sono finora 214, ma le cifre reali sarebbero nell'ordine di alcune migliaia, considerando il fatto che bambini e uomini sono costretti con la forza dall’esercito a lavorare nelle miniere, patendo fame e sete. Chi si oppone a questa forma di schiavitù viene torturato. Non si conoscono nemmeno i nomi di tutti i morti per colera, per mancanza di medicine, per fame.
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