domenica 9 agosto 2015

LA DEA CERERE



Cerere era una divinità materna della terra e della fertilità, nella religione romana, nume tutelare dei raccolti, ma anche dea della nascita, poiché tutti i fiori, la frutta e le cose erano ritenuti suoi doni, tanto è che si pensava avesse insegnato agli uomini la coltivazione dei campi. Veniva rappresentata come una matrona severa e maestosa, tuttavia bella e affabile, con una corona di spighe sul capo, una fiaccola in una mano e un canestro di grano e di frutta nell’altra.

Quando l’uomo cercò di spiegare gli eventi straordinari, i misteri che accompagnavano le cose della natura e che hanno portato alla formazione del mondo, la fantasia intervenne e così Cerere e Proserpina spiegarono il mistero dell’avvicendarsi delle stagioni.
Cerere-Demetra, era dea del grano e della fertilità, era figlia di Saturno-Crono e Rea. Sorella di Giove-Zeus.
La tradizione vuole che ad introdurre per prima la coltivazione del grano, sia stata proprio Cerere in Sicilia, l’isola rappresentava infatti la sede principale del culto della dea Cerere-Demetra, in particolare le era sacra la città di Enna, dove sorgeva un tempio a lei dedicato.
Ancora giovane e spensierata Demetra-Cerere generò a Zeus-Giove, suo fratello, due figli: Iacco e la bella Core-Persefone o per i latini Proserpina.
Cerere è legata anche al mondo dei morti attraverso il Caereris mundus, una fossa veniva aperta soltanto in tre giorni particolari 24 agosto, 5 ottobre, 8 novembre. Questi giorni sono dies religiosi, vale a dire che ogni attività pubblica veniva sospesa perché l’apertura della fossa metteva idealmente in comunicazione il mondo dei vivi con quello sotterraneo dei morti, in quei giorni non si attaccava battaglia con il nemico, non si arruolava l’esercito e non si tenevano i comizi. L’apertura del mundus era un momento delicato e pericoloso, non tanto per paura che i morti uscissero in massa invadendo il mondo dei vivi, ma al contrario perché il mundus avrebbe attratto i vivi nel mondo dei morti, specialmente in occasione di scontri e battaglie.



I Cerealia erano una festa religiosa dell'antica Roma, celebrata il 12 aprile e seguita da giochi che duravano fino al 19 aprile, e dedicati a Cerere.
La cerimonia prevedeva il ricordo del mito di Cerere e Proserpina: la ricerca della figlia da parte della madre era rappresentata dal vagabondare delle devote per la città, reggendo una torcia  e vestite rigorosamente di bianco.
I giorni successivi erano celebrati i Ludi Cerealici, giochi che si tenevano al Circo Massimo, e ai quali gli spettatori assistevano vestiti di bianco.
Alla spettacolare processione partecipavano persone che sfilavano in silenzio tenendo in mano tante fiaccole accese.
Una folla di fedeli osannanti, si recava in processione, ed alcune giovinette portavano ghirlande di spighe mature e operavano culti segreti e misteriosi. All’approssimarsi delle feste in onore di Cerere era prescritto a tutti l’osservanza delle più severa castità.



Il mito narra che la dea dell’agricoltura, Cerere, aveva una bellissima figlia, il cui nome era Proserpina. Plutone, il dio degli Inferi, la vide un giorno, mentre coglieva fiori selvatici nei campi, e rimase colpito dalla sua bellezza e dalla sua grazia. Innamoratosi di lei, la rapì sul suo cocchio e scomparve in una voragine, portandola con sè nel regno degli Inferi.
Cerere la aspettava nel suo palazzo d’oro e non vedendola tornare cominciò a cercarla nei boschi, nei campi, in ogni foresta, chiamandola sempre più disperatamente. Per quanto la chiamasse, Proserpina, dal profondo degli Inferi, non la sentiva e piangeva. Pianse finchè il Sole, che aveva assistito al rapimento, decise di rivelarle l’accaduto: "Invano cerchi tua figlia, Cerere, perchè è stata rapita dal dio Plutone, che ha deciso di farne la regina degli Inferi." Cerere corse da Giove, per supplicare lui e gli altri dei di aiutarla a liberare Proserpina. Ma nessuno era disposto a darle aiuto. Disperata, lasciò l’Olimpo e prese a peregrinare tra i campi, poiché non si rassegnava. Le sue lacrime non cessavano di scendere e appena toccavano il terreno, seccavano gli alberi e tutta la vegetazione. Gli uomini, privati dei frutti della terra, cominciarono a soffrire la fame.
Niente più germogliava, e gli animali morivano perché non c’era più vegetazione. Alla fine Giove ebbe pietà degli uomini e inviò Mercurio, il messaggero degli Dei, all’inferno, con l’ordine di lasciare libera Proserpina e restituirla a sua madre. Mercurio, indossati i calzari magici che gli permettevano di volare, si recò da Plutone e gli comunicò il messaggio di Giove. "La volontà di Giove verrà rispettata", gli rispose Plutone." Lascerò libera Proserpina perché ritorni da sua madre." Chiamata la fanciulla, le disse che era libera di andarsene, ma le diede da mangiare alcuni chicchi di una melagrana magica: chi la assaggiava era preso dalla nostalgia di tornare. Proserpina lasciò l’oscurità degli Inferi per risalire alla luce del sole. Cerere le corse incontro per riabbracciarla e improvvisamente la terra ridivenne verde, fiori e gemme spuntarono dappertutto e animali e uomini poterono di nuovo sfamarsi e vivere felici. Passarono alcuni mesi. Un giorno Proserpina, colta da nostalgia disse alla madre: " Sto bene qui con te, ma qualcosa mi spinge a ritornare agli Inferi, dove mio marito mi aspetta."
Cerere capì che Plutone le aveva fatto assaggiare la melagrana magica. Per quanto tentasse di convincerla a rimanere non potette trattenerla. Proserpina tornò da Plutone e rimase con lui alcuni mesi. Durante questo periodo, gli alberi persero le loro foglie e i loro frutti, la neve ricoprì la terra e i venti del Nord presero a soffiare, portando il gelo e le tempeste. Quando, dopo alcuni mesi, Proserpina tornò dalla madre, la terra ridivenne verde, e si coprì di fiori e foglie. "Proserpina", stabilì Giove, "passerà parte dell’anno con Cerere, sua madre, e parte con suo marito, Plutone. Così tutti saranno soddisfatti". Ecco spiegata l'origine delle stagioni: quando Proserpina scende agli Inferi, la terra è in lutto; e questo alternarsi, nella tradizione antica, non avrebbe mai dovuto avere fine.



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