lunedì 24 agosto 2015

PERCHE' PEDOFILI?



L’immagine popolare del pedofilo è quella di un uomo di una certa età, una sorta di “sporcaccione” generalmente in pensione o disoccupato che, oltre a molestare ogni qualsiasi bambino che gli capiti a tiro, può avere anche altre anomalie del comportamento sessuale, o “parafilia”, come l’esibizionismo, il voyeurismo o altro. Le statistiche più recenti indicano, invece, che l’abitudine a molestare i bambini inizia generalmente attorno ai 15-16 anni, che di solito la vittima è nota al pedofilo e quest’ultimo spesso è un parente, un amico di famiglia o un frequentatore della casa che non presenta apparenti anomalie di comportamento.
L’attrazione erotica che alcuni sentono per i bambini non si traduce necessariamente in atti sessuali completi: il pedofilo può limitarsi a spogliare il bambino e guardarlo, a mostrarsi, a masturbarsi in sua presenza, a toccarlo con delicatezza o ad accarezzarlo, può convincere il bambino a toccarlo a sua volta e così via. C’è anche chi si limita guardare del materiale pornografico, materiale che oggi, navigando in Internet, può essere rintracciato abbastanza facilmente. Va infatti ricordato che, oltre ai pedofili attivi, ci sono anche i pedofili “latenti”, che non giungono a prendere l’iniziativa.
Altri pedofili sentono attrazione per i bambini di una particolare fascia di età, spesso quella in cui loro stessi ebbero per la prima volta delle esperienze erotico-sessuali con un adulto o un ragazzo più grande. Per altri ogni bambino può essere oggetto d’attenzione. C’è chi preferisce i maschi, chi la femmine, chi invece ricerca bambini di entrambi i sessi. Alcuni sono attratti sessualmente soltanto dai bambini (tipo “esclusivo”), altri sono talvolta attratti anche da adulti (tipo “non esclusivo”).
Alcuni praticano la pedofilia soltanto occasionalmente e non ricercano attivamente i bambini.
La maggior parte dei pedofili cerca di non maltrattare i bambini che riesce ad avvicinare, sia per l’attrazione nei loro confronti, sia perché vuole evitare che essi possano lamentarsi, parlare, “fare la spia”. Se scoperti solitamente i pedofili parlano delle loro molestie verso i bambini in termini molto delicati, ricorrendo alle più svariate razionalizzazioni.
Possono proclamare, ad esempio, il valore educativo di abbracci e carezze, oppure giustificarsi sostenendo che, in quell’occasione, il bambino era stato seduttivo, che era stato proprio il piccolo a sollecitare le avance sessuali dell’adulto, che da queste aveva ricavato poi un evidente piacere, ecc.
Alcuni rivendicano apertamente il loro “diritto” di amare i bambini di cui si sentono attratti a volte in maniera insopprimibile. “La nostra battaglia è come quella antiproibizionista. Chiediamo la libertà d’espressione per chi crede sia giusto amare i bambini. La nostra linea culturale, quando non c’è violenza, non c’è prostituzione, non c’è sfruttamento, va rispettata. Mettendoci in carcere fate di noi dei perseguitati”: è quanto ha dichiarato, in una sorta di “manifesto programmatico”, uno dei tre italiani responsabili di un network internazionale di pedofilia via Internet scoperto nel 1998. questa persona ha anche aggiunto:”Quando non c’è violenza, quando il bambino è consenziente, l’attenzione dell’adulto e il rapporto tra i due vanno considerati leciti” (Corriere della Sera, 8/9/98).
È evidente che, nella dichiarazione di questo “amante dei bambini”,il punto critico sta tutto nel termine “consenziente”. Può essere considerato “consenziente” un bambino che non sa cosa sta per fare, o che cosa gli sta per succedere, e che si trova in una posizione di nette inferiorità -dal punto di vista del potere, della comprensione, dell’esperienza e dell’autonomia emotiva- nei confronti di un adulto che ha un piano e degli obiettivi precisi?



Ci sono anche altri tipi di pedofili, meno “buoni” di quelli a cui fa riferimento il ”manifesto” appena citato. Sono quelli che praticano il cosiddetto “pedosadismo”.
In questo caso l’attrazione per i bambini e i ragazzini è associata a forme più o meno spinte di sadismo. Si tratta quasi sempre di individui privi di senso morale, spesso affetti da disturbi mentali, cresciuti in un clima di degrado ambientale e psicologico, che qualche volta finiscono per uccidere le loro vittime. Sono casi estremi ma, poiché i media tendono a enfatizzarli, si può avere l’impressione che tutti gli approcci pedofili possano finire in tragedia, il che ovviamente non è.
Va anche considerato che spesso l’eliminazione fisica del bambino non è premeditata, ma si verifica come alla reazione alla paura di essere scoperti. Dagli studi emerge, in particolare, che i pedofili violenti, per lo più, sono stati a loro volta vittime di violenza nell’infanzia, soprattutto di tipo omosessuale. Anche i pedofili non violenti hanno avuto frequentemente esperienze sessuali, basate però sulla seduttività e sull’affettuosità.
Le donne pedofile sono più rare degli uomini, spesso isolate o affette da una qualche forma di squilibrio psichico. Come gli uomini anche le donne possono creare notevoli dissesti psicologici. Quando una donna obbliga un bambino, o una bambina, a pratiche erotiche o sessuali, gli effetti possono essere devastanti, soprattutto se si tratta della madre. Per un figlio infatti la madre è una figura di attaccamento principale. Da lei si attende protezione e rispetto più che da qualsiasi altro adulto di sua conoscenza.

Secondo studi condotti in vari paesi occidentali, nell’85% dei casi l’abusante è un familiare, o un membro della famiglia allargata.
Un tratto tipico dell’abuso sessuale nella famiglia nucleare allargata è il silenzio: si teme che, parlando, il colpevole possa finire nelle mani della giustizia e la famiglia sfasciarsi. Questo è il motivo per cui i dati quantitativi sull’incesto peccano per difetto e i resoconti degli abusanti sono per lo più retrospettivi.
I casi più numerosi delle denunce sono a carico di patrigni e padri (70% dei casi), ma ci sono anche zii, cugini, fratelli, sorelle maggiori e qualche volta la madre. L’età media delle vittime è tra 6-8 e i 12 anni, ma alcuni bambini sono stati abusati in età inferiore. Il padre, o patrigno, autore di incesto (padre “endogamico”) occupa spesso all’interno della famiglia e tende ad ostacolare qualsiasi tentativo degli altri membri (specialmente della vittima) di intraprendere delle relazioni sociali al di fuori delle mura domestiche. Anche la vittima dell’incesto (spesso la figlia, più raramente il figlio) è sovente isolata e alla ricerca di contatto umano. In alcuni casi il rapporto incestuoso può essere sostenuto da alcuni “vantaggi secondari”: l’abusante ricompensa la vittima con regali e privilegi all’interno del nucleo familiare e questa può considerarsi come l’unica persona in grado di tenere unita la famiglia. Poiché nelle famiglie incestuose c’è quasi sempre una diffusa paura di arrivare alla disgregazione familiare (con conseguenti difficoltà economiche per alcuni membri), è stato ipotizzato che l’incesto abbia, a volte, la funzione “secondaria” di tenere unita una famiglia disfunzionale: un uomo che, ad esempio, non ha più rapporti con la moglie potrebbe andarsene da casa se non fosse per la relazione che intrattiene con la figlia. Per parte loro le figlie che sono oggetto di attenzioni particolari sono spesso coinvolte in situazioni di “inversione di ruolo” nei riguardi della madre. Quest’ultima finisce col delegare (implicitamente) alla figlia il ruolo di “donna di casa” e, più o meno inconsciamente, la incoraggia ad assumere anche gli aspetti sessuali. Il rapporto della figlia con la madre è in questi casi, ovviamente, molto conflittuale.
I genitori possono sembrare delle personalità ben adattate. Tuttavia, un esame più accurato della loro storia passata rivela spesso la presenza di un abbandono precoce da parte dei loro stessi genitori. Molti padri o patrigni incestuosi hanno subito deprivazioni affettive nell’infanzia. Analogamente, le madri sono spesso donne dipendenti o bisognose d’affetto, le cui mamme sono state spesso assenti od ostili. Qualche volta ai test psicologici entrambi i genitori possono mostrare segni di paranoia, squilibri, grosse inibizioni sessuali.
La personalità dei pedofili è polimorfa. C’è infatti chi ritiene che “la tendenza ad avere un contatto sessuale con i bambini può essere considerata secondo un continuum che va dall’individuo per il quale il bambino rappresenta l’oggetto sessuale scelto (pedofilia) a quello (l’altro estremo) per il quale la scelta di un oggetto sessuale immaturo è essenzialmente una questione di opportunità o coincidenza” (Ajuriaguerra, 1979).
Nel secondo caso si potrebbe parlare di soggetti “adattabili”, o “superficiali”, individui che non si pongono tanti problemi e prendono ciò che capita e che viene loro offerto. Ciò aiuterebbe, tra l’altro, a spiegare il fenomeno del turismo sessuale, praticato non solo da pedofili ma anche da persone che intrattengono normalmente rapporti con partner adulti.
Anche le tecniche per adescare i bambini sono di vario tipo. Naturalmente, quelle degli estranei sono più raffinate di quelle dei familiari. C’è chi in spiaggia corteggia la mamma per poi arrivare alla figlioletta, chi addirittura sposa una donna divorziata per avere poi accesso ai figli, chi cerca di diventare amico di famiglia per ottenere la fiducia dei genitori, chi avvicina bambini con carenze affettive o trascurati e via dicendo. Un pedofilo pentito ha rivelato il suo metodo “infallibile”: “Sono un radio amatore, era sufficiente che mi mettessi con la veranda con la mia radio per avere attorno un nugolo di maschietti dagli 8 ai 12 anni” (Howitt, 1998). Il che non significa che tutti i pedofili pianifichino le loro azioni nel dettaglio: alcuni agiscono senza premeditazione, lasciandosi condurre dagli eventi e sfruttando ogni occasione.
Un’inchiesta condotta da Conte et al. (1989), dell’università di Chicago, su venti pedofili in terapia mostra come generalmente gli “amanti dei bambini” siano ben consapevoli di ciò che fanno. È quello che emerse dalle risposte dei 20 pedofili pentiti (maschi tra i 20 e i 60 anni) osservati nel corso di quella ricerca dettero ai loro terapeuti.

Alla domanda: “Quante sono state le sue vittime?”, le risposte variano da un minimo di 1 ad un massimo di 40, con una media di 7.3 . 18 mesi era la vittima più giovane. In molti casi la vittima era imparentata con il pedofilo. Alla domanda: “c’era qualcosa nell’aspetto del bambino che ti attraeva?” alcuni indicavano soprattutto i tratti fisici (pelle liscia e morbida, corpo snello, capelli lunghi, volto grazioso, aspetto femminile) altri atteggiamenti e tratti del carattere:”vivace, socievole e affezionato. Sentivo che era il soggetto ideale perché aperto e fiducioso”. “Mi attraeva molto lo sguardo che era pieno di fiducia. Quando sono sospettoso non ti guardano in faccia”, “Aveva un aspetto vulnerabile. Era insicuro. Si fidava di tutti”.
“se erano in parecchi con un aspetto simile”, veniva poi chiesto ai soggetti “cosa ti spingeva a sceglierne uno piuttosto che un altro?”. Molti dissero di orientarsi verso i più deboli, quelli più bisognosi di protezione e più facilmente circuibili. Ecco alcune delle risposte: “Sceglievo il più giovane o quello che, secondo me, non avrebbe parlato”, “Quello che cercava protezione. Quello che i fratelli e sorelle si trascinano dietro come un peso. Quello a cui piaceva essere tenuto sulle ginocchia, a cui piacevano le mie carezze, che si lasciava toccare senza fare proteste e senza rivoltarsi contro”. Ancora: “Capisco quando il bambino ripone fiducia in me: lo vedo da come si muove, da come mi si rivolge e mi chiede le cose”, “Si capisce se un bambino ha già avuto di queste esperienze, perché è più tranquillo e remissivo quando si usano certe parole, si fanno delle allusioni o si prendono delle iniziative”, “Sceglievo gli isolati, quelli senza amici o trascurati e maltrattati, perché questi bambini sono alla ricerca di qualcuno che si prenda cura di loro”.
Alla domanda: “Dopo aver individuato una vittima potenziale, pensavi alla possibilità di essere scoperto?”, la maggior parte rispondeva affermativamente, spiegando come la paura determinasse il modo in cui avvicinavano i bambini: “Si, avevo paura di essere scoperto, perciò aspettavo il tempo e i luoghi giusti. È il motivo per cui mi rivolgevo ai bambini di non più di 7 anni. Alcuni ne avevano 3 e non penso che capissero cosa stessi facendo. Cercavo bambini che non fossero in grado di riferire”, “Avevo paura per tutto il tempo che li tenevo con me”, “Mi assolvevo pensando che non li stavo molestando, ma che soddisfacevo una mia curiosità”.
Alla domanda: “Dopo aver identificato la vittima, cosa facevi per convincerla a restare con te?”, alcuni parlavano di regali, altri delineavano strategie diverse: “Parlavamo, giocavamo insieme fino all’ora di andare a letto. Sedevo sul letto in slip e valutavo le sue reazioni”, “Le facevo il solletico, ridevamo, la toccavo. Con i bambini il contatto fisico è più importante della seduzione verbale”, “Cercavo di essere simpatico: gli proponevo dei giochi, gli mostravo attenzione, gli facevo i complimenti”, “Mi comportavo in modo tale che si sentisse sicuro con me”, “Lo attiravo con qualche scusa: un giocatolo, una cosa buffa o altro”, “Lo staccavo dagli altri”.

La maggior parte delle persone non pensa ai bambini come a dei possibili partner o “oggetti sessuali”. Perché per alcuni non è così? Si tratta di una malattia o di un impulso naturale? Secondo moli psicologi e psichiatri i pedofili hanno una personalità immatura, problemi di relazione, o sensi di inferiorità, che non consentono loro un rapporto con un adulto “alla pari”: si focalizzano sui bambini perché possono controllarli e dominarli. Con loro non provano sentimenti di inadeguatezza. L’immaturità emerge anche dall’incapacità di questi individui di assumere un ruolo responsabile. È vero che un bambino può, di tanto in tanto, assumere degli atteggiamenti provocanti o seduttivi, ma chi si lascia attivare sessualmente da tali atteggiamenti disinibiti e per lo più inconsapevoli è una persona che non sa tener conto del contesto. Questi stessi atteggiamenti e movenze suscitano, in una persona responsabile, un sentimento di tenerezza o di divertimento, non una reazione di tipo sessuale.
Secondo la psicoanalisi classica, i pedofili abituali sarebbero preda di un disturbo narcisistico della personalità. Nei bambini essi rivedrebbero se stessi nel periodo della propria infanzia, idealizzerebbero il corpo e la bellezza infantile, o preadolescenziale, e rievocherebbero lo stesso trattamento, o il suo opposto subito in passato. Sarebbero dunque al centro di un circuito che si autoalimenta e che li porta compulsivamente indietro nel tempo, al momento in cui essi stessi hanno vissuto quel tipo di esperienza, hanno provato eccitazione-paura e anche il turbamento di essere depositari di un segreto incomunicabile, una sorta di doppia vita.
I pedofili sarebbero insomma rimasti “fissati” a quelle emozioni intense e a quegli schemi estetico-erotici che ora cercano di esplorare e rivivere, senza riuscire ad evolvere verso forme diverse di erotismo, incuranti della differenza tra generazioni e negando l’esistenza di ruoli e funzioni adulte. A ciò si aggiunge, nei pedofili abituali, il piacere della trasgressione e, oggi, anche quello di trovare propri simili su Internet. Qui, oltre a scambiarsi materiale e informazioni, possono rivendicare un’identità in contrapposizione a tutti coloro che disapprovano i loro comportamenti o combattono la pedofilia.
Infine, in casi in cui il disturbo narcisistico della personalità sia associato a gravi tratti asociali, le determinanti inconsce del comportamento sessuale possono pericolosamente connettersi alle dinamiche del sadismo. La conquista sessuale del bambino, in questo caso, rappresenta uno strumento di vendetta per gli abusi subiti, una sorta di puntello alla scarsa stima di sé. Un senso di trionfo e di potere può accompagnare la trasformazione di un trauma passivo in una vittimizzazione perpetrata attivamente: il bambino è così visto come un oggetto che può essere facilmente dominato e terrorizzato, che non provoca frustrazione e non si vendica.
Alcuni autori (Ward et al., 1995) hanno anche elaborato un modello teorico che mette in relazione i problemi di intimità dei pedofili con i diversi tipi di attaccamento. Essi hanno individuato tre diversi tipi di molestatori:
1) Gli “ansiosi-resistenti”, che hanno scarsa autostima, si considerano indegni d’amore e ricercano costantemente l’approvazione degli altri. In presenza di un partner che può essere controllato (come un bambino in stato di bisogno o di carenza) essi si sentono sicuri, mentre sono incapaci di stabilire relazioni emozionali con persone adulte. Talvolta possono diventare dipendenti emotivamente dal rapporto con i bambini, con la conseguenza che i confini tra adulto e bambino si perdono e la relazione affettiva si trasforma in sessuale. Curano e corteggiano i bambini e raramente usano mezzi coercitivi.
2) Gli “evitanti-timorosi”, che presentano un forte desiderio di contatto insieme alla paura del rifiuto, tanto da evitare relazioni intime con adulti percepiti come rifiutanti. Le modalità con cui il soggetto mette in atto l’abuso sono caratterizzati da scarsa empatia e uso della forza.
3) Gli “evitanti-svalutativi”, che hanno come meta il conseguimento dell’autonomia e dell’indipendenza, per cui sono alla ricerca di relazioni con il minimo contatto sociale possibile e il minor grado di apertura emozionale e personale. Al pari degli evitanti-timorosi cercano rapporti impersonali, caratterizzati però da un maggior grado di ostilità e aggressività che può condurre a comportamenti coercitivi violenti o sadici.

Sono pochi i pedofili che accettano di farsi curare e molti non si considerano malati. Alcuni, come abbiamo già detto, rivendicano pubblicamente la liceità dei loro approcci, sostenendo che c’è abuso soltanto quando c’è costrizione violenta. Costoro affermano che anche un bambino piccolo è in grado è in grado di scegliere e di dimostrare il suo rifiuto, se non gradisce certi contatti. Sul sito Danish paedophile association si possono trovare sintetizzate le risposte che i pedofili “buoni” danno ai quesiti principali: “la pedofilia non è una malattia e non deve essere curata; la pedofilia è sempre esistita; le cause della pedofilia non devono essere ricercate in ipotetiche violenze subite nel passato; i pedofili sia uomini che donne, nel 75% dei casi preferiscono soggetti del proprio sesso; non è nocivo un rapporto con un bambino consenziente, bensì il clamore suscitato se viene scoperto; la sessualità non è cattiva, in qualunque forma si manifesti, ma un aspetto gradevole dell’esistenza; i bambini hanno una loro naturale seduttività, perché reprimerla?”.
I pedofili che usano seduzione e blandizie e condannano le violenze hanno fondato associazioni per difendere il “diritto di libertà sessuale del bambino”, a parer loro oppresso da una società sessuofobia. Secondo quest’ottica i veri danni ai bambini sarebbero provocati da: dal fatto di dover mantenere segreti i “giochi” che fanno con gli adulti (segreto che di per se creerebbe sensi di colpa); dalle trafile giudiziarie (interrogatori e confronti) che fanno seguito alle denuncie; dal comportamento dei genitori: se questi non comunicassero al figlio il timore di poter essere vittima di violenza, sostengono i pedofili, il bambino non si sottrarrebbe alle attenzioni sessuali degli adulti, non ne proverebbe vergogna e, alla fine, non verrebbe neppure ucciso.
Uno degli obbiettivi dei pedofili organizzati è proprio quello di indebolire l’influenza che i genitori hanno sui figli. A questo proposito l’associazione di pedofili The Slurp ha stilato una lettera, idealmente rivolta a tutti i bambini, allo scopo di vincere le loro resistenze.



Sempre più spesso, nonostante la censura di Stato si affanni per impedire la divulgazione di questo genere di notizie, vengono riferiti dalla stampa, ma soprattutto dai siti internet italiani ed esteri, episodi di pedofilia che hanno come protagonisti dei preti.
Viene da chiedersi: perché i preti diventano pedofili? Molti penseranno che sia uno degli effetti del celibato forzato, ma se dipendesse semplicemente da questo, dovremmo osservare somiglianze statistiche con analoghe situazioni di castità obbligatoria, cosa che non risulta. Del resto, se la condizione di celibato diventasse insostenibile per il prete, perché non ripiegare nella normale eterosessualità adulta, più o meno clandestina?

No, certamente il comportamento pedofilo non può essere spiegato con la semplice repressione sessuale, nemmeno se esasperata e prolungata negli anni.

Sebbene la pedofilia sia un crimine particolarmente odioso perché colpisce le vittime più indifese e disarmate, va tuttavia detto che essa evidenzia uno stato di regressione psichica da parte di chi la mette in atto.

Un pedofilo non è mai completamente adulto, bensì cerca, a livello inconscio, di rievocare simbolicamente la sua stessa infanzia. La mancanza di maturità sessuale da parte dei  preti, che l’esperienza del seminario non ha certo potuto permettere,  potrebbe aver “fissato” lo stato evolutivo psichico ad uno stadio preadolescenziale.

Questa interpretazione narcisistica del comportamento pedofilo dei preti sarebbe confermata dall’osservazione dell’età media delle vittime, spesso compresa fra gli 8 e i 12 anni. Va anche sottolineato che nella quasi totalità dei casi si tratta di pedofilia omosessuale, ed anche questo elemento ci fa capire come il prete pedofilo abbia pesanti conflitti da risolvere con sé stesso, con la propria sessualità, con la propria storia e  soprattutto con la propria identità.

La pedofilia è comunque un fenomeno estremamente complesso, non è semplicemente espressione di tendenze regressive infantili negli adulti (altrimenti i pedofili sarebbero milioni!).

Va considerato un altro fondamentale aspetto: il rapporto sado-masochistico. Anche qualora non vi sia violenza, è innegabile che il pedofilo, per sottomettere la vittima, faccia leva sul suo potere adulto e sulla sua superiorità fisica e psicologica.

E’ anche evidente che lo scopo del pedofilo non è di procurare piacere, ma di ottenerlo, anche usando la propria preda come fosse un giocattolo inerme. C’è dunque una notevole componente ideologicamente autoritaria nella pedofilia. Un autoritarismo che si esprime come un bisogno di possessivismo morboso, invincibile, da cui non ci si può sottrarre.

E’ estremamente significativo che in molti episodi riportati dalle cronache, si nota che i preti pedofili generalmente non prendono particolari precauzioni per nascondere i propri perversi comportamenti. Nel loro delirio di onnipotenza (che è anch’esso di origine infantile) essi preferiscono contare sulla omertà delle proprie vittime piuttosto che sul mettere in atto i comportamenti devianti in contesti protetti, magari lontano dal proprio ambiente.

A questo punto possiamo avanzare un’ipotesi che forse dà un senso logico a tutto quanto esposto precedentemente, e che potrebbe almeno in parte spiegare il ricorrente nesso fra comportamento pedofilo e condizione di prete.

Riepilogando, abbiamo analizzato le principali componenti della pedofilia e abbiamo riscontrato regressione, autoritarismo, possessivismo morboso.  Guarda caso, si tratta dell’essenza più intima della teologia cattolica!

Il cattolicesimo, fra tutte le religioni del mondo, è infatti quella che offre al popolo il maggior numero di simboli infantili: non a caso il personaggio più proposto, più venerato, più rappresentato e rispettato è una mamma. Poi, proprio come si fa con i bambini, vengono continuamente propinate  promesse, minacce, premi e punizioni. Raramente, o forse mai, si parla di responsabilità personale o di libere decisioni, quelli sono comportamenti troppo adulti, i cattolici possono solo osservare, seguire, credere,  aderire, obbedire, confessare, pentirsi, ecc.

Sempre a proposito di regressione infantile, si osservi che il principale rito cattolico, nonché il comportamento più meritorio e sacro, è un comportamento “orale”, cioè l’eucarestia. Che i buoni cristiani debbano fare la comunione tutte le domeniche ricorda incredibilmente un vecchio luogo comune: “i bambini buoni mangiano tutta la pappa”. Non solo: nella liturgia cattolica si insiste, non a caso, sul fatto che l’ostia debba essere “imboccata” dalle mani del sacerdote, e non presa in mano dall’adepto. Come accade con una mamma che nutre un bambino che non sa ancora tenere in mano il cucchiaino.

Pochi hanno notato che, a suo tempo, ci fu un richiamo di papa Wojtyla  proprio su questo argomento, ovvero dell’ostia “imboccata” dal prete, dato che molte chiese si stavano disinvoltamente protestantizzando su questa formalità apparentemente insignificante, distribuendo ostie direttamente nelle mani dei fedeli. Ma alla chiesa certi dettagli non sfuggono, perché ne conoscono l’enorme portata psicologica.

Ed è infatti così che la chiesa vuole che siano i suoi sottoposti: inermi, inconsapevoli, bambini che si abbandonano ciecamente nelle mani di una autorità protettiva e consolatoria. Bambini che non sanno nemmeno usare le proprie mani. Guarda caso, anche i pedofili hanno bisogno di soggetti passivi ed inconsapevoli. Curioso vero?

Sta di fatto che il bambino stuprato, vittima del pedofilo, magari del prete-pedofilo, è quindi una metafora del cattolico perfetto: sottomesso, timoroso, silenzioso, fiducioso che ciò che accade è per il suo bene.

Il prete pedofilo non cessa dunque di essere prete (“Tu es sacerdos in aeternum”), anzi, forse esprime nella forma più eloquente ed esplicita quella ideologia che la sua mente ha assorbito da anni e anni, finendo per identificarsi con essa. Avete notato? I preti pedofili se scoperti non lasciano mai il sacerdozio, a differenza dei preti che hanno avuto delle “banali” relazioni con donne. Inoltre, difficilmente vengono sospesi dalle celebrazioni religiose, tutt’al più vengono trasferiti “per non dare scandalo”.

Ora sappiamo perché: la pedofilia esprime in realtà ruoli e significati profondamente ed intimamente “cattolici”, sebbene il prete pedofilo abbia il paradossale ruolo di essere contemporaneamente vittima (sia dei suoi problemi personali che di una ideologia oggettivamente nociva per l’equilibrio psichico) e carnefice (perché commette abusi senza preoccuparsi dei danni indelebili che procura agli altri).

La dinamica “prete pedofilo-bambino” è dunque una efficace metafora del rapporto fra la chiesa e i suoi fedeli, fra l’istituzione possessiva e autoritaria, e i suoi seguaci ingenui e “bambini”.

Tra l’altro  la chiesa, battezzando bambini inconsapevoli, e indottrinandoli sin dalla scuola materna, a ben vedere mette in atto le stesse tecniche di adescamento usate dai pedofili, che infatti fondano la loro seduzione proprio sulla non conoscenza, sulla non consapevolezza e persino sul senso di timore riverenziale che la vittima avverte “dopo” l’avvenuto “battesimo” (in questo caso il termine va interpretato con un doppio senso).

In entrambi i casi, questi bambini “vittime” (sia di pedofili che di chiese pedofile) sanno provare solo sensi di colpa, e non l’opportuno e sacrosanto diritto alla propria integrità mentale e fisica. Infatti, come tutti gli psicoterapeuti sanno bene per esperienza professionale, ricevere una educazione rigidamente cattolica non lascia minori conseguenze negative nella personalità rispetto agli effetti dei traumi psicologici che derivano dal subire episodi di pedofilia. Anzi forse questi ultimi, essendo tutto sommato più circoscritti, possono essere superati più facilmente.


Un’altra analogia simbolica fra pedofilia e cattolicesimo la troviamo, nientemeno, nella messa. La rievocazione del sacrificio di una vittima innocente! Il rito del cosiddetto “agnello” che viene sacrificato sull’altare “per l’espiazione dei nostri peccati”.

Un prete, dunque, che celebra la messa, drammatizza simbolicamente (per la teologia cattolica addirittura materialmente) il “sacrificio di una vittima innocente”.  Potremmo paradossalmente dire che anche i pedofili “sacrificano vittime innocenti”. Questo è molto importante perché è il cuore dell’ideologia cattolica. Abituare la propria mente a pensare che sacrificare vittime innocenti sia un rituale sacro, positivo, espiatorio, purificatore e da cui scaturisce il bene, può certamente confondere l’inconscio, “abituandolo” a concezioni sottilmente perverse e sacralizzate.

Il prete pedofilo, stuprando bambini, per quanto spaventoso e deviante possa sembrare, non fa altro che “celebrare una messa”, usando simboli diversi ma evocando significati analoghi, ovvero: la vittima innocente va sacrificata. Il suo sangue non è la prova della violenza umana, al contrario, esso ci “lava” e ci purifica! Del resto, cose simili accadevano anche in molti antichi riti religiosi. Quanti poveri animali sono stati torturati, dissanguati e uccisi affinché i sacerdoti si illudessero, in tal modo, di ripulire sia la propria coscienza che quella altrui!

L’omertà della chiesa, e le sue solite negazioni dell’evidenza, oltretutto, impediscono a questi preti di essere curati, supportati da specialisti della psicologia, magari portati in psicoterapia. E perché no, studiati di più, affinché si possa tentare di prevenire il continuo ripetersi di questi fenomeni.

Evidentemente la chiesa preferisce tenersi dei preti pedofili, che continueranno a fare vittime innocenti, piuttosto che correre il rischio di confrontarsi con delle menti liberate.




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