Il Cùel de Zanzanù, in val Droanello, è una grotta legata al ricordo del brigante Giovanni Beatrici, realmente vissuto all'inizio del XVII secolo, ma le cui vicende sono sfumate in un alone di leggenda.
Il Cùel Zanzanù, detto anche Cùel o Covolo del Martelletto, è una grotta situata nel territorio del comune di Valvestino in provincia di Brescia.Il sito posto alla base della Corna del Martelletto a circa metri 700 sul livello del mare nella parte meridionale della Valle del Droanello è raggiungibile solo a piedi salendo lungo un tracciato di circa due chilometri che parte dal greto del torrente Droanello.
Il cùel è costituito da una serie di anfratti posti su due livelli lungo una bastionata rocciosa, detta Corna del Martelletto, lunga circa un centinaio di metri. La volta è alta 15 metri e forma un arco di 50 metri, mentre nella base sono stati creati nei secoli passati dei pianori e alcuni muri a secco per evidente protezione del bestiame o delle persone.
Il cùel data la sua posizione strategica che consentiva un agevole controllo sulla sottostante strada del Droanello e vie di fuga a nord e a est, fu un luogo di rifugio di banditi. Oltre al citato Giovanni Beatrice, altri uomini della sua banda, detta degli Zannoni, vi trovarono momentaneo riparo o la morte.
Il nome del sito compare per la prima volta nei documenti nell'inverno del 1606, precisamente il giorno 10 novembre, quando Eliseo Baruffaldi di Turano e Giovan Pietro Sette detto Pelizzaro e il nipote Giacomino Sette di Maderno, tre banditi ricercati dalla magistratura veneta di Salò, vennero qui sorpresi in un agguato notturno teso dai cacciatori di taglie Orazio Balino, Giovan Battista Duse e Agostino de Andreis detto Giacomazzo, tre pericolosi banditi di Desenzano del Garda, Giuseppe Ton, altro sicario della Riviera di Salò, e da alcuni nemici del Beatrice di Toscolano, Gargnano e Tignale che conoscevano molto bene i luoghi ove si nascondevano, che il provveditore generale in Terraferma di Verona, Benedetto Moro, in tutta segretezza, aveva inviato sulle loro tracce fornendoli di salvacondotto, armi e denari.
Il Pellizzaro fu subito ucciso a colpi di archibugio e poi decapitato mentre Eliseo e Giacomino, quest'ultimo ferito, riuscirono invece a fuggire seppure braccati da decine di persone.
Il diciassette agosto 1617 sui monti di Tignale, con un colpo di archibugio, termina la turbolenta esistenza di uno dei più celebri e fuggevoli fuorilegge della Repubblica di Venezia, Giovanni Beatrice, noto a livello popolare come Zanzanù. Pochi personaggi del Seicento hanno catturato l’attenzione come il famoso bandito del lago che, a partire dal 1602 in risposta a un’offesa arrecata alla sua famiglia sul piano dell’onore diede vita a una lunga serie di rapimenti, di omicidi e di avventure che scossero in profondità la società lacuale e smobilitarono le alte magistrature di Venezia, i cacciatori di taglie, i mercanti e i gentiluomini gardesani, tutti intenzionati a catturare vivo o morto il temibile fuorilegge di Gargnano, protetto dalla popolazione locale.Spesso relegata al ruolo di personaggio leggendario e inevitabilmente romantico, la figura di Zanzanù da vent’anni è al centro di approfondite ricerche, capitanate da Claudio Povolo, docente di Storia delle istituzioni politiche e Antropologia giuridica all’Università Cà Foscari di Venezia: grazie alla collaborazione di studenti, di storici e di varie istituzioni locali (tra cui l’Ateneo di Salò, recentemente vittima della crisi economica) si è riusciti, negli ultimi decenni, a restituire un’immagine realistica del Beatrice, basata sul vaglio scientifico delle fonti documentarie, senza per questo togliere, al mitico bandito, i suoi vividi tratti di umanità. Uno dei meriti principali di quest’attività consiste nella particolare modalità con cui è stata condotta e quindi resa nota al pubblico la ricerca: nel 2008 è nata infatti una net community facente capo al sito websideofhistory.it, nel quale ricercatori, studenti e archivisti hanno raccolto e condiviso tutti i documenti (più di 350) relativi a Zanzanù reperiti negli archivi di Venezia, di Brescia e di varie comunità del Garda. È stata la vita stessa del fuorilegge a permettere agli studiosi di superare i tradizionali metodi di scrittura e d’espressione tipici della letteratura accademica.
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