Ora, mentre essi mangiavano, Gesù prese il pane e, pronunziata la benedizione, lo spezzò e lo diede ai discepoli dicendo: «Prendete e mangiate; questo è il mio corpo». Poi prese il calice e, dopo aver reso grazie, lo diede loro, dicendo: «Bevetene tutti, perché questo è il mio sangue dell'alleanza, versato per molti, in remissione dei peccati.
Nella cultura occidentale la presenza dell’uomo è sempre stata accompagnata da quella della vite.
Mosè si dimostrò un esperto viticoltore portando al mondo i tralci della vite da trapiantare e non i vinaccioli da seminare; da qui il vino diventa il filo conduttore della geologia della Bibbia. Lo si ritrova nei Vangeli, ma il suo culmine lo si ha nell’episodio dell’ultima cena dove Gesù offre il vino ai discepoli pronunciando le memorabili parole “bevete, questo è il mio sangue “, da qui il vino diventa simbolo di sacrificio e di momenti sacrificali.
Si può anche trovare corrispondenza tra il sangue dell’agnello e il pane non lievitato, simboli della Pasqua ebraica, e il vino assimilato al sangue e il pane tipici della Pasqua cristiana. Pane e vino diventano inseparabili tra loro: pane e vino esistono perché esiste l’uomo e diventano alimentazione terrestre ma anche dell’anima essendo alimenti divini.
Si può anche dire che il pane ci nutre mentre il vino ci dà la vita.
Il vino, preferibilmente rosso, assume particolare rilevanza per la celebrazione del sabato ebraico (o shabbat) pari almeno alla funzione che questo giorno sacro assume come divisione sacrale del tempo cosmico.
La simbologia del rito sacro di santificazione del Sabato con la beracah (benedizione) sul vino affonda in ogni caso nell'insegnamento tradizionale per eccellenza quale è quello tramandatoci dalla Bibbia.
Il "Kiddush" è il nome con il quale si indica appunto la benedizione e la speciale preghiera con cui la sera del venerdì ci si prepara al successivo giorno di riposo da dedicare esclusivamente alle cose spirituali: esso è stato codificato dai Maestri della Legge in ogni più minuto particolare. Il vino per tale speciale cerimonia e di cui si deve riempire sino all'orlo un bicchiere, di solito un apposito elegante calice istoriato con caratteri ebraici, dovrebbe essere rosso e di alta qualità. In casi eccezionali è permesso succo d'uva rosso non ancora fermentato. Quest'ultimo particolare induce a pensare che in epoca biblica l'uva più diffusa fosse quella nera; il sinonimo "sangue d'uva" usato fa infatti pensare che la scelta dell’uva nera sia legata alla simbologia del colore del mosto che se ne ricava.
La stessa simbologia del sangue che occupa un posto rilevante nel cristianesimo è un segno inequivocabile della radice ebraica dei significati esoterici o cabalistici del vino.
I saggi maestri del giudaismo legarono dunque la benedizione del sabato al bicchiere di vino rosso, sabato ebraico che rappresenta l'architettura portante e differenziatrice del monoteismo etico ebraico.
Il collegamento tra cibo, bere e sessualità quale elemento essenziale e dinamico per la riproduzione della vita stessa è ancestrale. Come altre attività umane che danno un senso alla vita, il bere una bibita alcolica (birra o vino) è anch'esso un atto con cui l'uomo cerca di entrare in contatto con la Divinità.
La speranza di una vita oltre la morte nella cultura ebraica si esprime spesso con la simbologia del "banchetto" che, ovviamente, include la presenza di bevande.
"Preparerete (dice) il Signore... su questo monte, un banchetto di grasse vivande, un banchetto di vini eccellenti di cibi succulenti, di vini raffinati... (Isaia 25,6).
Metafora esistenziale e religiosa, la coltura della vite era diffusissima in tutta l'area siro-palestinese culla del nostro monoteismo etico. Questa notizia è confermata da Sinueh, quell'ufficiale egiziano esiliatosi in Asia, quando afferma che "in Palestina il vino è più diffuso dell'acqua"! Probabilmente Sinueh intendeva dire che l'acqua era tanto scarsa che il vino era più abbondante ma indirettamente conferma che la coltura della vite era molto diffusa.
Con queste lunghissime radici la cultura del vino non poteva perdere di importanza con il passare dei secoli ed infatti anche nella nostra epoca il succo d'uva fermentato continua a rappresentare qualcosa di speciale non paragonabile a nessun'altra bevanda. Brindare in qualche circostanza importante e meno importante della vita, con coca cola, aranciata o acqua è un vero tabù, qualcosa che porta male, che non conferisce alcuna sacralità o solennità all'avvenimento.
Il vino e solo il vino è dunque la bevanda sacra e piacevole nello stesso tempo.
Il mondo, che per facilità di comprensione è indicato come occidentale e che si regola sulle concezioni etico-religiose della Bibbia, colloca gli inizi della vinificazione in epoca primordiale all'alba della diffusione dell'uomo sulla terra dopo il diluvio.
Il mito dice che sarebbe stato Noè il primo uomo a piantare la vite: <Bevve del vino, si ubriacò e si scoprì dentro la tenda.(Gen. 9,20)
L'archeologia anche in questo caso ha confermato il racconto biblico e recenti scavi hanno dimostrato che la vinificazione era diffusa nella regione di Hebron .
Gli esploratori inviati da Mosè nella terra di Canaan giunsero proprio nella valle di Eshcol e riportarono indietro, come prova della fertilità del suolo, un immenso grappolo d'uva, notissimo nell'iconografia ebraica: due uomini che portano appeso ad una stanga un immenso grappolo: una descrizione iperbolica ma che rende perfettamente la realtà dei luoghi.
Vari termini designano il vino nella Bibbia ebraica.
Il termine più diffuso “ YAYIN”( ןיי ) ricorre ben 141 volte nella Torà ed è un vocabolo probabilmente non semitico ma forse di origine caucasica: ha il significato letterale di "effervescente”.
Un'altra parola con cui nella Bibbia si indica questa bevanda è ASIS dalla radice ebraica "asas" che letteralmente ha il significato di "pressare " o "schiacciare". L'uso di questo termine è specifico ed indica il succo dell'uva schiacciata o pressata e, probabilmente, anche fermentata.
Tuttavia non si è certi che con asis venga indicato il succo fermentato in quanto nei testi aramaici della Bibbia il succo d'uva fermentato ha un suo vocabolo ben preciso che è " chemer "dalla radice "chamar " che indica appunto la fermentazione (Deut. 32,14).
Nelle cerimonie più importanti come matrimoni, maggiore età religiosa (Bar mitzvah) etc. il vino veniva mescolato con l'acqua e con aggiunta di miele e altri aromi. Ciò conferiva maggiore solennità agli avvenimenti ma c'è il sospetto maligno che l'aggiunta di acqua servisse ad aumentare la quantità di vino per soddisfare, a poco prezzo, tutti gli invitati. Comunque anche in quei tempi l’annacquamento del vino era considerato negativamente se non proprio una truffa.
In epoca romana, invece, divenne uso comune aggiungere acqua e miele al vino ma l'usanza era giustificata dal fatto che il vino era molto fortemente tannico e quindi poco bevibile senza diluizione ed aromatizzazione. Ciò non toglie che la pratica divenne di moda, mentre invece si trattava di aumentare i guadagni del commercio del vino.
Il vino viene anche chiamato nella tradizione giudaica sangue di uva; "<Egli lega alla vite il suo puledro ed alla vite pregiata il figlio della sua asina; lava il vestito nel vino ed i panni nel sangue d'uva.(Genesi 49,11)
Tale metafora viene usata anche in Deut. 32,14 e Siracide 39,26. Sembra superfluo sottolineare che in questi passi della Bibbia ci si dovesse riferire all'uva nera anche perché sembra che in periodo biblico l'uva bianca fosse sconosciuta.
Probabilmente l'uva bianca da vino è frutto di innesti successivi mentre la vite coltivata nella Palestina del tempo biblico doveva essere un vitigno piuttosto forte, resistente alla siccità e molto simile alla vite selvatica. Però il termine più generico usato nella Torà per indicare qualunque bevanda fermentata, (quindi anche birra, sia quella derivata dalla fermentazione dell'orzo che quella dei datteri, del melograno, della palma delle mele etc.) è shekar.
A partire dalla traduzione della Bibbia in greco (quella dei settanta) viene usato il termine greco "oinos" per indicare tutti i tipi di vino e "gleuokos " per indicare il mosto da fermentare o in fermentazione ed il vino dolce, novello.
La vendemmia aveva luogo nella Palestina come in Sicilia, a metà agosto-settembre, a seconda se ci si trovava nelle zone collinari dell'alta Galilea oppure lungo le coste mediterranee; ma il vino non era esclusivamente legato alla religione era anche allora un elemento indispensabile per un buon pasto ed un dono ideale.
Accompagnato da altre offerte, era uno degli elementi del rito sacrificale al Tempio."Uno degli agnelli offrirai al mattino ed un secondo al pomeriggio. Inoltre un decimo di efà, 1 di fior di farina intrisa in olio vergine con un quarto di vino per questo primo agnello.2(Esodo: 29,40).
Il vino nelle offerte sacrificali lo troviamo ancora in Lev.23,13, Num;15,7.10- Samuele 1,24.
Il vino come ricostituente appare nella Bibbia ebraica in 2 Sam.16 mentre nel Nuovo testamento viene citato come medicamento (prima lettera di Paolo a Timoteo, cap.5,23.)
Naturalmente un libro come la Bibbia se da un lato apprezza molto il vino e lo fa assurgere a simbolo della creazione non poteva sottovalutare gli effetti negativi e le insidie di un uso smodato di tale bevanda. Una vita benedetta da Dio e cioè colma di tutti i doni del Creatore comprende quindi abbondanza di vino di olio, di grano, tutti prodotti cui viene riconosciuta una funzione assolutamente vitale voluta dal Signore nel suo piano per gli uomini.
Salomone, nella sua saggezza, menziona il vino tra i doni della creazione (Proverbi 104,15 ) "vino che rallegra il cuore degli uomini, seguito dall'olio che fa risplendere il volto" (olio cosmetico, protettivo della pelle, ma di uso festivo).
L'abbondanza di vino è una benedizione e per contrasto, il venir meno della benedizione può comportare penuria di olio, vino e pane.
Nei proverbi offrire cibo e bevande è espressione di comunione tra chi ha bisogno di aiuto e chi glielo presta. Così vi è anche un risvolto pratico: il nemico soccorso, cesserà di essere nemico.
Il vino assume sempre più importanza nei culti sacrificali e segna una via di mezzo tra l'offerta cruenta dell'animale alla Divinità e l'offerta delle preghiere.
Anche le preghiere vengono però offerte a Dio solennizzandole con il bere rituale di vino. Se a questa simbologia si aggiunge quella erotica ci si renderà conto come il vino è presente in tutti gli aspetti della vita.
La creazione, come prodotto dell'opera di Dio nel giudaismo, va accettata senza escludere niente di quello che la natura può darci e questo è un segno di rispetto e gratitudine per il Creatore: ecco perché nell'ebraismo non è accettata la fuga dal mondo, l'estraniarsi ascetico da esso.
Il godere di tutta la creazione divina è segno di riconoscenza.
Ecco dunque affiorare un altro concetto etico: il mangiare non è la misura di tutte le cose, vivere in pienezza la vita, il dono massimo di Dio, significa accettare di controllare e contenere il proprio desiderio in base alla legge, al comandamento, espressione questa della libertà dell'uomo e misura per la ricompensa divina.
La libertà di scegliere, di decidere l'osservanza o meno dei comandamenti è ciò che distingue l'essere umano dagli animali.
Mentre quindi da un lato il comandamento di Dio non censura il desiderio di mangiare e bere e di godere di tutti i beni della creazione, dall'altro ci ricorda che solo Dio provvede il mondo di questi beni e che il nostro agire va regolato dalla Sua legge.
Questo concetto radicato nella tradizione religiosa ebraica è la conseguenza del fatto che il commercio del vino è stato esercitato spesso in monopolio dai mercanti ebrei di ogni latitudine.
La fermentazione è un segno di rovina e morte. Il vino usato alla Pasqua era chiaramente un simbolo del sangue di Cristo, sparso per stabilire il nuovo patto. Egli berrà dello stesso tipo di succo d’uva con i Suoi eletti nel Regno dei Cieli, dove la decomposizione e la fermentazione non ci saranno più.
Il simbolismo del vino nei sogni non può prescindere l’associazione con il sangue ed il sacrificio, per il colore e per la trasformazione rituale in “sangue di Cristo” dell’Eucarestia.
Ma vino è soprattutto, e fin dall’antichità, segno di gioia, di verità (per la capacità di sciogliere la lingua: “in vino veritas” ) di iniziazione e rito (per l’ebbrezza che procura) e in generale di tutti i doni che il divino mette a disposizione dell’uomo.
Il vino è quindi bevanda degli Dei, fluido “divino”, che subisce un’alchemica trasformazione da semplice prodotto vegetativo frutto della terra, in liquido complesso e raffinato; mentre, lo “spirito” alcolico che contiene, lo rende aereo ed opposto agli umori terricoli da cui proviene la sua matrice.
Il vino diventa simbolo della tensione umana verso la trascendenza, simbolo di spiritualità, ed appare nei sogni a rappresentare la forza ed il miracolo della vita che si eleva dalla semplice materia, e che ubbidisce alla forza dell’immaginazione e dello spirito.
Ma il vino è pur sempre bevanda associata all’allegria ed al benessere del corpo, così come all’ebbrezza ed alla perdita di controllo. Si consuma con piacere in compagnia, abbassa le inibizioni, procura una sensazione di benessere ed ha quindi, da questo punto di vista, un potere simbolico di coesione e di ampliamento dei propri limiti, che si riflettono nei sogni.
Il vino fa “vedere doppio”, altera la visione, questo può essere considerato negativamente, come incapacità di vedere le cose obiettivamente, ma può avere anche un aspetto positivo di revisione dei propri punti di vista: vedere oltre, vedere con occhi diversi. Ecco che il vino nei sogni può assumere anche una funzione rivelatrice di ciò che le convenzioni e l’abitudine celano.
Va comunque sempre considerato ogni aspetto che riguardi la situazione reale del sognatore. Se questi è un alcolista, il vino del suoi sogni potrà comparire come rappresentazione di un bisogno fisico, di un desiderio, o anche di un senso di colpa.
Se il vino che compare nei sogni è annacquato, e non ha il sapore che ci si aspetta, può puntare l’indice su aspetti della vita del sognatore che non lo soddisfano più, che non lo “nutrono” secondo i suoi bisogni, o che non corrispondono più alle sue aspettative.
Infine vedersi in sogno ubriachi e contenti può alludere al bisogno di lasciare andare il controllo e di godere delle situazioni che la vita porta, abbandonandosi ad esse.
Il gesto del brindisi è ormai radicato nella cultura occidentale, ma le usanze che non appartengono alla nostra tradizione sono diverse. Il rituale gestuale e verbale del brindisi può essere più o meno elaborato o formale (alzare il bicchiere verso qualcuno o qualcosa e poi bere), è comunque un messaggio benevolo nei confronti della persona o della cosa presa in considerazione. La storia tuttavia ci racconta che non è sempre stato così: secondo alcuni studi, l'usanza del brindisi si è evoluta spinta dalla preoccupazione per possibili avvelenamenti; una pratica molto diffusa soprattutto nell'antichità (Roma e Grecia ne sono un esempio) e nel Medioevo. Si dice infatti, che l'usanza di scambiare il proprio bicchiere con quello altrui costituiva un segno di reciproca fiducia, così che prima di bere s'iniziava a sbattere il bicchiere verso quello dell'altro, scambiandone anche parte del contenuto. Secondo altri, la genesi del brindisi è da associarsi al XVII secolo ed esattamente alla consuetudine di aggiungere delle spezie alle bevande da parte di alcune dame dell'epoca. Da allora, gli uomini avrebbero usato il brindisi per catturare l'attenzione degli altri uomini e per ingraziarsi la stessa signora. Altri ancora ritengono che il brindisi sia un'usanza ancora più antica e che derivi dalle libagioni celebrate in onore di Dionisio, dio del vino. Il brindisi nell'antica Grecia avveniva in genere durante il simposio, e cioè alla fine del pasto. Aveva una connotazione rituale; era il momento della convivialità e incominciava con i sacrifici in onore degli dei: uno degli ospiti versava il vino a terra, mentre gli altri convitati pronunciavano una preghiera. Da più di cinquemila anni si brinda così. Chi conosce il vino, sentenzia Francois Rabelais, celebre umanista e scrittore francese del XVI° secolo, conosce la parola trink. Di fatto sono poche, pochissime, le varianti del rito. La letteratura, la musica, l'arte non ne danno quasi testimonianza. Per conoscerne alcune si deve ricorrere alle tradizioni popolari. Nei matrimoni tra ebrei, per esempio, si usa rompere il bicchiere dopo il brindisi a ricordo della distruzione del tempio di Gerusalemme. La stessa azione la si trova tra i popoli di religione ortodossa. Qui però cambia il valore simbolico. Per alcuni la rottura del bicchiere evoca la fine della vita celibe; per altri è l'anticipazione della lacerazione dell'imene della sposa. Il costume russo di lanciare all'indietro il bicchiere è spiegato come il gesto di liberarsi della ragione per cui si è brindato, in modo da lasciare spazio a un altro brindisi, a un'altra gioia. L'uso, abbastanza diffuso tra le popolazioni germaniche, di brindare guardandosi negli occhi, assume il significato di una partecipazione intensa e leale, nell'augurarsi reciproca salute e fortuna. Nella Repubblica Ceca questo brindisi è riservato ai maschi. Tra ragazzi e ragazze si usa invece brindare tenendosi mano nella mano e con la sinistra bere. La valenza simbolica non dovrebbe essere diversa da quella precedente. Un riferimento più marcato all'unione nuziale è il brindisi, diffuso soprattutto nel sud, di bere con le braccia intrecciate tra sposo e sposa.
Nella maggioranza dei casi tuttavia il brindisi si è svilito a rito meccanico. Gesto e parole hanno perso di significato. Le ragioni profonde del brindare non si riconoscono più, e il brindisi è diventato frase fatta, luogo comune, automatismo dell'inizio a bere. Cin cin, alasanté (à la santé), prosit (dal latino prodesse = giovare), lo stesso salute (impiegato tanto nei brindisi quanto dopo uno starnuto) sono usati a memoria, passivamente.
Di Cin Cin si sa che deriva dall'inglese chin chin, a sua volta derivato dal cinese ch'ing ch'ing, il cui significato è prego prego. Furono i marinai inglesi a introdurlo in Europa. Il grande linguista Bruno Migliorini per primo lo interpretò come parola onomatopeica, atta a riprodurre il suono dei due bicchieri che cozzano tra loro. Un'altra parola onomatopeica è usata nel brindisi polacco. Bevendo d'un fiato, gettando la testa indietro, si dice bach! quasi a riprodurre il suono della lingua schiacciata contro il palato.
Studi etnologici sul brindisi non sono stati ancora compiuti. O almeno non risultano nel vasto catalogo della biblioteca La Vigna di Vicenza, seconda al mondo, dopo quella di Berkeley (California), nella raccolta di libri sul vino. Vi è invece una ricca collezione di brindisi popolari, occasionali e di nessun valore letterario, pubblicati durante le Feste dell'Uva, promosse dal regime fascista. Fa eccezione un brindisi in lingua spagnola, tra i più interessanti che si conoscano: "Amor, salud y plata, y el tiempo para gustarlos". La sua bellezza è tutta nella sua saggezza. Potrebbe eleggersi a sintesi dei tanti brindisi colti, fin qui letti. Vi si augura l'amore, la salute e il denaro, ma non si dimentica di augurare il tempo libero, senza il quale né l'amore, né la salute, né il denaro valgono alcunché. Con rare eccezioni pare che tutto l'umano abbia trovato almeno una volta espressione in un brindisi. Sia esso atto letterario quanto nostro di ogni giorno, il brindisi ci lega ad un rituale antichissimo e ancestrale dei popoli, attraverso il quale il dono di bere vino si unisce ai nostri pensieri, alle nostre speranze, al nostro bisogno di "salute", cioè di "salvezza".
Uno studio francese ha dimostrato che sono più di quaranta i santi protettori del vino. Quello del brindisi potrebbe essere identificato in San Vincenzo. Era tradizione comporre dei giochi di parole con il suo nome. Alcuni di questi pare evochino proprio il brindare, come vin-cent, ossia l'augurio di bere per cent'anni, che si legge anche nell'Enrico IV di Shakespeare "io bevo all'amor mio caro, cuor contento cent'anni camperà!", e O vincent O, che si trovava sulle insegne dei cabaret e che si poteva leggere au vin sans eau e quindi interpretare, lunga vita "alla taverna del vino senz'acqua".
Quello del Capodanno lo conosciamo, in genere assume sempre una forma di augurio nei confronti dell'altro. Tuttavia, in alcune culture se da una parte è un gesto solenne e sentimentale, in altre può essere anche ironico e perfino osceno o offensivo. In Giappone prima d'iniziare a bere il celebre 'sake' si usa, come in Europa, fare un brindisi dicendo Kampai! Tuttavia, se siete in Giappone evitate di dire 'cin-cin', il cui significato è tutt'altro. Nei paesi di lingua inglese gli ospiti possono far intendere la loro approvazione ad un brindisi dicendo 'udite, udite' ("hear, hear"), seguito da una brevissima dedica. La persona onorata del brindisi però non deve bere, né tanto meno stare in piedi per ringraziare. Infatti, l'usanza è quella di farlo solo dopo la fine del brindisi, ringraziando colui che ha offerto da bere e non necessariamente contraccambiare. In Ungheria, non è visto di buon occhio fare un brindisi con la birra: la superstizione ha origine dai festeggiamenti fatti dagli austriaci durante la rivolta ungherese del XIX secolo, che pare siano stati fatti proprio con la birra.
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