"In verità vi dico, i pubblicani e le prostitute vi precederanno nel regno dei cieli" (Matteo 21.31)
I principali teorici del comunismo sono stati degli strenui oppositori della prostituzione: Karl Marx considerava la sua abolizione come necessaria per superare il capitalismo, Friedrich Engels considerava anche il matrimonio una forma di prostituzione, mentre Vladimir Lenin considerava il lavoro sessuale come estremamente sgradevole. I governi comunisti, nei paesi in cui assunsero il potere, hanno spesso preso provvedimenti nel tentativo di reprimere la prostituzione, senza però mai riuscirvi completamente in quanto la pratica continuava in ogni caso a persistere.
Nei paesi che sono rimasti nominalmente comunisti anche dopo la fine della Guerra Fredda, in particolare nella Repubblica popolare cinese, la prostituzione resta illegale, ma è comunque comune. In molti dei paesi ex-comunisti infine, proprio la depressione economica causata dal crollo dell'Unione Sovietica ha portato ad un aumento considerevole della prostituzione.
Il turismo sessuale emerge nel tardo XX secolo come uno degli aspetti più controversi del turismo occidentale a seguito della sempre maggior globalizzazione; tipicamente intrapreso a livello internazionale da turisti provenienti dai paesi più ricchi del mondo, l'autore e storico norvegese Nils Ringdal ha affermato che tre uomini su quattro di età compresa tra 20 e 50 anni che hanno visitato l'Asia e l'Africa hanno pagato per il sesso.
Un nuovo tipo di approccio giuridico alla prostituzione è emerso alla fine del '900 e cioè il divieto di acquisto, ma non la vendita di servizi sessuali, con solo il cliente ad essere criminalizzato, non la prostituta. Tali leggi sono state emanate in Svezia (1999), Norvegia (2009), Islanda (2009), e sono anche presi in considerazione in altre giurisdizioni.
In Afghanistan sembra rivivere un metodo di prostituzione che coinvolge giovani maschi adolescenti, conosciuta come Bacha Bazi.
Il termine 'prostituzione' deriva dal latino e significa 'mettere in vendita', da cui l'uso che se ne è fatto in senso stretto nel corso della storia, e se ne continua a fare, a proposito di donna che offre prestazioni sessuali a scopo di lucro.
Se si fa risalire la prostituzione ad un mestiere, bisogna risalire a molto tempo fa, quando nell'antichità, il mito della prima donna che andò a coincidere con il mito della Terra, depositaria di ogni seme e forza vitale, dette luogo alla prostituzione ritualizzata in una duplice versione. Sotto forma di culto della fecondità (parto e allattamento - animale - donna - selvaggina - preda, inseguita da cacciatori umani e divini), oppure di dono all'ospite come gesto di generosità o esibizione del dare, ma soprattutto come reiterazione del dono con cui gli dei avevano creato il mondo e dato la vita.
Una delle prime forme di prostituzione presenti nel mondo antico è stata la cosiddetta prostituzione sacra, presumibilmente praticata già tra i Sumeri. Nelle fonti pervenuteci (Erodoto e Tucidide) vi sono varie tracce di prostituzione sacra; a Babilonia ogni donna doveva raggiungere, almeno una volta nella sua vita, il santuario di Militta dedicato alla Dea Anahita (o Nana, equivalente ad Afrodite) e qui avervi un rapporto sessuale con uno straniero, come pegno simbolico d'ospitalità.
In tutto l'antico Vicino Oriente, in Mesopotamia lungo il Tigri e l'Eufrate, v'erano molti santuari e templi o "case del cielo" (dedicati perlopiù alle divinità dell'amore) dove la prostituzione sacra era una pratica comune; ciò viene documentato dallo storico greco Erodoto nelle sue Storie; la prima prostituzione babilonese si svolgeva in spazi che erano centro d'attrazione per tutti i viaggiatori.
Un tale tradizione si è conclusa quando l'imperatore Costantino, nel IV secolo, fece abbattere i templi dedicati alle dee per sostituirli con chiese cristiane.
La prostituzione era comune anche nell'antico Israele, nonostante fosse tacitamente proibita dalla legge ebraica. Nella religione della terra di Canaan una parte significativa degli addetti alla prostituzione sacra all'interno dei templi era di sesso maschile; solitamente in onore della Dea Astarte era di uso comune anche in Sardegna e in alcune delle culture derivanti dai Fenici. Sotto l'influenza fenicia si è sviluppata in altri porti del Mar Mediterraneo, come Erice in Sicilia, Locri Epizefiri, Crotone, Rossano di Vaglio, e Sicca Veneria, fino a giungere all'Asia Minore, in Lydia, Siria e tra il popolo degli Etruschi.
La Sacra Bibbia contiene indicazioni a riguardo, fornendo rappresentazioni della prostituzione praticata nella società del tempo. Nel libro della Genesi al capitolo 38 viene narrata la storia di Giuda e Tamar: la prostituta esercita il proprio commercio ai bordi di una strada, in attesa dei viaggiatori di passaggio, coprendosi il volto (e ciò la segna come prostituta). Viene pagata in natura, chiedendo una capra in cambio; un prezzo piuttosto elevato in una società dedita quasi esclusivamente alla pastorizia, un costo che solamente i ricchi proprietari di numerose mandrie avrebbero potuto permettersi di pagare per un singolo incontro sessuale.
Se il viaggiatore non portava con sé il proprio bestiame, avrebbe dovuto dare alcuni oggetti di valore in deposito alla donna, fino a quando l'animale pattuito non le fosse stato consegnato.
Anche se in questa storia la donna non era una vera prostituta, bensì una vedova, ella aveva le sue buone ragioni per cercar d'ingannare Giuda (figlio di Giacobbe e suo suocero) e rimanere incinta di lui: Tamar riesce ad impersonare benissimo il ruolo ed il suo comportamento può esser considerato come quello reale effettivo che ci si sarebbe attesi da un'autentica prostituta nella società del tempo.
Un'altra storia biblica, più tarda, presente nel libro di Giobbe, narra di una prostituta di Gerico di nome Rahab la quale aiuta le spie israelite intrufolatesi in città, grazie alla sua conoscenza della situazione socio-culturale e militare datagli dalla popolarità che gode tra i nobili di alto rango: le spie, in cambio d'informazioni, le promettono di salvare la vita a lei e alla sua famiglia durante l'invasione militare che era stata pianificata. Un segno lasciato davanti alla casa avrebbe indicato ai soldati di non far irruzione; dopo la conquista della città la donna lasciò la professione, si convertì all'ebraismo e sposò un membro di spicco del popolo.
Nel libro dell'Apocalisse la grande meretrice di Babilonia è "Babilonia la Grande, madre delle prostitute e di tutte le abominazioni della Terra" (qui la parola prostituta può anche esser tradotta come persona dedita all'idolatria). Alcune antiche pergamene suggerisco che il significato del nome del luogo ove s'esercitava la prostituzione babilonese era simile alla parola ebraica che significa "libero"; ciò indicherebbe che i maschi avrebbero dovuto offrire loro stessi per poter riacquistare la libertà.
In Grecia sia le donne che i ragazzi potevano impegnarsi nell'arte della prostituzione. La parola greca per indicare la prostituta è "porné", derivante dal verbo pernemi-vendere e con evidente evoluzione moderna: la parola pornografia è direttamente derivazione da porné.
Le prostitute, uniche donne indipendenti di quella società, potevano anche essere notevolmente influenti. Erano tenute ad indossare abiti che le distinguessero da tutte le altre donne e dovevano pagare le tasse dei loro proventi; alcune somiglianze sono state ritrovate con la figura giapponese dell'oiran le quali si ritrovavano in una posizione intermedia tra la comune prostituta e la cortigiana più raffinata.
Fu Solone nel VI secolo a.C. ad istituire il primo bordello dell'antica Atene e con i guadagni derivanti da questo business riuscì a far costruire un grande tempio dedicato ad Afrodite Pandemos (corrispondente a Qadesh), epiteto che descrive la dea come patrona dei piaceri sensuali, in opposizione all'Afrodite Urania o celeste; era invece severamente proibita l'induzione alla prostituzione.
Secondo quanto riporta Strabone esisteva, sia a Cipro che a Corinto, un tipo particolare di prostituzione religiosa che veniva praticata all'interno di templi contenenti più di mille donne. Ogni categoria specializzata assumeva un suo nome proprio; vi era quindi la chamaitypa'i o prostituta di strada, la perepatetikes che incontrava i clienti mentre passeggiava e poi se li portava in casa, la gephyrides che lavorava nei pressi dei ponti.
Nel V secolo Ateneo di Naucrati c'informa che il prezzo generalmente pattuito ammontava a un obolo, un sesto di dracma equivalente dello stipendio giornaliero d'un comune lavoratore; le rare immagini che descrivono l'attività sessuale mostrano che veniva eseguita su letti con coperte e cuscini, mentre i sedili posti nel triclinio di solito non avevano questa funzione.
Comune era anche la prostituzione maschile, solitamente praticata da ragazzi poco più che adolescenti, riflesso dell'usanza del tempo riguardante la pederastia; capitava anche che giovani maschi ridotti in stato di schiavitù finissero col lavorare all'interno di bordelli esclusivamente maschili (ciò accadde al discepolo di Socrate Fedone di Elide). Per quanto riguarda invece i ragazzi liberi, coloro che sceglievano di vendere i propri favori rischiavano di perdere per sempre i diritti politici una volta divenuti adulti.
La prostituzione nell'impero romano era legale, pubblica e diffusa. I cittadini romani di più alto status sociale erano liberi d'intrattenere rapporti sessuali sia con prostitute che con giovani maschi, senza per questo incorrere in alcuna disapprovazione di tipo morale; sempre a condizione che mantenessero il perfetto controllo e padronanza di sé, dimostrando moderazione nella frequenza del piacere sessuale. La letteratura latina, sia in poesia che in prova, viene a riferirsi spesso alla compagnia data dalle prostitute.
Le pratiche attuate sono documentate dalle disposizioni del diritto romano regolanti la prostituzione, oltre che da iscrizioni come i graffiti di Pompei. Fino al IV secolo i grandi bordelli di Roma, alcuni dei quali di proprietà statale, erano delle vere e proprie attrazioni turistiche.
Le prostitute avevano un loro ruolo speciale in diverse osservanze religiose, soprattutto quelle del mese di aprile, notoriamente dedicato alle gioie dell'amore e presieduto da Venere. Allo stesso tempo però erano considerate anche in maniera vergognosa, si trattava difatti per la maggior parte di schiave o ex-schiave; se invece erano di nascita libera finivano relegate al ruolo di infames, persone del tutto prive di posizione sociale e private della maggior parte delle protezioni accordate ai cittadini ai sensi del diritto romano.
La prostituzione riflette quindi gli atteggiamenti ambivalenti degli antichi romani nei confronti del piacere e della sessualità.
La prostituta registrata ufficialmente veniva chiamata meretrix (meretrice), mentre quelle non ufficiali rientravano tutte nell'ampia categoria delle prostibulae. Vi si trovano alcuni punti in comune con il sistema Greco ma col tempo, mano a mano che l'impero romano s'espandeva ampliando i propri confini, le prostitute erano spesso di origine straniera catturate nel corso delle guerre e ridotte in stato di schiavitù o abbandonate a loro stesse: i bambini e le bambine abbandonate finivano quasi sempre con l'entrare nel giro della prostituzione.
Diventare delle schiave che esercitano la prostituzione è stato talvolta utilizzato anche come pena assegnata a donne libere macchiatesi di crimini particolarmente gravi. Infine tutti gli schiavi, femmine e maschi, potevano essere venduti ed acquistati in privato con l'esplicito scopo di usarli sessualmente.
Durante il Medioevo, la prostituzione si poteva comunemente ritrovare nei contesti urbani. Anche se tutte le forme di attività sessuale al di fuori del matrimonio sono stati considerati come peccaminoso dalla Chiesa Cattolica Romana, la prostituzione era di fatto tollerata (seppur in maniera riluttante) perché si riteneva evitasse mali maggiori come lo stupro, la sodomia e la masturbazione; nonostante ciò erano molti i canonisti che premevano ed esortavano le prostitute a convertirsi e cambiare vita.
Molti governi cittadini stabilirono che le prostitute non dovessero esercitare il loro mestiere all'interno delle mura cittadine, ma solamente al di fuori della giurisdizione comunale; in varie regioni francesi e tedesche si adibirono certe strade come aree in cui la prostituzione era consentita. A Londra i bordelli di Southwark erano di proprietà del vescovo di Winchester.
In seguito divenne pratica comune nelle grandi città dell'Europa del Sud di istituire bordelli sotto il controllo delle autorità, vietando al contempo qualsiasi forma di prostituzione svolta al di fuori di tali locali; l'atteggiamento a cui ci si atteneva maggiormente in gran parte dell'Europa del nord era invece quello del laissez faire. La prostituzione trovò infine un mercato molto fruttuoso durante tutto il periodo delle Crociate.
Enrico II a Londra nel 1161, Filippo Augusto in Francia agli inizi del XIII sec. riscoprono il "Ditterio", istituito a suo tempo da Solone (un vero e proprio ente di stato le cui entrate venivano versate nelle casse dell'erario), e inaugurarono i postriboli.
In tutta Europa si diffonderà un'ondata di legalizzazione postribolare connessa alle crescenti esigenze di autofinanziamento degli stati.
Tra il XVI e il XVII sec. la prostituzione diventa espressione generalizzata di marginalità sociale. Le trasformazioni dell'agricoltura, l'aggravio persistente sui piccoli proprietari terrieri dei diritti signorili, il notevole aumento demografico fanno crescere, ponendoli fuori dalla società, una massa di diseredati.
Alla prostituzione "professionale e censita" si assomma una prostituzione coatta, latente e ubiqua: un esercito di prostitute di riserva oggetto, nel '600, di quella che Focault chiamerà la grande reclusione" che riempirà gli istituti di correzione, gli ospizi, le navi dei deportati nei possedimenti d'oltremare.
In questo periodo e ininterrottamente sino ad oggi ci sarà una correlazione, che andrà ingigantendosi in proporzioni geometriche, tra aumento delle classi povere e diffusione della prostituzione.
La "Legge Merlin" del febbraio 1958 che depenalizza il reato di esercizio della prostituzione, influenzando così il percorso di evoluzione di questo fenomeno.
Dall'utilizzo nelle case chiuse, si passa con una irreversibile trasformazione all'esercizio di strada nella stragrande maggioranza, oppure dalle strade alle abitazioni private.
Negli anni che seguono il secondo dopoguerra e sino alla metà degli anni '80, in Italia e in Europa, la prostituzione, considerata fenomeno inalienabile, è stata sempre più concepita come comportamento individuale lecito, lasciato alla libera scelta delle persone che la esercitano; l'ampia affermazione dei diritti della donna nell'ultimo quindicennio ha garantito anche alle prostitute un'appropriazione del proprio corpo, restituendo loro più ampi diritti personali e rendendole artefici della libera commercializzazione del proprio sesso, imprimendo così una spinta soggettiva ad un mestiere da sempre passivo, accettato come mezzo equilibratore tra persone (corpi), famiglia e società.
Questa situazione però non ha mai sufficientemente evitato e tutelato le donne che si prostituiscono, dalle forme di sfruttamento organizzato, e fattore ancora più disastrante, la caratteristica di "tratta delle donne" per lo sfruttamento sessuale.
La gran parte delle prostitute lavorano in strada, anche se c’è il rischio di essere multate per adescamento. E’ punito chi sfrutta e chi favorisce la prostituzione. Per chi si prostituisce non sono previsti né obblighi né diritti. Negli anni novanta nelle strade italiane, ma anche nel resto dell’Europa, si è vista aumentare enormemente la prostituzione di donne straniere, immigrate da paesi poveri o colpiti dalla guerra, tutte con la speranza di avere una vita migliore e di poter assicurare la sopravvivenza delle proprie famiglie.
La relativa chiusura alla migrazione decisa dai paesi europei con gli accordi di Schengen hanno condizionato gravemente la vita e le scelte di molte di queste donne.
La prostituzione è diventata per molte la sola possibilità di lavoro, per altre è stata una scelta autodeterminata di indipendenza e libertà, sempre però una strada difficile e pericolosa anche se non priva di gratificazioni e a volte di colpi di scena.
Il Comitato per i Diritti Civili delle Prostitute è una associazione di prostitute e non, fondata nel 1982 senza scopo di lucro Ente non commerciale – D.Lgs. 460/97, l’iscrizione è aperta a tutti coloro che ne condividono i fini statutari, svolge attività culturali per orientare scelte di politiche sociali finalizzate al miglioramento della condizione di chi si prostituisce, per suscitare un dibattito per la sensibilizzazione della società in generale volta al rispetto della dignità e dei diritti delle/dei sex workers, per interventi formativi per l’empowerment delle donne prostitute e migliorarne la qualità di vita. In questi anni il Comitato si è posto come interlocutore per quelle forze politiche che vogliono la modifica della legge sulla prostituzione ponendo come linea di principio i seguenti punti: depenalizzazione della prostituzione, il divieto di controlli sanitari obbligatori e di schedature di qualunque tipo e il rifiuto di una regolamentazione della prostituzione, la lotta allo sfruttamento e al traffico delle persone per usarle per servizi sessuali. Le rappresentanti del Comitato dal 1986 si sono attivate in Campagne di informazione sull’AIDS e di riduzione del danno rivolte al mondo della prostituzione.
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