venerdì 21 agosto 2015

LA PUNCIUTA



La descrizione più antica del rituale della "punciuta" si trova in un rapporto giudiziario della questura di Palermo risalente al febbraio 1876. Tuttavia la magistratura ha accertato come alcuni soggetti, pur non affiliati in maniera formale a Cosa Nostra attraverso il rito della punciuta, rivestano ruoli assai importanti all'interno delle Famiglie, con particolare riferimento agli imprenditori che, giustificando la propria vicinanza alla mafia con la necessità di lavorare in un contesto ambientale ostile, con la loro condotta traggono notevoli vantaggi di ordine economico e rafforzano la posizione sociale della Famiglia.

Alla fine degli anni novanta alcuni analisti hanno ipotizzato che la mafia abbia scelto di ripensare i propri principi fondanti tendendo a far coincidere la struttura criminale primaria con la famiglia naturale e pertanto, per riconoscere gli affiliati, è sufficiente il solo legame di sangue senza necessità della punciuta.

Tuttavia il ritrovamento della formula del giuramento e l'elenco delle regole da rispettare nel covo dei latitanti Salvatore e Sandro Lo Piccolo nel novembre 2007 nonché le indagini degli organi inquirenti e le recenti dichiarazioni dei collaboratori di giustizia Gaspare Pulizzi, Manuel Pasta e Sergio Flamia hanno dimostrato che il tradizionale rito della punciuta persiste ancora oggi.

La persona che deve essere iniziata viene condotto in una stanza alla presenza di tutti i componenti della Famiglia locale in riunione. Uno dei momenti chiave, da cui la cerimonia prende il nome, è la puntura dell'indice della mano che l'iniziato utilizza per sparare con una spina di arancio amaro o, a seconda del clan mafioso, con un'apposita spilla d'oro.

Il sangue fuoriuscito viene usato per imbrattare un'immaginetta sacra a cui in seguito viene dato fuoco mentre il nuovo affiliato la tiene tra le mani e pronuncia un giuramento solenne: "giuro di essere fedele a cosa nostra. Se dovessi tradire le mie carni devono bruciare come brucia questa immagine".

Successivamente, vengono ricordati al nuovo affiliato gli obblighi che dovranno essere rigorosamente rispettati: non desiderare la donna di altri uomini d'onore; non rubare agli altri affiliati; non sfruttare la prostituzione; non uccidere altri uomini d'onore, salvo in caso di assoluta necessità; evitare la delazione alla polizia; mantenere con gli estranei il silenzio assoluto su Cosa Nostra; non presentarsi mai da soli ad un altro uomo d'onore estraneo, poiché è necessaria la presentazione rituale da parte di un terzo uomo d'onore che conosca entrambi e garantisca la rispettiva appartenenza a Cosa Nostra.

I riti, di norma, hanno inizio con una formula di sacralizzazione dello spazio. Riferisce al riguardo il collaboratore di giustizia Gianni Cretarola, intervistato da la Repubblica:



Per il rito ci vogliono cinque persone, non di più non di meno ma nella calzoleria ce n’erano solo due, oltre a me. Gli altri erano rappresentati da fazzoletti annodati. Il primo passo è la “formazione del locale”, una sorta di consacrazione che, alla fine del rito, verrà rifatta al contrario: “Se prima questo era un luogo di transito e passaggio da questo momento in poi è un luogo sacro, santo e inviolabile.

La sacralizzazione dello spazio, oltre alla formula verbale pronunciata dal maestro di iniziazione è garantita dall’evocazione di testes mitologici o religiosi che variano – dall’arcangelo Michele alla Madonna del soccorso, da Osso, Mastrosso e Calcagnosso, a Gaspare, Melchiorre e Baldasarre, compresi Mazzini, Garibaldi e la Marmora – a seconda dei contesti o dei gradi di iniziazione previste dall’organizzazione mafiosa.

Significativo poi è il fatto che vengano utilizzati riferimenti proprio al rito del battesimo. Sono ancora le parole di Cretarola a darne testimonianza:

A nome dei nostri tre vecchi antenati, io battezzo il locale e formo società come battezzavano e formavano i nostri tre vecchi antenati, se loro battezzavano con ferri, catene e camicie di forza io battezzo e formo con ferri, catene e camicie di forza, se loro formavano e battezzavano con fiori di rosa e gelsomini in mano io battezzo e formo.

Il riferimento al battesimo trova riflesso anche nella presenza di padrini che svolgono un ruolo fondamentale sia nel reclutamento del novizio, sia nel rito di affiliazione che lo introduce nella onorata società e sia in tutta la sua successiva condotta di vita di cui lo stesso padrino è ritenuto il responsabile e il fideiussore.

Ulteriore topos ricorrente nei riti di affiliazione è il sangue. Viene fatto fuoriuscire tramite un taglio dell’avambraccio o tramite la punciuta di un dito e viene lasciato cadere su un’immaginetta votiva successivamente bruciata nel palmo della mano del neofita cui viene chiesto di pronunciare una breve formula promissoria:

Poi hanno preso una candela accesa, hanno disinfettato un ago facendolo bruciare al fuoco e ci hanno punto il dito. Pigghiaru a santa, ci dettiru focu e nna’ misiru nna’ manu, poi ci fecero giurare: io giuro di essere fedele alla famiglia, se io dovessi tradire le mie carni saranno bruciate come brucia questa santona.

Con queste parole Candido Cannavò, in Pretacci. Storie di uomini che portano il vangelo sul marciapiede, mostra come l’atto del pungere o dell’incidere la pelle al fine di provocare la fuoriuscita di sangue, costituisca un espediente rituale dall’impatto emotivo molto potente e drammatico.




Sul perché il sangue giochi un ruolo così determinante nei rituali di iniziazione si vogliono richiamare le considerazioni che Luigi Lombardi Satriani espone nella sua introduzione a Fratelli di Sangue, il libro di Nicola Gratteri e Antonio Nicaso sulla ndrangheta.

Secondo l’antropologo calabrese, capire il ruolo del sangue nelle cerimonia di iniziazione mafiosa significa innanzitutto riconoscere il significato profondo che lo stesso sangue riveste nella cultura folklorica meridionalistica, quindi significa tener conto di cosa, in prospettiva interculturale e diacronica, il sangue rappresenti alla luce di un pensiero simbolico universale. Scrive testualmente Lombardi Satriani:

Il sangue è un elemento investito di intense cariche di valorizzazione simbolica e può declinarsi tanto come principium vitae che come principium mortis. Il sangue cioè si pone come elemento atto a far vita, a fondarla, a renderla imperitura. Inoltre si qualificandosi come supremo regolatore della quotidianità, non è sottoposto alle norme del quotidiano, e quindi può infrangere le barriere del tempo, introdurre al potere, richiamare al potere, essere potere. Il sangue, poi, in quanto nesso dialettico vita-morte, introduce a una dimensione sacra in cui la ritualità rappresenta la trascrizione sul piano simbolico dell’esperienza di vita e di morte.

Tra i vari scopi assegnati alla profusione rituale del sangue (dal garantire l’efficacia del rituale al produrre l’idea della fratellanza) c’è anche quello di attestare i requisiti di coraggio del postulante nell’atto di diventare uomo d’onore. Ebbene letto in questa in questa prospettiva dietro il simbolismo del sangue noi possiamo cogliere un assunto assai importante che il rito iniziatico esalta e che il sistema mafioso ratifica come proprio: quello della virilità. Una virilità che, nella cultura mafiosa descritta dallo stesso Lombardi Satriani in Il silenzio, la memoria, lo sguardo, si vede assegnare un valore di primissimo piano e che viene recepita sulla base di due accezioni:
quella – più ristretta – che ruota attorno al concetto di “mascolinità” e che porta a escludere gli omosessuali (o coloro che hanno moglie e sorelle che non siano di specchiata rispettabilità) dal consesso degli uomini d’onore;
un’altra – più estensiva – che ruota attorno al concetto di “omineità” e che fa riferimento alla capacità di testimoniare con le proprie azioni la validità delle norme e l’efficacia indiscutibile dei valore. È da uomo non tradire, è da uomo tacere, è da uomo darsi alla latitanza, è da uomo persino dire bugie al fine di instaurare con lo stato un rapporto di antagonismo. In pratica è da uomo l’esercizio dell’omertà che il mafioso considera alla stregua di una virtù.
Volendo dunque sintetizzare. L’utilizzo di scenari e di simbolismi iniziatici nelle cerimonie di affiliazione mafiosa, se da una parte mirano a suggellare il passaggio da uomo comune a uomo d’onore, o da contrasto onorato a picciotto liscio, dall’altra rispondono al bisogno di trasformare gli affiliati in un consesso di similes e di pares vincolati da un giuramento per nessuna ragione derogabile. Tuttavia il ricorso a scenari e simbolismi iniziatici svolge anche un’altra importante funzione nell’ottica dell’ideologia mafiosa: ossia quella di creare una identità forte dove la distinzione tra sé e il gruppo è impossibile da concepirsi; dove l’interesse collettivo (della famiglia) deve prevalere su quello del sé; dove il senso del noi deve assumere il sopravvento su quello dell’io.


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