mercoledì 5 agosto 2015

IL NUDO NELL'ARTE



Il mondo dell'antica Grecia ha sempre mantenuto un particolare interesse nei confronti dell'estetica, il che si rifletteva anche nell'abbigliamento o nella sua mancanza; Sparta aveva codici rigorosi per quanto riguardava la formazione dei giovani, uno dei quali era proprio l'esercizio fisico da svolgersi nudi e gli atleti dovevano inoltre competere nudi anche in tutti gli eventi sportivi pubblici. Così come gli uomini, a volte anche le donne spartane partecipavano nude alle varie processioni e alle feste svolte in pubblico; nel caso delle donne la pratica era progettata per incoraggiare la virtù, mentre nel caso degli uomini per accrescere il valore guerresco.

Anche prima dell'età classica, ad esempio a Creta, l'esercizio fisico atletico è stato parte importante della vita quotidiana; i greci difatti accreditavano a varie figure mitologiche qualità eminentemente atletiche e così le rappresentavano nelle loro realizzazioni artistiche: le divinità maschili, in particolare Apollo ed Eracle, nella loro qualità di patroni dello sport erano spesso rappresentati in pose atletiche, quando non come veri e propri atleti.

Donne e dee erano normalmente ritratte vestite nella scultura greca classica, con l'unica eccezione riguardante Afrodite: mentre i corpi maschili vengono spesso mostrati completamente nudi, quelli femminili erano sottoposti al concetto di "Venere pudica" ed apparivano quindi solo parzialmente spogliati (un esempio di ciò è la Nike di Samotracia).

La nudità nello sport era molto comune, quasi tutte le pratiche sportive erano difatti eseguite generalmente dagli atleti senza alcun abito addosso. L'estetica atletico-cultuale della nudità comprendeva nella stragrande maggioranza dei casi adulti e adolescenti maschi; nell'amore per il bello d'impostazione filosofica era incluso anche il corpo umano, oltre che l'amore per la natura, le arti ed il pensiero teorico-astratto. La parola greca per palestra-ginnasio significa "luogo in cui si gareggia nudi"; essendo quindi il luogo per eccellenza in cui si trovavano i maschi nudi la maggior parte delle polis dell'epoca non permetteva che vi fossero partecipanti o anche solo spettatori di sesso femminile a quegli eventi, con la notevole eccezione di Sparta.

Durante i giochi olimpici antichi e gli altri giochi panellenici, dove gareggiavano atleti provenienti da tutto il mondo greco (dalla Magna Grecia alle colonie più lontane), quasi tutte le discipline - dal pugilato alla lotta al pancrazio - prescrivevano la nudità completa, così come anche nella gara di corsa dello stadion (gara di corsa) e nell'antico pentathlon olimpico (salto in lungo, tiro del giavellotto, lancio del disco, corsa (sport) e lotta), mentre non era necessariamente richiesta per la corsa dei carri.

La prova della nudità sportiva vigente nel mondo greco è testimoniata dalle numerose raffigurazioni superstiti di concorrenti nelle varie discipline, in sculture, mosaici e pitture vascolari: atleti famosi vincitori dei giochi antichi sono stati premiati con l'erezione di statue che li raffiguravano per commemorarli. Il rifiuto di alcune culture antiche di praticare la nudità atletica è stata condannata degli stessi greci qual segno di tirannia e repressione politica.
In ogni caso gli atleti, anche se completamente nudi, sembra evitassero l'esposizione del glande, questo indossando un kynodesme, sottile striscia di pelle che doveva ricoprire la punta del pene.

Anche in certe cerimonie religiose veniva praticata la nudità; la statua del Moscophoros (portatore del vitello), residuo arcaico trovato nell'acropoli di Atene, raffigura un giovane uomo che trasporta un vitello sulle spalle, presumibilmente per portare l'animale all'altare del sacrificio. Fatto abbastanza interessante, la statua non è completamente nuda, in quanto un pezzo di stoffa molto sottile e quasi trasparente è attentamente drappeggiato sulle spalle, le braccia e la parte anteriore delle cosce, ma lasciando tuttavia i genitali volutamente esposti.

Anche le raffigurazioni di nudità erotica erano un fatto normale. I greci erano perfettamente consapevoli del carattere eccezionale della loro nudità, sottolineando che «in generale nei paesi soggetti ai barbari, l'usanza è ritenuta disonorevole; l'amore rivolto ai giovani condivide la reputazione che hanno anche la filosofia e lo sport, perché tutte queste sono discipline ostili alla tirannia».

La nudità pubblica era poi accettata, sia nel mondo greco che in quello romano, nel contesto dei bagni e dello stabilimento balneare ; era anche comune per gli schiavi venire puniti e frustati in pubblico parzialmente o completamente nudi. Anche durante l'impero romano i prigionieri venivano spogliati nudi come ulteriore forma d'umiliazione.

Gli atteggiamenti romani nei confronti della nudità maschile differivano da quelli greci, per cui l'ideale d'eccellenza maschile è stata espressa dal corpo maschile nudo nell'arte e in determinate situazioni della vita reale come le gare sportive; il corpo del maschio adulto cittadino dell'antica Roma si distingueva invee per l'uso della toga.
La nudità in pubblico poteva essere considerata offensiva o sgradevole anche negli ambienti tradizionali delle varie festività religiose: Cicerone deride Marco Antonio ritenendolo indegno per esser apparso quasi nudo in qualità di partecipante ai Lupercalia, anche se ciò veniva in certi casi ritualmente richiesto.



Le connotazioni negative date alla nudità includevano anche la sconfitta in guerra, dato che i prigionieri nel momento in cui venivano resi schiavi, erano anche spogliati dei propri abiti. Anche gli schiavi messi in vendita erano spesso esposti nudi per consentire in tal modo agli acquirenti d'ispezionarne gli eventuali difetti fisici, ma anche per simboleggiare il fatto che non avevano più alcun diritto di controllo sul proprio corpo.

La disapprovazione della nudità era più un intento di nobilitare il corpo del cittadino (il che accadeva attraverso la veste, marchio di riconoscimento per eccellenza) che il tentativo di sopprimere una qualche tentazione sessuale: così il reziario, un tipo di gladiatore che combatteva praticamente seminudo, era considerata essere una figura poco virile.

L'influenza dell'arte greca tuttavia ha portato a ritratti di nudi eroici di uomini e divinità romane, una pratica che ha avuto inizio nel II secolo a.C.; quando le prime statue di generali romani nudi alla maniera dei re ellenistici cominciarono ad apparire, gli spettatori rimasero scioccati, non tanto o non semplicemente perché la figura maschile veniva esposta nuda, ciò evocava concetti di regalità e divinità palesemente in contrasto con gli ideali della repubblica romana e dal concetto di cittadinanza legittima incarnato dall'uso della toga.

L'arte prodotta durante il lungo governo di Augusto, con l'adozione in toto dell'arte ellenistica e dello stile scultoreo del neoatticismo ha portato alla più completa significazione del corpo maschile mostrato nudo, parzialmente nudo o rivestito di una lorica musculata. I romani che gareggiavano durante i giochi olimpici antichi presumibilmente seguivano l'usanza greca di presentarsi nudi; la nudità atletica in seno alla cultura romana è stata variamente datata, forse già con l'introduzione dei giochi in stile greco nel II secolo a.C., ma forse non con regolarità fino almeno al tempo di Nerone attorno al 60 d.C..

Allo stesso tempo il phallos è stato raffigurato ubiquitariamente. L'amuleto fallico noto come fascinum (da cui le parole fascino, affascinare e fascinazione direttamente derivano) si presumeva avesse il potere di scacciare il malocchio e altre forze soprannaturali malefiche, oltre che la sfortuna in generale; appare spesso nei reperti degli scavi archeologici di Pompei in forma di tintinnabulum (campanelli eolici) ed altri oggetti quotidiani come le lampade.

Il fallo enorme era anche la caratteristica primaria del dio greco importato Priapo la cui statua veniva spesso utilizzata come "spaventapasseri" nei giardini o come guardia contro i ladri. Un sesso maschile raffigurato eretto o di dimensioni esagerate provocava le risa, era grottesco ed aveva una funzione apotropaica.

L'arte romana mostra regolarmente la nudità quando vuole descrivere le scene mitologiche, ma scene sessualmente esplicite potevano apparire anche oggetti comuni come vasi, lampade e specchi, così come tra le collezioni d'arte private delle case benestanti.

La matrona romana, e tutte le donne rispettabili della società, venivano sempre raffigurate vestite. La nudità parziale delle dee nell'arte imperiale tuttavia poteva evidenziarne dignitosamente il seno come immagine favorevole di nutrimento, abbondanza e pace. Il corpo femminile completamente nudo così com'era ritratto nella scultura era pensato per incarnare il concetto universale di Venere.

La nudità completa tra gli uomini e le nudità completa o quasi completa tra le donne è ancora un fatto comune per i gruppi etnici dei Mursi, Surma, Nuba, Karimojong, Kirdi, Dinka e talvolta anche per i Masai in Africa; così come per i Matsés, Yanomami, Suruwaha, Xingu, Matis e Galdu in America del Sud. Molte popolazioni indigene africane sudamericano sogliono svolgere ancora oggi tutte le attività sportive in stato di completa nudità.

I monaci maschi digambara, corrente più estrema del Giainismo, passano la loro intera vita completamente nudi, o "rivestiti d'aria", come preferiscono autodefinirsi.

Ibn Battuta (1304-1369) giudica negativamente il popolo del Mali che aveva visitato perché aveva visto le loro donne andarsene tranquillamente in giro davanti a tutti completamente nude.

Durante l'illuminismo il tabù contro la nudità ha cominciato a crescere e con l'epoca vittoriana la nudità pubblica venne in toto considerata oscena, finendo con l'essere indecente il presentarsi a torso nudo in spiaggia per gli uomini. Ma oltre alle spiagge separate per sesso iniziarono ad esser utilizzate anche delle cabine esplicitamente utilizzate per cambiarsi d'abito; ancora ad inizio XX secolo i costumi da bagno delle donne dovevano coprire almeno fino al ginocchio.
A questo riguardo un qualche significativo cambiamento si verificò solo dopo la metà del '900 con l'introduzione del bikini.



Il nudo maschile nell’arte comincia ad affermarsi in Grecia attorno all’VIII secolo a.C., quando viene a idealizzarsi un pantheon dominato da figure maschili, che soppiantano le divinità femminili, dai grandi seni e dai glutei poderosi, simbolo di fecondità, frequenti nelle civiltà più antiche.
Nell’olimpo greco si viene creare un contrasto tra la rappresentazione degli dei completamente nudi, mentre le dee sono rigorosamente vestite.
In precedenza la fantasia di artisti ignoti aveva realizzato piccoli bronzetti con figure virili dagli attributi sessuali ipertrofici, precursori del superdotato dio Priapo dal membro smisurato e dei satiri, sempre a caccia di giovani fanciulle da deflorare.

Grande risalto fu dedicato alla personalizzazione delle divinità, nello splendore di esaltanti nudità, non solo in statue di grosse dimensioni come i Tirannicidi Armonio ed Aristogene o i celeberrimi Bronzi di Riace, ma anche a decorazione di grosse architetture come l’Apollo del frontone occidentale del tempio di Zeus ad Olimpia o l’Eracle sulle metope dello stesso monumento o lo Zeusbronzeo di Capo Artemision.

Dopo maestri come Mirone, famoso per il suo Discobolo e Policleto, autore del Doriforo, saranno Prassitele e Lisippo ad infondere ai loro nudi quella carica di corporea sensualità da indurre nell'osservatore uno sguardo carico di desiderio; paradigmatiche le nudità esplicite del Fauno Barberini o la potenza drammatica del Laoconte o del Torso del Belvedere.
Il mito della bellezza di questi atletici corpi nudi ha goduto nei secoli successivi di un lusinghiero successo, non solo nel rinascimento, ma anche in epoche recenti come testimoniano le opere della fotografa e cineasta Leni Riefenstahl e dello scultore Arno Brecker.

Il mondo romano replicherà con minore energia gli esemplari greci e fornirà un contributo originale al tema nelle enfatiche esaltazioni del mito fallico, come si può ammirare visitando Pompei o quel raffinato gioiello di sottile erotismo costituito dal Gabinetto segreto del museo Archeologico di Napoli, meta di visitatori da tutto il mondo. Intorno al II secolo è collocabile l’esecuzione dell’Ermafrodito entrambe con un posteriore da sogno, mentre rimane all’osservatore il dubbio sull’ambiguità del lato anteriore.

Con la caduta dell'impero romano si afferma nell'arte un’idea del corpo agli antipodi di quella che era stata la gioiosa visione dei greci, creatori di statue che venivano considerate una glorificazione della vita, della bellezza e della perfezione, nelle quali il nudo era la regola, come per gli atleti che partecipavano ai giochi olimpici liberi dall’impaccio degli indumenti.
Durante il medioevo il Cristianesimo si attenne rigorosamente al divieto di raffigurare il corpo nudo sia dell'uomo che della donna, con l'unica eccezione del racconto della Genesi, che vede i nostri progenitori ignudi cacciati dal Paradiso terrestre. Sarà per secoli il trionfo della foglia di fico, posta a ricoprire con verecondia gli attributi sessuali. Una morale sessuofobica che sarà comicamente riproposta nel dopoguerra, quando le autorità bacchettone di genuina matrice democristiana, imbriglieranno le vergogne... delle statue degli atleti che decorano nella capitale lo stadio dei Marmi al Foro italico, voluto da Mussolini per esaltare i fasti della nuova Roma, in castigate cazzarolette, una sorta di parapalle, come furono ironicamente appellate dall'allora giovanissimo sottosegretario Giulio Andreotti.
Una rara immagine di uomo nudo, per quanto con gli attributi virili non evidenziati possiamo reperirlo in una miniatura che illustra una delle visioni della badessa Ildegarda di Bingen, una religiosa tedesca vissuta all’inizio del XII secolo e che raccolse le sue esperienze mistiche in una serie di volumetti riccamente illustrati. Nel Liber divinorum operum, nel raffigurarci quell’uomo nudo, che sembra precorrere l’Uomo vitruviano di Leonardo da Vinci, la santa monaca vuole ammonirci che quel corpo è un piccolo cosmo ben proporzionato che riflette l’armonia dell’Universo.

Tra le poche espressioni artistiche che riuscirono a superare il filtro censorio delle autorità ecclesiastiche durante i secoli bui un posto di rilievo è occupato dalle scene raffiguranti Adamo ed Eva scolpite per il Duomo di Modena da Wiligelmo.
Sarà poi Giotto, il padre della nostra pittura, nel suo Giudizio universale nella Cappella degli Scrovegni di Padova, a mostrarci le anime e soprattutto i corpi dei dannati esporsi drammaticamente in tutta la loro nudità, perché, persa ogni speranza di salvezza, sono relegati al rango di pura bestialità.

Nel campo della rappresentazione del Cristo nudo possiamo segnalare solo due esempi: un mosaico nella cupola del Battistero della Cattedrale di Ravenna risalente al V-VI secolo, nel quale il Salvatore, giovane e nudo completamente, è immerso nelle acque del Giordano, mentre una colomba lo irrora con un effluvio di acqua ed un ciclo di affreschi quattrocenteschi a Lauro di Nola, a lungo rimasti sepolti tra le fondamenta di una chiesa più moderna, tra i quali spicca una scena del Battesimo di Cristo con un’iconografia assolutamente rara: una ostentatio genitalium in piena regola, che lascia esterrefatti, perché la raffigurazione di nostro Signore completamente nudo, in età adulta è eccezionale.
Per vedere un altro caso così eclatante bisognerà attendere il genio rivoluzionario di Michelangelo con il suo crocifisso ligneo scolpito nel convento di Santo Spirito in Firenze.
L’affresco che raffigura il Battesimo del Gesù nudo nelle acque del Giordano è di una miracolosa semplicità, frutto della ingenua spontaneità di un ignoto autore che ha lavorato probabilmente nei decenni centrali del XV secolo. Un artista impegnato a ritrarre l’episodio del battesimo del Redentore ha sempre avuto problemi nel coniugare la genuinità della rappresentazione con i dettami della morale e con le severe regole previste dall’iconografia ortodossa. Spesso egli utilizza alcuni artifizi tecnici quali l'intorbidimento delle acque del Giordano, la presenza di un perizoma, la cancellazione sic et simpliciter dei genitali, oppure una pudica mano calata a ricoprire le“vergogne”

Tutte soluzioni che cozzano contro la spontaneità e la purificazione che emana vigorosamente dalla funzione del battesimo. Nessuna delle quali fortunatamente è stata adottata dal nostro misterioso artista, che ci ha così regalato questo antico precursore, prorompente quanto inconsapevole, di Jesus Christ Superstar.
Il Cristo ignudo di Santa Maria della Pietà di Lauro si è salvato dalle ire puritane della Chiesa grazie all’edificazione delle strutture sovrastanti, che hanno costituito felicemente una sorta di enorme perizoma architettonico
Bisognerà attendere il David di Donatello, eseguito intorno al 1430, per intravedere nuovamente un nudo maschile integrale, non più muscoloso e possente come nella statuaria ellenistica, bensì nelle forme rarefatte di un attraente adolescente.
Umanissimo nella sua candida nudità è il Crocefisso del Brunelleschi in S. Maria Novella, mentre i corpi del Masaccio della Cappella Brancacci, sempre in Firenze, risplenderanno solenni nelle loro splendide fattezze, fino a quando un pudico velo, solo da pochi anni rimosso, coprirà i genitali, onde evitare che le fedeli, in estasi davanti a tale splendore di carni, potessero mettere in pericolo le loro anime, dilettandosi in sensuali ed inconfessabili divagazioni erotiche.

Il Quattrocento vedrà alcuni nudi maschili di raffinata bellezza formale e di ridondante esuberanza plastica grazie al Pollaiolo, al Signorelli ed allo stesso Perugino, artista dalle delicatezze estenuanti, autore sul finire del secolo di un conturbante Apollo e Marsia.



Il suggello ad un ritorno della precisione anatomica, dopo che a lungo il corpo maschile era stato trattato in maniera convenzionale, si ha con il celebre Uomo vitruviano di Leonardo, un esempio di proporzioni accurate al quale corrisponde una descrizione linguistica che non lascia margini al dubbio:”Il membro virile nasscie nel mezo dell’omo”.
Sarà poi Michelangelo il capostipite indiscusso di un ritorno alle sirene incantatrici del nudo classico esposto senza falsi pudori, con un’aura di allegra felicità fisica e di ardore carnale. Ce ne darà prova sia come pittore che come scultore e saranno gli apici, mai più superati dell’arte occidentale.

Michelangelo renderà immortali le forme maschili in fantastici archetipi della bellezza e della perfezione come il David,i Prigioni, il poderoso guardiano della tomba di Giuliano de’ Medici o il Bacco.

In campo pittorico con la Deposizione di Cristo nel sepolcro ebbe l’ardire di mostrare il membro divino del Redentore con la stessa umana dolcezza di quello del nostro progenitore Adamo nelle volte della Sistina, senza parlare del clamore del Giudizio Universale con quel focoso viluppo di corpi nudi e balestrati sui quali poco poté il lavoro del brachettone Daniele da Volterra, che ebbe il compito di stemperare la esuberante vitalità di quei muscoli tesi in uno spasmo di sconfinata energia erotica.
Il concilio di Trento impone una ventata sessuofobica a tutte le espressioni artistiche, ma ormai la rappresentazione del nudo maschile è divenuta una costante nel repertorio di numerosi pittori e scultori che si ricollegano alla tradizione classica, rivisitata con un occhio più smaliziato.

Nell’iconografia sacra un crescente successo incontra il tema del San Sebastiano trafitto, il quale dà l’occasione di ritrarre un uomo nudo nello splendore della sua possanza. Emblematico il caso delle monache di San Sebastiano a Napoli che si videro costrette a rifiutare il quadro ordinato a Mattia Preti perché le costringeva a continue contrizioni per i pensieri mondani provocati dalla vista, durante le ore di preghiera, di un così splendido corpo.

Un effetto dirompente sarà la novità linguistica introdotta dal Caravaggio, che recupera i suoi modelli dalla strada e sa renderli con crudo realismo; dalle versioni adolescenziali del San Giovannino e dell’Amor vincitore alle carni senili del San Girolamo.

Dalla sua lezione prenderanno spunto anche artisti dal classicismo come Annibale Carracci e Guido Reni.
Sorgono numerose accademie dedicate esplicitamente al nudo, sia maschile che femminile, dove numerosi allievi possono esercitarsi, non solo coi pennelli, ma anche con il disegno. Nel campo della scultura i riferimenti sono i gessi di grandi capolavori del passato dal Laocoonte al Discobolo.

La fotografia si affiancherà prepotentemente alle arti classiche con la forza di una visione non mediata, che permette una raffigurazione oggettiva del nudo.
Al fianco della diffusione di foto di nudi femminili in pose sfacciate o sommessamente erotiche vi sarà un florido mercato anche per immagini di corpi maschili con i genitali in primo piano, al di là dei normali limiti della clausola accademica. Anche celebri artisti utilizzeranno il materiale fotografico al posto del modello e tra questi i primi furono Delacroix e Rodin.
Nudi di adolescenti dipinti con sottile malizia da celebrità come Gauguin o Schielefurono oggetto di esplicita censura nonostante la fama degli esecutori; identico destino per i corpi muscolosi forgiati da von Mares.

Il novecento vedrà sommi artisti misurarsi con il tema del nudo maschile da Cezanne a Matisse, da Picasso a Dalì.

Rimarrà fino ai nostri giorni un anacronistico rifiuto collettivo verso la raffigurazione integrale del corpo maschile a differenza di quello femminile,adoperato ossessivamente per la pubblicità di qualsiasi prodotto commerciale.



Il prototipo del nudo femminile sdraiato viene generalmente fatto risalire al Giorgione, anche se già nel I secolo d.C. viene realizzata, da un ignoto artista romano, una Venere marina circondata da due amorini  su di una parete del peristilio in una casa patrizia di Pompei. Purtroppo una rovinosa eruzione cancellerà dalla memoria degli uomini per circa duemila anni la splendida dea dell’amore ed il suo giovane corpo nudo e ne vieterà la visione. Quando sarà diseppelita gli artisti avranno di nuovo creato quell’immagine poderosa in grado di scuotere il torpore e di accendere la fantasia e da allora non si sono più fermati.

Il Cinquecento inaugura la spettacolare  serie delle Veneri nude con la più sensuale e misteriosa delle creazioni del Giorgione, la Venere dormiente il quale, nel 1509, ci fa dono dell’ immagine immortale di una placida fanciulla che sogna e ci fa sognare. Il quadro, conservato nella Gemaldegalerie di Dresda, ci mostra la novella dea, dalle forme tornite ed appetibili, immersa in un ampio e tranquillo paesaggio, con il  corpo ignudo spavaldamente esposto, ad eccezione del pube, dove poggia guardingo il palmo della mano.

Il volto sereno, senza ombra di turbamento, irradia una serafica beatitudine, mentre la ragazza è teneramente abbandonata nel sonno e si identifica con la placida calma della natura circostante, ma sembra felice di poter essere contemplata, orgogliosa del suo seno sapientemente offerto, grazie al braccio poggiato con astuzia dietro la testa, che amplifica ed innalza i carnosi pomi dorati con le deliziose ciliegine.
Alla Venere del Giorgione fa eco la Venere del Tiziano, tra i capolavori dell’artista, realizzata nel 1538 e conservata a Firenze nella Galleria degli Uffizi.

Uno splendore di carni sanamente nude ed un anelito a fissare per l’eternità un archetipo di bellezza fisica femminile, in un periodo storico impregnato di un simbolismo neoplatonico, che affonda le sue radici in una rilettura ficiniana della mitologia. Non più l’ideale divinizzato del Botticelli, che, succube dei deliranti sermoni del Savonarola, ritiene che la bellezza risplenda tanto più luminosamente quanto più si avvicina alla bellezza divina, bensì l’esaltazione di una donna vera, libera ed appagata, resa con colori vividi, ambrati. Una dorata e morbida beatitudine, folgorata da improvvise accensioni di luce e penetranti bagliori, che il malizioso pennello del pittore imprime nella tela con felicità. Lo sguardo languido sembra invitare lo spettatore a godere, con la vista e la più sfrenata fantasia del giovane corpo, nel quale due piccoli seni rifulgono come due boccioli di rosa, impalpabili ed esposti con orgoglio all’ammirazione. Il triangolo acuto che va dai capezzoli  alla base del collo della Venere di Giorgione diviene equilatero in Tiziano, quasi a dischiudere l’armonia sonnolenta della fanciulla, che intende trasmettere la sensazione dell’attesa, se non addirittura dell’eccitazione sessuale.

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