La selfielite è una malattia assai diffusa,anzi siamo in piena epidemia ; bisogna stare all'erta prima che ci venga una paralisi facciale con la bocca a piccione.
Secondo uno studio da parte della American Psychiatric Association chi ha la mania del selfie soffre di un disturbo mentale. "Mancanza di autostima e lacune nella propria intimità". È questa la tesi proposta dall'associazione nei confronti di chi passa il tempo a farsi autoscatti per poi condividerli sui vari social network.
Il disturbo ha trovato anche un nome: il selfitis che tradotto in italiano potrebbe essere la "selfite". I medici che hanno effettuato la ricerca sostengono che gli amanti del selfie soffrono di un desiderio ossessivo compulsivo di realizzare fotografie di sé stesso per poi pubblicarle online per compensare la mancanza di autostima e anche per colmare lacune nella propria intimità.
L’American Psychiatric Association ha pubblicato anche una "scaletta" per valutare quanto si è "disturbati" dalla mania. I 'selfitis borderline' sono coloro che si limitano a 3 selfie al giorno, che siano pubblicati o meno online. Sono invece selfitis cronici coloro che pubblicano più di 6 foto al giorno. Al momento non c'è ancora una cura ma si può gestire la dipendenza grazie alla Terapia Cognitivo-Comportamentale.
La nascita e la diffusione a partire dai primi anni duemila di piattaforme quali MySpace, Facebook e Instagram, e l'introduzione nel 2010 della telecamera frontale nell'iPhone 4 hanno reso la malattia particolarmente popolare.
Nell'agosto 2013 il termine è stato definito dall'Oxford English Dictionary come «Una fotografia di sé stessi, tipicamente ripresa con uno smartphone o una webcam e caricata su un social network».
Nello stesso anno, con il patrocinio del Museum of Modern Art, si è tenuta a New York la mostra Art in Translation: Selfie, The 20/20 Experience, nella quale i visitatori hanno potuto usufruire di una fotocamera digitale per fotografare sé stessi in un grande specchio.
Nell'autunno del 2014 il vocabolario Zingarelli ha preso atto dell'ingresso del vocabolo nella lingua italiana.
Le immagini sono scattate sia con la fotocamera tenuta a braccio teso, sfruttando la focale grandangolare tipica degli smartphone, sia utilizzando uno specchio. A volte vengono utilizzati accessori con appositi supporti per reggere la fotocamera, come treppiedi appoggiati a terra o bacchette porta-telefono telescopiche appositamente progettate, da tenere in mano.
Gambe, piedi, viso in primo piano con gli occhiali nuovi oppure così, senza un motivo. Chi non ha mai fatto un selfie? E' il fenomeno del momento. Ma questo si sapeva, soprattutto dopo l'auto-scatto di gruppo delle star, diventato il vero protagonista della notte degli Oscar. La vera sfida è capire che cosa spinge ragazze, ragazzi, giovani, teenagers e vip a far circolare la propria immagine (condita di qualche smorfia o accessorio) su tutti i social network. Immagine che, presumibilmente, dovrebbe trasmettere un'immagine ben precisa: sicura, originale... in una parola, "cool".
E' stata pubblicata anche la classifica geo-localizzata dei selfie: Milano è tra i luogi nel mondo in cui ne vengono scattati di più. La prima e Manhattan, la terza Miami...
Alessandro Alfieri commenta: "La tecnica dell'autoritratto esiste da quando è nata la fotografia, ma il selfie è una cosa parzialmente nuova che rientra nella cultura dei social network. Oggi va di moda anche perché è facile da realizzare grazie agli strumenti a disposizione: gli smartphone e la connessione immediata. La cosa più interessante è capire quale dinamica psicologica e sociologica spinge al selfie. Il primo dato è una forte volontà degli individui di dire al mondo: io sono qui e sto facendo questo.
Il narciso tradizionale in realtà disdegna il contatto con le persone, col selfie invece il soggetto vuole mostrarsi a più persone possibile probabilmente per una ricerca di identità. In questo contesto lo stesso Facebook può essere concepito come un immenso specchio narcisista, come una grande vetrina autoreferenziale che serve per dimostrare a qualun altro che cosa si è, quanto si vale, comunicare stati d'animo e caratteristiche di sè (spesso irreali) in modo disimpegnato e senza le difficoltà della comunicazione diretta. Questo significa che un vero confronto con gli altri non c'è e che di fatto su Facebook si è soli". E continua: "Si realizza così una gara tra tutti a chi è più 'figo' che sancisce il trionfo dell'individualismo più sfrenato".
Un tentativo di reazione ai tempi del lavoro precario e delle insicurezze materiali ed emotive. La foto blocca il flusso dell'esistenza incerta e mutevole delle relazioni, del pensiero e del lavoro come per cercare di fermarlo e immortala momenti. E' un simbolo del tentativo costante di definire la propria identità e fissarla".
"Si tratta certamente di narcisismo, veicolato attraverso un mezzo contemporaneo - commenta la nota psicanalista Marisa Fiumanò. I selfie fanno parte del materiale 'ingombrante' che circola in Rete in maniera confusa. Facebook è un aggregatore in questo senso: fa diventare interessanti per i soggetti gli auguri, le foto, le cartoline". Poi continua: "Rientra nella superficialità di parte della comunicazione contemporanea. Il problema che emerge è quello della ricerca dello sguardo altrui, sguardo che ora si cerca online perché probabilmente non si trova più altrove. Gli individui sono affamati e cercano costantemente una conferma della propria immagine e si verifica un meccanismo pericoloso: è un po' come se si affidasse la propria identità a questi finti ritratti di sè che vengono veicolati dai social network. La Rete viene così investita di funzioni di riconoscimento sociale che dovrebbero invece essere affidate al confronto con le altre persone visto che internet è un interlocutore anonimo".
Il disturbo narcisistico di personalità è tra i più diffusi nella società contemporanea. Il mondo moderno, nel quale i bisogni individuali sono considerati di primaria importanza, incoraggia le persone a concentrarsi su se stesse. Anche la psicoterapia utilizzata per il trattamento del narcisismo è in realtà influenzata dagli stessi valori, e corre il rischio di rendere i pazienti peggiori invece che migliori.
"Rappresenta il perdente per antonomasia - spiega Laura Boggio Gilot, psicologa e psicoterapeuta - e' colui al quale è riservato il più grande quoziente di sofferenza inutile e autoprodotta. Fortemente radicato nella società moderna, il narcisismo può essere letto come un inquinamento ecologico della psiche collettiva, che è nutrita da miti socioculturali perniciosi, contrari alla salute mentale e all’evoluzione della coscienza verso forme di vita più creativa, serena e consapevole".
"Il carattere narcisistico è emblematizzato dal bisogno inappagabile di essere sempre considerato migliore. Associato ad intensa ambizione e a scarsi valori, è polarizzato su miti esteriori di successo, ricchezza, prestigio e su obiettivi superficiali di bellezza e potere. Sottende il carattere narcisistico l’aspettativa idealistica che tutto debba avvenire come si desidera e si crede giusto secondo prospettive egocentrate. Il rifiuto della frustrazione, la ricerca di conferma sempre e comunque, l’estrema vulnerabilità alle critiche, l’intima insicurezza e l’esterna arroganza e presunzione sono gli aspetti più evidenti del carattere narcisistico".
Ma chi è Narciso?
Narciso era un bellissimo giovane, di cui tutti, sia donne che uomini, si innamoravano alla follia. Tuttavia Narciso preferiva passare le sue giornate cacciando, non curandosi delle sue spasimanti; tra queste era la ninfa Eco, condannata da Giunione a ripetere le ultime parole che le venivano rivolte, poiché le sue chiacchiere distraevano la dea, impedendole di scoprire gli amori furtivi di Giove. Rifiutata da Narciso la ninfa, consumata dall'amore, si nascose nei boschi fino a scomparire e a restare solo un'eco lontana. Non solo Eco, ma tutte le giovani ed i giovani disprezzati da Narciso, invocarono la vendetta degli dei. Narciso venne condannato, da Nemesi, ad innamorarsi della sua immagine riflessa nell’acqua. Disperato perché non avrebbe potuto soddisfare la passione che nutriva, si struggeva in inutili lamenti, ripetuti da Eco. Resosi conto dell'impossibilità del suo amore Narciso si lasciò morire. Quando le Naiadi e le Driadi cercarono il suo corpo per poterlo collocare sul rogo funebre, trovarono vicino allo specchio d'acqua il fiore omonimo. Si narra che Narciso, quando attraversò lo Stige, il fiume dei morti, per entrare nell'Oltretomba, si affacciò sulle acque del fiume, sempre sperando di vedersi riflesso. Ma non riuscì a scorgere nulla a causa della natura torbida, limacciosa di quelle acque. In fin dei conti però, Narciso fu contento di non vedere la sua immagine riflessa perché questo veniva a significare che il fanciullo-sè stesso che amava, non era morto ancora. Nella versione beotica il giovane Narciso, cittadino di Tepsi, venne condannato ad amare la sua immagine, quando Amenia, una giovane del luogo da lui rifiutata sprezzantemente, si tolse la vita davanti alla sua casa, con la stessa spada che Narciso gli aveva inviato come macabro invito a non dargli più noia.
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