martedì 11 agosto 2015

BACCO

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Bacco nasce da Giove, Re di tutti gli Dei e padrone del mondo. E da Semele, donna col dono di sorridere sempre. Il suo maestro fu Sileno, grande bevitore dedito ai divertimenti e con la propensione a scatenare litigi. Bacco, in sintonia con i doveri di quei tempi, accettò di darsi alla vita militare a patto che il suo esercito non ricorresse mai alle armi. Difatti così fu e diede vita alla così chiamata “guerra del fracasso” a cui nessuno, nelle sue battaglie, riuscì a resistere.

Bacco è il Dio del vino e della gioia, dai Romani detto anche Libero, Iacco e Leneo, identificabile con il greco Dioniso; era figlio di Giove e di Semele. La madre morì nel darlo alla luce e il bambino fu allevato da Ino a Orcomeno, e poi dalle Iadi, ninfe della valle boscosa di Nisa. Ebbe come maestri le Muse e il sapiente Sileno. Avendo scoperto che dalla pianta della vite si poteva ricavare il vino, Bacco volle far conoscere a tutti gli uomini la sua benefica scoperta: pertanto viaggiò a lungo attraverso la Grecia e l’Asia, giungendo sino in India, accompagnato dal suo corteo di Satiri e di Baccanti, detto «tiaso». Durante i suoi viaggi approdò all’isola di Nasso, dove incontrò Arianna e si unì a lei in matrimonio. Per l’importanza del dono fatto agli uomini Bacco fu messo in relazione con Cerere, dea delle messi, e con Apollo per la facoltà della divinazione e per l’ispirazione poetica. Il suo culto, dapprima osteggiato, si diffuse ovunque e si espresse in feste di carattere orgiastico. A Roma tali feste, che si chiamavano Liberalia o Baccanalia, furono proibite dal Senato nel 186 a.C.

Un giorno Bacco si accorse che una guerra senza sangue non era abbastanza gloriosa e consultando Sileno rimediò presto. Una certa pianta dava frutti buffi, raggruppati tutti insieme attorno ad un gambo. Strizzando questi frutti ne veniva fuori un liquido rosso che aveva la stessa energia, vigore ed impeti che da il sangue. Come se nell’individuo entrasse una nuova vita. Proprio per questo motivo Sileno gli diede il nome di “vite”.

Bacco fu felicissimo di trovare quanto occorreva alle proprie guerre, procurandosi molti rami della pianta. Conquistò diverse terre, tra cui l’Egitto e l’India, sempre favorito dal fracasso che provocavano i suoi “guerrieri”. Sempre grazie al fracasso provocato dal suo esercito, in ogni territorio assoggettato piantò delle viti, obbligando i sudditi a cibarsene in gran quantità. Soddisfatto della cosa, quando li osservava con il viso sporco di rosso, Bacco era felice: finalmente anche di lui si poteva pensare di aver fatto versare del sangue.

Arrivò anche a sottomettere i nemici soltanto facendoli ubriacare e mai legandoli in catene strette. Ma non fu tutto così facile, soprattutto quando alcuni uomini illustri si indignarono per le strategie usate dal dio. Tra i più noti Licurgo, re della Tracia, che con una grossa scure abbatté molti vigneti. Bacco infuriato non esitò a vendicarsi, ma come suo solito senza usare alcuna violenza. Così, lo fece addormentare e poi gli soffiò sopra un alito caldissimo. Lucurgo si sentì ardere la gola dalla sete e, poiché vicino a lui c’era soltanto una bisaccia con del vino, iniziò a bere con avidità finché non ebbe visto il fondo.

Le conseguenze furono tragiche. L’uomo si ubriacò a tal punto che non riusciva a distinguere le cose che lo circondavano e neppur suo figlio. Poi, vedendo le sue gambe tremolanti e simili a due intrecciati tronchi di vite, cominciò a battersi qualche colpetto qua e la per verificare funzionalità e consistenza. Ma così facendo si ridusse in pezzi.

Bacco insomma rideva, scherzava e faceva un gran casino. Ma non era poi un così gran tenerone.

Bacco appartiene alla mitologia romana ed arrivò nella penisola Italica intorno al II secolo a.C.
Il “Baccanale” è un’antica festa romana e consisteva in celebrazioni all’insegna della sfrenatezza.
San Bacco viene festeggiato il 7 ottobre.
Il nome deriva dal latino “bacchius”, tratto dal greco “bàkchos” e significa gridare, strepitare.
Per i greci è Dionisio.



Bacco è un dipinto realizzato tra il 1596 ed il 1597 dal pittore italiano Caravaggio. È conservato nella Galleria degli Uffizi di Firenze.

L'opera rappresenta Bacco, dio del vino e dell'ebbrezza. Secondo l'iconografia tradizionale è nudo, con una corona di foglie di vite o di edera, con in mano il tirso e un grappolo d'uva o una coppa di vino. In due disegni e in una tavoletta di Domenico Veneziano, Bacco in trionfo porta un cesto di frutti (i doni pagani del dio). Questa immagine è presente anche in una illustrazione del romanzo mitologico di Francesco Colonna, Hypnerotomachia Poliphili, un'opera molto diffusa negli ambienti colti del nord e del Centro Italia, le cui illustrazioni erano spesso replicate e diffuse nelle botteghe degli artisti. Il Bacco del Caravaggio si presenta seduto su di una specie di triclinio, coperto da un lenzuolo in forma di tunica che scopre parte del torso. Il dio offre la coppa di vino appena versato (se ne vedono le bollicine) con la mano sinistra, per cui si pensa che il pittore abbia usato uno specchio in cui si riflette la propria immagine (il volto è più paffuto e colorito, offrendo un'immagine di salute e abbondanza (rispetto invece al dimagrimento patologico del cosiddetto "Bacchino malato"). La mano che versa il vino non sembra sicura, ma incerta, ed è probabile che il pittore volesse inserire un indizio di ubriachezza.

Non si conosce il modello dell'opera: alcuni sostengono che si tratti dello stesso Caravaggio (seppur molto trasformato) che avrebbe lavorato alla stesura dell'opera con un sistema di specchi; altri, invece, notano la somiglianza di questo Bacco con Mario Minniti, compagno e amico di Caravaggio, che probabilmente aveva posato in altre opere del pittore lombardo.
Le interpretazioni del dipinto sono diverse. Il Posner dà un significato omosessuale all'opera notando delle somiglianze con il ritratto di Antinoo, l'amato di Adriano; su questa linea Frommel ritiene che Caravaggio volesse rifarsi al rapporto che c'era tra lui e il modello, Mario Minniti; per Röttengen il Bacco vuole rappresentare un tema caro a Caravaggio, quello dell'eterna giovinezza. L'ipotesi formulata da Maurizio Calvesi, invece, è portata a vedere in Bacco Cristo redentore che offre il vino (il sangue di Dio) come simbolo di sacrificio e redenzione. Ed' possibile, sempre secondo Calvesi, che Caravaggio, inoltre, conoscesse il testo del Comanini, Gli effetti della mistica theologia, del 1590 che parla di Gesù come di un "grappolo d'uva" che viene "torchiato" e rinasce come vino. Ma Bacco, secondo un'allegoria nota anche al cardinal Del Monte, è anche lo Sposo del Cantico dei Cantici , dai capelli ricci e negri e la frutta rappresentata nel cesto allude anch'essa al Cantico (l'uva, le mele, la melograna, i fichi).



La mano destra del Bacco tiene un fiocco, posto in corrispondenza dell'ombelico "onfale del mondo". Esso sarebbe da interpretarsi come il nodo che unisce Dio all'uomo, è quindi un Homo copula mundi tipico della filosofia neoplatonica di Marsilio Ficino, che unitamente all'alchimia era ben nota al cardinale.

Nel corso di una fase di restauro, le sofisticate analisi utilizzate hanno permesso di scoprire, all'interno della citata caraffa di vino, un volto di uomo, che i ricercatori ritengono essere l'autoritratto dello stesso Caravaggio.

In Svizzera, di recente, è stato rinvenuto un altro Bacco ad olio su tela (cm 98x95) che a detta degli studiosi dovrebbe essere una copia realizzata da un seguace o collaboratore del Caravaggio, forse Prospero Orsi, con interventi e supervisione del maestro. Prospero avrebbe realizzato la copia del Bacco, commissionata dallo stesso Del Monte e realizzata contemporaneamente al dipinto degli Uffizi.




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