I numeri dicono che Raf e United States Air Force nella seconda guerra mondiale sganciarono complessivamente sull’Italia circa un milione di bombe, per un totale di oltre 350 mila tonnellate di esplosivo. Molte non deflagrarono completamente e una frazione consistente (circa il 10%) non esplose del tutto. Ecco la ragione per cui spesso saltano fuori reperti pericolosi: almeno uno su quattro (quindi circa 25 mila) è ancora da recuperare. Per di più alla fine del conflitto ogni esercito ha nascosto sotto terra bombe e munizioni inutilizzate.
Molti di questi ordigni (granate, bombe d’aereo e da mortaio) sono tuttora in grado di scoppiare al minimo urto e di distruggere ciò che è vicino al loro raggio d’azione. Difficilmente infatti l’esplosivo perde del tutto la propria capacità detonante.
I bombardamenti a tappeto in Italia dopo lo sbarco in Sicilia furono sostituiti da bombardamenti tattici che risparmiarono le città colpendo però i comuni, teatri di guerra di terra. Ecco perché in pratica non esiste area del suolo italiano non a rischio. Ovunque ci sono discariche, spesso affioranti, di bombe d’aereo, granate, mine, colpi da mortaio.
Nelle grandi città, dopo ogni bombardamento, venivano segnalate alle autorità le posizioni e le presenze delle bombe d’aereo che non erano scoppiate, che così venivano inertizzate o fatte brillare da gruppi autonomi di volontari guidati da esperti ex genieri ed ex artificieri militari. Ma naturalmente molte di queste non sono mai state localizzate.
Nel nostro Paese esiste una legge che prevede interventi di bonifica in profondità quando si devono realizzare lavori in aree dove potrebbero esserci ordigni. Lo stesso per le opere di fondazione o per scavi per la costruzione di ferrovie, ponti, autostrade. Le bombe di aereo per peso e configurazione raggiungono infatti, nei terreni non rocciosi, profondità anche di 5-8 metri.
Tra Adriatico, Ionio e Tirreno il Portolano della navigazione edito dall’Istituto idrografico della Marina parla di decine di mine magnetiche, siluri, proiettili o altri ordigni esplosivi. Per questo proibisce in varie aree, come ad esempio nel golfo di Oristano e a Capo d’Otranto, la navigazione, la sosta di natanti e la pesca. Restrizioni analoghe sono in vigore quasi in ogni angolo dei nostri mari. Solo per il basso Adriatico sono più di 200 i casi documentati di pescatori intossicati e ustionati dalle esalazioni sprigionatesi da armi chimiche portate a galla con le reti.
L’Istituto Centrale per la Ricerca Scientifica e Tecnologica applicata al mare tra il 1997 e il 1999 ha redatto le mappe di quattro aree del basso Adriatico dove si ritiene siano presenti almeno 20 mila residui bellici a carica chimica. Nel dicembre del 1943 a Bari affondò sotto i bombardamenti tedeschi la nave Usa John Harvey, con nelle stive 15.000 bombe d’aereo all’iprite mai recuperate.
Al momento del rinvenimento di un ordigno inesploso EVITARE IN MANIERA ASSOLUTA il maneggio dell'ordigno o del sospetto tale - ALLERTARE IMMEDIATAMENTE LE FORZE DELL'ORDINE, le quali provvederanno a loro volta ad allertare immediatamente i nuclei artificieri per la bonifica. - TRANSENNARE IMMEDIATAMENTE LA ZONA DEL RINVENIMENTO ED IMPEDIRE L'ACCESSO A CHIUNQUE in attesa dell' arrivo delle forze di pubblica sicurezza. Regole basilari, che pero' nella stragrande maggioranza dei casi di deflagrazione con esiti mortali o con gravi mutilazioni, non sono state rispettate, una bomba e' nata per uccidere, e svolge perfettamente il suo compito anche dopo tanti anni, non distinguendo un soldato da un bambino. Quindi, terminando queste brevi considerazioni, non maneggiare MAI quello che può sembrare una bomba, nemmeno per guardare meglio la natura dell'oggetto, il maneggio sarà di competenza degli artificieri nuclei EOD, che valuteranno la trasportabilità o meno dell'ordigno, e nel caso previa autorizzazione della Autorità Giudiziaria a distruggerlo previo brillamento in sito.
Il problema della bonifica del territorio da quanto inquina dopo un periodo bellico (Explosive Remants of the WAR - ERW) è macroscopico e non può essere affrontato in modo sistematico in tempi brevi. Richiede, invece, un impegno costante, personale specializzato e consistenti risorse economiche.
La situazione di pericolo rappresentata dalla presenza di ERW, infatti, è destinata a trascinarsi nel tempo dopo decenni dalla fine di un conflitto bellico, anche in Paesi dove le risorse economiche, la struttura socio economica ed il progresso nazionale lascerebbero pensare che “l’ordigno bellico non esploso” rappresenta un ricordo del passato piuttosto che una realtà costante.
Non è così e lo dimostra quanto avviene in Italia dopo più di settanta anni dalla fine del Secondo Conflitto Mondiale, in zone anche abitate e a destinazione agricola ed industriale.
Non è azzardato affermare infatti che ogni giorno nel nostro Paese il terreno “partorisce” di un ordigno bellico non esploso di diversa natura, dimensioni e pericolosità, dal fondo limaccioso dell’acqua di laghi e fiumi emergono bombe a mano, mine, proiettili vari, bombe di aereo ancora attivi e purtroppo destinati ad uccidere o ferire anche a distanza di tanti anni, qualora siano manipolati in modo avventato.
Manufatti bellici che devono essere eliminati giorno dopo giorno con l’intervento professionale del personale specializzato dell’Arma del Genio dell’Esercito italiano e con l’opera costante e sistematica di Ditte specializzate nel settore che si avvalgono di operatori civili specializzati e formati dai professionisti militari attraverso lo sviluppo di Corsi Specifici (BCM).
Per questo motivo la realizzazione di opere d’arte come strade, ponti, aeroporti, infrastrutture industriali in zone del Paese in cui sono stati sviluppati eventi bellici e si abbia solo il sospetto che possano essere presenti a varie profondità ordigni bellici non esplosi devono essere preceduti ed accompagnati da attenti e mirati interventi di bonifica sistematica che portano alla luce quasi sempre ordigni di varia natura, alcuni significativi come le bombe di aereo non esplose di varie dimensioni e pericolosità.
I numeri dei ritrovamenti sono quasi sempre significativi, grossi numeri che confermano l’esistenza del pericolo e l’esigenza di intervenire a salvaguardia della popolazione e dei lavoratori.
I numeri parlano di 30 mila operazioni di bonifica, nel corso delle quali sono stati distrutti 12 mila ordigni.
Nel 1976 sull’altopiano di Asiago si contarono ben sette vittime per uno scoppio avvenuto alle pendici del monte Kaberlaba. La causa fu la pericolosa passione per il recupero e collezionismo di residuati bellici.
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