venerdì 26 giugno 2015

MONNA LISA

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La Monna Lisa o Gioconda è un dipinto a olio su tavola di pioppo (77 cm×53 cm) di Leonardo da Vinci, databile al 1503-1506 circa, e conservata nel Museo del Louvre di Parigi: è il ritratto più celebre del mondo, nonché di una delle opere d'arte più note in assoluto, oggetto di infiniti omaggi, ma anche parodie e sberleffi.

L'opera rappresenta tradizionalmente Lisa Gherardini, cioè "Monna" Lisa (un diminutivo di "Madonna" che oggi avrebbe lo stesso significato di "Signora"), moglie di Francesco del Giocondo (quindi la "Gioconda"). Leonardo dopotutto, in quel periodo del suo terzo soggiorno fiorentino, abitava nelle case accanto a Palazzo Gondi (oggi distrutte) a pochi passi da piazza della Signoria, che erano proprio di un ramo della famiglia Gherardini di Montagliari.
Questa, apparentemente di facile identificazione, in realtà molto dibattuta dalla storiografia artistica, ha come fonti antiche un documento del 1525 in cui vengono elencati alcuni dipinti che si trovano tra i beni di Gian Giacomo Caprotti detto "Salaì", allievo di Leonardo che seguì il maestro in Francia, dove l'opera è menzionata per la prima volta "la Joconda"; lo stesso Vasari scrisse che "Prese Lionardo a fare per Francesco del Giocondo il ritratto di Monna Lisa sua moglie, e quattro anni penatovi lo lasciò imperfetto, la quale opera oggi è appresso il re Francesco di Francia in Fontanableò", dilungandosi poi in una serie di lodi del dipinto, in realtà piuttosto generiche. Alcuni dubbi sono sorti a partire dalla descrizione di Vasari, che parla della peluria delle sopracciglia magnificamente dipinta (ma la Gioconda non ne ha) e che esalta le fossette sulle guance (pure assenti). Ciò è comunque spiegabile con la particolare storia del dipinto, che seguì Leonardo fino alla sua morte in Francia e che venne ritoccata per anni e anni dall'artista. Vasari infatti potrebbe aver attinto la sua descrizione da una memoria dell'opera com'era visibile a Firenze fino al 1508, quando il pittore lasciò la città: analisi ai raggi X hanno mostrato che ci sono tre versioni della Monna Lisa, nascoste sotto quella attuale.

Altre identificazioni proposte, nel tempo, sono state Caterina Sforza, o la sorellastra Bianca o la madre stessa di Leonardo, Caterina Buti del Vacca. Ancora, recente, è quella con Isabella d'Aragona, duchessa di Milano nell'anno 1489, inoltre si è supposto che, la nobildonna ritratta, appartenesse al casato degli Imperiali. Altri farebbero risalire l'identità a Bianca Giovanna Sforza, figlia legittimata di Ludovico il Moro.

Fu Leonardo stesso a portare con sé in Francia, nel 1516, la Gioconda, che potrebbe essere stata poi acquistata, assieme ad altre opere, da Francesco I.

Si sa che un secolo dopo, nel 1625, un ritratto chiamato "la Gioconda" fu descritto da Cassiano dal Pozzo tra le opere delle collezioni reali francesi. Altri indizi fanno pensare che fin dal 1542 si trovasse tra le decorazioni della Salle du bain del castello di Fontainebleau.

Più tardi Luigi XIV fece trasferire il dipinto a Versailles. Dopo la Rivoluzione francese, venne spostato al Louvre. Napoleone Bonaparte lo fece mettere nella sua camera da letto, ma successivamente tornò al Louvre. Durante la guerra Franco-Prussiana del 1870-1871 fu messo al riparo in un sito nascosto.

La mattina di martedì 22 agosto 1911 due artisti, Louis Beroud e Frederic Languillerme si diressero al Louvre per imparare dai grandi maestri. Giunti nel salone Carré si accorsero della scomparsa della Gioconda di Leonardo da Vinci, informandone il capo della sicurezza Monsieur Poupardin. In poco tempo nella sala si riunirono il direttore del museo Monsieur Homolle, il sottosegretario di Stato alle Belle Arti, il capo della polizia e il prefetto di Parigi, Louis Lepiche.

Il furto avvenne verso le sette del mattino di lunedì 21 agosto 1911, giorno di chiusura del Louvre. Peruggia entrò nel museo attraverso la porta Jean Goujon usata di frequente dagli operai e si diresse al Salon Carré senza che alcuna persona si accorgesse della sua presenza. Dopo aver staccato il quadro dalla parete, si diresse verso la scaletta della Sala dei Sept Maitre liberandosi della cornice e del vetro. Giunto in un cortile interno poco frequentato si servì della giacca che indossava per avvolgere il quadro. Uscito dal museo senza essere fermato, salì sul primo autobus, ma si accorse di aver sbagliato direzione e così scese e si fece riportare a casa da una vettura, precisamente in rue de l'Hopital Saint-Louis dove nascose la Gioconda. Dovendo tornare al lavoro per giustificare il ritardo disse di essersi ubriacato il giorno precedente e di soffrirne ancora le conseguenze. Poiché la stanza nella quale viveva era molto umida, temendo che l'opera potesse danneggiarsi, Vincenzo la affidò al compatriota Vincenzo Lancellotti, che abitava nello stesso stabile. Trascorso un mese, dopo aver realizzato una cassa in legno nella quale custodire il dipinto, lo riprese e lo tenne con sé.

Appurato il furto vennero bloccate le uscite, perquisiti i visitatori e si perlustrò l'intero museo. Si ritrovarono la cornice e il vetro della Monna Lisa sulla scaletta della sala dei Sept Maitre e alla fine della rampa si scoprì che la porta a vetri era stata forzata ed era priva di pomello. Essendo quell'uscita frequentata dagli operai la gendarmeria pensò che il ladro si fosse mescolato a loro o fosse egli stesso un lavoratore. Tutto il personale stabile venne interrogato. Nel frattempo fu lanciato un appello ai cittadini di Parigi, a chiunque avesse notato una persona sospetta in quei giorni nei pressi del Louvre. All'appello rispose un impiegato che riferì di aver notato un uomo che si allontanava dal Louvre il lunedì mattina e che gettava un oggetto in un fossato vicino alla strada; lì fu ritrovato il pomello mancante. Mentre fervevano le indagini gli 'Amici del Louvre' annunciarono una ricompensa di venticinquemila franchi per chi avesse dato informazioni valide. Intanto, il posto lasciato vuoto dalla Gioconda sulla parete del Louvre fu preso momentaneamente da un dipinto di Raffaello, il Ritratto di Baldassarre Castiglione. Furono erroneamente arrestati, come possibili complici, anche due giovani che sarebbero diventati famosi nei campi della scrittura e dell'arte: Guillaume Apollinaire e Pablo Picasso che dimostrarono la loro estraneità ai fatti. Dopo aver escluso dalla responsabilità del furto il personale stabile del museo, la gendarmeria si concentrò su muratori, decoratori, personale assunto per breve periodo o per uno specifico incarico, tutte persone i cui dati erano riportati sul registro delle commesse. Peruggia venne interrogato e la sua modesta stanza fu sottoposta ad un'ispezione che ebbe esito negativo poiché la Gioconda era nascosta in un apposito spazio ricavato sotto l'unico tavolo.
Nell'autunno del 1913 il collezionista d'arte fiorentino Alfredo Geri decise di organizzare una mostra nella sua galleria chiedendo ai privati, tramite un annuncio sui giornali, di prestargli alcune opere. Egli ricevette da Parigi una lettera nella quale veniva proposta la vendita della Gioconda a patto che il capolavoro tornasse in Italia e fosse lì custodito. La lettera inviata da Vincenzo Peruggia era firmata dal fittizio Monsier Léonard V. Consigliatosi con Giovanni Poggi, direttore della Regia Galleria di Firenze, Geri fissò un incontro con Monsieur Léonard l'11 dicembre 1913 in un albergo di Firenze. Si presentò con il direttore della galleria che dopo aver visto il quadro lo prese in custodia per esaminarlo. Vincenzo Peruggia fu arrestato il giorno seguente dai carabinieri che lo prelevarono dalla stanza di albergo.

Alcuni hanno cercato di indagare le vere ragioni che portarono l'uomo a rubare il dipinto, ipotizzando anche un furto su commissione di un truffatore argentino, il marchese di Valfierno, che ne avrebbe volute vendere sei copie agli americani. In realtà Peruggia affermò sempre di aver compiuto il furto per patriottismo in quanto la visione su un opuscolo del Louvre di quadri italiani portati in Francia da Napoleone I provocò in lui un senso di vendetta: voleva restituire all'Italia almeno uno di quei dipinti, non importava quale. Inizialmente aveva pensato alla Bella Giardiniera, ma le dimensione esagerate del quadro lo avevano dissuaso. Ironia della sorte la Gioconda non fa parte del bottino napoleonico, infatti fu probabilmente portata in Francia dallo stesso Leonardo e comunque ne è attestata la presenza fra le collezioni reali già dal 1625.

Il processo si svolse il 4 e 5 giugno 1914 presso il Tribunale di Firenze, di fronte alla stampa internazionale e ad un pubblico generalmente favorevole a Peruggia per un malinterpretato amor di patria. La pressione popolare e l'invocazione dell'infermità mentale confermata dall'indovinello postogli dal medico psichiatra del tribunale professor Paolo Amaldi, che assunse l'incarico il 24 maggio del 1914: -Su un albero ci sono due uccelli. Se un cacciatore spara ad uno di essi, quanti ne rimangono sull'albero?- -Uno!- rispose Peruggia. -Deficiente!- tuonò il medico. Infatti la risposta alla domanda era zero, (perché l'altro sarebbe scappato) sortirono, comunque, l’effetto di indurre la corte a concedergli le attenuanti ed a comminargli una pena assai mite: un anno e quindici giorni di prigione.

Il 29 luglio la pena fu ridotta a 7 mesi e 8 giorni, ma appena fu emessa la sentenza, Peruggia fu scarcerato. Quando uscì di prigione, trovò un gruppo di studenti toscani che gli offrirono il risultato di una colletta, a nome di tutti gli italiani: 4.500 lire.

L’atteggiamento delle autorità italiane venne apprezzato in Francia. I due paesi, d’altra parte, coltivavano da circa dieci anni rapporti sempre più amichevoli. Si poté così evitare che Parigi chiedesse una pena esemplare e concordare un lungo periodo di esposizione del dipinto in Italia (prima agli Uffizi a Firenze, poi all’ambasciata di Francia di Palazzo Farnese a Roma, infine alla Galleria Borghese in occasione del Natale), prima del suo definitivo rientro.

La Monna Lisa arrivò in Francia a Modane, su un vagone speciale delle Ferrovie italiane, accolta in pompa magna dalle autorità francesi, per poi giungere a Parigi dove, nel Salon Carré, l’attendevano il Presidente della Repubblica francese e tutto il Governo.

Durante la prima e la seconda guerra mondiale il dipinto venne di nuovo rimosso dal Louvre e conservato in luoghi sicuri. Durante il secondo conflitto in particolare fu depositata al castello di Chambord, poi ad Amboise, a cui seguirono l'abbazia di Loc-Dieu, il Museo Ingres di Montauban e di nuovo Chambord, prima di finire sotto il letto del conservatore del Louvre nel castello di Montal e tornare a Parigi nel 1945. Nel 1956, la parte inferiore del dipinto venne seriamente danneggiata a seguito di un attacco con dell'acido. Diversi mesi dopo qualcuno lanciò un sasso contro il dipinto: attualmente viene esposto dietro un vetro di sicurezza. Sull'episodio fornì una lettura psicoanalitica Salvador Dalí: «Molte persone se la sono presa con la Gioconda, anche lapidandola come qualche anno fa, caso tipico di flagrante aggressione contro la propria madre.Leonardo, inconsciamente, ha dipinto un essere che riveste tutti gli attributi materni. Ha due grandi seni e posa su chi la contempla uno sguardo totalmente materno. Però sorride in modo equivoco. Ora cosa succede al povero infelice che è posseduto dal complesso di Edipo? Egli entra in un museo. Un museo è una casa pubblica. Nel suo subcosciente, è un bordello. E in questo bordello vede il prototipo dell'immagine di tutte le madri. La presenza angosciante di sua madre che gli lancia uno sguardo dolce e gli rivolge un sorriso equivoco, lo spinge a un atto criminale. Commette un matricidio, prendendo la prima cosa che gli capita fra le mani, un ciottolo, e rovinando con esso il quadro. È una tipica aggressione da paranoico».

Nel 1962 il quadro fu prestato agli Stati Uniti dove, accolto da John Fitzgerald Kennedy, Jacqueline Kennedy e Lyndon Johnson, fu esposto alla National Gallery di Washington e al Metropolitan Museum di New York, dove attrasse un milione e settecentomila visitatori; nel 1974 fece la sua ultima tournée, con tappe a Tokyo e a Mosca.

Studi del settembre 2006, effettuati dal Centro Nazionale di Ricerca e Restauro dei Musei di Francia, hanno rilevato come in un primo tempo tutto il volto della donna dovesse essere ricoperto da un sottile velo, velo che all'epoca era portato dalle donne in attesa o che avevano appena dato alla luce un figlio; inoltre dietro il dipinto si è potuto vedere uno schizzo inciso sul legno da Leonardo, il quale prima di dipingere il quadro ne avrebbe abbozzato la struttura: nello schizzo la figura femminile indossa una cuffia, poi oggetto di un ripensamento.

Per evitare il deterioramento causato dai numerosi flash che colpiscono l'opera, è stata inserita una protezione in vetro di fabbricazione italiana resistente oltretutto a vari tipi di esplosivi e a qualsiasi agente corrosivo. Ciò l'ha protetta anche dal lancio di una tazza con cui una visitatrice russa cercò di colpirla nel 2009.

Il ritratto mostra una donna seduta a mezza figura, girata a sinistra ma con il volto pressoché frontale, ruotato verso lo spettatore. Le mani sono dolcemente adagiate in primo piano, mentre sullo sfondo, oltre una sorta di parapetto, si apre un vasto paesaggio fluviale, con il consueto repertorio leonardesco di picchi rocciosi e speroni. Indossa una pesante veste scollata, secondo la moda dell'epoca, con un ricamo lungo il petto e maniche in tessuto diverso; in testa indossa un velo trasparente che tiene fermi i lunghi capelli sciolti, ricadendo poi sulla spalla dove si trova appoggiato anche un leggero drappo a mo' di sciarpa.

Alla perfetta esecuzione pittorica, in cui è impossibile cogliere tracce delle pennellate grazie al morbidissimo sfumato, Leonardo aggiunse un'impeccabile resa atmosferica, che lega indissolubilmente il soggetto in primo piano allo sfondo, e una profondissima introspezione psicologica. Se l'impostazione, col paesaggio sullo sfondo, affonda le radici nella ritrattistica umanistica del Quattrocento, la straordinaria naturalezza del personaggio, così diversa dalle pose ufficiali e "araldiche" dei predecessori, ne fa una pietra miliare della ritrattistica con cui si apre il Rinascimento maturo.

Il quadro di Leonardo fu uno dei primi ritratti a rappresentare il soggetto davanti a un panorama ritenuto, dai più, immaginario. Una caratteristica interessante del panorama è che non è uniforme. La parte di sinistra è evidentemente posta più in basso rispetto a quella destra. Questo fatto ha portato alcuni critici a ritenere che sia stata aggiunta successivamente.

La Gioconda si trova in una specie di loggia panoramica, come dimostrano le basi di due colonne laterali sul parapetto; una copia seicentesca mostrerebbe la composizione originaria in cui è visibile la parte architettonica successivamente mutilata.

Considerando la grande cura di Leonardo per i dettagli, molti esperti ritengono che non si tratti di uno sfondo inventato, ma rappresenti anzi un punto molto preciso della Toscana, cioè là dove l'Arno supera le campagne di Arezzo e riceve le acque della Val di Chiana. C'è un indizio preciso sulla destra della Gioconda oltre la spalla, è un ponte basso, a più arcate, cioè un ponte antico, a schiena d'asino di stile romanico, un ponte identico al ponte a Buriano che scavalca tutt'oggi l'Arno e che venne costruito in pieno Medioevo, a metà del XIII secolo, quando Arezzo attraversava un periodo di grande prosperità. Sopra le sue arcate passa l'antica via Cassia che collega Roma, Chiusi, Arezzo e Firenze.

Leonardo conosceva bene questo ponte, perché aveva studiato a fondo questa zona, come testimonia un disegno datato tra il 1502 e il 1503 che descrive il bacino idrico della Val di Chiana (oggi alla Royal Library di Windsor), in cui si intravede anche il ponte a Buriano; è una prova che Leonardo aveva ben in mente la geografia di questi luoghi. Poco distante dal ponte, l'Arno riceve le acque di un immissario, il canale della Chiana nel quale confluiscono le acque dell'omonima valle. Se si risale il corso di questo canale, andando a ritroso, bisogna superare una serie di meandri e poi ci si infila in una gola, la Gola di Pratantico. Se si osserva il lato sinistro della Gioconda, si vede un corso d'acqua con meandri che si infila in una stretta gola. Inoltre i rilievi a sinistra della Gioconda sono verticali, aguzzi, scavati dall'erosione e in effetti, oltre il ponte, continuando la vecchia via Cassia, si arriva in un'area in cui si possono osservare i calanchi, delle bizzarre formazioni rocciose, erose dalle piogge e dai millenni.

Altre ipotesi hanno pensato che il paesaggio vada letto attraverso uno specchio: forse venne ricavato con la camera oscura leonardiana. In questo caso potrebbe assomigliare al Lago di Iseo col profilo della Corna Trentapassi.

Alcuni hanno affermato, confrontando i paesaggi del dipinto con alcune fotografie, che i paesaggi sarebbero quelli del Montefeltro, nell'antico Ducato di Urbino. Sarebbero infatti riconoscibili il fiume Marecchia, il Sasso Simone e Simoncello e il Massiccio del Fumaiolo.

Esiste la teoria secondo la quale è possibile ricostruire il volto della Monna Lisa utilizzando i resti rinvenuti a Firenze di Lisa Gherardini, ovvero la presunta modella di Leonardo. Lisa, dopo la morte del marito, si fece suora e fu sepolta nel convento di Sant’Orsola nel capoluogo toscano.
Nell’agosto 2013 è stata aperta la tomba dei Gherardini, poiché serviva un test del dna per risolvere, con la genetica, il mistero di questo quadro. Nella chiesa della santissima Annunziata a Firenze si trovano i resti del marito della presunta Monna Lisa, Francesco di Bartolomeo del Giocondo, e soprattutto dei suoi due figli, con i quali potrà essere compiuta la comparazione genetica.

Nonostante secoli di studi, la Gioconda conserva il suo fascino misterioso. Il quadro è più piccolo di quello che ci si aspetta, ma infinitamente “potente”; ti segue con gli occhi, ovunque tu ti sposti; ed è Leonardo stesso che si fa beffa del visitatore.

Mona Lisa sorride perché ha appena avuto un figlio, il mistero del suo sorriso si nasconde dietro la condizione più naturale del mondo: la maternità. È la conclusione cui sono giunti i ricercatori del Centro nazionale delle ricerche canadese (Cnrc), che hanno analizzato la donna più famosa del mondo, la più corteggiata, discussa e interpretata, la più insensibile alle mode e al tempo: il sorriso più enigmatico della cultura occidentale apparterrebbe a una madre.

La radiografia tridimensionale dei ricercatori canadesi ci dà una nuova interpretazione della Gioconda e al tempo ci rassicura sullo stato di conservazione del quadro: il dipinto leonardiano sta bene, le sue condizioni di conservazione sono ottimali e consentiranno alle generazioni future di ammirarlo ancora.

Lisa Gherardini sarebbe stata dunque raffigurata dopo aver messo al mondo il secondo dei suoi cinque figli. Secondo lo specialista transalpino, "non c’è nessun mistero nel quadro, come nel Da Vinci Code", ma il dipinto nasconde tutta la tecnica di Leonardo "e questo è il vero mistero che abbiamo scoperto".

Leonardo aveva pensato di dipingere Mona Lisa con una cuffia, poi le ha lasciato i capelli liberi, La Gioconda dovrebbe restare intatta ancora a lungo, se si continua a conservarla in condizioni ambientali controllate. E i ricercatori sono rassicuranti anche sull’incrinatura di dodici centimetri nella metà superiore del quadro, probabilmente causata dal ritiro della cornice originale e da una riparazione effettuata tra la metà del Settecento e i primi dell’Ottocento: "Sembra stabile e non si è aggravata nel corso del tempo". I segreti dello sfumato di Leonardo restano tuttavia inavvicinabili: "La superficie della Gioconda non rivela alcuna pennellata. Lo strato di pigmento è estremamente sottile e uniforme".



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