lunedì 22 giugno 2015

L'UOMO DI NEANDERTHAL

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L'Uomo di Neandertal, è un ominide strettamente affine all'Homo sapiens, che visse nel periodo paleolitico medio, compreso tra i 200 000 e i 40 000 anni fa.

Prende il nome dalla Valle Neander in Germania, presso Düsseldorf, dove vennero ritrovati i primi resti fossili. Fu un "Homo" molto evoluto, in possesso di tecnologie litiche elevate e dal comportamento sociale piuttosto avanzato, al pari dei sapiens di diversi periodi paleolitici.

Convissuto, nell'ultimo periodo della sua esistenza, con lo stesso Homo sapiens, l'Homo neanderthalensis scomparve in un tempo relativamente breve, un evento che costituisce un enigma scientifico oggi attivamente studiato.

Documentata fra 130 000 (per le forme arcaiche) e 30 000 (documentata con reperti fossili)-22 000 (in assenza di fossili ma con discusse prove culturali) anni fa principalmente in Europa e Asia, e limitatamente in Africa, questa specie si è presumibilmente evoluta dall'Homo heidelbergensis.

Studi del 2010 suggeriscono, tra alcune ipotesi probabili relative alla vicinanza genetica tra H. neanderthalensis e H. sapiens, che ibridazioni fra i due possano avere avuto luogo nel Vicino Oriente all'incirca tra 80 000 e 50 000 anni fa, per la presenza nell'uomo contemporaneo di una percentuale tra 1 e il 4% di materiale genetico specificamente neanderthaliano.

Tali tracce genetiche sono presenti negli euroasiatici e nei nativi americani ma non negli africani, e ciò suggerisce, tra diverse ipotesi possibili, almeno quattro, che l'ibridazione possa avere avuto luogo nei primi stadi della migrazione della specie umana fuori dall'Africa, presumibilmente quando venne a contatto con i Neanderthal che vivevano nel Medio Oriente, circa 80 000 anni or sono.

In passato la specie era stata chiamata anche uomo di Neanderthal, dall'originale nome specifico scientifico, e Homo sapiens neanderthalensis quando era ancora considerato sottospecie dell'homo sapiens; queste denominazioni talora si riscontrano, così pure avviene in altre lingue. Il problema del nome come sottospecifico, non è, al contrario del primo, meramente formale, ma riflette, differenze che sottintendono differenti possibili cammini evolutivi e differenti gradi di reincrocio con i sapiens.

I resti che diedero il nome alla specie furono scoperti da Johann Fuhlrott nell'agosto 1856 in una grotta di Feldhofer nella valle di Neander in Germania, che prende il nome dalla traduzione in greco antico del cognome dell'organista sacro e pastore Joachim Neumann, appunto cambiato poi in Joachim Neander, a cui i concittadini di Düsseldorf intitolarono come omaggio toponomastico la piccola valle. Della scoperta dei fossili venne poi dato annuncio ufficiale solo il 4 febbraio 1857.

L'aspetto fisico esteriore del neanderthaliano classico alla luce delle conoscenze attuali, notevolmente incrementatesi rispetto alle prime ipotesi e estrapolazioni otto-novecentesche, è quello di un uomo di altezza media (1,60 m) perfettamente eretto e muscolarmente molto robusto.

La testa, rispetto ad un sapiens è allungata antero-posteriormente, anche se si sovrappone in genere nella variabilità sapiens, ha un volume cerebrale di 1500 cm³ in media, del 10% superiore agli uomini attuali e arcate sopraccigliari sporgenti. Ha uno spiccato prognatismo e il mento può essere sfuggente, per lo meno nei tipi arcaici. Col tempo, in alcune zone e verso la fine del Paleolitico si diffonde un tipo più gracile e con un mento osseo più pronunciato, mentre gli zigomi sono molto meno accentuati e le arcate sopraccigliari al contrario più sporgenti.

Una tesi esposta nel 2006 e confermata nel 2007 è basata su ricerche avanzate con tecniche di biologia molecolare e ipotizza che la specie, in Europa, abbia sviluppato individui di carnagione bianca con capelli rossi: il tipo di pigmentazione è in accordo con la scarsa irradiazione solare (ultravioletta) del territorio colonizzato, analogamente alla distribuzione geografica attuale della pigmentazione nei tipi umani. Nonostante ciò, si è evidenziato come la variabilità genetica della popolazione neanderthaliana suggerisca una variabilità del fenotipo piuttosto ampia, analogamente a quella attuale di H. sapiens.

Recenti studi, basati sull'analisi di alcune sequenze geniche di DNA, suggeriscono che, senza arrivare a parlare di sottospecie, vi fu sicuramente una suddivisione in tre (o forse quattro, ma il metodo non riesce ancora a chiarire quest'ipotesi) diversi grandi gruppi di popolazioni. La reale esistenza dei gruppi sud europeo (sud iberico, subalpino, balcanico), centro-est europeo (dalla zona nord iberica fino al mar Caspio) e medio asiatico (fino ai confini orientali kazaki) in precedenza era stata frequentemente messa in discussione sulla base dei soli reperti fossili.

L'uomo di Neanderthal inizia a evolvere in un contesto culturale Acheuleano superiore, dove i manufatti bifacciali cambiano forma, migliorano la punta e diminuiscono di spessore.
Nell'industria litica compare la nuova tecnica di scheggiatura Levalloisiana. Da un nucleo litico iniziale, sgrossato fino a portarlo a una forma biconvessa, lateralmente su di una faccia si staccano parallelamente a un piano di base schegge di forma regolare. Questa tecnica evolve e le forme chiamate amigdale (a mo' di mandorla) dell'Acheuleano scompaiono, anche se a sud del Sahara continuerà fino al 50 000 a.C. circa.
In Europa, territorio principale del Neanderthal, si parla di cultura Musteriana, da ritrovamenti a Le Moustier, in Dordogna. Abbiamo punte triangolari, raschiatoi per la preparazione delle pelli molto rifiniti, col bordo tagliente finemente ritoccato. Il Musteriano si articola in diverse culture, geografiche e cronologiche.
Pare accertato, con qualche residua incertezza, il passaggio successivo al castelperroniano, con reperti affidabilmente attribuiti ai neanderthal come lamette litiche, manufatti in osso e ornamenti per il corpo.

Sull'evoluzione culturale del neanderthal non vi è ancora una visione condivisa. A fronte di antropologi come Ian Tattersall che non riconoscono il raggiungimento di livelli culturali che sconfinino dalla mera tecnologia, e in particolare non condividendo il fatto che sia stata raggiunta la visione simbolica, intesa come dimensione simbolica nel senso psicologico, premessa a riti, arte, e comportamenti relativi, vi sono indizi di comportamenti culturali avanzati.
Le culture litiche che poi evolveranno (Castelperroniano, Aurignaziano e molto dubbiosamente Gravettiano, condivise sicuramente dai sapiens) sono quindi tuttora allo studio per la sicura eventuale attribuzione ai neanderthal; pare con buona significatività accertato il primo passaggio.
In sintesi e a grandi linee si può dire che la cultura neanderthaliana dominante fu il Musteriano e che il limite convenzionale (attuale) superiore si situa fra il Castelperroniano e l'Aurignaziano.
Molto diffuso l'utilizzo delle pelli, anche per la costruzione di ripari estivi all'aperto, contrapponendosi alla pratica troglodita invernale. Si ritrovano strutture di pietre o di ossa atte ad assicurare i bordi delle pelli al suolo.
Abbondanti tracce di ocra rossa fanno pensare a usi rituali e religiosi. Anche in tale ottica si evidenzia l'inumazione come pratica diffusa, in fosse di forma ovale, con corredi funerari (cibo, corna e strumenti litici), spesso ricoperte da lastroni per sottrarre i corpi alle fiere, deposizioni di fiori (studi sui pollini in ritrovamenti in Asia Minore). Il fuoco, in cerchi di contenimento di pietre, è largamente utilizzato.

Forse, con i neanderthalensis si ha il primo esempio di strumento musicale non a percussione ma intonato, grazie al ritrovamento del cosiddetto flauto di Divje Babe (in Slovenia): un frammento di femore di orso delle caverne perforato regolarmente. Inizia anche l'arte figurativa in senso stretto, considerata prerogativa di sapiens ma dalla stratigrafia recentemente attribuita anche ai neanderthalensis.
I recenti progressi molecolari nello studio delle popolazioni neanderthaliane e la loro localizzazione geografica, uniti a quelli sull'industria litica e degli altri manufatti, permetteranno in futuro di chiarire meglio i rapporti tra le diverse culture e la loro evoluzione nello spazio e nel tempo.

Un articolo pubblicato su Proc Natl Acad Sci U S A. il 13 Nov 2012 a cura di un gruppo del Department of Human Evolution, Max Planck Institute for Evolutionary Anthropology di Lipsia, getta nuova luce sulla sempre più probabile attività simbolica e artistica dei Neanderthal nel passaggio dal Paleolitico medio a Paleolitico superiore, periodo caratterizzato dalla sostituzione degli ultimi Neanderthal con gli esseri umani moderni in Europa tra 50.000 e 40.000 anni fa. Le raccolte di manufatti del Castelperroniano  trovati nella Francia centrale e nella Spagna settentrionale sono databili in questo intervallo di tempo. Fino ad ora, è il solo tipo di collezioni che ha consentito di associare i resti Neanderthal con manufatti di stile UP. I manufatti CP includono anche ornamenti del corpo, praticamente sconosciuti in tutto il mondo Neanderthal. Tuttavia, si è sostenuto che i manufatti CP non siano stati fabbricati da Neanderthal, ma piuttosto i processi di formazione dei siti e la commistione degli strati abbiano portato all'associazione casuale di resti di Neanderthal, assemblaggi CP, e gli ornamenti del corpo. Gli autori pubblicano una serie di datazioni al radiocarbonio ottenute con spettrometria di accelerazione di massa analizzando collagene osseo ultrafiltrato estratto da 40 frammenti di ossa ben conservate del tardo Musteriano, CP, e dagli strati Protoaurignaziani nel sito di Grotte du Renne (a Arcy-sur-Cure, Francia) . I risultati sono incompatibili con l'ipotesi di commistione. Inoltre, si riporta una data direttamente calcolata su di un frammento di osso compatto di tibia di Neanderthal rinvenuto a Saint-Césaire (Francia). Questa data conferma l'assegnazione di manufatti CP agli ultimi Neanderthal dell'Europa occidentale. Inoltre, ed è ancora più importante, i dati stabiliscono che la produzione di ornamenti corporei nel CP è successiva all'arrivo degli umani moderni nelle regioni adiacenti dell'Europa. Questo nuovo comportamento potrebbe quindi essere il risultato di una diffusione culturale dai gruppi moderni ai gruppi di Neanderthal.

Un'accurata statistica, basata sull'analisi multivariata di forma e dimensioni del cranio, tuttavia, pur rilevando un habitus tipico del Neanderthal, mostra sorprendenti vicinanze con crani attuali di forme estreme (C.Stringer, del British Museum).

Da uno studio del 2001 alcuni commentatori speculano sul fatto che i Neanderthal dimostrino un tipo a capelli rossi, condividendone l'eredità con uomini attuali di tipo lentigginoso e di pelo rosso; in ogni caso altri ricercatori dell'epoca dissentivano. Gli studi molecolari del 2007 dell'aspetto esteriore sciolgono comunque ogni dubbio, ovvero sulla base dello studio sulle varianti dei melanocortin 1 receptor (mc1r), si deduce che la ridotta funzionalità di questi porti a sviluppare un fenotipo poco pigmentato a pelle chiara e capelli rossi. Lo studio è stato condotto, con tecniche di amplificazione genica su un gene responsabile della pigmentazione umana, appunto quello relativo al melanocortin 1 receptor (mc1r), che codifica sette proteine eterometriche transmembrana GTP-ligande (G protein)–coupled receptor (GPCR). I capelli rossi e la pelle chiara risultano da alleli che comportino complete o parziali perdite di funzionalità dell'MC1R umano (huMC1R), alterando il bilancio nella sintesi eumelanina-feomelanina. I campioni provenivano da DNA ben conservato (sulla base di dati relativi ad abbondante contenuto amminoacidico e alla sua alla scarsa racemizzazione) di un esemplare dei Monti Lessini e dell'esemplare El Sidrón 1252 (Cueva de El Sidrón, in Spagna).

Un'altra differenza secondo i paleoantropologi, potrebbe essere stata nella crescita, infatti si ritiene, analizzando la crescita del primo molare comparata con quello della dentatura di Homo sapiens, che i neanderthal crescessero più velocemente di quanto facciano gli uomini moderni, raggiungendo l'età adulta già a 15 anni. Questa crescita rapida, stando a quanto riportano gli esperti, è una caratteristica tipica dei primi ominidi. Tempi di sviluppo più rapidi, secondo gli studiosi, sembrano essere stati una necessità per una specie che viveva in terre molto fredde e inospitali, dove la mortalità infantile era molto elevata e l'aspettativa di vita breve.

Si dibatte lungamente sugli ultimi rappresentanti noti dei nostri parenti più prossimi. Quest'argomento, assieme al mistero della scomparsa della popolazione neaderthaliana, è forse uno dei più controversi della scienza paleoantropologica e il più soggetto a evoluzione. Le datazioni tramite spettrometria di massa da parte di Fred Smith ed Erik Trinkaus, (Northern Illinois University e Washington University rispettivamente), da scavi di Vindija (Croazia) portano a 28 000 anni i reperti più recenti, con articoli pubblicati a cavallo del 2000. Nuove datazioni ricollocano indietro a 32 000 anni i reperti. Vengono scoperti altri fossili recenti sulle coste atlantiche del Portogallo, e si riscontrano evoluzioni morfologiche verso una maggiore modernità. Contemporaneamente viene messa in discussione l'associazione di alcune culture litiche (Aurignaziano, Musteriano) ai vari Homo.

Si dibatte anche sulla completa scomparsa della popolazione, non perfettamente spiegabile sulla base delle sole caratteristiche fisiche degli individui. Si trattava di una specie lungamente adattata all'ambiente colonizzato, con un volume cranico pari o superiore ai sapiens attuali, e di cultura tecnica almeno inizialmente sovrapponibile nelle due popolazioni. Le prime ipotesi teorizzate parlano di lenta ibridazione con Sapiens moderni, eliminazione fisica (genocidio), competizione, o selezione sessuale. La difficoltà ad analizzare lo scarso materiale genetico sopravvissuto completa il quadro. Certamente la lunga coesistenza di uomo di Neanderthal e uomo moderno pongono sul tavolo della discussione molti problemi irrisolti, e l'argomento è in costante riscrittura.

Nel 2005 sul Journal of Economic Behaviour and Organization Jason Shogren, economista dell'Università del Wyoming di Laramie, pubblica con i suoi collaboratori un articolo in cui avanza una teoria sulla scomparsa dell'uomo di Neanderthal. Lo studioso avanza l'ipotesi che H. neanderthalensis si sia dovuto scontrare con la particolare cultura dell'H. sapiens: questa cultura si basava su tecniche avanzate di commercio, cosa che portava più tempo libero rispetto a una cultura basata sulla caccia. Il tempo libero ottenuto avrebbe permesso lo sviluppo di specializzazioni non strettamente legate alla sussistenza, come costruire utensili sempre più complessi o dedicarsi all'arte. La complessità e la versatilità di una tale cultura avrebbe avuto esito fatale per la più "tradizionale" cultura dei Neanderthal.

Stephen Kuhn e Mary Stimer dell'università dell'Arizona, sulla rivista Current Anthropology, propongono, documentandola, la tesi per cui la principale causa di estinzione fu la mancata suddivisione dei lavori tra i sessi. I più organizzati sapiens, più efficientemente, poterono competere affidando alle donne compiti stanziali, e meno gravosi, affidando ai maschi i ruoli di cacciatori e approvvigionatori di materiali. La prole, protetta e anch'essa stanziale, avrebbe avuto più possibilità di sopravvivenza.

Due caratteristiche dei neanderthalensis vanno rimarcate. La prima è che il loro fisico era strutturato per esprimere al meglio la forza, mentre quello di alcuni, ma non tutti, i sapiens loro contemporanei come i Cromagnonoidi, a gambe più lunghe e a bacino più stretto e compatto, privilegiava le capacità di resistenza nella corsa. Quindi quei sapiens sarebbero stati più resistenti nel percorso di sensibili distanze con quel tipo di andatura, ma svantaggiati nella forza fisica e nella lotta. Una caratteristica che si pensava differenziasse sapiens e neanderthal, la diversa alimentazione, con sapiens marcatamente onnivori e neanderthal carnivori si è variamente rivelata parziale e dipendente esclusivamente da singole situazioni. Entrambi ad esempio erano specie ben adattate agli ambienti costieri con un'alimentazione basata su frutta e verdura, prodotti della pesca, raccolta di molluschi e caccia. Soggetta a periodiche discussioni è anche la capacità dei Neanderthal di cacciare grosse prede (come la megafauna); mentre esistono prove che anche i più antichi esponenti della nostra specie utilizzassero zagaglie, e altri ordigni da lancio, non si sa se i neanderthal utilizzassero armi da lancio. Avrebbero cioè dovuto approcciarsi alle prede (e a eventuali nemici) a distanza ravvicinata. I neanderthal, almeno alcune popolazioni, erano comunque prettamente carnivori e superpredatori.

Molto ma non tutto si può dire del vero aspetto di questo ominide ricostruendolo dai suoi resti fossili. La scienza contemporanea ha messo a punto varie tecniche per la ricostruzione delle parti non fossilizzabili, i tessuti molli, a partire da elementi quali le inserzioni tendinee sulle ossa, le linee di forza sulle stesse, i livelli di consunzione dei denti e altro ancora. La biologia molecolare ha poi fornito ulteriori elementi per valutare l'espressione genica di caratteri non conservabili, appunto come il colore dei capelli. Il Neanderthal possedeva la tecnologia necessaria a confezionare indumenti; a tale scopo utilizzava prevalentemente pelli, per la concia delle quali costruiva utensili quali i raschiatoi musteriani. Le zone climatiche frequentate imponevano sicuramente l'uso di coperture, e possiamo rappresentare il neanderthal tipico prevalentemente vestito.
Oltre a ciò si segnala la capacità simbolica e artistica, che ha portato all'uso, almeno episodico, di monili e pendagli.
In passato, al contrario, è spesso stato rappresentato come lo stereotipo dell'uomo cavernicolo, tale ricostruzione ripete né più né meno la figura dell'uomo selvatico presente nella tradizione popolare europea e raffigurata sin dal Medioevo. Secondo alcune interpretazioni di studiosi di criptozoologia, non di antropologi o paleontologi, poteva però essere di aspetto scimmiesco, dotato di un fitto villo pilifero distribuito su tutta la superficie del corpo che lo proteggeva dal clima freddo europeo.

Un'immagine da alcuni supposta e interpretata di neanderthal è una rappresentazione preistorica nella caverna di Isturits sui bassi Pirenei francesi, frequentata da 80 000 a 10 000 anni fa prima dai neanderthal e poi dai Cro-magnon. Vi compare la rappresentazione di una testa-trofeo di un essere antropomorfo con testa ovale senza fronte e mento, collo grosso, occhi a mandorla infossati sotto grandi arcate frontali, con un grosso naso, orecchie piccole, con capelli corti a spazzola e dritti a cresta sulla testa che proseguivano sulla schiena in una sorta di criniera equina, e peli fitti simili su quasi tutta la faccia e collo simili al manto di un cervo.

I resti rinvenuti nel 1856 da Johann Fuhlrott nella valle di Neander consistevano nella parte superiore del cranio, alcune ossa, parte dell'osso pelvico, alcune costole, e ossa del braccio e della spalla.
In precedenza erano stati scoperti altri fossili, infatti già nel 1829 nel Belgio venne trovato parte di un cranio di un bambino di due anni e mezzo. Questi, però, venne riconosciuto come arcaico soltanto nel 1836. Nel 1848 a Gibilterra venne trovato un cranio adulto, ma la sua esistenza rimase sconosciuta alla scienza fino al 1864, quando venne riconosciuto come appartenente agli uomini di Neanderthal.

Altri due scheletri di Homo neanderthalensis, risalenti ad almeno 60 000 anni, vennero trovati in Belgio nel 1886 da Marcel de Puydt e Max Lohest. Altri rinvenimenti importanti vennero fatti in Croazia nel 1899 da Dragutin Gorjanovic-Kramberger e nel 1908 in Francia a La Chapelle-aux-Saints da Jean Bouyssonie che rinvenne lo scheletro di un uomo anziano, risalente a 50 000 anni, in possesso di un cranio di 1620 centimetri cubi.

Nel 1939 venne rinvenuto nella grotta Guattari a San Felice Circeo, un cranio presumibilmente appartenente a Homo neanderthalensis.

Nel secondo dopo guerra emersero ancora altri resti importanti; tra il 1953 e il 1960 nella grotta di Shanidar in Iraq vennero scoperti 9 scheletri di uomini di Neanderthal, risalenti a un periodo compreso tra i 70 e i 40 000 anni fa, e nel 1979 nel villaggio di Saint-Césaire in Francia uno scheletro completo risalente a 35 000 anni fa.

Nel 1868 a Cro-Magnon in Francia vennero trovati da alcuni operai i resti di un uomo risalenti a 28 000 anni fa; era venuto alla luce uno dei più antichi progenitori della nostra specie (Homo sapiens). Era un rappresentante della nostra specie umana, che proveniente dall'Africa o dall'Asia, migrando stava insediandosi in Europa, confinando verso la penisola iberica gli ultimi Neanderthal.

I resti portati alla luce in Italia non sono molto numerosi rispetto all'Europa continentale. Si distingue in ogni caso tra ritrovamenti fossili (rari) e ritrovamenti di tracce e manufatti, non sempre associati. Nel secondo caso, alcuni siti sono discussi; alcune culture, infatti, furono condivise con soggetti appartenenti al genere Homo.

Si potrebbero definire “storie fugaci, di amori rapaci”. Usciti dall'Africa, circa 65.000 anni fa, i nostri antenati Homo sapiens incontrarono almeno altre due specie dello stesso genere. Nonostante quello che pensano i teorici della “purezza della razza”, i sapiens non persero occasione per accoppiarsi con i veri padroni del territorio – prima di conquistare tutto il mondo. Non furono certo episodi isolati, se una parte dei geni delle altre specie è ancora visibile nel nostro genoma.
Gli altri uomini con cui i nostri bis-bis nonni hanno avuto storie d'amore sono il nostro primo cugino, l'uomo di Neanderthal, e l'uomo di Denisova. Se per il Neanderthal ci sono parecchi scheletri, per l'uomo di Denisova (che prende il nome dalla grotta nell'Asia centro occidentale dove sono stati trovati i fossili) gli unici frammenti trovati sono la falange di un dito e un dente: nonostante le difficoltà, è stato possibile scrutare all'interno del patrimonio genetico di entrambe le specie e confrontarle con quello dell'uomo moderno.
Gli accoppiamenti con neanderthaliani e denisoviani hanno introdotto nel nostro Dna geni diversi da quelli presenti nei sapiens in Africa.

In particolare un folto gruppo di studiosi proveniente da tutto il mondo ha cercato di capire se gli amori dei tre uomini avessero lasciato nella nostra specie qualche pezzetto utile alla sopravvivenza. E hanno studiato in particolare un gruppo di geni chiamato Hla (Human leukocyte antigen) che ha il compito importantissimo di creare proteine che riconoscono e distruggono i germi. L'analisi ha portato a più di una sorpresa: per esempio che una variante di uno di questi geni, HLA-B73, è rara nell'Africa attuale ma presente nelle popolazioni dell'Asia occidentale (proprio dove si pensa ci siano statigli incontri di uomini e denisoviani).
Un altro gene, che si chiama HLA-A11, rappresenta il 64% delle varianti in Asia orientale e Oceania. Negli europei si trovano invece pezzetti di patrimonio genetico dei neanderthaliani, perché è proprio in Europa e in Asia orientale che le due specie si sono sono “incontrate”.
Cosa ne deducono i genetisti? Che gli accoppiamenti con neanderthaliani e denisoviani hanno introdotto nel nostro Dna geni diversi da quelli presenti in Africa, che ci hanno aiutato a combattere i nuovi parassiti che abbiamo incontrato uscendo dalla nostra culla.

Forse sarà stato il suo aspetto, ricostruito grazie ai resti fossili, la fronte stretta, lo spiccato prognatismo e le sopracciglia sporgenti, ma per lungo tempo l'uomo di Neanderthal ha avuto fama di poca intelligenza. Ora però le ultime ricerche, descritte sul 'Washington Post', riabilitano questo ominide che convisse a lungo con l'Homo sapiens: le sue capacità sarebbero state sottovalutate. Questi antichissimi abitanti della terra erano abili cacciatori, sapevano usare degli strumenti e avevano una forma di cultura. Inoltre gli abitanti di Europa o Asia hanno buone probabilità di avere tracce di Dna Neanderthal nel proprio genoma.

Secondo Paola Villa, archeologa dell'University of Colorado, la cattiva fama dei Neanderthal iniziò nel 1850, con la scoperta del primo teschio in Germania. "Le caratteristiche morfologiche hanno portato all'idea che fossero esemplari molto diversi da noi e inferiori". Un'idea non più condivisa dagli esperti, ma ancora popolare. Ebbene, per Villa, autrice di uno studio su 'Plos One', non c'è nulla che sostenga il "complesso di superiorità" dei 'sapiens'. E a ben guardare il cranio dei Neanderthal, il loro cervello era "più grande" del nostro. Inoltre questi nostri 'parenti estinti' usavano ornamenti personali, conchiglie colorate, pezzi di uccelli, cosa che supporta l'idea che fossero capaci di simbolismo e pensieri astratti. Alcuni erano anche artisti, come mostra un ritrovamento a Gibilterra di quello che secondo alcuni ricercatori sarebbe il primo esempio noto di arte Neanderthal. E ancora, bruciavano i loro morti, come hanno rivelato altri studi. Ed è chiaro, spiega i ricercatori, che nel corso dei secoli si sono mescolati ai moderni esseri umani. In questo modo, non sono mai svaniti nel tutto, "ma ancora oggi vivono un po' negli esseri umani moderni", conclude Svante Paabo del Max Planck Institute di Lipsia, che ha scoperto come l'1-2% del Dna degli esseri umani moderni - originari di Europa o Asia - arrivi proprio dai Neanderthal.



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