Così dipinto da uno dei più severi critici: Il Gerardo
... Dopo che fu intrato in Padoa divenne austero nel volto, terribile in ogni parola: ne lo andare superbo et altiero, sempre d'ira pieno, e dio dispetto. Ispaventava chiunque non pur con le parole ma li sguardi anchora. S'astenne da femminili amori: disgiunse però i mariti da le mogli. Hebbe in odio i ruffiani, le meretrici, i ladri, i traditori, non di meno egli uccideva e spogliava altri de' bene suoi. Sospettoso oltre modo, le parole altrui e i fatti in dubbio sempre interpretava a la peggior parte. Crudele, senza misericordia, di crudeltà sormontò tutti gli altri tiranni de le passate etadi...
Ezzelino III da Romano o Ecelino da Romano, (Romano d'Ezzelino, 25 aprile 1194 – Soncino, 27 settembre 1259) è stato signore della Marca Trevigiana. Appartenente alla famiglia degli Ezzelini, era il figlio primogenito di Ezzelino II il Monaco e fratello di Alberico da Romano e di Cunizza da Romano.
Fu politico e condottiero ghibellino, alleato di Federico II di Svevia. Audace, astuto e valoroso, la sua decisione e volontà di dominio sfociarono in atti di spietatezza e crudeltà, in massima parte nella parabola discendente successiva alla morte del suo alleato nel 1250. Nelle cronache posteriori gli vennero dati appellativi come "feroce" e "terribile".
Arti sottili di governo e una continua maschera imposta al suo volto fecero credere che volesse regnare con equità e con giustizia. Unito alla sorte dell'imperatore Federico II e del casato svevo, egli trasse sempre da questa sua posizione nuove ragioni di dominio tirannico, vigilando affinché la sua potenza non venisse attaccata dall'esterno. Requisì ai padovani da lui banditi i castelli di Agna e di Brenta, mandando a morte tutti coloro che li custodivano. Incamerò diversi castelli del marchese d'Este e del conte di San Bonifacio e, estendendo le sue conquiste alla provincia di Treviso, aveva a suo tempo assoggettato Feltre e Belluno, spargendo sangue a piene mani e mantenendo nell'obbedienza i suoi sudditi antichi e nuovi, costruendo prigioni tanto sudice quanto pestilenziali, nelle quali rinchiudeva alla rinfusa uomini, donne e fanciulli. A questi ultimi, per una sua particolare voluttà, sembra facesse strappare gli occhi. Ezzelino III rappresentò di fatto le fortune sconfitte dell'Impero e della parte ghibellina e non è dato fissare con precisione e affidabilità storica rigidi confini fra la sua indubbia mancanza di scrupoli e la sua ferocia e la sua forte (ma soccombente) visione politica e le sue notevoli peculiarità politico-militari che ne decreteranno fatalmente l'impopolarità della successiva storiografia, tutt'altro che filo-imperiale.
Rolandino da Padova, storico e giurista padovano di formazione bolognese, figlio di notaio, egli stesso notaio, scrisse una cronaca degli anni di Ezzelino a Padova, approvata dall'Università e presentata con una cerimonia nel 1262, presso il chiostro della chiesa di Sant'Urbano.
Dante Alighieri nella Divina Commedia lo collocò all'Inferno, sommerso in un fiume di sangue, nel girone riservato a coloro che furono violenti contro il prossimo.
« e quella fronte ch'a il pel così nero, / è Azzolino... »
(Dante, Divina Commedia, Inferno, Canto XII)
Albertino Mussato, pre-umanista padovano e contemporaneo di Dante, dedica al personaggio di Ezzelino la tragedia "Eccerinide". Nell'Eccerinide, modellata sulle tragedie senecane, è narrata l'ascesa e la caduta di Ezzelino (ritenuto figlio di un essere demoniaco) e del fratello. Per tale opera gli furono prestati numerosi riconoscimenti, culminati nel 1315 con una cerimonia ufficiale a Padova, presso il collegio dei Giudici. Tale evento, riferitoci dal cronista dell'epoca Giovanni da Nono, aveva un valore simbolico: sia accademico che civile. Infatti la passata minaccia ezzeliniana era paragonata con il timore dell'invasione di Padova da parte delle truppe dell'imperatore Arrigo VII e di Cangrande della Scala.
Il cronista Fra' Salimbene de Adam definisce Ezzelino gran massacratore di uomini e temuto addirittura più del diavolo "Hic plus quam diabolus timebatur". Tutte queste caratteristiche sono oggetto di disputa fra gli storici che talora ne esaltano le capacità politiche e talaltra ne sottolineano l'inflessibilità del carattere e la sua totale mancanza di scrupoli etici.
Nel 1630, Alessandro Tassoni dedicò l'intero canto VIII del suo poema eroicomico, La secchia rapita, ad Ezzelino.
Alle corti di Ezzelino III e Alberico II poetava il trovatore Uc de Saint Circ.
La storia, fino al XII secolo, aveva menzionato personaggi grandi per valore militare o perversi per ambizioni sfrenate, e fra essi venivano annoverate nature miti o violente, cattive e generose; ma in pochi di essi la cattiveria diventava malvagità, la violenza ferocia, la freddezza cinismo rivoltante. La dedizione ad atti violenti di sangue non era lo scopo immediato delle loro azioni, ma il mezzo per giungere ai fini prefissati. Pur tuttavia potevano definirsi "uomini" non belve. In mezzo alla loro vita agitata e travagliata brillava qualche raggio d’amore, un pensiero d’affetto e di pietà, un sia pur minimo pentimento. Ma Ezzelino III da Romano, stando alle cronache, non fu uomo ma belva, mai ebbe pietà, neppure di sé stesso, mai provò amore, mai conobbe pentimento. Ma solo bestiale libidine di sangue, lieto di trovarsi sempre intorno vittime rantolanti ad implorare una pietà mai concessa.
Quando il padre, Ezzelino II s’era ritirato a vita monastica, aveva lasciato al figlio Alberico i feudi di Treviso, ed all’altro figlio Ezzelino III, i castelli tra Verona e Padova. Ad entrambi l’Imperatore Federico II nel 1232 aveva accordato una particolare protezione. Ezzelino era stato più fortunato ed astuto del fratello ch’era stato costretto dai padovani a passare dalla parte guelfa. Infatti nel 1235 riuscì a farsi nominare dal Senato podestà, col titolo di capitano del popolo. E per meglio difendersi dalle rappresaglie dei guelfi, convinse Federico II a mettere in città un presidio di militari ed a farsi nominare comandante. Il 16 agosto del 1236, Ezzelino convinse Federico, che si trovava in Germania, a scendere in Italia: cosa che puntualmente fece passando per le vallate di Trento unendosi alle forze di Cremona, Parma, Modena e Reggio, e mettendo a ferro e a fuoco i dintorni di Mantova, Brescia e Vicenza. Dopo di che se ne tornò in Germania per regolare i conti col duca d’Austria, lasciando il comando ad Ezzelino. In quei frangenti il marchese d’Este s’era pacificato con Federico e con Ezzelino. Nel 1236 ebbe in moglie Selvaggia, figlia naturale di Federico (o forse cugina di Bianca Lancia, sua amante e madre di Manfredi), al quale garantiva aperta la via importantissima della Val d’Adige. Ezzelino intanto, giuocando d’astuzia, s’impossessò di Padova, costringendo alla fuga i più potenti cittadini, demolendo le loro case, e facendo nominare podestà un suo amico, un certo conte di Teatino, napoletano. Riaccesasi la lotta col marchese d’Este, Ezzelino gli tolse ogni dominio e lo costrinse a ritirarsi in Rovigo. Federico però cercò di rappacificarli, facendo celebrare le nozze tra Rinaldo, figlio del marchese d’Este, con Adelaide, figlia di Alberico. Ma morto Gregorio IX e partito Federico, Ezzelino iniziò la sua opera di conquista. Assalì i castelli del Brenta, s’impossessò dei territori del marchese d’Este, attaccò il castello di S. Bonifacio, occupò le terre di Treviso, benché fossero del fratello, sottomise Feltre e Belluno, divenendo "signore" di tutti i paesi posti tra le Alpi di Trento e l’Oglio. Non esitava ad uccidere i nemici, ne confiscava i beni, demoliva le loro case. Ad ogni minimo sospetto di cospirazione applicava terribili torture, riempiendo le prigioni di prigionieri.
A tanta ferocia si oppose papa Innocenzo IV che lo scomunicò (1254) e bandì una crociata, incitando i vescovi e le città di Lombardia, Emilia e Marca Trevigiana. Ezzelino, fiutata la tempesta, si riconciliò col fratello che governava ancora Treviso, e strinse alleanza con Oberto Pelavicino e Buoso di Doaro. Quindi assalì Padova, che resistete, ma entrò a Brescia che macchiò di sangue e ne divenne padrone assoluto. A questo punto, il Pelavicino e Buoso di Doara lo abbandonarono unendosi alla lega dei crociati, l’undici giugno del 1259. Ma Ezzelino assale il castello di Priola, vicino Vicenza, e fa mutilare quanti vi s’erano rifugiati. Quindi marcia verso Milano. I milanesi, condotti da Martino della Torre, cercano d’aggirarlo, ma questi attraversa l’Oglio e l’Adda ed attacca Monza. Respinto, attacca il castello di Trezzo, s’impossessa di Cassano. Ferito ad un piede, fugge verso Bergamo, dove finalmente viene vinto e catturato.
Uno storico così descrive la sua fine: "Condotto nella tenda di Buoso di Doara, cupo, minaccioso, ristretto in sé stesso, metteva spavento nei circostanti coll’immobilità dello sguardo inclinato, uno sguardo feroce, in un più feroce silenzio. Vedendolo in tanta miseria, gli mandarono medici perché ne prendessero cura. Ma egli strappa furiosamente le bende delle piaghe e dopo undici giorni di orribile agonia, trasportato a Soncino, ivi rende lo spirito ed ivi le esecrate ceneri hanno in terra riposo". Era il 27 settembre del 1259. Così volle morire colla stessa feroce ostinazione con cui aveva in un sol giorno fatto trucidare diecimila padovani.
Suo fratello Alberico fu costretto alla resa nel suo castello il 25 agosto del 1260 e, dopo avere assistito all’uccisione dei suoi figli e delle sue figlie, fu attaccato alla coda d’un cavallo.
Dice di lui Salimbene: "Hic plus quam diabolus timebatur…. Nec Nero in crudelitatibus simils ei, nec Domizianus, nec Decius, nec Dioclezianus, qui, fuerunt maximis in tyrannis".
La madre di Ezzelino, che si reputava una maga, aveva predetto al figlio che la sua fortuna sarebbe venuta meno "in Axanum". Cosicché Ezzelino si tenne sempre lontano da Bassano veneto. Ma quando nel settembre del 1259 si trovò a mal partito, saputo che si trovava vicino Cassano, esclamò: "Heu Caxan Axan Baxan! Hoc lethum michi, Fatale dixit mater; hic finem fore!".
Le cronache descrivono Ezzelino da Romano come piccolo, sprezzante, lo sguardo terribile, mentre la storia lo ha bollato col titolo di "feroce"; le leggende popolari lo raffigurano come l’Anticristo, anche se, appunto, leggendarie sono molte delle nefandezze attribuitegli.
Nel 1237 lo troviamo nella battaglia di Cortenova, a fianco dell’Imperatore. Terrificante all’aspetto, impetuoso in battaglia, crudele e violento coi nemici, la sua presenza sul campo contribuì non poco a moltiplicare il coraggio e l’entusiasmo dei soldati.
Ezzelino, in conclusione, fu un terrificante personaggio che era sempre meglio avere dalla propria parte.
Fu di statura di corpo mediocre, ne magro ne corpolento, d'occhi vivissimi, di faccia gioconda, d'acutissimi denti, de capelli tra'l bianco e'l rosso, eloquente e ne le sue attioni composto, et elegante e di diolce conversazione..
Buoso da Doara si incaricò di far seppellire il cadavere di Ezzelino nella chiesa di San Francesco di Soncino. Sulla lapide tombale venne scritta l'epigrafe:
"In questo freddo marmo si racchiude colui che già fu il terrore dell'Italia, celebre del nome di Ezzelino da Romano, che il valore soncinese prostrò e di cui le mura di Cassano attestano la sanguinosa sconfitta".
Il "valore soncinese" naturalmente vuol essere un riconoscimento che l'autore dell'epigrafe rivolge alla sua città; ma non furono Soncino e nemmeno Cassano a sconfiggere il Signore da Romano. Furono in realtà le sue stesse crudeltà e scelleratezze; la sua insensata sete di sangue divenuta ormai una forma di pazzia o mania che dir si voglia.
Giosuè Carducci in Rime e Ritmi (1898) "ALLA CITTÀ DI FERRARA" dedica una parte alla battaglia di Cassano del 1259.
Ah ponte di Cassano,
ah rive d’Adda, quanto grido corse
l’aure lombarde, allor che su’l furore
d’Ezzelin domo
ringuainando placido la spada
Azzo Novello salutò con mano
la sventolante rossa croce per le
itale insegne!
D’allora un lume d’epopea corona
l’aquila d’Este; e quando ne le sale
le marchesane udian Isotta e i fieri
giovani Orlando,
un mesto suon di rapsodia veniva
giú d’Aquileia dal disfatto piano,
venía co ’l Po, cantatagli da’ flutti
d’Ocno e di Manto,
l’itala antica melodia di Maro;
e le vïole de’ trovieri a un tratto
tacean; la dama sospirava, in alto
guardava il sire.
Sull'edificio di Casa Mauri, nei pressi del ponte del Muzza è stata posta una lapide a ricordo delle battaglie di Cassano, tra cui quella del 1259.
A Soncino ancor oggi ogni settimana si ricorda la sua morte con il rintocco di una campana e si favoleggia circa il fatto che sia stato sepolto con il suo tesoro. Suo fratello Alberico, catturato nel suo castello di San Zenone dai vincitori, fu trucidato insieme alla sua famiglia, a dimostrazione (semmai ce ne fosse bisogno) che la "barbarie" non era caratteristica solo di Ezzelino.
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