lunedì 18 gennaio 2016

LA COSCIENZA

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Le domande sull’origine e la definizione della coscienza sono alla base di importanti questioni etiche. Ad esempio: in che senso è possibile dire che alcuni animali sono coscienti? In quale momento dello sviluppo fetale inizia la coscienza? È possibile immaginare macchine coscienti? Domande tanto più centrali in quanto coinvolgono direttamente il nostro modo di rapportarci agli altri, siano essi animali, embrioni umani o, magari in futuro, macchine intelligenti.

Se la psicologia classica ruotò attorno alla coscienza al punto da indurre Wundt a definire la stessa psicologia come "scienza dei fatti e degli stati di coscienza", nei decenni successivi i ricercatori, tra i quali Oswald Külpe indagarono soprattutto riguardo ai processi dinamici della coscienza. La psicanalisi focalizzò e definì i vari stati di conscio, subconscio e inconscio. La Gestalt, invece, riprese gli studi dei processi dinamici associandoli e comparandoli a quelli effettuati sulle percezioni per elaborare un suo modello di spiegazione della coscienza.

Poiché gli uomini esprimono i loro stati di coscienza tramite il linguaggio, sembrerebbe naturale associare l’uno all’altra. Tuttavia, alcune eccezioni alla regola (i bambini, gli stati di afasia negli adulti), mostrano come la coscienza si manifesti anche al di là del linguaggio.

La coscienza viene spesso definita come la consapevolezza dell’individuo di stimoli esterni, provenienti quindi dall’ambiente, ed interni, ovvero sensazioni e pensieri; essa ha di conseguenza la duplice funzione di monitore tali stimoli, mettendone a fuoco alcuni ed ignorandone altri, e di pianificare le nostre azioni in base agli stimoli assimilati.

I meccanismi dell’attività della coscienza non sono però sempre chiari, in quanto spesso molte azioni sono conseguenza di processi inconsci e appaiono quindi prive di consapevolezza. Nell’attività di monitoraggio, per esempio, noi concentriamo l’attenzione su particolari stimoli, ma in realtà attraverso l’attenzione periferica ne percepiamo anche degli altri inconsapevolmente, custoditi nella nostra mente e quindi sempre accessibili.

I pensieri e i ricordi non accessibili alla coscienza risiedono invece, secondo Freud, nell’inconscio e riemergono solo indirettamente, per esempio sotto forma di “lapsus”. Freud sosteneva che sono destinati all’inconscio tutti i ricordi e i desideri causa di dolore. Anche l’attività di pianificazione può presentare aspetti inconsapevoli; per esempio quando un’azione diviene abituale o automatica (automatismo), la necessità del controllo cosciente diminuisce.

William James, in Principi di Psicologia, sembra dirci che la coscienza è qualcosa che crediamo forse di conoscere fino a che qualcuno non ci chiede di definirla.
E’ sempre difficile cogliere e definire uno stato di coscienza, sia esso ordinario o non ordinario, e pare la coscienza resti in quel lembo di terra indefinito dell’esperienza umana. Il punto di vista fenomenologico mette in luce l’idea della totalità, l’idea secondo la quale “è sempre nella totalità dello stato di coscienza, che si manifestano i singoli fenomeni” .
Non c’è un definito stato ordinario di coscienza, ma si può solo rappresentarlo come un flusso di vissuti.


In altre parole, quando possiamo cogliere un vissuto in maniera più nitida, allora ci troviamo di fronte ad uno stato ben definito della coscienza.

Nell’analisi di uno stato di coscienza bisogna soprattutto tener conto dell’idea di come “l’intero stato d’animo sia vissuto nel momento”.      
“Lo stato di coscienza è un concetto puramente descrittivo molto vasto, può definirsi: quanto viene effettivamente vissuto in un determinato momento o, in altre parole, la somma, il tutto, rappresentato dai vari processi psichici coscienti”.
Come si è visto è sempre difficile, se non impossibile, dare una definizione univoca della coscienza e dei suoi stati.
“Genericamente i vari fenomeni psichici, da quelli elementari, come le sensazioni, a quelli più complessi, come il ragionamento o il giudizio, sono stati denominati stati di coscienza”.
William James, chiama gli stati di coscienza stati sostantivi, e intende qualcosa di solido e compatto, una specie di dati primari che andranno a costituire la struttura della coscienza.
Uno stato di coscienza è simile ad una fotografia del mentale che sintetizza tutto il percepito, il pensato dell’attimo. Possiamo pensare ad una struttura o configurazione singolare e dinamica di strutturre psicologiche, una specie di sistema attivo formato da sottosistemi psicologici.
Uno stato di coscienza rappresenta una certa regione di spazio esperenziale, all’interno del quale l’instabilità e la dinamicità sono le caratteristiche di base.
“La nostra normale coscienza in stato di veglia, la coscienza razionale, come la chiamiamo, non è altro che un tipo speciale di coscienza, mentre tutto attorno ad essa, separate dal più trasparente degli schermi, vi sono forme potenziali di coscienza del tutto diverse. Possiamo attraversare tutta la vita senza sospettarne l’esistenza; ma, presentandosi lo stimolo adeguato, alla minima pressione appaiono in tutta la loro completezza vari tipi di strutture spirituali, che probabilmente hanno in qualche luogo il loro campo d’applicazione e d’adattamento. Nessuna visione dell’universo nella sua totalità può essere definitiva, quando lascia fuori queste altre forme di coscienza”.
Il problema, secondo James, è come raccordarle con il resto, vista la discontinuità della coscienza. Quello che colpisce di più è che uno stato di coscienza non sia un dato definitivo dell’attività psichica. L’attività della coscienza sembra essere sottoposta a continui mutamenti e modificazioni e il passaggio da uno stato di coscienza ad un altro avviene più spesso di quanto pensiamo. L’attività psichica prende le sembianze di un continuo fluttuare, pensieri, sensazioni ed emozioni si susseguono senza sosta.
“Le nostre percezioni del mondo, degli altri e di noi stessi, come anche le nostre reazioni ad esse (cioè, coscienza di esse) sono costruzioni semiarbitrarie”. Il nostro stato di coscienza ordinario è considerato come lo stato di base e qualsiasi allontanamento da questo stato d’equilibrio sfocia in una possibilità di patologia.
Non è detto però che sia sempre così. La percezione del mondo che noi abbiamo, è in realtà il frutto di un complicato processo controllato da molti fattori. Abbiamo imparato a distinguere una realtà consensuale, essendo allo stesso tempo beneficiari e vittime della nostra cultura. La stessa percezione è un atto altamente complesso ed automatizzato. L’evoluzione testimonia che, la funzione fondamentale di uno stato di coscienza è fronteggiare con successo un ambiente.



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