domenica 24 gennaio 2016

NOMI DELLA PATATA

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Le parole che designano il sesso femminile – in italiano sono 595, tra metafore e volgarità – manifestano anche lo sgomento e l’ammirazione di fronte a un sesso nascosto, misterioso, che racchiude il segreto della vita. Non a caso alcuni dei termini per designarla (grotta, scrigno, bosco) evocano questo aspetto.

Ma anche una visione maschilista, ha notato il premio Nobel Dario Fo in un saggio recente che ho presentato tempo fa: i termini spregiativi come fesso (da fessa, vulva), sorca (ratto), patacca (moneta di scarso valore) testimoniano la misoginia della Chiesa cattolica.

I nomi mettono in rilievo la recettività e passività dell’organo femminile (designato nel 33% dei casi con oggetti, per lo più domestici), e lo qualificano come un elemento fisso: sostanzialmente, un luogo (23%). Poche, rispetto al sesso maschile, le personificazioni (bernarda, lei, sorella, Filippa, siora Luigia o Jolanda, creato sempre dalla Littizzetto) vista la sua “fissità”. Non mancano appellativi ironici, che manifestano il timore di malattie o di “rimanere invischiati” in un rapporto (trappola, tagliola), ma sono più numerosi quelli poetici (rosa) o affettuosi (paradiso, tesoro), con una venatura di mistero (grotta, scrigno).

La parola siciliana sticchiu dall'etimo - strictus - da - stringere -  rimanda all'organo genitale femminile e a una sua funzione meramente sessuale.
Varianti? A millanta, pacchiu, picciuni, ddrassutta (lì sotto), fedda (fetta), portaminchia, farfalluzza (farfallina), baccalaru (baccalà)...

Fica e figa sono termini volgari della lingua italiana di uso comune impiegati per indicare una parte dell'apparato genitale femminile, ossia la vulva e, per estensione, anche la stessa vagina.

Il corrispettivo usato nei Paesi anglosassoni è quello di cunt mentre in francese si usa con e in Spagna è diffuso coño (tutti e tre dal latino cunnus).

Il termine viene dal tardo latino fica "frutto del fico" come femminile di ficus, "l'albero del fico" (Ficus carica). Il significato osceno era già presente nella parola greca sykon che appunto significa fico e fu usato inizialmente da Aristofane nelle proprie commedie. Si tratterebbe quindi di un calco che dal greco è passato alla lingua italiana tramite il tardo latino. In latino venne usato per sostituire il più volgare cunnus (in italiano conno, termine poco usato) e viene descritto come una ferita in locis uericundioribus, ovvero nei posti più vergognosi. La rapida specializzazione semantica del termine con questo valore osceno ha fatto sì che il nome del frutto dell'albero del fico venisse assunto dal maschile fico, contrariamente a quella che è la regola in italiano (mela frutto del melo, pera frutto del pero ecc.).



Nei dialetti e nelle lingue romanze in cui fica non ha assunto il senso primario di "vulva", il frutto è rimasto al femminile (ad esempio francese la figue, nel napoletano, nel ligure, nei dialetti reggino e salentino fica o figa). In tali linguaggi il significato osceno è espresso da altri termini.

In alcuni dialetti italiani meridionali si usano termini direttamente derivanti dal lemma latino cunnus. Ad esempio cunno o cunnu nel catanzarese viene utilizzato sia nel significato di "apparato genitale femminile" sia come offesa per l'interlocutore. Nell'accezione dispregiativa vuole indicare la scarsa intelligenza della persona apostrofata con questo termine, nei significati di fesso, bonaccione, tonto, imbecille. Nella variante campidanese della Lingua sarda, invece, il termine cunnu indica esclusivamente l'apparato genitale e viene usato anche, nel gergo giovanile cagliaritano, il termine "cunnata", con cui si intende una cosa bella, gradevole, come nell'equivalente italiano "figata".

Il termine fa parte di uno dei filoni principali della letteratura - a volte anche alta - e dello scrivere tipico della goliardia.

Il termine nasce nelle parlate calabro-sicule, tardivamente latinizzate, nelle quali il frutto del fico è femminile, per l'appunto fica. Il riferimento preciso è al frutto della qualità nera detta mulingiana che quando è maturo e leggermente spaccato fa intravedere il rosso dell'interno e quindi somiglia perfettamente alla vulva femminile incorniciata da peli.

Il sostantivo trae origine da questa somiglianza fisica tra il frutto e l'organo. Così come avviene per altri sostantivi, per esempio gnocca, per la sua somiglianza all'organo genitale femminile.

Usato per secoli questo sostantivo per indicare la vulva, da qualche tempo è diventato una sineddoche per indicare una donna molto appetibile dal punto di vista sessuale come abbreviazione dell'apprezzamento riferito a quel tipo di donna che viene qualificata come un pezzo di fica che abbreviato diventa fica, indicando la parte per il tutto. Quindi fica non è altro che un'abbreviazione che ha un preciso riferimento all'organo genitale femminile.

Soprattutto nel gergo giovanile, il termine figa e il suo accrescitivo strafiga o figona sono spesso usati come sineddoche per indicare una donna sessualmente attraente.

Con analogo significato è usata anche la forma maschile, figo o fico, ovvero ragazzo/uomo attraente.

Da notare anche l'uso del diminutivo fighetto o addirittura fighetta (con articolo maschile) con significato di damerino, ragazzo dai modi e dall'abbigliamento marcatamente curati allo scopo di piacere, con connotazione ironica o spregiativa.

Il termine e la sua corrispondente forma maschile sono stati usati nel gergo giovanile a partire dagli anni settanta (Antonello Venditti sostiene di aver utilizzato per primo il termine in questa accezione) come aggettivi e interiezioni col significato neutro di bello.

La s privativa iniziale (sfiga significa letteralmente mancanza di figa) ribadisce l'accezione positiva del termine base assimilandolo a concetti di fortuna, abbondanza, fertilità, con l'implicita deduzione che un uomo senza un partner femminile è una persona sfortunata (sfigato, che però esiste solo nell'immaginario collettivo). Questo concetto deriva da una convinzione diffusa in numerose culture, secondo la quale formare famiglia è compito dell'uomo e non della donna, e sottolinea quindi una visione culturale maschilista del rapporto tra i due sessi.


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