venerdì 8 gennaio 2016

VIVERE ALL'OCCIDENTALE

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Uno studio pubblicato dal Journal of Epidemiology and Community Health, i cui risultati vengono definiti sorprendenti da uno dei suoi autori, Kamaldeep Bhui, professore di epidemiologia e psichiatria culturale presso la Queen Mary University di Londra. Lo studio ha sottoposto un test di valutazione della salute mentale (definita in base a parametri come i sintomi di disturbi emotivi o i problemi di iperattività e di rapporto con i coetanei), a due campioni di alunni di entrambi i sessi, di età compresa tra gli 11 e i 14 anni, che frequentavano scuole londinesi nel 2001 e nel 2003, anni di riferimento della ricerca. Nel 2001, 573 alunni britannici e 682 originari del Bangladesh , Paese a maggioranza musulmana, compilarono alcuni questionari necessari a stabilire le loro condizioni sociali, culturali e di salute. Due anni dopo è avvenuta la valutazione della salute mentale, condotta su 383 alunni britannici e 517 del Bangladesh che facevano parte degli stessi campioni del 2001. La sorpresa di cui parla Bhui consiste nel fatto che le ragazze del Bangladesh che rispettavano i tradizionali modi di vestire del loro gruppo etnico, si sono rivelate meno esposte al rischio di disturbi mentali rispetto a quelle dello stesso gruppo il cui abbigliamento tentava di conciliare la loro tradizione con lo stile occidentale, rischio che invece non è stato riscontrato tra le ragazze britanniche che inserivano all’interno dello stile occidentale elementi del modo di abbigliarsi tipici di altre culture. Una simile dinamica non ha luogo tra i maschi di entrambi i campioni. Secondo gli autori, il loro è il primo studio prospettico a indagare sulla base del modo di vestirsi il legame tra l’identità culturale e la salute mentale dei giovani che vivono in società culturalmente diverse da quella d’origine. Essi alludono inoltre al dibattito sulla libertà individuale di indossare alcune forme tradizionali di abbigliamento tra i musulmani, specialmente in luoghi pubblici quali le scuole, che in Paesi come la Francia non è consentita a partire dalla percezione che questo pregiudicherebbe l'integrazione sociale, idea che ora potrebbe essere messa in discussione.
Un altro studio ha esaminato alcuni temi emersi da questo studio con una docente di antropologia culturale dell’Università di Bologna.



Tra le minoranze etniche una rivoluzione nel modo di vestirsi può essere una grave trasgressione perché segnala l'abbandono del gruppo di appartenenza, per assumere valori ritenuti peccaminosi. E bastano dunque una minigonna o il rossetto sulle labbra a scatenare ostracismo e punizioni, spesso inflitte da adulti che alla stessa età possono essere stati oggetto di una violenza simile da parte dei loro genitori.
Le ragioni di tanta severità non sono solo di tipo religioso o morale bisogna anche valutare attentamente se si tratta di famiglie di recente immigrazione. Il momento in cui si arriva e ci si stabilisce in un altro Paese è proprio quello in cui l'attaccamento alla tradizione si sviluppa di più, in quanto si percepisce che il gruppo esterno, che può anche essere rappresentato da un'altra minoranza, non dà sostegno e rappresenta una potenziale minaccia.
La trasgressione femminile è giudicata quasi sempre senza alcuna indulgenza.
Questo accade perché, alla necessità di mantenere la coesione del gruppo di appartenenza, si aggiunge il fatto che la donna è considerata depositaria della tradizione, e il periodo tra gli 11 e i 14 anni è un'età in cui l'adattamento sociale dipende molto dal gruppo e viene definita una concezione dell'essere donna, per giunta in una società come quella londinese dove, forse anche più che in altre, si assiste a una certa precocità di questo processo.
La salute mentale e l'integrazione dei giovani immigrati devono anche fare i conti con l’atteggiamento della società che li accoglie; soprattutto con il fatto che le chiusure sono reciproche, e si tratta quindi non di combatterle, ma di negoziarle, visto che sono  conflitti che per l'appunto vanno risolti, invece che acuiti.



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