lunedì 11 maggio 2015

IL CARNEVALE DI BAGOLINO



Il carnevale di Bagolino per il suo folklore tipico, conservatosi tale in virtù della posizione isolata del paese, ha acquisito notorietà crescente, attirando anche l’attenzione di studiosi di etnologia. La festa si articola in due manifestazioni distinte, animate rispettivamente dalle eleganti figure dei Balarì (ballerini e suonatori) e dalle figure grottesche dei Maschér (maschere).

Il Carnevale di Bagolino è un fenomeno unico in Italia e con pochi equivalenti in tutta Europa. La tradizione, di origine antichissima, è profondamente radicata nella gente di Bagolino e della frazione di Ponte Caffaro, che la vive tuttora intensamente.

Seguendo antiche ed immutate tradizioni il Carnevale si snoda lungo le strade del paese nella suggestiva cornice di vecchie case e “pièstròi” (viottoli) che a Bagolino conservano ancora intatto il loro fascino. Il Carnevale supera le apparenze, supera l’antagonismo tra fede e spettacolo, l’erotico - allusivo celebrato in paese chiama in causa il bagosso in prima persona. E come dice il Seccamani quei comportamenti o sentimenti opposti, il bagosso li fa suoi, li custodisce e li alimenta poiché provato da millenarie tribolazioni: “ha radicata nella coscienza la storicizzata necessità di superare gli eventi, di velare traumaturgicamente le avversità del vivere, e particolarmente del vivere in terra rigogliosa ma anche isolata”.
Ecco allora che il Carnevale pagano, sentito e vissuto come: “simbolo delle forze del rigenerarsi misterioso e irrazionale dell’esistenza o simbolo della lussureggiante propulsiva stagione della giovinezza”. si fonde e coabita nello spirito bagosso, in perfetta simbiosi con la Fede salda, profonda, pregna delle secolari sofferenze; è l’accettazione, in definitiva, di vivere il quotidiano cristianamente. La festa che il Carnevale ripropone ogni anno è motivo di richiamo oltre che per i bagossi emigrati anche per i turisti. Il carnevale viene sentito dai bagolinesi come loro manifestazione personale a ricordo di secolari tradizioni.
Dell’usanza carnevalesca restano alcuni stralci di documenti comunali del sedicesimo secolo. In uno, che risale al 1518, si legge che il Comune di Bagolino aveva dato disposizioni perché la Compagnia di Laveno, venuta in paese per rallegrare il carnevale, fosse ricompensata con un formaggio. Bisogna tenere presente che era allora abitudine quella di scambiarsi, tra paesi, vicendevoli inviti in occasione di feste.
dagli atti di una visita pastorale avvenuta nel 1694, risulta che il Vescovo Giorgio Sigismondo Sinnersberg riprendeva alcuni preti che “ne tempi carnevaleschi si siano avanzati anche di andar vagabondando mascherati”.
Il Buccio, conterraneo del diciannovesimo secolo, ricorda che ai suoi tempi il Carnevale era festeggiato con grande allegria e che venivano eletti dei “Direttori” con il compito di vigilare perché non succedessero disordini. A questa festa, aggiunge il Buccio: “… erano reciproci gli inviti… tra le Comunità di Storo e di Condino… anche con scambievoli banchetti venivano a coltivare la società, l’amore, la corrispondenza…”.
Don L. Zenucchini, curato di Bagolino, così scriveva nel 1929 ai Missionari Salesiani di Ivrea “… Il Carnevale di Bagolino è caratteristico e, quantunque non approvato dall’autorità ecclesiastica, per ragioni ovvie, tuttavia, per l’antichissima tradizione… continua ancora, in via generale, non si fa del male… vanno in maschera persino vecchi di settant’anni…”.

 
I ballerini e i Suonatori si esibiscono solo il lunedì e il martedì ultimi di carnevale.
Il Ballerino si fa notare per il suo fantasioso cappello. Il copricapo di feltro, a cupola bassa, è ricoperto da metri di nastro rosso che cuciti e ripiegati in modo del tutto particolare noto alle donne del paese, formano arricciandosi delle increspature che donano al cappello il suo singolare aspetto. Ogni cappello viene vestito secondo la consuetudine: cucendo al nastro rosso gli ori di famiglia e degli amici. Alcuni vecchi cappelli erano ornati con sonaglietti, specchietti e “méérine”, specie di coralli dorati o argentati che cuciti insieme formavano delle esse o dei cuori. A sinistra del copricapo, un grande fiocco variopinto alla “bersagliera”, formato da tantissimi nastri colorati. Il costume indossato dai ballerini è il comune abito scuro che i locali portavano durante l’anno e che in occasione del Carnevale viene decorato con abilità. I calzoni, al ginocchio, hanno ricami laterali fatti con fettucce colorate. la giacca è ornata da serpentine o passamanerie cucite in modo da formare diversi ricami. sul braccio sinistro spicca un nastro o una coccarda.
Alle spalle sono appuntate delle grandi spalline di cotone bianco con alamari; questo ornamento è introdotto solo dopo il 1915 perché prima le spalline erano più semplici ed il ricamo era formato da una spighetta. Una larga fascia in seta, velluto o pizzo, portata a mò di tracolla, dalla spalla destra al fianco sinistro, termina con delle nappe policrome, coccarde o fiocco. Le mani sono coperte da guanti bianchi. Le calze bianche lavorate a mano, con sottocalze rosse, sono fermate al polpaccio con le “sènte” (passamaneria locale tessuta al telaio) che terminano ai bordi con delle “mèsoline” variopinte (nappe) in numero di tre+tre, le scarpe sono nere. Un grande scialle con frange fissato al di sotto delle spalline e annodato alla gola, ricadendo lungo la schiena, completa l’abito. Il volto dei ballerini è nascosto da una maschera in tela color avorio, priva di espressione. Per evitare che la tela venga impregnata di sudore, si unge l’interno con cera fusa. La maschera è tenuta a posto da un foulard che ricopre testa e collo.

A Bagolino le “Compagnie” dei Ballerini erano quattro e contavano nell’insieme circa 150 uomini. Ogni gruppo cercava di essere il più numeroso possibile e le “Compagnie”, per non disturbarsi a vicenda, ballavano in strade diverse. I Ballerini potevano passare da una “Compagnia” all’altra; Le suonate erano le stesse per tutti. Ora le “compagnie” dei Ballerini sono due, una nel capoluogo e una a Ponte Caffaro. Sotto la guida di uno o due “Capi Ballerini” eseguono di volta in volta le “ballate scelte”. Il “capo” richiama all’ordine i ballerini suonando la cornetta d’ottone che porta appesa al collo, annuncia i titoli delle ballate e guida la compagnia scandendo ordini a voce alta, fra un passaggio e l’altro delle danze.
E’ convinzione presso alcuni anziani che i tipici ordini rivolti al femminile scanditi durante i balli “en crus” (scambio incrociato di ballerini). “co lè so balalè” (ballare con la propria “donna”), “en crus e balalè” starebbero a significare una precedente partecipazione femminile alle danze.

Anche se i danzatori sono tutti uomini con il volto coperto da maschere uguali, per distinguere nella danza il ruolo degli uomini, “om” o “capo”, dalle donne “fomle” o “figura”, le maschere femminili portano due macchie rosse dette “pomeì” dipinte sugli zigomi. Quando è l’ora dei balli il “Capo”, dividendo gli “om” e le “fomle”, dà inizio alle danze.
I Ballerini cominciano le loro ballate lungo le strade del paese fermandosi in luoghi stabiliti. Una volta era consuetudine fare tre suonate sotto le finestre della fidanzata o degli amici. I Ballerini danzano muovendo le mani in modo personalissimo e scherzoso che i bagolinesi chiamano “segnacole”; ciò è in contrasto con i movimenti e la raffinatezza dei balli che rievocano le danze di corte in voga nei secoli scorsi. I Suonatori che accompagnano i Ballerini sono sei e suonano due chitarre, due violini, un mandolino (introdotto di recente) e un contrabbasso chiamato per scherzo “vèdèl” (vitello). In genere, indossano il costume locale; la testa è coperta da un “vecchio” cappello con un solo nastro avvolto intorno alla cupola.

Le musiche che accompagnano i Ballerini nelle danze, vengono eseguite in pubblico esclusivamente durante il lunedì e il martedì ultimi di Carnevale. Il violino è quello che detta la melodia conduttrice di tutti i motivi. Il singolare “neniare” degli strumenti porta ad assaporare, in un’alternanza strumentale caratteristica, belle suonate che sono accompagnate dalla tradizionale arte interpretativa, unica nel suo genere, di solito a tre voci: una bassa e due alte. Il suono si ottiene per lo più “pizzicando” le prime due corde mi-la, meno la terza, mai la quarta.

L’Ariosa è composta dai seguenti balli:

Bal Frances
Bas de Tac
Biondina
Busulu
Francischète
Meschèrine
Molètà
Monichèlè
Pas en amur
Roze e Fiori
Saltè ‘n barchè
Sefolòt
Tonine
Bal dei Pògn
Bal de l’Urs
Chedine – Oibò
Partensè Emanuèl
Segnù

Si ipotizza che il repertorio musicale abbia radici nell’Europa continentale, e più precisamente dai paesi a noi più vicini. Le congetture portano a pensare che il Carnevale “signorile” del paese, quello dei ballerini per intenderci, avrebbe ereditato la pratica strumentale dai musicanti del Tirolo. La compostezza con cui vengono eseguiti i balli, in contrasto con l’evidenza erotica che permea alcuni passi delle danze e l’antico rito del Carnevale popolare che si anima intorno ai ballerini mimerebbe, in forma paradossale, antiche danze di corte, rivisitate ed esternate in maniera propria dai bagolinesi. E questa dovrebbe essere la particolarità saliente che rende speciali ed unici i balli bagossi che comunemente danzati, sarebbero passati del tutto inosservati e non avrebbero perciò potuto resistere agli anni e invece costituiscono, ancora oggi, il punto centrale del Carnevale bagosso.

La tradizione vuole che il Carnevale offerto dai “Maschèr”, schietta manifestazione di cultura contadine, renda anche testimonianza di un triste passato di quando i paesani, favoriti dalla maschera, potevano schernire i loro nemici e soprattutto rivalersi sui Conti di Lodrone, poiché era un’impresa difficile scoprire gli autori dei gesti. Allo scopo di ben camuffarsi, il “Maschèr” non si limita solo al travestimento ma coinvolge l’intera persona dal passo, dall’andatura oscillante e strisciata, alla voce in falsetto, al portamento. I “Maschèr”, a differenza dei Ballerini, possono comparire per le strade anche dopo l’Epifania, nei lunedì e giovedì precedenti il Carnevale. Mentre i ballerini durante i due giorni di Carnevale rallegrano con la loro “aristocratica” esibizione, le strade del paese sono invase da decine e decine di persone mascherate alla foggia bagossa. Anche i costumi indossati da queste Maschere sono dei padri ma, a differenza di quelli dei Ballerini, non portano particolari “guarnizioni”.

Il costume maschile chiamato “ceviòl” è costituito dall’abito in fustagno pesante, per lo più di colore nero o marrone  portato dagli avi.
E’ composto da:
calzoni al ginocchio con patta quadrata a due bottoni;
camicia bianca senza colletto;
crozèt, corto gilè aperto sul davanti;
calze bianche o ghette dello stesso tessuto del vestito, allacciate lateralmente da una fila di bottoni ricoperti.
Ai piedi troviamo gli “sgalbèr” specie di scarponi locali, in cuoi rigido e legno. In occasione del Carnevale, vengono chiodati tanto da produrre, durante la camminata, un caratteristico suono che costituisce il rumore di fondo del carnevale, che viene evidenziato dalle frequenti “strisciate” sulla strada.
Il viso è coperto da una maschera, la testa da un cappello o da un fazzoletto.

Il costume femminile “guèrnèl” è formato da una gonna lunga in tela grossa scura e grezza a righe che, come la “gèdé”, (grembiule) veniva tessuta a mano sul telaio. L’abbigliamento è completato da un corto corpetto con o senza maniche, da una camicia bianca, da mutandoni lunghi, da un grande fazzoletto - scialle con motivi floreali. Lo “scialle” può coprire la testa o essere portato sulle spalle incrociato e fissato alle estremità sul davanti, al di sotto della “gèdé”. Ai piedi delle donne troviamo i “sopèi” (zoccoli con suola di legno) e delle calze che sono di colore bianco per le nubili, rosse per le sposate e viola per la anziane.

I “maschèr” quando si aggirano per le strade, portano varie cose che venivano usate dagli antichi nella vita quotidiana: arcolai, forche, “èrchècc” (trappole per uccelli), rastrelli, bastoni, “chèègnòi” (cestelli per vimini), campanacci “ciochè dèlè ache”; alcune maschere appoggiano sulla testa una specie di sacco chiamato “bèstèrèl” ed una cesta dove “dorme” un bambolotto. In genere le maschere passeggiano suddivise in gruppi facendo, talvolta, rivolti agli spettatori, gesti allusivi a carattere sessuale o, munite di “bocài” esasperano per burla gli atti corporali. Una vecchia usanza vuole che quando si vedono i “maschèr”, si debba gridargli “cuè-cuè”, parole che tacerebbero i “maschèr” come ubriaconi. Le maschere battendo gli “sgalbèr” sulla strada, rincorrono con aria aggressiva gli insolenti urlatori. secondo la tradizione il “mascher” che si sente apostrofare, può fare scherzi come prendere qualcuno in braccio e “buttarlo” nelle fontane piene d’acqua.
Sebbene tale uso ora sia un po’ inconsueto, negli anni scorsi questo era lo scherzo carnevalesco preferito dai bambini: costituiva un divertimento da non perdere. In occasione diversa dal carnevale, sino a pochi decenni fa, i “maschèr” facevano la loro apparizione anche in autunno. I giovanotti del paese usavano mascherarsi in quel periodo poiché era abitudine che tante ragazze andassero “a sèstè” (a ceste), cioè ad aiutare i contadini nei lavori di concimazione dei campi. A sera, per antica tradizione, i giovani si mascheravano e allegramente, anche a costo di tanta strada, si portavano in quelle cascine dove c’erano ragazze da corteggiare. Era un’occasione per scambiare quattro chiacchiere, fare approcci scherzosi e mangiare anche due castagne in padella, in attesa del Carnevale.

Dalle testimonianze raccolte è certo che esisteva una speciale Compagnia locale, detta “gli Zuavi”.
Gli Zuavi, scomparsi negli anni successivi alle grande Guerra, eseguivano le stesse danze dei Ballerini indossando un costume diverso. La figura maschile portava una maschera bianca o bianca e rossa con i baffi. I pantaloni larghi e lunghi fino al ginocchio, erano formati da strisce colorate: “Erano come l’Arlecchino”, ricordano i vecchi del paese. La casacca aveva un grande collo a punta e la tracolla era annodata ai fianchi. La figura femminile si copriva il volto con una maschera bianca mentre il costume, bianco e tessuto a mano, era formato da una gonnellina e da una camicia che terminava con un’arricciatura ai polsi.
Le calze per maschi e femmine erano bicolori. Ci sono discordanze sul cappello che taluni descrivono di colore beige, con fiori e piccoli nastri appuntati qua e là e con a lato una fascia multicolore formata da tanti nastri: “piccoli, non come quelli dei ballerini” precisa un intervistato, mentre altri lo ricordano solo attraversato dalla fascia multicolore. Si presume che la compagnia degli Zuavi sia scomparsa per due motivi: il primo economico, vista la povertà dei tempi ed il dispendio di denaro per preparare un costume che, data la sua foggia, non permetteva di essere sfruttato durante l’anno come invece succedeva al costume dei ballerini. Il secondo motivo è da ricercarsi nella fantasiosità dell’attuale copricapo dei ballerini, che “avviliva” il costume zuavo. Forse qualche vecchia cassapanca conserva, nascosto, un esemplare di costume zuavo, sì da poter ricostruire, in rispetto della tradizione, una nuova compagnia.

Altra figura che forse meriterebbe di essere rispolverata è quella del Paiasso. Le testimonianze concordano nel presentare questo personaggio vestito a “casaccio”: poteva avere delle pezze colorate qua e là sul vestito. Il suo ruolo non era da poco, aiutava il capo ballerino a mantenere l’ordine, teneva lontana la gente che si accalcava troppo vicina ai ballerini. Il Paiasso aveva anche il compito di portare il vino ai ballerini. Girava armato di gerle colme dell’alcolica bevanda per ritemprare i “bisognosi”.





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