Sebbene le tradizioni religiose unissero Treviglio e Caravaggio, a seminare zizzania tra le due città ci era riuscita la Gatta, che in realtà gatta non è, ma un antico cippo di confine raffigurante un piccolo cavallo, chiamato in dialetto “gatél”. Rinvenuto nel 1393 al confine tra i due comuni, il bassorilievo fu a lungo conteso, ma ad avere la meglio furono i trevigliesi: oggi l’opera è custodita presso il museo civico, mentre una sue fedele copia si trova sulla facciata del palazzo antistante la Basilica di San Martino. Nel 1953 i caravaggini compirono però un atto goliardico trafugando la copia esposta in piazza.
Il poema di Alessandro Tassoni narra la storia del conflitto fra Bologna e Modena (1325) conclusosi con il furto da parte di assetati modenesi di una secchia di legno, trafugata da un pozzo come trofeo di guerra. Qualcosa di simile - una sorta di «secchia rapita» in «salsa bergamasca» - è accaduto nella Bassa nello stesso periodo. A contendersi non un mastello di legno, bensì una pietra, trevigliesi e caravaggini. Una battaglia conclusasi con la vittoria dei primi. La pietra in questione è un gatèl, un bassorilievo che fungeva da cippo o termine di confine. Il termine dialettale è stato italianizzato in «gatta», così che tutti pensano che il quadrupede scolpito nella pietra sia uno strano felino, mentre in realtà si tratta di un cavallo.
La «gatta» delimitava appunto i limiti tra Treviglio e Caravaggio e fu a lungo oggetto di diatriba tra le due città , da quando fu rinvenuta in una zona di confine tra i due paesi nel 1392 in via Caravaggio sulla strada statale 11, denominata negli statuti del 1392 via Caravagli. Persino San Bernardino da Siena dovette intervenire per placare gli animi dei contendenti predicando la pace. Diciamo subito che oggi la «gatta», murata per secoli in un vicolo a Treviglio, è conservata nel museo civico, mentre sulla facciata del palazzo antistante la Basilica, in piazza Manara, è esposta una copia. Le cronache de «L'Eco di Bergamo» ci hanno consegnato ogni tappa della contesa.
Nel 1861 avvenne il primo furto da parte dei caravaggini ai danni dei trevigliesi. Ripresa, non si sa quando e come, da quest'ultimi, quasi un secolo dopo fu nuovamente sottratta dai caravaggini. «Treviglio e Caravaggio si guardano in cagnesco», titolava «L'Eco» il 28 febbraio 1953, registrando che la notte precedente era stato sottratto «un cimelio marmoreo» oggetto di «una singolare controversia nata alla fine del 1300». Il nostro quotidiano ricordava che il possesso della gatta importava il privilegio su un canale irriguo che scorreva a cavallo dei territori dei due Comuni.
La settimana precedente il furto, i compilatori di un numero unico dal titolo «Zigo-Zago» lanciarono l'idea di erigere un monumento alla «gatta», un fatto questo che surriscaldò gli animi dei caravaggini pronti a riprendersi la pietra. La «gatta» fu così tolta nottetempo dal muro della piazza dove era stata collocata. Al posto del bassorilievo, gli autori del colpo appesero un cartello con la scritta: «Mentre il popolo trevigliese dormiva, la “gatta” se ne è ita al suo paese». «La signora Paola Senna - scrive L'Eco dell'epoca - fu testimone oculare del furto da parte di una decina di giovani, armati di scalpello e martelli, giunti alle ore 2 a bordo di un autocarro. La gatta fu poi portata a Caravaggio e murata al civico 12 di via Michelangelo.
I caravaggini avrebbero poi chiesto per la restituzione della gatta un riscatto con 200 fiorini d'oro da consegnare sul limitare fra Treviglio e Caravaggio dove fu appunto rinvenuta». Poco più di due mesi dopo, i trevigliesi sferrarono la loro offensiva, pronti a riprendersi il maltolto. Prologo all'azione per riconquistare la «gatta» un singolare bombardamento di Caravaggio con galline appese ai paracadute, caramelle e rotoli di carta igienica lanciate da «forze aeree trevigliesi».
«Tre grossi bombardieri dell'aeroporto di Orio Serio – si legge su L'Eco dell'11 maggio 1953 – alle ore 12 hanno cominciato a vorticare paurosamente su Caravaggio gettandovi grandi quantità di materiale: 50 galline vive con il paracadute, chili di caramelle, bottiglie di vino, stilografiche e persino un grosso porcello», oltre a manifesti minacciosi di altri bombardamenti fino a far «scomparire il nome di Caravaggio dalle carte geografiche».
All'azione goliardica seguì una decina di giorni dopo l'incursione dei trevigliesi che, ripresasi la gatta, la murarono subito su un palazzo prospiciente la Basilica (dove oggi c'è la copia). Il colpo fu messo a segno in pieno giorno dai trevigliesi armato di pistole di zucchero e assordanti tromboni della banda musicale che costrinsero i caravaggini alla resa. Finita la contesa, la «gatta» è poi tornata al centro delle cronache per l'interesse da parte di una laureanda dell'Università della Sorbona giunta appositamente da Parigi per studiarla nei dettagli.
La notizia della contesa e del bombardamento del resto fece il giro del mondo sui giornali stranieri. Nel marzo 1982, il cippo è stato oggetto di restauro affidato allo studio Gabrieli-Traversi. La gatta originale è ora nel museo civico. Senza un intervento di recupero del resto, la gatta si sarebbe sgretolata fino a frantumarsi o sbriciolarsi, andando irrimediabilmente perduta. Profonda circa 50 cm., larga quasi altrettanto, alta 25 cm., la gatta ora è al sicuro. La singolarità di questo cippo, oltre al valore storico, è costituita dal fatto che è forse uno dei pochi termini di confine che raffiguri un animale, giunto ai giorni nostri, dopo svariati secoli, ancora integro e con tutto il suo carico di suggestività e un pizzico di leggenda.
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