L’araldica delle città ha un rilievo molto importante perché rispecchia, attraverso simboli e colori, la fase di nascita dei comuni liberi e le successive modificazioni costituzionali.
Lo stemma più antico di Monza risale a questo periodo. Era rappresentato da una luna rossa in campo bianco.
L’interpretazione simbolica rimanda alla teoria del potere imperiale (luna rossa) riflesso in quello papale (sole bianco).
L’unica versione rimasta di tale stemma si può vedere nel frontespizio miniato del Codice degli Statuti della comunità di Monza, conservato nella Biblioteca Capitolare del Duomo di Monza.
Un bassorilievo della Luna fu rinvenuto in una casa in via Lambro (denominata per questo “Casa della Luna”), ma si trattava di un manufatto dell’800.
Il più antico blasone usato dal comune di Monza è uno scudo celeste in cui è raffigurata una luna crescente rossa con un bianco semicerchio al mento.
Lo stemma, con ogni probabilità, risale al XIII secolo. Una pittura trecentesca nella monzese Casa dei Decumani riproduce lo stemma comunale con la luna crescente rossa in campo bianco. Una copia scolpita ottocentesca è incastonata nel fastigio della cosiddetta Torre di Teodolinda.
Lo storico Merati riferisce che se ne trova inoltre una raffigurazione ben conservata dipinta sul soffitto del salone del Guardaroba, nella canonica del Duomo di Monza.
Un primo tentativo di descrizione e di intepretazione si può leggere nel famoso "Chronicon modoetiense" di Bonincontro Morigia, storico vissuto nella metà del '300. Successiva, del 1794, è la descrizione fatta da Anton Francesco Frisi nelle sue "Memorie storiche di Monza", là dove si parla degli stemmi presenti un tempo sull'ambone (il pulpito) dell'Arengario. Quel simbolo è poi rintracciabile in due Stemmari: il primo, del 1496, conservato presso la biblioteca Trivulziana di Milano (n. 1390); il secondo, nel volume di Marco Cremosano "Galleria di imprese ed arme ed insegne viscontee", del 1637, conservato presso l'Archivio di Stato di Milano.
La caratteristica della Luna rossa di Monza, simbolo pur presente su alcuni stemmi di altre città é tuttavia quella di essere rappresentata falcata o "crescente al mento", così come la definisce il Frisi. Ed è questo forse un primo indizio sulla provenienza e sulla scelta di quel simbolo. E' cosa nota che le rappresentazioni araldiche provengono dalle epoche medioevali, dove i primi stemmi si ritrovano sugli scudi di condottieri e crociati. Quelli che noi oggi chiamiamo appunto "stemmi", avevano in realtà un significato apotropaico, venivano cioè disegnati sulle armature per incutere timore all'avversario. Solo successivamente vennero ad indicare la casata; da ciò deriva l'uso di affiggerli sugli edifici, sui libri e sui sigilli per indicare la proprietà.
Ricostruendo la storia dello stemma della famiglia Visconti, che molta importanza ebbe per l'Italia settentrionale dalla metà del '200 a quella del '400, pare che l'effige fosse stata presa dalla Casata dopo il periodo delle Crociate (Ottone Visconti) e che raffigurasse un biscione che ingoiava un moro.
Da lì forse parte il primo indizio sull'origine di quella Luna falcata al mento, rinvenibile anche nell'iconografia cristiana in rappresentazioni assai posteriori, dove la Madonna viene spesso dipinta in piedi su una falce di luna proprio a rappresentare la vittoria della fede cristiana su quella musulmana, le cui insegne, ancora oggi, mantengono spesso sulle bandiere proprio questo simbolo (ad es. la bandiera della Turchia). Pare che il simbolo della Luna non fosse proprio della cultura cristiana: più esattamente, proverrebbe dall'Oriente, forse dalla Mesopotamia o dall'antico Egitto (il culto di Iside e Osiride), e poi da lì si si sarebbe diffusa in altri paesi oggi europei, probabilmente la Spagna e la Francia, dove sono rintracciabili alcuni calendari astrologici e astronomici (i lunari) con la rappresentazione di Sole e Luna.
E forse proprio dalla Francia (e ancora prima dalle Crociate) arrivò alla famiglia Visconti questo simbolo astrologico, anche perché la casata Viscontea ebbe rapporti di potere e di unione matrimoniale con quel paese: basti pensare a quella tra Gian Galeazzo Visconti e Isabella di Valois.
Questo scambio di culture fu fortemente accentuato nel periodo di edificazione del Duomo di Milano che richiamò numerosi artisti da molte parti d'Europa. Il cosiddetto "periodo dell'ovrangerie", con lo scambio fra le culture quella Lombarda e francese Fiamminga, fu assai fecondo e dialettico. Sono riconducibili a quel periodo alcuni libri d'ore, i breviari, miniati con rappresentazioni astrali (sole e luna).
Queste rappresentazioni influirono molto sulla cultura di allora, tant'è che l'altro simbolo per eccellenza della famiglia Visconti era un sole fiammeggiante (la Raza, disegnata, pare, dal Petrarca), più volte rintracciabile sulle facciate e all'interno degli edifici sacri fatti erigere da loro. Si vedano, a tal proposito, le grandi finestre del Duomo di Milano, il sole affrescato spesso sulle volte della Certosa di Pavia, ma anche negli interni del Castello Sforzesco, fino ad arrivare a Monza dove "il Sole" visconteo fu affrescato dietro l'orologio sul lato nord dell'Arengario. Ben visibili, nel loro buon restauro, sono anche quelli sulle volte dell'antica sagrestia della chiesa di S. Maria in strada, oggi in vicolo Ambrogiolo 6, dove si trovano anche rappresentazioni della Luna e di alcune colombe.
Spesso quei "Soli" contengono la scritta IHS, il cosiddetto "cristogramma", più tardi simbolo dei Gesuiti, che pare potesse significare "In Hoc Signo (vinces)". In realtà c'è un lontano intreccio religioso tra l'ordine dei Cistercensi di origine francese (da Citaux) e il successivo ordine dei Templari che ebbero impulso da Bernardo di Fontaines poi detto Bernardo da Chiaravalle (dall'abbazia francese di Clairvaux). Si vedano, a tale proposito, le abbazie cistercensi di Chiaravalle e Morimondo, a sud di Milano. In particolare, sui capitelli del chiostro di Mirasole è presente un Sole cerchiato al mento (stemma poi adottato dalla Provincia di Milano alla fine degli anni '90), molto simile nelle fogge alla Luna di Monza.
D'altra parte, che in quel periodo medioevale vi fosse grande attenzione verso l'astrologia è confermato da Candido Decembrio (1399-1477) che descrisse accuratamente la vita di Filippo Maria Visconti (1392-1447), personaggio schivo e chiuso, che faceva abbondante ricorso ad astrologi e, nel contempo, si racconta fosse particolarmente attento e timoroso delle fasi lunari. Che l'astrologia fosse scienza integrante della conoscenza di allora nelle corti italiane e viscontee è visibile nell'opera denominata " De Sphaera", oggi conservata presso la Biblioteca estense, dove tra l'altro è rappresentata in modo evidente una donna discinta, Venere, contrassegnata da una Luna e di un uomo, Marte, dal Sole. Anche nei Tarocchi fatti miniare nel '400 da Filippo Maria, i più antichi e forse i primi, vi sono, tra l'altro, le rappresentazioni di Luna e Sole.
E' forse questo il primo possibile e più evidente significato del simbolo della Luna: non Papato (il Sole) e Impero (la Luna) come sosteneva Bonincontro Morigia a metà del '300, bensì uomo e donna, Re e Regina, figure provenienti dai breviari ma anche nei trattati di alchimia. Significativo a questo proposito è il " Rosarium Philosophorum", testo del 1550, analizzato da Carl Gustav Jung nel 1945, nel suo volume " la psicologia del Transfert", dove scrive: " Re e Regina sposo e sposa si uniscono in fidanzamento e matrimonio...La coppia infatti si trova sul Sole e sulla Luna, il che simboleggia la natura solare e lunare, e richiama la premessa astrologica dell'importanza della posizione del sole per l'uomo e di quella della Luna per la donna". Che il simbolo del sole e della luna rappresentassero e rappresentino la trasposizione simbolica ed onirica della figura dell'uomo e della donna si può rintracciare sin dalla prima interpretazione dei sogni scritta nel II° secolo D.C. da Artemidoro di Daldi e poi confermata nell' "Interpretazione dei sogni" scritta da Sigmund Freud. D'altra parte lo stesso Erich Fromm, freudiano ortodosso, sosteneva che i simboli onirici non sono mai mutati nei tempi, dagli egiziani a noi, come ben visibile su alcuni geroglifici.
In particolare, che la Luna sia sempre stato simbolo femminile e di fecondità ha dei riscontri anche di carattere materiale: si pensi al ciclo mestruale della donna, uguale al periodo di rotazione della luna intorno alla terra (i 27 giorni del ciclo sidereo), ma rintracciabile anche nei primi calendari del tempo, quelli lunari, che ne prendevano le fasi come riferimento. La Luna provoca le maree e , secondo alcuni, condiziona la semina e i raccolti tanto che ancora oggi vi è una branca dell'agricoltura, detta "biodinamica", che è attenta alle fase lunari. La Luna rappresenta la natura madre, il ritmo del tempo, le fasi di nascita, e, sul lato umano, l'irrazionale, l'inconoscibile, l'intuitivo ed il soggettivo, la ragione umana come luce riflessa dal Sole. E' l'occhio e la luce della notte (il sogno), come il sole è l'occhio e la luce del giorno (la realtà).
La Luna di Monza fu molto probabilmente simbolo archetipo e la rappresentazione figura di una donna. Quasi certamente si trattava di Bianca Maria Visconti, figlia di Filippo Maria, l'ultimo dei Visconti, la quale, andata in sposa a Francesco Sforza, fu fertile non solo di idee ed opere ed ebbe ben otto figli. Fece erigere dal Filarete un ospedale, la Ca' Granda, (dove oggi ha sede l'Università Statale di Milano) che ha come simbolo una colomba. Nella pagina degli Statuti del Comune di Monza dove compare la Luna di Monza, a fianco, vi è uno stemma dei Visconti - Sforza (con il biscione e l'aquila imperiale), sostenuto da due angeli, stemma ritrovabile, tale e quale, su un portale del castello sforzesco di Milano.
Anche sul pulpito dell'Arengario, erano rappresentati uno scudo dei Visconti - Savoia (Filippo Maria Visconti aveva sposato in seconde nozze Maria di Savoia); l'aquila, simbolo imperiale concesso da Federico II; un'insegna d'arme dei Visconti e la Luna di Monza. Questa parte venne però cancellata durante la Repubblica Cisalpina.
Infine, negli affreschi della cappella degli Zavattari (1440-1446) nel Duomo di Monza sono riportate le iniziali di Filippo Maria Visconti, e l'immagine della Regina Teodolinda è molto simile a quelle arrivate sino a noi che rappresentano sua figlia Bianca Maria o forse sua madre, Agnese del Maino, amante di Filippo Maria. Anche tutte le date di vita delle persone e di quegli affreschi sembrano comunque far risalire la data della Luna di Monza alla prima metà del '400.
Secondo altri, quel simbolo monzese si riferisce a Gian Galeazzo Maria Sforza (1444-1476), figlio di Francesco Sforza e di Bianca Maria Visconti, il quale sposò Bona di Savoia nel 1468. Altri ancora lo indicano come emblema voluto da Galeazzo II Visconti (1320-1378) che sposò Bianca di Savoia nel 1350 e che diede alla luce Gian Galeazzo, poi padre di Filippo Maria. Ma quelle datazioni non sembrerebbero coincidere.
Ferdinando I, Imperatore d’Austria dal 1835 al 1848, firma la concessione dello stemma alla Città di Monza in data 11 settembre 1835.
Il diploma è custodito nel Regio Archivio di Stato di Milano, Governo, Araldica, Cart. 59, e una copia della pergamena è conservata nella Biblioteca Civica.
E’ importante definire esattamente gli elementi inseriti nello scudo ovale.
La corona è evidentemente quella Ferrea, mentre la Croce è quella del Regno o di Berengario.
La scritta (esametro) in latino risalirebbe ad Ottone III, incoronato imperatore a Monza nel 996.
L’uso dello stemma e del gonfalone per gli Enti territoriali e morali è previsto come obbligatorio dal Regio Decreto del 13 aprile 1905, N° 234.
Ogni comune deve avere la propria insegna che lo indica, lo rappresenta, lo contraddistingue. Inoltre, lo stemma serve per rendere autentici e riconoscibili gli atti e le comunicazioni emanati dal comune.
Nel 1933 il comune di Monza presenta la domanda per ottenere il riconoscimento del suo stemma (quasi totalmente simile al precedente) e del suo gonfalone, allegando bozzetti realizzati dal pittore E. Ripa.
Riconoscimento che ottiene in data 29 maggio 1933. La trascrizione nei registri della Consulta Araldica, Libro araldico degli enti morali al vol. I, pag. 358, è invece datata 31 maggio 1933.
Da notare la “fantasiosa” raffigurazione della Croce di Berengario e della Corona Ferrea, non corrispondente alle forme originali.
Nel Regio Decreto, firmato dal Capo del Governo Mussolini, così viene descritto lo stemma:
“D’azzurro, alla Corona ferrea sormontata da una croce greca; il tutto circondato da una fascia d’argento con il motto Est Sedes Italiae Regni Modoetia Magni. Ornamenti esteriori da città.”
Nel 2003 si è proceduto ad un restyling dello stemma comunale.
Un’operazione tanto importante quanto delicata, per non stravolgere il simbolo del Comune, ma limitarsi ad aggiornarlo per renderlo più funzionale alle esigenze dei nostri tempi e all'uso di strumenti di comunicazione più evoluti.
Tutti gli elementi dello stemma sono stati ridisegnati semplificando le forme per facilitare la loro leggibilità, anche a dimensioni ridotte.
Lo stemma di Monza è infatti particolarmente complesso, visto i numerosi elementi che lo compongono.
Nell’attualizzarlo si è voluto rimanere fedeli agli elementi già presenti nei due stemmi storici di Monza: quello del 1835, concesso dall’imperatore d’Austria Federico I, e quello riconosciuto con Regio Decreto nel 1933.
Le figure simboliche sono la Croce di Berengario (o del Regno) e la Corona Ferrea.
Il terzo elemento è la scritta in latino “Est Sede Italiae Regni Modoetia Magni”, esametro che risalirebbe ad Ottone III, incoronato imperatore a Monza nel 996.
Questi tre elementi-simbolo ben rappresentano i valori storici di Monza: prestigio culturale, politico ed economico.
Gli altri due elementi, corona turrita di città e scudo sannitico, sono invece obbligatori per gli stemmi degli Enti territoriali (Regolamento araldica civica).
Completano lo stemma i rami di quercia (la forza) e di alloro (la gloria), annodati alla base da un nastro tricolore. Questo elemento decorativo ha la funzione di rendere immediatamente riconoscibili gli stemmi civici.
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